di Javier Biardeau R.
13.03.2015.- Ho la certezza che i nostri sempre più smarriti intellettuali neoliberali non lo crederanno; tuttavia lo dico lo stesso: Washington ha avuto e avrà l’interesse di patrocinare, stimolare e organizzare un colpo di Stato in qualsiasi paese dell’America latina e Caraibi, specialmente in Venezuela.
Quella che Washington persegue in America latina è la sua destabilizzazione e divisione, a prescindere degli ordinamenti costituzionali, e tanto meno quelli che derivano da processi costituenti come nel caso del Venezuela, l’Ecuador e la Bolivia.
Gli Stati Uniti (seguendo la dottrina Monroe) si stanno sforzando in modo insolito con lo scopo di schiacciare qualsiasi segno di riforma e ammonire qualsiasi intento rivoluzionario nel continente. Quello che Washington chiede è che i paesi latinoamericani si assoggettino ai suoi criteri di “civiltà e buon senso”, che non denuncino al principale consumatore di droga, che non accusino l’assassinio di afroamericani nelle strade, né rimproverino i centri di reclusione illegali in Europa, o il campo yankee di Guantánamo, oppure che non contestino come imprigionano, torturano e fanno sparire gli avversari politici in tutto il mondo; o peggio ancora che non impongano dittature che ignorano le elezioni in maniera così volgare e irriverente.
Ma i nostri intellettuali neoliberali hanno il loro l’opuscolo che, a quanto pare, hanno imparato alla perfezione durante gli anni di addottrinamento trascorsi nelle accademie. Manuali da perfetti idioti neoliberali che si sono inseriti nei luoghi più impensati, come i think tank. Si sono ripartiti nella rete delle borse di studio e delle università vincolate con il complesso militare-industriale, allora rifugio dell’estrema destra e della socialdemocrazia che stava cambiando i suoi complessi d’inferiorità con le borse di studio e la stima intellettuale.
Lì, molti dei nostri ex governanti si allenavano per la loro missione da statisti benpensanti, addestrandosi adeguatamente per i compiti che riguardavano l’ordine pubblico e contro i “nemici interni” che circoscrivevano le dottrine sulla sicurezza nazionale. Dove non si puniva l’arresto, la tortura la scomparsa. Dove s’inalberavano effigi ai padri fondatori della democrazia e alla Costituzione americana, mentre gli USA avanzavano verso il loro inesorabile percorso del “Destino manifesto”. Gloria Dio, in Dio, noi crediamo!
L’opuscolo degli ex governanti indicava che il castro-comunismo era e sarà il nemico e, per tanto, rappresentava una congiura minacciosa. Ma insisto: sono convinto che Washington la pensa ancora così, nonostante affermi che è finita la Guerra fredda.
Washington vuole imporre i suoi criteri di civiltà e di buone maniere democratiche; ma “i comunisti intontiti che oggi distruggono il Venezuela e il Continente” non finiscono di convincersi che l’unica alternativa sono gli anacronistici dogmi del neoliberalismo e in un modo o nell’altro dovranno impararlo.
Washington li vuole abbattere se non imparano l’alternativa e a coloro che l’hanno già fatto, promette protezione eterna. Anche nel momento in cui dubitassero di sé stessi, poiché i nostri governanti spesso sono i più accaniti nemici di loro stessi, soprattutto quando aspirano a credere nella “idea fallace” della “sovranità popolare”.
Per quanto concerne il caso venezuelano, la MUD ha dei dubbi se rendere esplicito il suo doppio gioco di fronte alle trame di colpo di Stato. Non riesco a spiegarmi perché il cosiddetto “regime” reclama alla MUD di assumersi il ruolo di opposizione “democratica” nel caso in cui perdesse il sostegno da parte di Washington, poiché la strategia dei due schieramenti (il bastone e la carota) è quella che insegna ai popoli sottosviluppati del continente a sottomettersi all’interno di certe regole fondamentali di “civismo” presente nei “manuali di democrazia consentita” del Dipartimento di Stato.
Cosicché Washington non se la sentirà di consegnare certificati di buona condotta ai membri della MUD se questi decidono di svincolarsi dalle agende golpiste o occulte. D’altro canto un’opposizione che ha assunto il ruolo di apparire morbida, deve accettare che la medaglia per il valore e il diploma di ammissione per i servizi elargiti a Washington se li portano via i più audaci sul fatto di destabilizzazione e di cospirazione. Non ci sono premi per i timorati.
L’opuscolo ordina l’abbattimento del regime mediante la protesta a oltranza come asse di una controrivoluzione che si rispetti. Un cambio attraverso l’impiego di meccanismi elettorali, pacifici e costituzionali solo esiste nelle menti ammansite di una opposizione democratica. Di conseguenza non esiste nessuna possibilità di fare appello al dialogo, di “ragionare”, di “essere sensati”, di “dialoghiamo in buona fede”, di “fare elezioni oneste”, di “consentire l’alternabilità democratica”; o meglio di “consentire di incassare i nostri trionfi”.
Washington esige ai capi politici dell’opposizione democratica di capire che gli appelli fatti in nome della sinderesi equivalgono a una resa nei confronti della congiura castro-comunista. Come avrebbe detto Shakespeare: è il dilemma tra essere o non essere.
Di modo che eccoci qui, nel bel mezzo delle maggiori turbolenze. Come recita il vecchio proverbio: “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”
Il governo nordamericano è riuscito a imporre il confronto tanto bramato mediante una minaccia inusuale e straordinaria e tutto indica che non sarà per niente divertente. Barack Obama si è trasformato in una sorta di “Hulk, l’uomo incredibile” nei confronti della situazione politica venezuelana. Ma i nostri intellettuali venezuelani di destra sono del parere che un tale ordine esecutivo non implica in nessun caso alcuna minaccia alla sovranità nazionale; nemmeno che le recenti sanzioni siano il preludio di un embargo economico o di un attacco militare contro il Venezuela. Tutte queste esagerazioni formano parte dell’opuscolo “castro comunista”.
Qualche volta si fatica a capire i nostri intellettuali di destra; criticano le denunce di “ingerenza” nei nostri affari interni da parte di altri soggetti. Ma non esiste al mondo un regime politico, come quello americano, che si cacci nei problemi degli altri, al punto che il suo presidente considera la sovranità esclusivamente in termini globali; vale a dire, che vada al di là da ogni nozione di frontiera. Difatti, si tratta di un’ambizione senza frontiere.
La refrattarietà all’autocritica da parte dei nostri paladini intellettuali di destra continua a essere sorprendente. Sono realmente incapaci di vedere la trave nel proprio occhio, nonostante i loro scatti d’ira quando osservano la pagliuzza negli occhi altrui. Soprattutto se avvertono un che di sentimentalismo di sinistra. Stranezze delle proiezioni freudiane.
Impegnato a recitare il ruolo obsoleto delle modernizzazioni neoliberali, di apprendisti stregoni che giocano al fine della storia, il governo nordamericano pretende piegare le braccia, incanalare e promuovere a costo di affondare i paesi disobbedienti a uno stato di degrado e di prostrazione veramente drammatica.
Gli Stati Uniti hanno una lunga esperienza per intimorire chi pretende cavalcare la tigre del sogno rivoluzionario. E sa come abbatterlo. Da Arbenz ad Allende, passando per Zelaya e altri colpi istituzionali, come quello che si cercò di consumare in Venezuela nel 2002. I tentativi non cessano. Non importano i danni che possano provocare e ancora meno se sono collaterali. Accrescere l’entusiasmo degli intellettuali di destra e spingerli a una condotta servile e buffa forma parte della sterilizzazione del pensiero critico. E da questa sterilizzazione del pensiero sono sorti gli idioti neoliberali latinoamericani.
Immagino che le cancellerie dei paesi europei alleati al neoliberismo serreranno le file intorno a Obama, offrendo solidarietà in cambio di denaro e chiuderanno un occhio di fronte allo smantellamento di qualsiasi indizio che faccia capo alla giustizia sociale, alla libertà reale per la maggioranza della popolazione e la democrazia partecipativa nel continente e, in modo speciale, in Venezuela. Bisogna istruire Maduro, fargli vedere che è impossibile continuare con qualsiasi seduzione per mantenere l’eredità di Chávez. In questa maniera, trascorrerà intere giornate senza poter dormire, insieme ai suoi circoli politici e militari, riesaminando le cose. La strategia è di farli arrendere. Tutto indica che Washington ha deciso di tratteggiare i suoi classici limiti all’interno della sua lunga traiettoria d’intolleranza di fronte a qualsiasi sfida verso la sua egemonia in tutto il mondo.
In effetti, sembra che stia per iniziare un nuovo gioco.
[Trad. dal castigliano per ALBAInformazione di Vincenzo Paglione]