L’Iran riconosce il prestigio della Rivoluzione cubana

da lantidiplomatico 

Il consigliere del Presidente degli affari culturali dell’Iran Hesamoddin Ashena ha riconosciuto il prestigio della Rivoluzione cubana e dei suoi capi storici, e ha chiesto più stretti legami bilaterali.

Ashena ha ricevuto l’ambasciatore di Cuba a Teheran, Vladimir Gonzalez, che era accompagnato dal secondo segretario della missione diplomatica, Norberto Escalona.

In una nota dell’ambasciata cubana è scritto che Quesada ha ringraziato per l’interesse dimostrato da parte del governo iraniano nel convocarlo ed ha spiegato in dettaglio il processo avviato tra Cuba e gli Stati Uniti al fine di normalizzare i rapporti bilaterali.

Tale questione ha attirato l’attenzione della nazione persiana, mentre le rivoluzioni di Cuba e Iran hanno operato per decenni in uno scenario avverso, per la politica aggressiva orchestrata da Washington, ha spiegato la fonte diplomatica.

A questo proposito, anche il direttore del Centro per gli Studi Strategici del Presidente della Repubblica islamica ha invitato l’ambasciatore per una conferenza di specialisti e studiosi di questa istituzione.

La discussione di Quesada si concentrerà sull’espansione e sul ripristino delle relazioni diplomatiche tra l’Avana e Washington, e le questioni affrontate nel corso degli ultimi 17 mesi di dialogo tra i due governi.

L’ambasciatore ha anche sottolineato l’importanza di rafforzare i legami tra la sua nazione e il paese persiano con tutti i mezzi possibili, per favorire gli scambi culturali e accademici.

Infine, ha anche ricordato i 37 anni della restaurazione dei rapporti diplomatici tra i due paesi, che si celebreranno l’8 agosto.

Iran e Nord Corea sostengono la Siria contro il terrorismo

da lantidiplomatico 

L’Iran ha condannato fermamente, oggi, gli attacchi terroristici che hanno scosso la città di Jableh e Tartus, uccidendo decine di persone innocenti, e ha espresso la sua profondo dolore per il governo e il popolo siriano, in particolare le famiglie dei martiri e feriti.
 
Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha dichiarato che il terrorismo e l’estremismo rappresentano una grave minaccia per tutti i popoli della regione e per la pace e la sicurezza internazionale, che richiede alla comunità internazionale di assolvere ai suoi compiti e responsabilità sia legale che morale, in una campagna globale contro questo fenomeno disumano.
 
Pyongyang ribadisce la solidarietà con il popolo siriano contro il terrorismo
 
Il Ministero degli Esteri della Corea del Nord ha dichiarato che gli attacchi terroristici che hanno avuto luogo nelle città di Jableh e Tartus sono un prodotto delle trame sporche dei terroristi e delle forze che li supportano, ribadendo la solidarietà di Pyongyang con la giusta lotta del popolo e del governo siriano contro il terrorismo.

Un portavoce del ministero degli esteri della Corea del Nord ha ribadito il sostegno e la solidarietà con la giusta lotta del popolo e del governo della Repubblica araba siriana per contrastare le attività ostili.
 
Egli ha aggiunto che “questi atti terroristici sono stati il risultato di trame sporche dei terroristi e delle forze che sono dietro di loro per ostacolare il processo di risoluzione della crisi in Siria.”
 
Infine, la Corea del Nord ha ribadito la sua ferma posizione che rifiuta ogni forma di terrorismo.

 

Suleimani: il generale fantasma su tutti i fronti

da lantidiplomatico

Gatto con il topo: la manovra in cui eccelle il famoso generale iraniano, Qassem Suleimani, comandante della rinomata unità al-Quds, corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica in Iran che ha dato un nuovo corso all’offensiva dell’esercito siriano.

Nonostante sia consapevole di essere ricercato dagli USA che vogliono sfruttare un buon momento per ucciderlo, ciò non gli impedisce di avventurarsi in tutte le direzioni, in particolare in Siria e in Iraq, e anche in Russia, per portare avanti la sua missione. Secondo i media, è stato visto sul fronte della provincia di Aleppo in Siria, dove l’esercito siriano ed i suoi alleati si trovano ora a 16 km dal confine con la Turchia.

«Gli statunitensi hanno un piano per uccidere generale, talmente che gli mette spavento”, ha dichiarato il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate iraniane, il Generale Hassan Feirouzabafi durante un briefing con i giornalisti a Teheran.

La specialità del generale Suleimani è nell’organizzare le sue forze e lo svolgimento dei suoi compiti, ma ha assicurato Feirouzabadi che sono state prese tutte le precauzioni necessarie per garantire la sua sicurezza.

Le voci sulla sua morte

Circolano molte voci circa i movimenti del generale iraniano e sulla sua salute. Molte volte i media hanno riferito della sua morte o che sia rimasto ferito.

È stato così, lo scorso novembre, quando i media vicini all’opposizione iraniana avevano detto che era stato ferito in combattimento nella provincia di Aleppo. Informazione confermata da alcuni giornalisti, ma negata dalla leadership dei Pasdaran.

Il 22 gennaio scorso, ha fatto la sua comparsa in occasione della commemorazione annuale del generale iraniano Mohammad Ali Dadi, caduto martire e con 5 combattenti di Hezbollah (compreso Jihad, il figlio del comandante martire Resistenza islamica Imad Moughniyyeh), in un raid israeliano nel sud della Siria, lo scorso anno. Ha poi assicurato che migliaia di persone stanno combattendo in Siria, che sono estranei al Corano e al Popolo della Famiglia del Profeta (Ahl al-Beit).

Ma l’informazione più forte sembra essere quella dei funzionari degli Stati Uniti, i quali, hanno riferito che il generale Suleimani ha visitato la Russia la scorsa estate per incontrare i funzionari russi. Nonostante le sanzioni e il divieto di viaggio imposto sulla sua persona da parte delle Nazioni Unite.

Si è scoperto, in seguito, che c’è qualcosa di suo nella decisione russa di intervenire militarmente in Siria nel mese di settembre.

Il Quinto occhio dell’Iran

«Gli iraniani credono di avere quattro occhi dalla rivoluzione del 1979: la loro dottrina, la loro volontà, la scienza e la ragione», ha affermato il giornalista iraniano e consigliere dell’ex presidente iraniano Mohammad Khatami, Mohammad Sadiq Husseini che conosce Suleimani.

«Ma hanno un quinto, il comandante dell’unità al-Quds generale Qassem Suleimani. È lì che questo occhio ha pedinato gli statunitensi durante la loro invasione dell’Iraq e l’esercito israeliano durante la guerra del 2006 in Libano, senza dimenticare Daesh e Co. sui fronti iracheni e siriani», ha aggiunto.

Quello che porta la vittoria con lui

La sua reputazione di leader forte che sfida la sconfitta e respira lo spirito di resistenza lo precede ovunque vada.

Husseini riferisce che il presidente siriano Bashar al-Assad gli aveva detto di persona, quando lo ha incontrato a Damasco, nel settembre del 2013, che «la presenza del generale Suleimani con noi in più di una battaglia è stato uno dei fattori principali per i cambiamenti che si sono verificati».

Il generale iraniano, è stato tra l’altro presente nella battaglia di Baba Amro, il primo baluardo dei terroristi liberato nella città di Homs. In Sahl al-Ghab ad Hama e in particolare nella provincia di Aleppo.

Ma è soprattutto in Iraq, dove si fa vedere. Inoltre, il generale Suleimani nei media ha la fama di agire in fretta, ben prima degli statunitensi durante l’invasione di Mosul e del Governatorato di Al Anbar da parte dell’Isis nel 2014. Ha poi avuto l’idea geniale di formare le forze di mobilitazione popolare, al-Hached al-Chaabi, volontari iracheni, mentre l’esercito iracheno non è stato in grado di affrontare la sfida.

Una fonte della forza Hached Chaabi ha rivelato ad al-Manar che «i nemici sono andati in confusione quando hanno saputo che Suleimani era sul campo di battaglia».

Quello che l’Iraq è come la Siria

 Il corrispondente di al-Manar, Hassan Hamza ha incontrato il generale iraniano nella provincia di Diyala. Ha raccontato che è stato colpito dalla sua modestia e che è rimasto sorpreso quando gli aveva chiesto notizie di Aleppo, dove era stato prima di andare in Iraq.

«Non vi è alcuna differenza tra i fronti siriani e iracheni, entrambi fanno parte di un unico progetto», ha riferito Suleimani ad Hamza.

Ha anche spiegato che tutti i combattenti Hached incontrati erano convinti che quando si combatte in presenza del generale Suleimani erano sicuri e certi di trionfare.

Colui che bacia la mano di feriti

Oltre alla sua esperienza militare, è molto apprezzato da tutti coloro che lo circondano, a causa del suo temperamento calmo e tranquillo. Sa ascoltare bene gli altri, anche quando lo interrompono per esprimere le loro opinioni, secondo il corrispondente di al-Manar. Ama i Mujahideen e cerca di stare loro vicino, dormire con loro, di apprendere sempre da loro.

Un funzionario HACHED assicura di aver visto più volte baciare le mani dei combattenti feriti.

“Sul campo di battaglia, è sempre in prima linea e non lascia mai le postazioni, anche quando la battaglia è nel pieno svolgimento. Non indossa mai il giubbotto antiproiettile, non circola mai alla guida di un veicolo blindato. Nelle battaglie di Tikrit, viaggiava in moto e guardava di persona il nemico prima di lanciare l’assalto. Egli è coraggioso e non ha paura della morte. Quando una bomba gli esplode vicino, non si tira indietro, come se nulla fosse accaduto».

Nel mirino degli statunitensi e degli israeliani

Gli statunitensi lo tengono d’occhio. Secondo un funzionario iracheno che ha chiesto l’anonimato, gli statunitensi gli mandarono un messaggio attraverso un mediatore per riferirgli che lo osservavano a Dayala, ed erano disposti a dargli una mano. Il generale rispose che aveva abbastanza materiale per raggiungere i suoi obiettivi.

«È sempre molto vicino agli statunitensi , li segue come un fantasma”, ha affermato Sadek Mohammad Husseini.

Inoltre, ha aggiunto che gli israeliani anche lo sorvegliavano nella guerra dei 33 giorni in Libano del 2006 e sembra che erano ben consapevoli della sua presenza sul campo di battaglia  in quel momento e che lo avrebbero visto nell’operazione effettuata a Tiro.

Per lui tutte le battaglie portano ad Al-Quds

Husseini racconta di averlo incontrato nel 2009 presso la Facoltà dell’ Imam Ali a Teheran affiliata alla sua unità. Esattamente, si ricorda di aver a parlato con lui di Al-Quds e della causa palestinese. Per lui, «ogni combattimento deve portare a Gerusalemme»,.

Ogni volta che c’è  una voce sulla sua morte, il generale Suleimani risponde con un grande sorriso, si aspetta di morire da martire in qualsiasi momento.

Ma in sua assenza, i leader delle Guardie Rivoluzionarie rispondono per lui: «No, non è caduto da martire. E continua la sua lotta fino alla liberazione di Al-Quds».

Risvolti geopolitici di un conflitto internazionale

Risvolti geopolitici di un conflitto internazionale: dentro la questione siriana

di Federico La Mattina – articolo tratto dal blog dell’Istituto Mediterraneo Studi Internazionali

Il conflitto siriano va contestualizzato all’interno della ‘guerra fredda’ per l’egemonia nel Golfo Persico (di fondamentale importanza geopolitica e geoenergetica) che vede opposte due potenze regionali con i loro alleati: Arabia Saudita e Iran. Tale conflitto pochi mesi dopo lo scoppio della rivolta ha subito un processo di internazionalizzazione: vi sono coinvolte le principali potenze regionali e mondiali e in Siria si sono riversati migliaia di miliziani jihadisti provenienti da decine di paesi diversi (attualmente l’autoproclamato califfato controlla una parte consistente del paese). L’incipit di un editoriale di “Limes” del 2013 fa proprio riferimento al fatto che in Siria «si combatte la prima guerra mondiale locale»[i] con il rischio che si possa trasformare in una «guerra mondiale mediorientale». Per tale ragione è impossibile analizzare il conflitto siriano e i risvolti geopolitici dell’ultimo periodo senza contestualizzarli all’interno delle complesse dinamiche mediorientali.

L’Arabia Saudita, interessata ad estendere la propria influenza politica e religiosa nella regione, punta a frantumare l’asse che unisce Iran, Siria, Hezbollah nel sud del Libano e il governo sciita irakeno; per tale ragione, congiuntamente con le altre monarchie del Golfo, ha sostenuto attivamente gruppi jihadisti per rovesciare il regime di Assad. La Turchia, vaneggiando ambizioni neo-ottomane, ha favorito indiscriminatamente l’ingresso di combattenti stranieri attraverso il confine turco-siriano. Le potenze occidentali – USA e Francia in testa –  hanno supportato i loro alleati regionali (è infatti noto, come ha puntualizzato lo stesso Kissinger, il legame spesso sottinteso che unisce Washington, Arabia Saudita e Israele[ii]), favorendo la destabilizzazione e la disintegrazione della Siria.

L’Arabia Saudita ha unito la storica alleanza con gli USA (basata sullo scambio petrolio/sicurezza) alla volontà di imporsi come leader del mondo islamico facendosi ‘garante’ manu miltari dello status quo nella regione, impegnandosi a frenare possibili contagi della cosiddetta “primavera araba” nella Penisola Arabica[iii]. In Bahrein (paese a maggioranza sciita) nel 2011 ha silenziato la nascitura ‘primavera’ mandando propri carri armati, timorosa di rivolgimenti politici ai propri confini; ha sostenuto nel 2013 il golpe in Egitto e ha recentemente assunto il ruolo guida della coalizione sunnita contro i ribelli Houthi (vicini all’Iran) in Yemen. Mentre in Siria e in Yemen ha agito in accordo con il Qatar (senza nascondere una certa rivalità[iv]), in Egitto e Libia le strade delle due petromonarchie si sono separate.

La formazione del cosiddetto califfato dell’IS è quindi diretta conseguenza del caos prodotto dalla guerra in Iraq (che ha incrementato lo scontro tra sunniti e sciiti) e del supporto più o meno diretto alla variegata galassia internazionale dei “ribelli”, finalizzato al rovesciamento del governo siriano (che ha visto unite in modalità differenti petromonarchie e potenze occidentali). Adesso l’IS, sfuggito di mano ai propri sponsor del Golfo, va sempre più configurandosi come un attore regionale potenzialmente destabilizzante a cui diversi gruppi si affiliano.

Gli Stati Uniti hanno preferito de facto una situazione di stallo senza vincitori né vinti nel conflitto che vede l’epicentro nel “Syraq”, piuttosto che favorire una vittoria schiacciante di una delle parti (più di due) in lotta. Una vittoria di Assad sarebbe innanzitutto una vittoria di Iran ed Hezbollah, acerrimi nemici dei principali alleati americani in Medio Oriente: sauditi e israeliani, già imbronciati per l’accordo sul nucleare iraniano. I molto blandi bombardamenti della coalizione a guida statunitense hanno infatti avuto al massimo il risultato di contenere l’IS, nulla di più.

Un filo rosso lega la crisi mediorientale a quella ucraina: il ritorno della Russia nello scenario internazionale avvenuto con la fermezza diplomatica mostrata da Putin nel conflitto siriano. Gli equilibri globali stanno mutando notevolmente: la straordinaria crescita della potenza cinese, la rinascita di una Russia rialzatasi dall’umiliazione subita negli anni di Eltsin (la storica francese Hélène Carrère d’Encausse ha parlato a tale proposito di «ritorno della potenza»[v]) e in generale l’ascesa dei Brics stanno configurando un assetto globale multipolare in cui l’egemonia statunitense è in fase declinante. In Medio Oriente la Russia si sta caratterizzando sempre più come un attore esterno di primo piano, capace di intessere relazioni diplomatiche costruttive con diversi Stati della regione e di incunearsi con un pragmatico realismo dove gli Stati Uniti perdono egemonia. L’Iran ha mostrato pieno supporto ai raid “anti-Isis” della Russia e il governo  irakeno, evidentemente deluso dall’inconcludente coalizione a guida americana, si è mostrato anch’esso favorevole all’azione russa. Lo stesso Egitto di al-Sisi si sta destreggiando tra l’alleanza con l’Arabia Saudita e il riavvicinamento con Mosca; il ministro degli esteri egiziano ha infatti espresso il proprio supporto all’operazione militare del Cremlino. D’altra parte l’Egitto di al-Sisi vede nella fratellanza musulmana il principale nemico interno e questa politica si rispecchia anche negli scenari libico (dove ha forti interessi egemonici) e siriano.

L’attivismo diplomatico e il recente intervento militare della Russia nella questione siriana non si spiegano soltanto con la volontà di mantenere i residui dell’influenza sovietica nell’area mediterranea e mediorientale ma anche (soprattutto) con motivazioni strettamente legate all’unità della Federazione. La Russia teme un Medio Oriente caotico in cui organizzazioni jihadiste impazzano in territori ormai privi di statualità alle porte del Caucaso (in Siria affluiscono molti miliziani ceceni e il jihadismo di ritorno è un grave pericolo anche per la Russia).

Il Medio Oriente è un’area in deflagrazione in cui mire geopolitiche si uniscono a contrapposizioni politiche, settarie, tribali e territoriali. Le questioni geopolitiche e geoenergetiche prevalgono sul pur influente discorso settario (si pensi all’importanza strategica degli stretti di Hormuz e di Bab el-Mandeb). «Il conflitto attualmente in corso è tanto religioso quanto geopolitico» scrive Kissinger che ovviamente auspica un nuovo ordine regionale a guida americana[vi].

Quale sarà il ruolo degli Stati Uniti in Medio Oriente nel futuro? Gli USA hanno adottato un atteggiamento altalenante e contraddittorio nel corso delle cosiddette “primavere arabe” messo bene in luce da Roberto Iannuzzi in “Geopolitica del collasso”. Iannuzzi puntualizza correttamente come il Medio Oriente continuerà ad essere la fonte petrolifera principale del pianeta, affermando che l’atteggiamento contradditorio di Washington è «il risultato di un declino dell’influenza americana e della sua minore capacità di plasmare gli eventi» e che tale declino è una conseguenza sia «della crisi economica in cui versa l’America, sia dell’esito disastroso delle guerre dell’era Bush in Iraq e Afghanistan»[vii].

Dopo la conclusione della parentesi eltsiniana e di ciò che essa rappresentava sia in politica interna che in politica estera, una Russia nuovamente attiva nello scenario mediorientale ha colmato i vuoti lasciati dalla superpotenza statunitense. Dai recenti eventi siriani emerge una conferma del riavvicinamento tra Russia ed Egitto, un rinsaldamento dell’intesa (non priva di competizione per l’influenza nella regione) russo-iraniana e un allontanamento con la Turchia, che certamente non vede di buon occhio l’agenda mediorientale di Mosca. Al solido asse Mosca-Damasco-Teheran si aggiungono quindi inaspettate nuove buone relazioni con Egitto e Iraq. E’ bene sottolineare che Russia e Iran non hanno mai escluso una transizione politica (che escluda i gruppi terroristici) in Siria con il consenso di Assad. Il punto fondamentale, come fa notare Alberto Negri, è il mantenimento delle strutture militari e di intelligence[viii], necessarie a garantire stabilità al paese che altrimenti rischierebbe di scivolare in una riedizione dello scenario libico. Anche la Cina (in modo maggiormente defilato) sostiene la Russia, con cui ha rafforzato una partnership non troppo stabile ma certamente inedita e in via di consolidamento. Immutate restano le velleitarie ma ugualmente distruttive ambizioni neocoloniali dei franco-britannici, evidentemente non sazi del disastro libico ad essi largamente imputabile.

Il mutamento degli equilibri in Medio Oriente e le implicazioni che ne derivano a livello globale rappresentano i primi ‘smottamenti’ post-unipolari di un mondo in via di cambiamento.

Benvenuti nel ventunesimo secolo.

Note

[i] Vedi La perla di Lawrence, in «Limes, rivista italiana di geopolitica», 2/2013.

[ii] H. Kissinger, Ordine Mondiale, Milano, Mondadori, 2015, p. 134.

[iii] Per una sintetica storia del regno saudita si veda F. Petroni, Alla radice delle ossessioni arabo-saudite, in «Limes, rivista italiana di geopolitica», 9/2014.

[iv] Cfr. R. Soubrouillard, Il Qatar rientra nei ranghi, in «Limes, rivista italiana di geopolitica», 9/2013.

[v] H. Carrère d’Encausse, La Russia tra due mondi, Roma, Salerno editrice, 2011, p. 10.

[vi] H. Kissinger, Ordine Mondiale , op. cit. p. 145.

[vii] R. Iannuzzi, Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale, Roma, Castelvecchi, 2014, p. 264.

[viii] A. Negri, L’Iran potrebbe liquidare Assad, ma non gli alauiti, «Istituto per gli studi di politica internazionale», 06/10/2015.

Khamenei: «Sostenere sempre la Siria e i popoli oppressi nell’area»

da al manar

L’accordo sul nucleare con i 5+1 non cambierà la politica iraniana contro “l’arroganza del governo americano”, né finirà la politica di sostegno dell’Iran ai popoli oppressi nella regione, ha dichiarato oggi, la Guida Suprema della Rivoluzione Islamica, l’Ayatollah Sayed Ali Khamenei.

Durante l’omelia della festa di al-Fitr, che segna la fine del mese di digiuno musulmano del Ramadan, Sayed Khamenei ha assicurato che «la Repubblica islamica dell’Iran non rinuncerà a sostenere i popoli oppressi della Palestina, Yemen, Bahrein, Siria e Iraq, e la sincera resistenza dei mujahideen in Libano e in Palestina. (…) La nostra politica non cambierà contro il governo arrogante degli Stati Uniti».

Il leader iraniano ha messo a tacere alcune voci che suggerivano un raffreddamento dei rapporti tra l’Iran e gli Stati Uniti. «La nostra politica nei confronti degli Stati Uniti non cambierà» ha insistito l’Ayatollah Khamenei, i cui commenti sono stati accolti dagli slogan “Morte all’America” ​​e “Morte a Israele”.

«Abbiamo detto molte volte, non abbiamo un dialogo con gli Stati Uniti sulle questioni internazionali, regionali o bilaterali. A volte, come nel caso nucleare, abbiamo negoziato con gli Stati Uniti sulla base dei nostri interessi», ha precisato in seguito.

Sayyed Khamenei ha anche sottolineato che «le politiche americane nella regione sono contrarie al 180% a quelle della Repubblica islamica dell’Iran. Gli Stati Uniti sostengono l’entità sionista che uccide i bambini».

Il leader iraniano, che è anche il capo delle forze armate, ha evidenziato la determinazione del suo Paese nel preservare le sue capacità militari.

«Per quanto riguarda il mantenimento delle capacità militari e difensive, soprattutto nell’ambito delle minacce create dal nemico, la Repubblica islamica non accetterà mai richieste eccessive dei nemici», ha aggiunto.

Ha continuato: «Non vogliamo nessuna guerra, ma nel caso in cui avvenisse, gli aggressori americani saranno sconfitti», riferendosi alle minacce di guerra contro l’Iran.

Per quanto riguarda le accuse occidentali, secondo le quali, questo accordo ha impedito all’Iran di acquisire armi nucleari, la guida ha spiegato che «ad impedire all’Iran di acquisire la bomba atomica non sono state minacce, ma i precetti religiosi che vietano tali acquisizioni».

Khamenei ha aggiunto che «Gli USA sostengono che l’Iran abbia fatto concessioni, questo è un sogno che l’amministrazione statunitense non potrà mai vedere».

Il leader iraniano ha, in questo contesto, accolto con favore il lavoro svolto dai negoziatori che hanno “lavorato sodo”. «Se l’accordo sarà approvato o meno dal Parlamento, secondo la procedura legale prevista, meritano un premio», ha affermato.

«L’Iran non si è fermato di fronte al 5+1, costringendoli a riconoscere il diritto dell’Iran nel settore nucleare», ha ribadito Sayed Khamenei.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Iran e G5+1 hanno ratificato il testo finale dell’accordo sul nucleare

da hispantv

Fonti diplomatiche iraniane, vicine alla delegazione negoziale, hanno confermato la messa a punto del testo dell’accordo finale sul nucleare.

Segue il testo.

– Le sanzioni economiche e finanziarie imposte dalla Unione Europea (UE) e gli Stati Uniti saranno abolite con l’avvio dell’attuazione dell’accordo.

– L’Iran sarà riconosciuta nei mercati globali come produttore di uranio arricchito e di acqua pesante.

– I divieti e le limitazioni imposte in materia di cooperazione economica all’Iran saranno sollevati in tutti i settori, come gli investimenti nelle industrie petrolifere, gasifere, petrolchimicche, etc.

– Nel settore nucleare, si sta preparando il campo ad un’ampia collaborazione internazionale con l’Iran, in particolare nei settori dell’industria nucleare e della costruzione di nuove centrali nucleari e reattori di ricerca.

– Secondo il testo dell’accordo finale, le potenze mondiali riconoscono il programma di energia nucleare della Repubblica islamica dell’Iran, la sua natura pacifica e il rispetto del diritto al nucleare della nazione iraniana, nel rispetto delle convenzioni internazionali.

– Il programma nucleare iraniano, presentato ingiustamente, alterando la realtà, come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, ora diventa oggetto di cooperazione internazionale con gli altri paesi, nel quadro delle norme internazionali.

– Il divieto di acquisto di beni a duplice uso è stato sollevato, la Commissione congiunta contro l’Iran e il gruppo 5+1 permetterà di soddisfare i bisogni del Paese persiano.

– Per la prima volta dopo tre decenni, si annullano le sanzioni ingiuste imposte per l’acquisto di aeromobili civili e per il rinnovamento dell’aviazione iraniana, aumentando così la sicurezza dei voli.

– Con il rilascio della nuova risoluzione, all’interno dell’articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite, e con attenzione all’articolo 41 della suddetta, ci sarà un cambiamento fondamentale per il trattamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo alle clausole relative e alla cancellazione delle sanzioni irrogate in passato all’Iran.

– Le restrizioni imposte alle attività missilistiche iraniane sono ridotte a quelle attività che riguardano le armi nucleari. Attività che la Repubblica islamica dell’Iran non ha mai avviato

-L’embargo sugli studenti iraniani e le loro carriere legate ai settori nucleari sarà completamente abolito.

– L’Iran accetta le proposte per la costruzione di centrali nucleari e sulla ricerca per i reattori.

– L’Iran è stato riconosciuto come una potenza nucleare con il diritto all’arricchimento dell’uranio e l’accesso al ciclo del combustibile nucleare.

– Tutte le sanzioni economiche e finanziarie contro il paese persiano saranno abolite dopo la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC).

– Tutte le strutture nucleari iraniane continueranno la loro attività e l’Iran continuerà la sua attività di arricchimento dell’uranio.

– L’impianto di acqua pesante ad Arak rimane intatto, sarà modernizzato e dotato di nuove funzionalità, laboratori e strutture, con la collaborazione di esperti nelle tecnologie più avanzate e sicure di cui si dispone al momento. La richiesta iniziale sul suo smantellamento o conversione in impianto ad acqua leggera è stata respinta.

[Trad dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Il Venezuela stabilisce una nuova alleanza economica con l’Iran

da Rt

Venezuela e Iran hanno deciso di approfondire la loro cooperazione economica con la firma di una serie di accordi per finanziare investimenti congiunti e rafforzare il commercio. Lo ha dichiarato il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, dopo la visita di una delegazione iraniana.

Secondo Maduro, si tratta di «sei accordi di grande importanza per l’economia dei nostri paesi». «Oggi abbiamo relazioni con l’Iran basate sulla fiducia reciproca, sul lavoro e sui risultati concreti,  e mutuo vantaggio», ha dichiarato il presidente venezuelano.

In particolare, il Venezuela ha raggiunto un accordo con l’Iran su una linea di credito di 500 milioni di dollari per finanziare lo sviluppo di progetti comuni e promuovere l’offerta dei «beni necessari per il popolo venezuelano», compresi i medicinali e il materiale chirurgico.

Maduro ha aggiunto che questi fondi andranno a «sviluppare il commercio e gli investimenti congiunti. Stabiliremo una nuova rete del settore della new economy, in collaborazione con i venezuelani che vogliono produrre».

Da parte sua, Mohammad Reza Nematzadeh, ministro iraniano dell’Industria, delle Miniere e del commercio, che ha guidato la delegazione della Repubblica islamica durante la visita, ha affermato che l’accordo sarà inviato al Ministero delle Finanze dell’Iran per la revisione.

Inoltre, i media locali riferiscono che gli accordi includono la promozione della cooperazione tra i due paesi, non solo in campo economico e finanziario, ma anche nella tecnologia e della scienza. Le due nazioni hanno inoltre deciso di finanziare un programma di ricerca comune nel campo delle nanotecnologie.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

(VIDEO) L’Iran condanna le trame imperialiste contro il Venezuela

da hispantv

Una delegazione del Parlamento iraniano è giunta, ieri, in Venezuela, ricevuta al Palazzo federale legislativo, dove ha condannato l’ostilità dell’Occidente contro il popolo venezuelano.

«Condanniamo tutte le cospirazioni dell’impero, del colonialismo e dell’arroganza globale contro la Rivoluzione venezuelana», ha dichiarato Abdolreza Mesri, deputato iraniano che presiede anche il il gruppo parlamentare di amicizia Iran-Venezuela.

Nelle sue dichiarazioni rilasciate nel quadro di una riunione del gruppo, Mesri ha aggiunto che il Venezuela e l’Iran sono entrambi paesi indipendenti e sovrani e, pertanto, sono gli obiettivi della politica ostile degli Stati Uniti.

«Siamo lieti che i nostri governi e i nostri popoli sono uno accanto all’altro per unire gli sforzi per neutralizzare le cospirazioni contro le nostre rivoluzioni», ha sottolineato.

Il politico iraniano ha concluso che se il governo, l’Assemblea Nazionale (AN) e la nazione venezuelana mantengono la loro unità possono respingere qualsiasi trama del nemico.

D’altra parte, Diogene Andrade, un deputato dell’Assemblea Nazionale, ha sottolineato le buone relazioni nei settori politici e sociali, tra Teheran e Caracas, con 365 accordi di cooperazione che le due parti hanno firmato, nonché, diversi nuovi che si punta a realizzare nel prossimo futuro.

«Viva la Repubblica Islamica dell’Iran, il popolo iraniano. Viva tutti coloro che oggi più che mai serrano le fila intorno al nostro paese e alla nostra rivoluzione bolivariana», ha detto Andrade.

Il Gruppo di amicizia parlamentare Iran-Venezuela, proveniente da Teheran è giunto a Caracas per rafforzare le relazioni bilaterali.

I legami politici ed economici tra l’Iran e il Venezuela sono stati ulteriormente sviluppati, nel momento in cui, il presidente Hugo Chávez ha guidato la rivoluzione bolivariana nel 1998.

Da parte sua, il presidente Maduro si è recato in Iran lo scorso gennaio, dove ha espresso la disponibilità del suo governo a rafforzare i legami bilaterali.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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Venezuela e Iran per lo sviluppo industriale diversificato

da mre.gov.ve

Il Vice Ministro dell’Industria, Miniere e del Commercio iraniano, Valiollah Afkhami-Rad, e l’ambasciatore del Venezuela accreditato nel paese islamico, Amenothep Zambrano, si sono incontrati per valutare gli accordi tra i due paesi e le nuove iniziative proposte dal presidente Nicolas Maduro durante la sua ultima visita a Teheran nel gennaio 2015.

Nel corso di una sessione di lavoro presso la sede del Ministero dell’Industria, Miniere e Commercio della Repubblica islamica dell’Iran, a Teheran, Afkhami-Rad e Zambrano hanno valutato i diversi settori industriali in Iran. È stata sollevata la necessità di scambiare delegazioni di affari con capacità di  produzione e di esportazione in linea con i bisogni e le esigenze del mercato venezuelano.

Il diplomatico venezuelano ha sottolineato l’importanza dell’economia e dell’industria di base dell’Iran ed ha invitato a investire in Venezuela per stabilire reti di distribuzione e di marketing in diversi settori.

Zambrano ha spiegato che il mercato venezuelano è concentrato e diviso in alcuni settori industriali, non consentendo chiare regole della domanda e dell’offerta tra produttori e consumatori; questo fattore porta a carenze artificiali e alla speculazione.

Il Vice Ministro dell’Industria iraniano ha offerto tutto il sostegno e la volontà del governo iraniano per il governo venezuelano e evidenziando la capacità delle industrie iraniane di fornire il mercato venezuelano, con alta qualità e basso costo.

Ha aggiunto che i prodotti iraniani competono nel mondo e hanno posizionato marchi di alta qualità.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Israele ha incontrato l’opposizione armata in Siria per contrastare l’Iran

da hispantv

I rappresentanti del regime israeliano e l’opposizione armata in Siria si sono spesso incontrate, l’anno scorso, per discutere i modi per contrastare l’Iran e Hezbollah.

L’agenzia di stampa israeliana Walla ha riferito che tra il 2012 e 2014 le due parti si sono incontrate in diverse occasioni in un paese occidentale, ma la fonte non ha fornito ulteriori dettagli sul luogo.

Durante i colloqui, il regime di Tel Aviv è stato rappresentato da un alto funzionario. Durante gli incontri si è discusso, principalmente, dei nemici comuni delle due parti:  l’Iran e il Movimento della Resistenza Islamica in Libano (Hezbollah), ha aggiunto il sito israeliano.

Un altro funzionario israeliano ha informato in seguito che i colloqui non hanno raggiunto i risultati desiderati perché i gruppi armati in lotta contro il governo del presidente siriano Bashar al-Assad “non hanno potere reale sul terreno”.

Al fine di indebolire la resistenza nella regione e dividere i paesi che combattono il regime di Tel Aviv, a partire dall’inizio della crisi siriana, hanno fornito tutti i tipi di sostegno ai gruppi terroristici, in particolare il Fronte Al-Nusra, ramo di Al-Qaeda in Siria, che opera contro il governo di Damasco.

Il regime israeliano ha fornito servizi di logistica per Al-Nusra in violazione alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n 2170 relativa alla separazione delle forze alla lotta contro il terrorismo.

Nel mese di settembre 2014, il canale di notizie Vice News, ha trasmesso un video in cui si vede come i soldati israeliani danno assistenza medica ai terroristi feriti in Siria.

Il quotidiano israeliano Haaretz, nel mese di gennaio, ha confermato le notizie su un ampio sostegno del regime israeliano ai gruppi terroristici legati ad Al Qaeda sulle alture del Golan siriano occupato.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Assad: «L’Asse della Resistenza vincerà»

da hispantv

Il presidente siriano Bashar al-Assad ha dichiarato, oggi, che nella regione è stato formato un asse di resistenza che nessuno può indebolire, e che Damasco continuerà la sua lotta fino alla vittoria.

«Finora, gli appoggi dell’Arabia Saudita, Turchia e altri paesi hanno non hanno minato la resistenza», ha sottolineato il presidente siriano nel corso di un incontro con Ali Akbar Velayati, consigliere per gli affari internazionali del Leader della Rivoluzione Islamica dell’Iran, a Damasco.

Al-Asad, dopo aver ringraziato il popolo e il governo iraniano per il loro sostegno alla Siria nella sua lotta contro il terrorismo, ha fatto riferimento ai successi ottenuti sul terrorismo, su alcuni poteri nella regione, sull’estremismo,  ponendoli come una vittoria condivisa tra la Repubblica islamica e la Siria.

Il Presidente siriano ha espresso la sua gioia per la visita di un alto funzionario iraniano, sottolineando che il viaggio di Velayati contiene una ” un alto valore politico”.

«Dato il suo posto nella storia politica della Repubblica islamica dell’Iran e del suo ruolo di consigliere del Leader dell’Iran (Ayatollah Seyed Ali Khamenei), il suo viaggio in Siria potrebbe avere risultati di valore», ha aggiunto Al- Assad rivolgendosi alle autorità iraniane.

Durante l’incontro, le parti hanno anche discusso di questioni di interesse reciproco, lotta contro il terrorismo e l’estremismo, allo stesso tempo hanno affrontato varie questioni internazionali e regionali.

Velayati è arrivato a Beirut lunedì su invito dei leader del “Summit internazionale degli Ulema per la Palestina”, al fine di partecipare, tra gli altri eventi, alla cerimonia di chiusura di questo importante evento.

Dopo la partecipazione alla manifestazione e gli incontri con le varie autorità libanesi, si è recato in Siria per incontrare alti funzionari del Paese arabo.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

La campagna sionista contro l’Argentina

da al manar

Un articolo di Eli Clifton recentemente apparso sul sito web del politologo statunitense Jim Lobe (lobelog.com) fornisce dati interessanti circa la campagna sionista contro l’Argentina, architettata principalmente dai circoli della lobby sionista negli Stati Uniti.

Ai primi di maggio Jim e Charles Davis hanno pubblicato un articolo sul Washington Post su una campagna contro l’Argentina e il suo presidente Cristina Fernandez de Kirchner, accusando quest’ultima di promuovere una “teoria della cospirazione anti-semita”, e ha suggerito che sia cl’AIPAC ( la più grande organizzazione della lobby sionista negli Stati Uniti) che la Fondazione per la Difesa delle Democrazie (FDD) « a coordinare i loro sforzi per presentare il governo argentino di Fernandez come un alleato del terrorismo promosso dall’Iran».

In questo contesto, ci sarebbero gli sforzi anche del sionista Paul Singer, il capo miliardario di un fondo avvoltoio che sta cercando di costringere l’Argentina a pagare l’intero debito che porta la sua firma. Questa sarebbe sia una punizione politica contro l’Argentina per non sottomettersi alle esigenze dei gruppi sionisti e di Israele che tentata di approfittare della situazione economica per saccheggiare la ricchezza dell’Argentina.

Singer è anche un membro, insieme con il miliardario sionista Sheldon Adelson, della Coalizione ebraica repubblicana. Entrambi restano politicamente attivi nel sostenere vari candidati repubblicani. Entrambi erano presenti al Metropolitan Club di Manhattan in un incontro, avvenuto questo mese con il candidato Jeb Bush, che ha appena annunciato che suo fratello, l’ex presidente George W, è stato il suo consigliere per la politica su Israele.

Paul Singer ha contribuito con 3,6 milioni dollari alla “American Israel Education Foundation”, entità di cui si serve l’AIPAC per raccogliere fondi.

AIPAC e la FDD hanno appoggiato il controverso procuratore speciale Alberto Nisman, noto per aver lanciato accuse gratuite contro l’Iran e il governo argentino. Nisman cercò, senza provarlo, di  accusare l’Iran per l’attentato al palazzo del Argentina Israelita Mutual Association (AMIA), nel 1994 e, in Argentina,  ha accusato il presidente di cercare di coprire la questione in cambio di favori commerciali per il paese sudamericano, una richiesta che è stata respinta in seguito da un tribunale argentino. Uno degli aspetti più criticati del lavoro di Nisman era quello di accettare la testimonianza dei membri del gruppo terroristico di opposizione iraniano Mujahedin e Khalq, il quale è comparato ad una setta secondo gli esperti ed è riconosciuta come un’organizzazione terroristica internazionale.

Nisman alla conferenza AIPAC

Nel 2010, Nisman ha partecipato alla conferenza AIPAC, qualcosa di insolito se si considera che la partecipazione ad un evento pro-Israele e anti-iraniana, lascia intendere una netta polarizzazione e una credibilità pari a zero nelle loro azioni. «ÉE ‘stato trattato al congresso come un “eroe”», ha affermato Clipton.

Ai primi di maggio il senatore Sionista degli Stati Uniti, Marco Rubio, originario della Florida, famoso per la sua feroce opposizione l’accordo nucleare con l’Iran ed ha persino minacciato di un attacco nucleare l’Iran, ha presentato una risoluzione al Senato in cui ha chiesto «un’indagine sulla morte di Nisman» che è stato trovato morto nella sua casa. Rubio ha anche accusato Fernandez di aver cospirato per «coprire il coinvolgimento dell’Iran nell’attacco terroristico del 1994».

Va notato, secondo Clipton, che il promotore degli hedge fund, Elliot Management, sono stati i secondi fondi più grandi di finanziamento per la campagna di Rubio tra il 2009 e il 2014, fornendo circa 122.620 dollari per il candidato repubblicano secondo il Center for Responsive Politics.

Singer ha anche contribuito con fondi per il Progetto Israele (TIP), che ora è guidato dall’ex capo di dell’AIPAC Josh Block. Singer ha donato 500.000 dollari per il gruppo nel 2007 e 1 milione di dollari nel 2012. Il TIP ha, tra l’altro, continuamente pubblicato articoli critici nei confronti del governo argentino.

La rivista Tower, sul TIP, a ha pubblicato 28 articoli citando Nisman e il caso dell’AMIA, facendo una ricerca sul suo sito web. Ben Cohen, redattore-collaboratore, ha scritto due articoli contro Fernandez.

La furia di questo sionista è diretta anche contro il giornalista ebreo argentino Jorge Elbaum, accusato di essere “un tribunale ebraico”, di fatto cita una dichiarazione di Nisman, nella quale ha assicurato gli altri leader della comunità ebraica Argentina, che «Paul Singer ci aiuterà a invertire l’approccio dell’Argentina sull’Iran», una dichiarazione degna di un leader politico e non di un pubblico ministero che indaga un caso.

Le ragioni di Singer

Come detto, le ragioni per le azioni di Singer contro l’Argentina e il suo governo non sono solo ideologiche, ma rispondono anche ad a un chiaro interesse economico per realizzare un profitto a spese del popolo argentino. Ha portato l’Argentina in tribunale per ottenere il pagamento integrale del debito che ha contratto a sua firma, in contrasto con il 93% di tutti gli altri creditori che hanno accettato un accordo con il governo argentino sul rimborso dello stesso. Il fondo avvoltoio Singer ha acquistato bond argentini molto economici in difetto e ora pretende dall’Argentina il pagamento integrale del valore delle attività, che consentirebbero di guadagnare 2 miliardi di dollari. E usa il TIP per fare pressione sul governo argentino per difendere i suoi interessi.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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