L’unico Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela si chiama Nicolás Maduro Moros
(Partito Comunista del Venezuela)
di Atilio A. Boron
L’imperatore ha emesso il suo úkase (editto) e benedetto come presidente Juan Guaidó, un signor nessuno della politica venezuelana, sconosciuto alla stragrande maggioranza della popolazione, ma costruito, “pret a porter” dai media e dagli esperti di marketing statunitensi, nelle ultime due settimane. Dopo l’uscita di Trump, i governi che lavorano per trasformare i loro paesi in repubbliche neo-coloniali – Argentina, Brasile, Colombia, Paraguay, Honduras e persino l’ormai svilito Canada – si sono palesati in blocco per vedere chi fosse il primo a leccare gli stivali del magnate di New York.
Tutta questa assurdità giuridica, che sarebbe motivo di grasse risate se non fosse per il fatto che potrebbe finire in tragedia, ha la benedizione di Luis Almagro (a) “quanto mi danno per eliminare Maduro?” e, fino ad ora, il fragoroso silenzio del Segretario Generale delle Nazioni Unite, il portoghese António Gutierres che, da buon socialdemocratico, soffre del caratteristico tic dei suoi correligionari, che lo fanno girare dall’altra parte ogni volta che c’è qualche patate bollente in qualsiasi angolo del pianeta. Per questo, attraverso il suo portavoce, ha chiesto “negoziati politici inclusivi e credibili”, dimenticando, forse, che quei negoziati sono stati condotti con successo da José L. Rodríguez Zapatero nei dialoghi che si sono svolti a Santo Domingo e che al momento di apporre la loro firma ai laboriosi accordi raggiunti dai rappresentanti della “opposizione democratica” venezuelana hanno abbandonato il tavolo e hanno lasciato lo spagnolo da solo con la stilografica in mano. Probabilmente avevano ricevuto una chiamata da Álvaro Uribe, abituale galoppino della Casa Bianca, in cui trasmetteva l’ordine di Trump di interrompere il processo.
Il tentato colpo di stato, esaltato dal sicariato mediatico, incontrerà molte difficoltà. Non è la prima volta nella storia moderna del Venezuela che la Casa Bianca riconosce un presidente, tipo Pedro Carmona, che l’11 aprile 2002, durò appena 47 ore al governo per poi finire in prigione. Sarà diverso questa volta? Difficile da prevedere. Guaidó potrebbe rifugiarsi in un’ambasciata amica a Caracas e da lì rilasciare dichiarazioni che, tirando la corda, forzerebbero un confronto con gli Stati Uniti. Ad esempio, di fronte all’ordine del presidente Maduro a ché il personale dell’ambasciata americana lasci il paese entro le prossime 72 ore, il giullare dell’impero può dire loro di rimanere in Venezuela. Un’altra alternativa è che Gaudió si installi in qualche città al confine con la Colombia e da lì, con la benedizione di Trump, e dei fetidi rimasugli dell’OEA e le neo-colonie latinoamericane proclami una nuova repubblica, protetta dai “paramilitari” colombiani e dal narco-governo di Duque, Uribe e compagnia, per chiedere il riconoscimento internazionale del suo governo davanti all’OSA e all’ONU.
Ognuno di questi due scenari conferma per l’ennesima volta che se c’è qualcosa che né gli imperialisti né la destra venezuelana vogliono, è il dialogo e il rispetto delle regole del gioco democratico. Chiaro è che entrambe le soluzioni puntano allo scontro, o applicando il modello libico o quello ucraino, diverso, ma simile per le migliaia di morti e le centinaia di migliaia di rifugiati prodotti in entrambi i paesi. Ma al di là delle fake news, le cose non saranno così facili per gli assalitori del potere presidenziale. La base di chavista è molto solida, e lo stesso si può dire delle forze armate bolivariane. Una “soluzione” militare richiederebbe un impopolare invio di truppe statunitensi in Venezuela, in un momento in cui alla Camera dei Rappresentanti sta prendendo forza il proposito di sottoporre Trump alla procedura d’impeachment. E se i 26.000 uomini inviati a Panama nel dicembre 1989 per catturare Noriega e controllare quella città dovettero combattere duramente per due settimane, contro un popolo indifeso e forze armate non equipaggiate, per raggiungere il loro obiettivo, l’opzione militare comporterebbe, nel caso del Venezuela, un enorme rischio di ripetere l’insuccesso di Playa Girón o, su larga scala, la guerra del Vietnam, oltre a destabilizzare la situazione militare in Colombia di fronte a un’impennata dell’attività della guerriglia. La bellicosità di Washington contro il Venezuela è una risposta alla sconfitta militare che gli Stati Uniti hanno subito in Siria dopo sei anni di enormi sforzi per rovesciare Basher al-Assad.
D’altra parte non è un fatto secondario che paesi come la Russia, la Cina, la Turchia, l’Iran, il Messico, Cuba e la Bolivia hanno rifiutato di offrire il loro riconoscimento diplomatico al golpista. Questo conta sullo scacchiere della politica mondiale. Pertanto, non è da escludere che a Guaidó possa toccare lo stesso destino di Carmona.
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessio Decoro]