Le forniture militari provenienti dalla Cina raggiungono il Venezuela

Jóvenes-alistados-en-la-FANBda Correo del Orinoco

Il Ministro della Difesa e comandante Operativo Strategico della Forze Armata Nazionale Bolivariana, Vladimir Padrino López, ha informato che l’equipaggiamento militare ricevuto eleva del 300% il raggio d’azione della Marina Militare

Nel corso di un incontro con i produttori agricoli del paese, il presidente della Repubblica Nicolás Maduro, grazie al satellite Simón Bolívar ha effettuato un intervento a Puerto Cabello, nello stato Carabobo, dove sono state consegnate le attrezzature militari provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese destinate alla Marina Militare dell’Armata Bolivariana del Venezuela.

«Oggi arriva in Venezuela – ha informato il Presidente – l’equipaggiamento militare per la nostra Marina proveniente dalla Cina. Ė il primo di quattro lotti utili per fortificare a tutti i livelli la protezione della Patria. Sicurezza e sovranità a tutti i livelli».

Dalla base navale di Puerto Cabello, il Ministro del Potere Popolare per la Difesa e Comandante Operativo Strategico della Forza Armata Nazionale Bolivariana, G/J Vladimir Padrino López, ha assicurato che «l’equipaggiamento militare ricevuto eleva del 300% il raggio d’azione della Marina Militare. La Forza Armata è forgiata nei valori della pace. Queste attrezzature militari rafforzano la custodia e la difesa di tutti i settori della sicurezza nazionale».

Il Ministro della Difesa ha spiegato che in questo primo lotto, dei quattro che arriveranno nel paese nei prossimi mesi, vi sono veicoli anfibi, carri armati blindati con potenza di fuoco e alta mobilità, in grado di raggiungere i 100 chilometri all’ora. Veicoli da combattimento dotati di punti per il lancio di missili.

Sono inoltre stati consegnati cinque rimorchi capaci di trasportare i veicoli da combattimento.

Il ministro Padrino López ha sottolineato che la Forza Armata avrà una maggiore capacità d’azione. «Non si tratta solo di acquistare equipaggiamenti, abbiamo talento umano e obiettivi da raggiungere, per essere in conformità con i piani che lei, Presidente, ci chiede di applicare nell’anno 2015».

Infine, il ministro ha spiegato che le alleanze strategiche con i popoli fratelli del mondo, in questo caso con la Repubblica Popolare Cinese, permettono al Venezuela di potenziare e modernizzare la capacità d’azione delle Forze Armate; tutto questo per preservare la pace, per mantenere la pace. «Ci prepariamo alla guerra per preservare la pace. Perché nessuno osi attaccarci sulla nostra terra».

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Hezbollah ha annullato trame sioniste e takfire in Medio Oriente

da al manar

Hezbollah ha contribuito a rompere le trame contro Medio Oriente e distrutto il controllo israeliano degli eventi nella regione. Lo ha dichiarato il vice segretario generale di Hezbollah, lo sceicco Naim Qassem.

L’asse della resistenza ha ottenuto grandi successi nel confronto aperto con la trama sionista e takfira.

Questa è la logica conclusione alla quale si può arrivare dopo aver esaminato gli attuali sviluppi nella regione.

Nel momento in cui Hezbollah liberò i territori libanesi occupati da Israele nel 2000, l’alleanza sionista-americana contro l’asse della resistenza ha proseguito la destabilizzazione di diverse aree del Medio Oriente.

L’occupazione dell’Iraq e dell’Afghanistan fu l’inizio dell’attacco statunitense sulla regione prima che i cospiratori americano-sionisti decidessero di sfidare direttamente i loro nemici iniziando la guerra del 2006 contro il Libano.

Hezbollah, sostenuto da tutti i suoi alleati, ha sconfitto il potere militare sionista nel 2006, che ha portato l’amministrazione statunitense a elaborare piani alternativi per sconfiggere l’asse resistenza.

La “primavera araba” era un nome dato a un piano degli Stati Uniti per destabilizzare i paesi arabi per colpire l’asse della resistenza. La Siria è diventata, quindi, il bersaglio.

L’Isis e altri gruppi terroristici sono stati creati dal governo degli Stati Uniti e dai suoi alleati europei e arabi per realizzare questo piano di sostegno.

Tuttavia, l’esercito siriano, sostenuto dai suoi alleati, ha combattuto contro questa cospirazione e i gruppi terroristici, infliggendogli pesanti perdite.

L’esercito siriano e i suoi alleati hanno ripreso e liberato diverse città chiave, compresa la capitale, e sono crescenti le loro operazioni per sradicare i gruppi terroristici completamente.

L’Iran, come membro del nucleo dell’asse di resistenza, ha anche affrontato le minacce militari e le pressioni politiche dagli Stati Uniti che hanno cercato di costringere il paese ad accettare un accordo nucleare umiliante.

L’Iran, dunque, ha dovuto affrontare queste sfide, costringendo gli occidentali a rispettare il suo diritto a sviluppare un programma di energia nucleare in accordo con le norme internazionali. Inoltre, ha mantenuto anche il suo sostegno politico e militare a tutte le fazioni della resistenza nella regione e creato enormi capacità militari per il suo esercito, che ha schierato nelle recenti manovre che si sono sviluppate in oltre due milioni di chilometri quadrati.

L’Isis è stato sostenuto anche da Arabia Saudita e da molti altri paesi arabi per controllare l’Iraq e piegarlo alla loro volontà politica. Tuttavia, l’esercito iracheno, sostenuto da tutti i suoi alleati, ha mostrato resistenza a tale trama, ha liberato gran parte del territorio occupato dall’Isis nel mese di giugno e si prepara al recupero di tutti i territori sotto il controllo del gruppo terroristico.

Su tutti i fronti, l’asse della resistenza è stato in grado di annullare le trame degli Stati Uniti, dell’Isis e le guerre di aggressione da parte di Israele contro i diversi paesi della regione.

L’Intelligence israeliana ha riferito che l’entità sionista deve affrontare i pericoli reali ai suoi “confini”. Ha riconosciuto che Hezbollah ha un grande potere missilistico e si è guadagnato una notevole esperienza militare nella guerra in Siria. Gli israeliani riconoscono, inoltre, che i suoi nemici hanno rafforzato il loro potere e ora rappresentano una grave minaccia per l’entità sionista, se decidesse di lanciare nuove guerre.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Nicaragua: un nuovo canale divide l’America

di Geraldina Colotti – il manifesto 

26dic2014.- Parla Jacinto Suarez, storico dirigente sandinista

Pro­te­ste e scon­tri, in Nica­ra­gua, per la costru­zione del Gran Canale Inte­ro­cea­nico. Mer­co­ledì la poli­zia ha disperso una mani­fe­sta­zione di con­ta­dini, che bloc­ca­vano la strada di El Tule, a circa 260 km a sudest della capi­tale Mana­gua. Secondo gli atti­vi­sti, 25 per­sone sono state arre­state. Dopo anni di ten­sioni e pole­mi­che, lo scorso 22 dicem­bre il governo san­di­ni­sta ha annun­ciato uffi­cial­mente l’inizio dei lavori di costru­zione della grande opera, per un costo totale di 50 miliardi di dol­lari. Un canale più grande di quello di Panama, che per­met­terà il pas­sag­gio annuale di oltre 1.500 grosse imbar­ca­zioni e un enorme rispar­mio di tempo per coprire la distanza tra un porto nel Paci­fico e uno nel Mar dei Caraibi. Il governo di Daniel Ortega lo con­si­dera una fon­da­men­tale leva per lo svi­luppo del paese, che in que­sto modo dovrebbe riu­scire a rad­dop­piare la pro­pria cre­scita eco­no­mica e a pas­sare dall’attuale 4–5% annuo a quasi l’11% nel 2015 e al 15% l’anno successivo.

«Il Canale inte­ro­cea­nico è un pro­getto ideato dalle orga­niz­za­zioni del com­mer­cio inter­na­zio­nale e avviato con i governi pre­ce­denti. Noi cer­chiamo di gestirlo per lo svi­luppo e il benes­sere del nostro popolo», dice al mani­fe­sto Jacinto Sua­rez, diri­gente sto­rico del Fronte san­di­ni­sta di libe­ra­zione nazio­nale e oggi mem­bro della Segre­te­ria per le rela­zioni inter­na­zio­nali. Per il mega-progetto, oltre a quella del canale «è pre­vi­sta la costru­zione di due porti, un aero­porto, lo svi­luppo del turi­smo con l’apertura di altre vie di comu­ni­ca­zione e com­plessi alber­ghieri e una zona di libero com­mer­cio — dice ancora Sua­rez — 200.000 posti di lavoro, 50.000 dei quali nel set­tore can­tie­ri­stico. La guerra con i con­tras e la gestione del neo­li­be­ri­smo sel­vag­gio hanno lasciato il nostro paese in ginoc­chio. Da quando siamo tor­nati al governo, il Nica­ra­gua sta risa­lendo la china gra­zie ai pro­getti sociali e alle nuove rela­zioni di soli­da­rietà inter­na­zio­nale, ma la prio­rità è quella di sal­dare il debito di svi­luppo con la nostra popo­la­zione, scon­fig­gendo povertà e disoc­cu­pa­zione. Un pro­getto a cui con­cor­rono anche set­tori impren­di­to­riali che pen­sano al loro inte­resse e non sono certo diven­tati san­di­ni­sti, ma la ric­chezza che arriva potrà essere ulte­rior­mente ridi­stri­buita».

Sua­rez — che abbiamo inter­vi­stato a Roma, durante l’incontro inter­na­zio­nale orga­niz­zato dall’Associazione Italia-Nicaragua — non nega l’esistenza di un impatto ambien­tale, ma con­te­sta la «stru­men­ta­lità» di certe ong. «Non dob­biamo — dice — far finta di non vedere che, attac­cando il Nica­ra­gua si vuole attac­care il ruolo della Cina, o quello del Vene­zuela nel caso della costru­zione comune Managua-Caracas della raf­fi­ne­ria, o ancora quello dell’Alba, l’Alleanza boli­va­riana per i popoli della nostra Ame­rica, che ha instau­rato nuove rela­zioni sud-sud».

A vin­cere la con­ces­sione del Gran Canale è stata l’impresa cinese Hknd Group, che ha illu­strato il suo pro­getto nel luglio scorso. Allora, ha assi­cu­rato che le acque del lago Nica­ra­gua non subi­ranno danni signi­fi­ca­tivi: per­ché il canale attin­gerà all’acqua pro­ve­niente dal fiume Punta Gorda e per­ché si prov­ve­derà a creare un lago arti­fi­ciale con un’estensione di 400kmq. I lavori dell’impresa cinese pre­ve­dono di tagliare il Nica­ra­gua per circa 278 km, e per 105 km il lago. Il pre­si­dente della Hknd, Wang Jing, ha ora ras­si­cu­rato i con­ta­dini sulle cui terre pas­se­ranno i lavori: ver­ranno risar­citi — ha affer­mato– «secondo valu­ta­zioni di mer­cato, in maniera giu­sta, aperta e tra­spa­rente». E anche il pre­si­dente Daniel Ortega ha mol­ti­pli­cato le dichia­ra­zioni ras­si­cu­ranti: «Dove passa una strada, la terra che prima valeva 100, poi varrà 10 volte di più. Que­sta opera avrà anche un impatto mon­diale sul costo del com­mer­cio dei pro­dotti da una parte all’altra», ha detto Ortega.

L’impresa cinese ha la con­ces­sione per costruire e ammi­ni­strare il canale per 100 anni. Wang Jing ha pro­messo anche 50 borse di stu­dio in Cina, la costru­zione di tre ospe­dali nelle zone in cui verrà rea­liz­zata la grande opera e la dona­zione di diverse ambu­lanze. Tut­ta­via, le orga­niz­za­zioni ambien­ta­li­ste denun­ciano che gli studi d’impatto ambien­tale non sono stati con­clusi e che ver­ranno pre­sen­tati solo a marzo del 2015. I pro­getti eco­no­mici legati al canale dovreb­bero con­clu­dersi entro il 2020.

«Per la rico­stru­zione del nostro paese — dice ancora Sua­rez — abbiamo biso­gno di man­te­nere le con­qui­ste sociali, con­ti­nuare a distri­buire la terra e favo­rire la pic­cola pro­du­zione agri­cola, dare le fab­bri­che in gestione ai lavo­ra­tori, ma dob­biamo anche otte­nere la pace, in Nica­ra­gua e nel con­ti­nente: svi­lup­pare rela­zioni sud-sud, ma senza chiu­dersi a quelle con altri bloc­chi o con i paesi che agi­scono nell’ambito dell’Alleanza del Paci­fico. Dieci anni fa, l’Alba ha scon­fitto il pro­getto neo­li­be­ri­sta dell’Alca, l’Accordo di libero com­mer­cio per le Ame­ri­che. Un esem­pio che ha fatto scuola, e che ha evi­den­ziano il ruolo pre­zioso del Vene­zuela. L’importante ora è inver­tire piano piano la ten­denza, il pre­do­mi­nio di rap­porti asim­me­trici a favore del Nord e delle grandi eco­no­mie neoliberiste».

Napoli rende omaggio a Bolívar attraverso l’opera di García Márquez

122614napoles01da Ministerio del Poder Popular para Relaciones Exteriores

Con l’opera “Il generale nel suo labirinto” di Gabriel García Márquez, il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela ha reso omaggio a Simón Bolívar, El Libertador, nel 184° anniversario della sua scomparsa.

L’evento ha avuto luogo nella sala “Simón Bolívar” della Biblioteca Nazionale di Napoli, alla presenza, in qualità di ospite del giornalista Francesco Romanetti, uno dei responsabili della sezione culturale de “Il Mattino”, il principale quotidiano cittadino.

Durante l’incontro, sono stati ripercorsi gli ultimi momenti della vita del Padre della Patria attraverso un’analisi letteraria e storica dei principali eventi che si sono verificati durante le lotte per l’indipendenza.

Romanetti e Marnoglia Hernandez, Console in seconda e responsabile del ciclo letterario, hanno evidenziato le diverse fasi della vita di Bolivar: la relazione con Manuela Sáenz, il tradimento di Santander, l’amicizia con José de Sucre, e il sogno una Patria Grande.

Durante l’incontro è stata illustrata l’importanza del progetto intrapreso da Bolivar, e come grazie a questo primo tentativo di unità latinoamericana, l’idea di libertà e identità nazionale, sia stata una costante nei processi rivoluzionari che si sono succeduti nel corso della storia, che oggi prende corpo nell’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA).

I presenti hanno potuto conoscere, grazie alla penna di García Márquez, il contesto in cui sono stati condotti i primi tentativi di integrazione e le difficoltà affrontate: interventi, cospirazioni, tradimenti e solitudine.

E’ stato infine ricordato come l’ideologia di Bolivar, ripresa successivamente da José Martí con la sua idea latinoamericana, contrapposta al panamericanismo e ai principi della Dottrina Monroe, sia oggi presente nel processo bolivariano, grazie al Comandante Supremo, Hugo Chávez.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Le difficoltà di Obama per realizzare un ordine mondiale “Made in USA”

ObaPutin

di Achille Lollo, da Roma (Italia) per il Correio da Cidadania– 19/12/2014.

Il 2014 può essere considerato l’anno della svolta nella politica geostrategica ed energetica del presidente Barack Obama, il cui principale obiettivo prevedeva di rimettere in piedi l’immaginario dell’Impero e, pertanto, di organizzare l’ordine mondiale sulla base di un “Made in USA” più efficace e selettivo, dal punto di vista politico-militare. Una decisione presa alla fine del 2013, soprattutto in funzione della necessità di rompere la crescente egemonia dei repubblicani nell’elettorato statunitense. Questi, il 5 novembre 2014, hanno ottenuto la maggioranza assoluta nelle elezioni legislative e il conseguente controllo maggioritario della Camera e del Senato, qualcosa che non succedeva dal 2006.

Una sconfitta che, in realtà, contraddice le decisioni belligeranti, ostensive e, soprattutto, autoritarie di Obama in ciò che concerne la politica internazionale degli EUA, condizionata dalla vacillante posizione della classe media statunitense, impaurita dal costo delle proposte di leggi “sociali” di Obama e delle nuove avventure militari. D’ altro canto, questa stessa classe media degli EUA, di fronte alla resistenza della Siria e dell’Iran, ha cavalcato l’ affascinante nazionalismo yanqui dei repubblicani, che hanno insistito, durante tutto il 2012 e principalmente il 2013, sul tasto delle indecisioni di Obama e del ritiro dell’Esercito USA dai principali epicentri della geo-strategia mondiale. Notoriamente, l’Europa dell’est, il nord dell’Africa, il Medio Oriente e l’Asia minore.

È stato sulla base di tutto ciò che il 2014 è tornato a essere un “anno statunitense”, durante il quale solamente due personaggi hanno assunto una posizione differente e di opposizione: Papa Francesco e il presidente russo Vladimir Putin.

 

Papa Francesco

Motivato da un rinnovato desiderio di recuperare lo spirito del Vangelo della chiesa Cattolica e, pertanto, fortemente deciso a riformulare e correggere gli eccessi del potere temporale della Santa Sede e della Curia del Vaticano, il papa gesuita di origine argentina ha condannato con fermezza il profitto del mercato e la stupidità della guerra. Elementi che, secondo il papa, starebbero mettendo a rischio la crescita dell’umanità, l’evoluzione delle società e la potenzialità dell’ambiente. Parole che hanno fortemente fustigato la retorica della ricchezza flessibile del mercato che, secondo Papa Francesco, “produce sempre più disuguaglianze sociali, irregolari flussi economici e, specialmente, disoccupazione. Molta disoccupazione, che nega il lavoro che dovrebbe essere l’elemento sacro delle nostre società”.

Omelie che gli uomini di Wall Street e le eccellenze della Casa Bianca non hanno apprezzato, perché, con la rinascita della Chiesa dei Poveri, i movimenti popolari tornano ad avere un prezioso alleato. Cosa che prima, con i papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, non esisteva, visto che la Santa Sede si limitava a esercitare il “potere temporale” sempre a favore dei potenti, oltre a difendere il mantenimento dello status quo dell’ordine mondiale.

 

Obama e l’Impero

Molte persone, negli USA e in Europa, credono che, per essere afro-americano, Barack Obama intendeva fare una “rivoluzione democratica” nel mondo. Purtroppo, troppi confondono il sogno con la realtà. Colin Powell era anche lui afro-americano, tuttavia, quando è arrivato il momento di legittimare gli interessi strategici dell’Impero e i famelici desideri delle trasnazionali, di fronte alla commissione delle Nazioni Unite, ha mentito nel dire che Saddam Hussein era pronto a usare un potente arsenale chimico, capace di minacciare l’umanità! Per questo, Barack Obama è tanto “imperialista” quanto Bill Clinton, con l’aggravante di usare la sua variante etnica per ottenere il consenso elettorale degli afro-americani.

Infatti, quando le eccellenze della Casa Bianca hanno deciso di riorganizzare l’ordine mondiale, sulla base di un nuovo “Made in USA”, Obama, a sua volta, ha detto: “yes, we can”. Ed è stato in quest’ambito che la CIA, la NSA e la NATO hanno promosso la destabilizzazione politica in Ucraina, con il fine di portare al governo i fantocci di destra guidati da Arseniy Yatsenyuk e Yulia Tymoshenko e, così, riuscire a far avanzare le linee di difesa della NATO fino alla frontiera russa – oltre a trasformare la Crimea in un avamposto della NATO. Un progetto ambizioso che, nel 2014, ha costituito il punto culminante della strategia degli USA, dal momento che, con l’adesione all’ Unione Europea della Polonia, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Bulgaria e della Romania, la conquista dell’Ucraina era determinante. Un progetto che si è realizzato solo parzialmente, visto che la parte meridionale dell’Ucraina vuole l’annessione alla Russia, come già successo in Crimea.

È necessario ricordare che questo progetto controverso è stato elaborato dalla Casa Bianca, non solo per indebolire l’affermazione geo-strategica della Russia, ma per ricollocare l’Unione Europea fuori da un possibile asse politico ed economico euro-asiatico, dove la Cina e la Russia giocherebbero un ruolo preponderante.

Così, con la “questione ucraina”, Obama ha ottenuto dai paesi europei l’incondizionata sottomissione alla geo-strategia statunitense, nel senso che le spese militari saranno pagate dai contribuenti europei, che dovranno garantire il pagamento dei nuovi F-35, basi di lancio di missili e un riarmo generale, realizzato in buona parte con prodotti dell’industria militare USA.

Le sanzioni alla Russia sono state un altro successo politico di Obama. Sanzioni che, in realtà, danneggiano anche le industrie europee con la cancellazione, da parte del governo russo, delle importazioni alimentari e tecnologiche, per il valore di quasi 20 miliardi di euro. In seguito, il presidente Obama ha tentato di imporre agli Europei la vendita dello “shale gas” degli USA (estratto dagli scisti bituminosi).

Com l’eccezione dei paesi più sottomessi (Ucraina, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania), tutti i paesi europei hanno rifiutato l’offerta di Obama, per il motivo che il prezzo è quasi il doppio del gas venduto dalla Russia. Anche così, le sanzioni di Obama hanno bloccato la costruzione del gasdotto South Stream, con perdite irrimediabili per le imprese ad alta ingegneria della Germania, della Francia e dell’Italia. In quest’ambito, l’Unione Europea ha dimostrato di aver perso la sua autonomia politica, inginocchiandosi sempre più agli Stati Uniti, la cui economia trae profitto dalla crisi che affligge i governi europei, sottomessi alle regole recessive della triade (FMI, Banco Mondiale e BCE), ampiamente avallate dalla prima ministra della potente Germania, Angela Merkel.

 

Il dramma síriano, l’ISIS e la Russia

La nuova guerra fredda che gli USA hanno promosso contro la Russia tocca anche il Medio Oriente e il nord dell’ Africa, dove la CIA e la NATO non sono più riuscite a controllare la Libia, che continua a essere vittima di una sanguinosa guerra civile, senza più istituzioni. Il caos generalizzato!

Una guerra civile che ha completamente distrutto il paese e ha fatto cadere la produzione di petrolio da 4 milioni di barili al giorno ad appena 150.000!

La Siria, dopo due anni di perversa guerra civile monitorata dagli USA, dalla Francia, da Israele, dalla Gran Bretagna e dalla Turchia, oltre a essere finanziata dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dagli Emirati Arabi Uniti, a partire dal mese di maggio 2014 è riuscita a capovolgere il conflitto. Tuttavia, per evitare una vittoria del governo di Bashar al-Assad, in giugno, è stato proclamato il Califfato Islamico (ISIS), con lo scandaloso trasferimento della maggior parte dei ribelli che combattevano in Siria verso il centro dell’Iraq. In questa maniera, si realizzava l’ antico progetto del Pentagono, che prevedeva di balcanizzare l’Iraq e la Siria con la formazione di tre stati etnico-religiosi in mano a sciiti, curdi e sunniti. Frattanto, la pretenziosa decisione dei leaders sunniti dell’ISIS di attaccare la capitale dell’Iraq, Baghdad, a maggioranza sciita, ha reso la crisi dell’Iraq ancora più complessa, permettendo a Obama di autorizzare il ritorno dei caccia-bombardieri statunitensi nei cieli del Medio Oriente.

Una misura che ha permesso agli operatori di Wall Street di promuovere la caduta dei prezzi del petrolio e del gas a quasi il 40%, sostenendo il desiderio della Casa Bianca di aprire una crisi nell’economia della Russia e del Venezuela, dipendenti dalle esportazioni di idrocarburi.

Tuttavia, il successo di Obama è durato poco, dal momento che il presidente Putin ha realizzato due importanti accordi energetici con la Turchia, che riducono abbastanza gli effetti dell’abbassamento dei prezzi del petrolio e del gas. Infatti, la Cina, durante 30 anni, riceverà il gas e il petrolio dalla Siberia a prezzi speciali, mentre che la Turchia – nonostante sia un fedele alleato degli USA e di Israele – ha firmato contratti miliardari con la Russia, comprando tutto il gas che doveva arrivare in Europa con il gasdotto South Stream, oltre ad autorizzare la costruzione di un gasdotto che attraversa il Mar Nero per arrivare fino alle raffinerie delle regioni centrali della Turchia.

Le guerre regionali provocate in Mali e nella Repubblica Centro-Africana, al di là del tentativo della giustizia statunitense di punire l’Argentina e la riattivazione del programma “Pivot to Asia” (per isolare la Cina e rinforzare la presenza militare degli USA nei paesi asiatici), sono gli elementi complementari della nuova guerra fredda che gli USA hanno promosso contro la Russia, che a sua volta è tornata a intendersi molto bene con la Cina.

Achille Lollo è un giornalista italiano, corrispondente di Brasil de Fato in Italia, curatore del programma TV “Quadrante Informativo” e colonnista del “Correio da Cidadania”

[Trad. dal portoghese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

(FOTO) Nápoles discute sobre las enseñanzas de Gramsci

por Sección Prensa y Relaciones Públicas Consulado General

Gramsci para el proceso revolucionario en Venezuela y en Italia

Italia.24 de diciembre de 2014 (Prensa Consulado General. Nápoles). Antonio Gramsci es uno de los filósofos italianos que más ha sido estudiado a nivel internacional, principalmente en América Latina, en los paíes que se han trazado el objetivo de construir una alternativa socialista.

La República Bolivariana de Venezuela, con el ideario del Comandante Chávez y actualmente llevado adelante por el Presidente Maduro, asumen importantes elementos de la teoría gramsciana como el intelectual orgánico, la hegemonia cultural, el concepto de sociedad civil, la teoría y praxis, entre otros importantes elementos.

Con el objetivo de intercambiar sobre la experiencia de estudio de este intelectual para los países latinoamericanos y el proceso revolucionario, la Comisión Rinascita Gramsci del Partito “Comité de Apoyo a la Resistencia Comunista” (CARC), junto a la Tricontinental de las Relaciones Intrenacionales y la Solidaridad, la Asociación Nacional de Redes y Organizaciones Sociales (ANROS – Italia) junto al Consulado General de la República Bolivariana de Venezuela en Nápoles, convocaron al encuentro “Las enseñanzas de Gramsci. Construcción de la Revolución en Italia y en América Latina”.

La actividad se da como resultado de la cooperación entre el partido CARC y las fuerzas que representan y sostienen la revolución bolivariana. El encuentro estuvo presidido por Alfredo Viloria, Secretario Politico de la Embajada de Venezuela en Roma, Amarilis Gutiérrez Graffe, Cónsul General de Venezuela en Nápoles, Paolo Babini, Presidente de la Comisión
Rinascita Gramsci, Igor Papaleo, representante del partido CARC en Nápoles y Ciro Brescia, representante de ANROS – Italia.

Alfredo Viloria explicó la importancia y los principales aportes que el pueblo y la vanguardia venezolana había hecho del pensamiento gramsci, aplicado a cuestiones tan cruciales como el poder popular, la participación social y la hegemonía cultural.

La Cónsul General aprovechó para recordar los 15 años de la Constitución Bolivariana y como constituyera el más alto ejemplo de la representación de los intereses del pueblo, y de como en la teoría gramsciana se hayan encontrado muchos de los indicios para encontrar soluciones y reformular los principios del socialismo bolivariano.

Los representantes del partido CARC por su parte, concentraron la atención en el intercambio de experiencias, partiendo del presupuesto que los contextos y los momentos históricos que se viven en Venezuela e Italia sono diversos, pero que en la base, son varios los puntos coincidentes.

Explicaron detalladamente la importancia de la reforma moral e intelectual, partiendo de los propios militantes como parte de la masa, para poder cambiar el entorno y luego la sociedad.

Ciro Brescia de ANROS – Italia realizó un recorrido sobre conceptos del pensamiento de Gramsci che poseen una actualidad real: las costubres que forman el sentido común, el imaginario y el sentir de unidad de una sociedad, los símbolos y los elementos de poder, entre otros.

La iniciativa fue propicia para manifestar la solidaridad con Cuba y explicar sobre los últimos cambios en las relaciones con los Estados Unidos, así como para criticar la injusticia de las sanciones impuestas a la República Bolivariana de Venezuela.

El encuentro cerró reiterando el llamado al II Encuentro Italiano de Solidaridad con la Revolución Bolivariana, en abril de 2015.

Sezione Stampa e Pubbliche Relazioni
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La Siria si congratula con Cuba per il ritorno dei tre eroi prigionieri in USA

da al manar

Siriani e cubani hanno festeggiato all’ambasciata di Cuba, a Damasco, il 57° anniversario del trionfo della Rivoluzione nell’isola e il ritorno di tre eroi, prigionieri nelle carceri statunitensi.

Nel corso di una cerimonia tenutasi presso la sua residenza, l’ ambasciatore di Cuba, Fernando Pérez Maza, ha salutato il ritorno in patria di Antonio Guerrero, Gerardo Hernández e Ramón Labañino.

I tre, insieme a Fernando González e René González (rilasciati dopo aver scontato la loro pena), sono stati arrestati nel 1998 per contrastare i gruppi che organizzavano e finanziavano le azioni terroristiche contro il loro paese.

Pérez Maza ha anche evidenziato il ripristino delle relazioni diplomatiche tra L’Avana e Washington, dicendo che è il riconoscimento del fallimento della politica degli Stati Uniti nei confronti di Cuba.

«Manterremo i nostri principi, la nostra indipendenza, il nostra il socialismo e il nostro progetto sociale», ha ribadito il diplomatico.

Da parte sua, Abdel Nasser Alshafia, membro della direzione regionale del partito arabo socialista Baath e presidente dell’Associazione di Amicizia Siria-Cuba, ha elogiato la decennale lotta del popolo cubano.

«Nonostante queste avversità, questo paese ha raggiunto grandi risultati nel campo della sanità e dell’istruzione», ha affermato Alshafia. Ed ha aggiunto: «Vogliamo augurare ai nostri cari fratelli cubani ogni successo nella costruzione del futuro del loro paese».

Alla cerimonia hanno partecipato anche membri della comunità cubana in Siria, rappresentanti dell’Associazione dei laureati siriani a Cuba, gli studenti spagnoli provenienti da vari centri accademici della capitale e il personale dell’ambasciata cubana a Damasco.

[Trad dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Hamas: «Non tolleriamo scorrettezze contro la Siria»

da hispantv

Hamas ha sottolineato il suo “stretto” rapporto con il governo siriano e ha ringraziato Damasco per il sostegno alla causa palestinese.

Il vice capo della leadership politica di Hamas, Musa Abu Marzuq, ha rilasciato un’intervista alla agenzia di stampa turca “Anadolu’, in cui ha negato il raffreddamento dei rapporti tra il movimento palestinese e il governo siriano ed ha assicurato che Hamas «non tollera alcun comportamento scorretto nei confronti del governo siriano».

Abu Marzuq ha affermato di essere rammaricato che la crisi siriana abbia costretto Hamas ad abbandonare questo paese e ha sottolineato che la decisione di lasciare Damasco ha molto turbato il movimento di resistenza, a causa del suo “stretto rapporto” con il presidente Bashar al-Assad.

«Hamas in nessun caso ha mai fatto mancare i ringraziamenti alla la Siria (…) La decisione di lasciare la Siria è stata presa su una base etica e politica, anche se il gruppo sapeva che sarebbe stato la prima e la più grande vittima di questa misura», ha spiegato.

Abu Marzuq ha raccontato che Hamas non ha mai preso provvedimenti contro il governo di Al-Asad e la sua decisione di lasciare la Siria è dovuta alla “politica di neutralità” di questo movimento nella crisi nel paese arabo.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Il G77 più Cina respinge le sanzioni statunitensi contro il Venezuela

G77-+-Chinada Correo del Orinoco

Il presidente della Bolivia, Evo Morales ha spiegato che il testo del G77 più Cina richiede che venga abrogata con urgenza la misura legislativa degli Stati Uniti contro il Venezuela, «perché mina la Carta Democratica delle Nazioni Unite e il diritto internazionale»

Il presidente della Bolivia, Evo Morales, ha reso nota la risoluzione emessa dal Gruppo dei 77 più Cina (G77 + Cina) che rigetta le sanzioni imposte dagli Stati Uniti (USA) contro il popolo del Venezuela.

«Riaffermiamo al contempo, la risoluzione adottata in occasione del Vertice dei Capi di Stato del G77 che condanna l’imposizione di leggi e regolamenti con effetto extraterritoriale e altre misure economiche coercitive, incluse le sanzioni unilaterali nei confronti dei paesi in via di sviluppo», ha affermato Morales alla lettura del testo.

Il 9 di dicembre, il Senato degli Stati Uniti ha approvato l’imposizione di nuove sanzioni contro il Venezuela, firmate la scorsa settimana dal presidente Barack Obama.

Il capo di Stato boliviano ha spiegato che il testo del G77 più Cina esige che venga abrogata con urgenza la misura legislativa degli Stati Uniti contro il Venezuela, «perché mina la Carta Democratica delle Nazioni Unite e il diritto internazionale», come evidenziato dall’agenzia ABI.

Morales ha inoltre segnalato che questo nuovo attacco imperialista viola i principi di non intervento negli affari interni, l’uguaglianza dei diritti e l’autodeterminazione dei popoli.

«Il gruppo di G77 più Cina esprime solidarietà e sostegno al governo venezuelano colpito da queste violazioni del diritto internazionale che non contribuiscono in alcun modo al dialogo politico ed economico, oltre all’intesa trai due paesi».

Il presidente boliviano ha spiegato che la risoluzione del blocco esorta la comunità internazionale ad adottare misure urgenti ed efficaci per «eliminare l’uso di misure economiche coercitive unilaterali contro i paesi in via di sviluppo».

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Il Governo bolivariano respinge la risoluzione del Parlamento Europeo

Escudo_Oficial_2011da Correo del Orinoco

«Per il Governo Bolivariano è preoccupante che il Parlamento europeo così come l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, distolgano l’attenzione dalla grave crisi economica che colpisce i paesi membri dell’Unione Europea», recita il comunicato del Ministero degli Esteri

Il governo ha rigettato e catalogato come ingerenza la risoluzione adottata dal Parlamento Europeo giovedì scorso contro il Venezuela, per una presunta violazione dei diritti umani ai danni portavoce della destra che hanno promosso le azioni violente verificatesi al principio di quest’anno.

Attraverso un comunicato del Ministero degli Esteri sono state inoltre respinte le dichiarazioni rilasciate il 18 e 19 dicembre dall’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, dove l’italiana ha manifestato la propria solidarietà ai dirigenti dell’estrema destra venezuelana, il cui invito alla violenza ha provocato oltre 40 vittime in Venezuela tra febbraio e giugno di quest’anno.

La risoluzione, approvata con 476 voti, 109 contrari e 49 astensioni, esprime «profonda preoccupazione per la situazione in Venezuela e condanna la detenzione di manifestanti pacifici, studenti e leader dell’opposizione». Allo stesso tempo, il testo del Parlamento europeo sollecita «l’immediata liberazione dei detenuti arbitrariamente».

Il comunicato integrale del Ministero degli Esteri venezuelano:

La Repubblica Bolivariana del Venezuela, attraverso il Ministero del Potere Popolare per gli Affari Esteri esprime il suo più profondo rigetto nei riguardi della risoluzione adottata dal Parlamento Europeo, così come verso le insolenti dichiarazioni dell’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, Federica Mogherini, che minacciano la sovranità e le istituzioni democratiche del Governo Bolivariano.

Per il Governo Bolivariano è preoccupante che il Parlamento Europeo e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, devino l’attenzione dalla grave crisi economica che colpisce i paesi membri dell’Unione Europea a causa dei tagli in materia sociale, e la conseguente povertà strutturale a cui sono costretti i suoi Popoli, e concentrino i loro sforzi nello screditare le conquiste della Rivoluzione Bolivariana.

Le dichiarazioni dell’Alto Rappresentante e la risoluzione del Parlamento, in nessun modo rappresentano le opinioni dei popoli europei, che hanno storicamente mantenuto legami con il Venezuela.

Inoltre, il Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ritiene che tali dichiarazioni, oltre a essere profondamente irrispettose e interferire, siano apertamente in contraddizione con tutti gli organismi internazionali che hanno espressamente riconosciuto gli enormi progressi del Venezuela in differenti aree, la cui posizione di appoggio si materializza con l’ampio sostegno ricevuto nelle votazioni delle diverse istanze internazionali.

Il Governo del Venezuela, nel fedele rispetto della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela, emanata nel 1999, promuove la democrazia partecipativa sulla base dell’uguaglianza e della giustizia, così come l’autonomia di tutti i poteri, ribadendo al contempo la sua volontà a mantenere il dialogo tra tutti i settori del paese.

Infine, il governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, intende ribadire l’amicizia e il profondo affetto per i Popoli d’Europa, che la Patria di Bolívar ha sempre accolto fraternamente.

Caracas, 19 dicembre del 2014.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

(VIDEO) 15 anni di Costituzione Bolivariana

Yo me muero como viví: inicio del fin de una etapa tenebrosa para Cuba

por Sergio Rodríguez Gelfenstein

Muy temprano en la mañana los medios de comunicación comenzaron a estremecerse con la noticia, se pasaba del estupor y la incredulidad a la fanfarria y la confirmación de que lo que se escuchaba era cierto: Cuba y Estados Unidos habían acordado un mecanismo de negociación para el restablecimiento pleno de sus relaciones diplomáticas.

Las reacciones no se hicieron esperar, desde la euforia comprensible, a veces excesiva de algunos, hasta el rechazo cavernario de otros, sobre todo los de Miami. A primeras horas del día varios amigos inquirieron mi opinión e invariablemente dije que antes se debía escuchar a los cubanos y al Gobierno de Estados Unidos de manera directa.

Entonces, vino la voz pausada, la lectura precisa del presidente Raúl Castro, seguramente meditada por mucho tiempo y redactada en el colectivo de dirección del partido y del Estado. La conexión con su pueblo era evidente, los periodistas de todos los medios internacionales que hacían entrevistas en las calles de La Habana nos permitían escuchar invariablemente el orden de prioridades que le daban los ciudadanos de la isla a la noticia. Primero, la felicidad por el retorno de sus héroes injustamente detenidos durante 16 años en las cárceles del imperio. Segundo, la posibilidad cierta de la reunificación de la familia cubana y en tercer lugar, la esperanza de que el anuncio del restablecimiento de relaciones diplomáticas conduzca al fin del criminal bloqueo económico y comercial que ya dura más de medio siglo.


En palabras de Raúl: “Esto no quiere decir que lo principal se haya resuelto. El bloqueo económico, comercial y financiero que provoca enormes daños humanos y económicos a nuestro país debe cesar. Aunque las medidas del bloqueo han sido convertidas en Ley, el presidente de Estados Unidos puede modificar su aplicación en uso de sus facultades ejecutivas”. Perfecta sintonía con lo que el pueblo manifestaba en las calles. Tan larga espera ha enseñado a los cubanos el valor de la mesura, la discreción, la paciencia y la cautela. No se puede bajar la guardia ante un adversario tan poderoso.


Pero, ¿qué puede decir un observador externo ante tal trascendental hecho? Las evidencias indicaban que esta decisión se iba a concretar más temprano que tarde. Apenas hace 10 días, el 7 de diciembre pasado le escribí una carta a un amigo que vive en La Habana en la que en una de sus partes le decía: “…Todo indica que al bloqueo le queda poco, pero no sé cuánto demore en restablecerse un funcionamiento pleno…”. Sin embargo, ello no obsta para que una vez superada la emotividad inicial del momento, sin dejar de manifestar la felicidad compartida con millones de cubanos al ver a los tres héroes regresando a casa, resulta tarea complicada intentar un análisis, dada la magnitud y el impacto de la multinoticia.


En el marco de las relaciones internacionales, tal vez lo primero sería decir lo obvio: la medida clausura definitivamente la guerra fría en el hemisferio occidental, 25 años después de la caída del Muro de Berlín. No había soporte ni validez jurídica en los argumentos estadounidenses para mantener una situación creada en un momento de bipolaridad rígida del sistema internacional. Valdría sí, decir que los intentos de Estados Unidos por apoderarse de Cuba se remontan hasta 1801 cuando era presidente de ese país Thomas Jefferson.


En su discurso, el presidente Obama dijo algunas cosas interesantes. Empezó reconociendo que el bloqueo y la ausencia de relaciones diplomáticas eran un “enfoque obsoleto” que “fracasó” en el intento de promover los intereses de Estados Unidos. Aunque recordó a Playa Girón, dijo que su país ha apoyado la democracia y los derechos humanos en Cuba. Debe ser por eso, que tan pronto conocerse la noticia, renunció a su cargo Rajiv Shah, administrador de la Agencia Estadounidense para el Desarrollo Internacional (Usaid), organismo del Gobierno de Estados Unidos que tras la pantalla de la cooperación para la democracia, financia acciones de desestabilización e injerencia en el mundo, fracasando en Cuba una y otra vez.


El presidente estadounidense hizo una relación de medidas adoptadas por los gobiernos de su país durante más de medio siglo, reconociendo que ningún otro país ejecuta tal tipo de acciones y aceptando que todas ellas fracasaron, si se considera que la Revolución, bajo la conducción de Fidel y Raúl Castro, continúa en el poder. En paralelo, habría que decir que el fracaso de estas medidas no impide que el Gobierno de Estados Unidos las implemente hoy contra Irán y Rusia.


Obama reconoció el desarrollo de Cuba en materia de salud y valoró altamente la posibilidad de que estadounidenses y cubanos trabajen juntos en materias como salud, inmigración, antiterrorismo, tráfico de drogas y respuesta a catástrofes. Encomió el trabajo conjunto de ambos países en la lucha contra el ébola.


A continuación, planteó su nueva política para tratar de torpedear la Revolución Cubana a través de métodos “light” que no causen tanto rechazo en la comunidad internacional, “…podemos hacer más para apoyar al pueblo de Cuba y promover nuestros valores mediante la participación”, considerando que el “aislamiento no funcionó”.


Informó que revisará la presencia de Cuba en la lista de países que promueven el terrorismo, a todas luces una aseveración absurda y sin fundamento y enumeró las primeras medidas de liberalización económica de las relaciones, todo lo cual significan importantes, pero aún insuficientes pasos en el camino hacia el fin del bloqueo.


Con el cinismo y la soberbia típica de los presidentes estadounidenses dijo que no dudaba que seguían existiendo “…barreras continuas para la libertad de los cubanos comunes. Estados Unidos cree que ningún cubano debe enfrentar acosos, arrestos o golpizas simplemente porque ejerce un derecho universal de expresar su pensamiento, y continuaremos apoyando a la sociedad civil en ese asunto”, debe ser que no ha tenido tiempo de leer los noticieros de su país y tal vez no sepa lo que ha ocurrido en Ferguson, Cleveland o Nueva York. Como dice la jerga popular “debería arreglar la casa, antes de predicar en hogar ajeno”.


Pero bueno, a pesar de las alertas necesarias, en el marco de la comprensión de las limitaciones de un presidente estadounidense, es bueno aceptar la valentía de Obama, cavando la fosa para enterrar el cadáver de una política de agresión, violatoria del derecho internacional que no funcionó.


Muchos se preguntan: ¿Por qué el presidente de Estados Unidos toma tal decisión en este momento? Pienso que las respuestas están en el análisis de la situación geopolítica internacional, sin obviar algunos elementos de la política interna de Estados Unidos. Daremos algunas opiniones al respecto.


Las nuevas generaciones de cubano-americanos rechazan mayoritariamente el bloqueo, tal como el propio Presidente reconoció en su discurso, en ese sentido el tradicional lobby cubano de Miami se ha debilitado en términos de apoyo financiero y electoral a las campañas de los partidos políticos.

Obama ha estimado que hoy puede prescindir de quienes en el pasado jugaban un papel decisivo en las elecciones de Estados Unidos como se manifestó en el colosal fraude electoral que le dio el triunfo a George Bush frente a Al Gore. Por otro lado, empresarios de todo tipo, pero, de manera particular del sector agrícola del sur de Estados Unidos, han incrementado sus vínculos con Cuba.

Son estados que se caracterizan por su alta producción de alimentos y consideran a Cuba un mercado natural para una producción que está siendo desplazada sobre todo por Brasil, Argentina y otros países. Finalmente, el peso de 10 editoriales del New York Times, demostrando la obsolescencia del bloqueo, eran expresión de un poderoso sector que no representa solo a los magnates de los medios de comunicación, también a algunos de los más poderosos lobistas vinculados al sector empresarial y financiero que ningún presidente puede obviar.

En el plano internacional, la votación anual en el seno de la Asamblea General de la ONU mostraba a un Estados Unidos aislado, solo apoyado por Israel. Pero, se debe recalcar que ha sido trascendental en los últimos años el soporte unánime de una América Latina y Caribe unidos, que una y otra vez, de manera colectiva a través de los mecanismos multilaterales o de forma individual manifestaron al presidente de Estados Unidos la inconveniencia de seguir manteniendo el bloqueo.


En este contexto, influyó el incremento de la relación mutuamente ventajosa de América Latina y el Caribe con Rusia y China. Mientras los presidentes de esos países Vladímir Putin y Xi Jinping se paseaban por la región manteniendo y elevando los vínculos multilaterales y bilaterales, Obama debía dar cuenta en cada reunión del bloqueo a Cuba y las migraciones.

En el último mes, le apuntó a ambos temas, avanzando en la desactivación de dos conflictos que le permitirán desplegar una alfombra suave por donde podrá caminar más seguro a la Cumbre de las Américas de Panamá en el venidero abril de 2015.

Tal vez sea ésta la manera que Obama ha decidido para volver a una región que tradicionalmente ha sido su aliado seguro en el tablero global.

En los tiempos modernos, frente al desatado individualismo, el consumismo desenfrenado y las prácticas putrefactas de la democracia corrupta, una vez más, Cuba se yergue enhiesta enarbolando sus principios, valores, su dignidad y honor. Que nadie le arrebate esta victoria, que nadie se haga dueño de un combate que los cubanos han librado por décadas al precio de su sacrificio y de la sangre de algunos de su mejores hijos.


Tal vez hoy, los cubanos canten una vez más junto a Silvio: Dicen que me arrastrarán por sobre rocas cuando la Revolución se venga abajo, que machacarán mis manos y mi boca, que me arrancarán los ojos y el badajo, será que la necedad parió conmigo, la necedad de lo que hoy resulta necio: la necedad de asumir al enemigo, la necedad de vivir sin tener precio. Yo no sé lo que es el destino, caminando fui lo que fui, allá Dios, que será divino. Yo me muero como viví.

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