da ilbuioinsala.blogspot.it
Sigaro, Picchio, David e Pasquale negli anni ’80, fanno i manovali nei cantieri di Roma. La pausa pranzo è una tribuna politica, un giorno leggono su Il Manifesto: “si formano brigate del lavoro per il Nicaragua”.
Laggiù, il Fronte Sandinista combatte contro la dittatura, c’è la guerra e la guerra distrugge. Così i quattro manovali partono con pala e piccone perché la libertà si può costruire.
Di ritorno a Roma i manovali continuano a fare i manovali, tirano su palchi per i concerti dopo i cortei, è il modo di contribuire alla causa.
Un giorno, i Clash, gli Specials e ritmi latini nel cervello, i manovali salgono sul palco. Così nasce Banda Bassotti.
In quegli anni in Inghilterra c’è la musica della working class.
In Italia c’è la classe operaia che fa Ska–Punk-Oi!
In trent’anni la Banda viaggia dal Giappone al Sud America per sostenere le lotte di
liberazione e di indipendenza.
In valigia si accumulano i colori di tante bandiere diverse, ma c’e un simbolo che non manca mai: la falce e martello.
A raccontare questa storia, il 23 ottobre scorso è uscito su Vimeo il documentario Banda Bassotti – La Brigata Internazionale.
Un film musicale e politico che parla a tutti perché, tra tutto il popò di roba che racconta, sa mettere a fuoco una realtà di tutti noi, ovvero la condivisione di valori, passioni ed emozioni: la si chiami banda, fratellanza, comunità, non cambia granchè.
Il regista, classe 1978, è Antonio Di Domenico, gavetta da fotografo e cameraman, poi DOP per documentari e programmi tv, è uno abituato a sbattersi e sudare sul campo; uno che sogna ancora tanto, però. Sono vent’anni che, un ciak dopo l’altro, sta costruendo, letteralmente con le sue mani, il suo sogno di “fare cinema”.
E come la Banda, su quel palco che, per lavoro, passione ed esperienza ha costruito per anni agli altri, ora c’è salito lui.
Ed è così bravo però, che lui, pur alla prima esperienza di regia, nel film scompare.
Antonio, com’è nata l’idea di “Banda Bassotti – La Brigata Internazionale”?
Già negli anni ’90 ero un loro fan. Avevo la cassettina di “Balla e Difendi”, una raccolta in cui c’erano brani di Banda e di altri gruppi dell’underground romano. E’ stata la colonna sonora della mia adolescenza. Poi nel 2013 li ho conosciuti. Stavo seguendo e documentando il tour europeo a sostegno della Revolucion Ciudadana ecuatoriana. In Ecuador era stato finalmente eletto democraticamente un nuovo governo socialista e le associazioni dei migranti si riunivano per sostenerlo. La Banda Bassotti partecipava portando in giro la sua musica e aveva anche scritto un brano per l’Ecuador, “Rumbo al socialismo del siglo XXI”. Mi ha colpito molto vedere quanto fossero attivi in campo internazionale, e mi ha colpito la forza e la trasparenza con cui portavano in giro le loro idee. Così abbiamo parlato e gli ho fatto capire che volevo assolutamente raccontare la storia della Banda Bassotti in un documentario.
E loro come hanno reagito?
All’inizio ne ho parlato con i manager, Luca Fornasier e David Cacchione. Mi sembravano interessati. Però mi hanno detto che dovevano discuterne con gli altri. Mi sono immaginato una scena tipo quella di “Terra e Libertà” di K.Loach, in cui i miliziani e i contadini si riuniscono, dopo aver liberato il villaggio dai Franchisti, per discutere se adottare la proprietà comune delle terre: quaranta, cinquanta persone in uno stanzone, ognuno può prendere la parola, ogni parola ha lo stesso valore. Non si decideranno mai, ho pensato. Invece dopo qualche settimana mi hanno risposto e per fortuna hanno accettato.
Il film è in perfetto equilibrio tra racconto umano, musicale e politico. Anche questo è stato deciso insieme?
L’equilibrio, nel racconto, è una cosa che abbiamo ricercato in modo maniacale al montaggio con Luigi Conte. Abbiamo scomposto e ricomposto la storia diverse volte perché quello che scrivi, in un documentario, non sempre trova una corrispondenza nelle immagini. Questo equilibrio c’è nella vita dei Bassotti, è reale ed è un aspetto affascinante. Si fanno in quattro per sostenere le cause dei compagni in ogni angolo del pianeta. Poi c’è il lavoro. I Bassotti sono operai, contadini, netturbini e la loro musica nasce da queste esperienze. Racconto umano, musicale e politico sono effettivamente inscindibili dal mio punto di vista.
E’ un equilibrio prezioso che consente a “Brigata internazionale” di parlare a e con tutti, anche chi è al di fuori del percorso militante della Banda. La sensazione è che siate stati bravi e pazienti come autori ad arrivare a questo risultato, dove forse non c’era interesse a mettersi in gioco nel lato più privato e famigliare in favore di un discorso politico militante e attualissimo che, invece, di carne al fuoco ne tira fuori parecchia.
-‘Sta moria de polli, ‘sta processione d’abbacchi, rosari de sarsicce! – “Sigaro” descrive così le scene della “braciata”, che personalmente sconsiglio ai non carnivori. In effetti di carne al fuoco c’è n’è tanta. Ma non ti prendo in giro, non sto uscendo fuori tema. Perché è proprio durante il pranzo, al cantiere come nei giorni di festa, che si discute di politica. E per la Banda Bassotti fare politica vuol dire prima di tutto agire in aiuto dei popoli oppressi in qualsiasi parte del mondo essi siano. Nel 1984 fecero il loro primo viaggio internazionalista in Nicaragua arruolandosi nelle brigate del lavoro. Portarono con loro gli attrezzi dal cantiere perché la guerra civile laggiù stava distruggendo ogni cosa e c’era bisogno di ricostruire: scuole, case e anche trincee. Oggi la Banda Bassotti è cresciuta ed è in grado di creare corridoi umanitari e di portare medicine, viveri e beni di prima necessità nelle zone di guerra, oltre alla musica naturalmente!
L’ultima di queste carovane è diretta in Donbass. I compagni della Banda sembrano molto legati a quella regione e attenti a quello che succede.
Nella regione del Donbass, ad est dell’Ucraina, dalla primavera del 2014 è in corso un conflitto armato. Da una parte c’è l’esercito del governo di estrema destra di Kiev, dall’altra ci sono le milizie armate formate dai cittadini del Donbass che sono per lo più operai con una tradizione culturale comunista. Le guerre sono controverse e difficili da capire ma per i Bassotti, da sempre operai sotto il segno della falce e del martello, è stato facile capire da che parte stare. E nell’era cibernetica gli operai non hanno bisogno dei partiti per mettersi in contatto fra loro. Poi, certo, ad andare in una zona di guerra ci vuole del coraggio. Anche se si va con l’intenzione di aiutare la popolazione civile, si può diventare facilmente un bersaglio militare, e anche politico naturalmente.
I Bassotti come “Famiglia” come sono? chi fa parte della “banda”?”
La Banda Bassotti è la dimostrazione che i comunisti non hanno nessuna intenzione di distruggere i valori della famiglia tradizionale. La famiglia dei Bassotti è tradizionale, proletaria, inclusiva e al passo con i tempi. Nella prima scena del documentario c’è proprio questa famiglia, fatta di tanti colori, unita e forte. Non si vedono molto le donne nel documentario ma è solo perché chi in genere va sul palco è meno intimidito dalle telecamere. Donne e uomini nella Banda Bassotti si battono fianco a fianco per le stesse cause. La “banda” che fa la musica esiste per gridare più forte, ma della “banda” fa parte chi ha voglia di lottare, chi non accetta che il capitalismo divori la natura del pianeta terra. Non ci sono esclusioni di alcun genere, neanche di specie o regno! Perché nel brano “No Tav” “Sigaro” canta per le montagne e in “Negli Occhi il Buio”, brano bellissimo a mio avviso, “Picchio” canta gli orrori della vivisezione visti dagli occhi di un cane.
Come vi siete finanziati il film? Avete un piano per la distribuzione?
Il documentario è stato autoprodotto e autofinanziato dalla Rizoma Film. Ma questo è stato possibile anche grazie alla rete sociale della Banda Bassotti. Prima di tutto quando sei con i compagni dei Bassotti puoi stare sicuro che, dovunque vai, mangi, bevi e dormi. Ma anche tecnicamente siamo stati aiutati. La Video Master digital ci ha offerto i suoi studi per la color correction grazie all’amicizia del colorist, Andrea Faro; Radio Venceremos, grazie alla militanza nelle sue fila di Federico Mariani, da sempre anche membro della Banda, ci ha concesso l’utilizzo delle immagini d’archivio, che sono state preziosissime; il cinema Tibur di Roma ci ha offerto la sala per l’anteprima. E non solo! Ci sono arrivati foto e video da ogni parte del mondo dai compagni che hanno condiviso tante avventure con la Banda Bassotti. Senza questa rete sociale non sarebbe stato possibile ricomporre un mosaico di trent’anni di storia al di fuori dei circuiti convenzionali. Senza questa rete non saremmo riusciti a realizzare il film.
E per la distribuzione sarà lo stesso. Per noi questo tipo di produzioni sono un’esigenza. La storia della Banda Bassotti andava raccontata perché la Banda è nata per “dar voce a chi non ce l’aveva”, come dice Luca Fornasier nel film, e Rizoma Film ha voluto dargli anche un’immagine.
Il documentario è disponibile on demand su Vimeo e da gennaio stiamo cercando di farlo girare in alcune sale italiane grazie ad un accordo con un distributore.
Il 2 dicembre invece ci sarà la prima proiezione pubblica, alle ore 19, a Roma, prima del concerto al CSOA La Strada. Tutte le info si trovano sulla pagina facebook di Rizoma Film o su quella della Banda Bassotti. Quindi per ora siamo tutti responsabili della diffusione di questa storia.
La solidarietà fra i popoli, la giustizia sociale, la lotta per la libertà, sono idee e valori che non basta esprimere su un social network.
Il nostro auspicio è che arrivi al maggior numero di persone possibile perché lo spirito della Banda Bassotti è coinvolgente, al di là delle idee politiche che ognuno di noi può avere.
Mi piace:
Mi piace Caricamento…