Invitación al 68 aniversario de Al-Nakba

por Liga Latinoamericana por el retorno a Palestina

Convocamos para el  sábado 14 de Mayo a la conmemoración del 68 aniversario del AL-NAKBA: La expulsión del pueblo Árabe Palestino de su tierra en 1948 para imponer desde Europa un régimen colonial llamado Israel.

Fue un 15 de Mayo de 1948 cuando comienza la catástrofe Palestina. Fue en esta fecha, hace 58 años que se declaró el nacimiento del Estado de Israel sobre un suelo ocupado por su población autóctona, los árabes palestinos.

La  sociedad palestina fue destruida por intereses imperialistas y colonialistas de manos del sionismo mundial. Masacres como las de Deir Yassin, la  dinamitación  del  Hotel  King  David  en Jerusalén,  la  masacre de los poblados de Led y Ramleh, son algunos ejemplos de las actividades de  terrorismo sionista sobre la población palestina para poder concretar la creación del Estado de Israel.

Comunidades palestinas completas fueron arrasadas. Más de 800 mil palestinos fueron obligados a salir de sus ancestrales tierras para dar cabida a inmigrantes judíos, venidos de todo el mundo, principalmente de Europa, quienes, escapando de las persecuciones nazis, vieron en Palestina una solución a sus problemas. Palestina fue, hasta 1948, una región netamente árabe. No obstante, cohabitaban  pacíficamente con comunidades minoritarias, como la comunidad judía, entre otras más. Para la creación de un “Estado Judío” era inevitable la expulsión de la mayoría árabe, es decir, forzar, mediante el uso de la  violencia, el exilio colectivo de la población  nativa:  los palestinos. Así es como explica  los  sucesos el historiador  israelí, Benny Morris, quién señala que “durante la mayor parte de  1948,  las ideas sobre cómo consolidar y eternizar el exilio palestino comenzaron a cristalizar, y se  percibió de inmediato que la destrucción de aldeas era un medio primario para lograr ese objetivo”

La Intifada palestina (alzamiento popular) es quien reivindica hoy los derechos de esos  hombres  y  mujeres que fueron expulsados y obligados al destierro en 1948.

Programa de actividades

10 am. Cine. La puerta del sol

12.30. am.  Degustación gratuita de frutos árabes. Almendras, dátiles, aceitunas, crema de yogurt, falafel, pan árabe, bebida de yogurt etc.

01.30. Presentación fotográfica. AL-NAKBA, en la memoria,  la libertad de Palestina

02.30 Conferencia, de la politóloga, investigadora y activista, Susana Khalil

03: 30 Danza Árabe Palestina. Dabke.

Convocan

Asociación de Socorro al Pueblo Palestino, Canaán

La Casa de las Primeras Letras Simón Rodríguez

Foro Itinerante de Participación Popular

Cotrain. Comunidad de Trabajo e Investigación

Liga Latinoamericana por el Retorno a Palestina

Movimiento Venezolano de Solidaridad con Palestina

The Global Campaign to Return to Palestine

Imprenta Municipal

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Lugar

Casa de las Primeras Letras, Simón Rodríguez, boulevard Panteón esquinas Veroes y Santa Capilla, Av. Urdaneta, Centro de Caracas.

http://www.canaan.org.ve/node/40

1er Congreso Mundial por el Derecho al Retorno a Palestina

por Liga latinoamericana por Retorno a Palestina

La campaña Global por el derecho al Retorno del Pueblo palestino, El Comité parlamentario de apoyo a Palestina del Congreso Nacional de Chile junto a la Liga latinoamericana por Retorno a Palestina y El Comité Chileno de Solidaridad con Palestina, han organizado el Primer Congreso Mundial De parlamentarios Por el Derecho al Retorno a Palestina y la Paz en Medio Oriente, el cual se llevará a efecto en el Congreso Nacional de Chile los días 16 y 17 de junio de 2016, en la ciudad de Valparaíso.

La Campaña global por el derecho al retorno del pueblo palestino (THE RETURN), tiene como principal propósito fortalecer los lazos de fraternidad para incrementar y hacer más eficiente el aporte de los países, personas, movimientos y organizaciones a la solidaridad activa por la causa palestina.

En esta línea, y en concordancia con los objetivos, este Primer Congreso reviste una enorme importancia, pues abrirá paso a la adhesión y apoyo de los parlamentos de los diferentes países hacia los derechos nacionales del pueblo palestino y permitirá hacer frente al mal intencionado lobbie sionista que solapadamente actúa para encubrir los crímenes contra el pueblo palestino.

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Khamenei: «Sostenere sempre la Siria e i popoli oppressi nell’area»

da al manar

L’accordo sul nucleare con i 5+1 non cambierà la politica iraniana contro “l’arroganza del governo americano”, né finirà la politica di sostegno dell’Iran ai popoli oppressi nella regione, ha dichiarato oggi, la Guida Suprema della Rivoluzione Islamica, l’Ayatollah Sayed Ali Khamenei.

Durante l’omelia della festa di al-Fitr, che segna la fine del mese di digiuno musulmano del Ramadan, Sayed Khamenei ha assicurato che «la Repubblica islamica dell’Iran non rinuncerà a sostenere i popoli oppressi della Palestina, Yemen, Bahrein, Siria e Iraq, e la sincera resistenza dei mujahideen in Libano e in Palestina. (…) La nostra politica non cambierà contro il governo arrogante degli Stati Uniti».

Il leader iraniano ha messo a tacere alcune voci che suggerivano un raffreddamento dei rapporti tra l’Iran e gli Stati Uniti. «La nostra politica nei confronti degli Stati Uniti non cambierà» ha insistito l’Ayatollah Khamenei, i cui commenti sono stati accolti dagli slogan “Morte all’America” ​​e “Morte a Israele”.

«Abbiamo detto molte volte, non abbiamo un dialogo con gli Stati Uniti sulle questioni internazionali, regionali o bilaterali. A volte, come nel caso nucleare, abbiamo negoziato con gli Stati Uniti sulla base dei nostri interessi», ha precisato in seguito.

Sayyed Khamenei ha anche sottolineato che «le politiche americane nella regione sono contrarie al 180% a quelle della Repubblica islamica dell’Iran. Gli Stati Uniti sostengono l’entità sionista che uccide i bambini».

Il leader iraniano, che è anche il capo delle forze armate, ha evidenziato la determinazione del suo Paese nel preservare le sue capacità militari.

«Per quanto riguarda il mantenimento delle capacità militari e difensive, soprattutto nell’ambito delle minacce create dal nemico, la Repubblica islamica non accetterà mai richieste eccessive dei nemici», ha aggiunto.

Ha continuato: «Non vogliamo nessuna guerra, ma nel caso in cui avvenisse, gli aggressori americani saranno sconfitti», riferendosi alle minacce di guerra contro l’Iran.

Per quanto riguarda le accuse occidentali, secondo le quali, questo accordo ha impedito all’Iran di acquisire armi nucleari, la guida ha spiegato che «ad impedire all’Iran di acquisire la bomba atomica non sono state minacce, ma i precetti religiosi che vietano tali acquisizioni».

Khamenei ha aggiunto che «Gli USA sostengono che l’Iran abbia fatto concessioni, questo è un sogno che l’amministrazione statunitense non potrà mai vedere».

Il leader iraniano ha, in questo contesto, accolto con favore il lavoro svolto dai negoziatori che hanno “lavorato sodo”. «Se l’accordo sarà approvato o meno dal Parlamento, secondo la procedura legale prevista, meritano un premio», ha affermato.

«L’Iran non si è fermato di fronte al 5+1, costringendoli a riconoscere il diritto dell’Iran nel settore nucleare», ha ribadito Sayed Khamenei.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

(FOTO) Gaza, palestinesi solidali con il Venezuela

da telesur.net

Con una manifestazione, a Gaza, nella Piazza dei Martiri, i palestinesi hanno espresso il loro rifiuto alle azioni unilaterali degli Stati Uniti contro la sovranità della nazione sudamericana. Un gruppo di palestinesi, a Gaza, questa mattina, ha tenuto una manifestazione in solidarietà con il Venezuela, per il nuovo assalto degli Stati Uniti che considerano la nazione sudamericana come una minaccia per il loro paese. L’iniziativa è stata organizzata dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e si è svolta nella piazza dei Martiri di Gaza.

Sventolando le bandiere del Venezuela e mostrando striscioni con le scritte: “Stati Uniti fuori dal Venezuela” e “Venezuela, la Palestina è con te”, gli abitanti di Gaza hanno voluto ribadire la loro solidarietà con il governo e il popolo del Venezuela di fronte a  questa nuova aggressione del governo degli Stati Uniti.

I partecipanti alla manifestazione hanno anche esposto poster del leader rivoluzionario Hugo Chávez e del presidente Nicolás Maduro come simbolo di sostegno per la Rivoluzione Bolivariana.

Ieri, un gruppo di persone appartenenti ai movimenti sociali e alle associazioni di difesa dei diritti umani, in Palestina, hanno organizzato un sit-in davanti all’ambasciata del Venezuela per esprimere sostegno al governo venezuelano contro le continue minacce da parte degli Stati Uniti.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]
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FPLP esprime solidarietà al Venezuela contro le sanzioni USA

da Almayadeen

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ha espresso, attraverso un comunicato ufficiale, la sua piena solidarietà al Venezuela, contro le sanzioni degli Stati Uniti che cercano di rovesciare il sistema politico e di governo che combatte le politiche dell’imperialismo e del capitalismo USA e cercano di far tornare il Paese caraibico il suo cortile, come prima che Chavez avviasse la Rivoluzione bolivariana.

A tal proposito, Kayed Al-Ghoul, membro dell’Ufficio Politico del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ha chiamato tutti i popoli liberi e progressisti nel mondo, in particolare di quelli dell’America Latina, a condannare le decisioni degli Stati Uniti e a fornire il supporto e la solidarietà con il Venezuela nella sua confronto di resistenza contro queste misure statunitensi che cercano di indebolirlo per il suo ruolo da protagonista nella regione e impedire un ulteriore sostegno ai movimenti ribelli e progressisti nel mondo.

Al-Ghoul ha aggiunto che il Fronte Popolare confida che il Venezuela continuerà, così come nel periodo di Chávez, ad essere una spina nel fianco dell’amministrazione statunitense e del capitalismo mondiale, e resterà il paese che sostiene la lotta del nostro popolo, e di tutti i popoli che cercano la liberazione e la salvezza dell’egemonia imperiale dell’amministrazione statunitense, che continua ad applicare le sue politiche di saccheggio, sfruttamento, sottosviluppo, occupazione, guerra e sottomissione di tutti i popoli il mondo per promuovere i suoi interessi.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

(VIDEO+FOTO) Maduro recibió a jóvenes palestinos que estudiarán Medicina

por Alba Ciudad 96.3

El presidente Nicolás Maduro, dio la bienvenida este jueves a 119 jóvenes palestinos que arribaron a Venezuela para cursar estudios universitarios en la Escuela Latinoamericana de Medicina Dr. Salvador Allende (ELAM), ubicada en Mariche, estado Miranda. “Ese ha sido nuestro gesto de solidaridad, formar al pueblo palestino para la vida, para la paz después de la masacre que han vivido durante tanto tiempo”, manifestó el mandatario nacional durante la entrega de viviendas a familias venezolanas en el estado Miranda.

Maduro calificó este día como “histórico” y explicó al tiempo que las y los jóvenes palestinos forman parte de un contingente de mil estudiantes que serán formados en el país en el programa de Medicina Integral Comunitaria. “Es una meta dura, no podemos fallar”, expresó. “Para nuestro corazón de bolivariano, de hijos de Chávez que está lleno de solidaridad con Palestina, hoy es un día histórico al recibirlos en nuestra Patria. Palestina no se ha dejado eliminar, se ha negado a morir, ha resistido, Palestina va a vivir, va a vencer, estamos seguros de eso”, manifestó el jefe de Estado.

Dijo estar seguro que el pueblo venezolano recibe a los jóvenes palestinos con amor e instruyó al ministro del Poder Popular para Educación Universitaria, Ciencia y Tecnología, Manuel Fernández, para que se amplíe el número de carreras a fin de formar jóvenes en otras áreas del conocimiento. Maduro indicó que el plan de formación de médicos “es un paso de solidaridad y de apoyo” que dan los países integrantes de la Alianza Bolivariana para los Pueblos de América (ALBA) para impulsar el desarrollo de los jóvenes.

Rechazó que el gobierno de Israel haya interferido para que se retrasara el viaje de los jóvenes palestinos a Venezuela y agradeció al canciller palestino, Riad Malki, “por todas la gestiones que hizo para solucionar la saboteo de Israel”. Dijo que “más temprano que tarde la causa palestina va a triunfar, no tengo ninguna duda que la causa de Palestina va triunfar como han triunfado las causas de otros pueblos”.

Al recordar un aniversario más de la caída del muro de Berlín se preguntó: ¿Quién condena el muro de Israel contra Palestina que son muros más asesinos, son muros gigantescos, y las alcabalas que colocan por todas partes para humillar al pueblo palestino y no pueda ir a visitar algún familiar, quién condena eso?, se preguntó Maduro.

“Más temprano que tarde vamos a ir a celebrar la caída del muro de Israel”, manifestó.

Por su parte la embajadora del Estado de Palestina en Venezuela, Linda Sobeh Ali, agradeció al presidente Nicolás Maduro por el gesto de solidaridad y todo el esfuerzo hecho para traer a los jóvenes palestinos al paìs para estudiar medicina. Denunció que el gobierno de Israel retuvo por tres días a los jóvenes palestinos quienes estuvieron “pasando hambre y frio y sin comida”.

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Textos: Correo del Orinoco

¿Para qué Palestina?

por Luis Alberto Crespo

Era junio, hace unos años. Yo andaba a la búsqueda de Mahmoud Darwich, el poeta palestino (tan solitario en su esquivez) para oír la voz de su patria mártir en uno de nuestros festivales mundiales de poesía. Cuando logré dar con él casi no se le oía al teléfono. Un murmullo al otro lado del misterio cibernético casi quiso decir que aceptaba la invitación, pero su corazón lo detuvo en una clínica de Nueva York. El gran poeta Adonis (¿cuántas veces candidato al Nobel?) se hallaba entre nosotros en una de esas fiestas y me lo había advertido: “es muy remiso pero insiste”. La  muerte no quiso.

Pienso en Darwich ahora, como ocurre siempre que la poesía hace alianza con el dolor humano y sobremanera  si se trata de quien ha escrito, durante su exilio de palabra y patria, un decir como el de Palestina como metáfora, La última tarde en esta tierra, Una memoria para el olvido, La tierra no es estrecha ¿Por qué dejaste al caballo en su soledad? Sí; evoco en este instante a ese admirable ser callado y oculto de quien leí, no sé ya cuándo, el poema de amor de un combatiente, acaso de Ramallah, donde se habla arameo, como lo hiciera Cristo, “idioma de cristal, aceite y vino” escribió nuestro poeta Manuel Felipe Rugeles, al que, por supuesto, hemos olvidado:

 Te daré todo/La sombra y la luz,/el anillo de boda y lo que más desees,/ un jardín de olivares y de higos/y por la noche vendré a visitarte, como de costumbre./ Entraré como un sueño por la ventana… Y te lanzaré una flor de sambac./ No te molestes: si llego tarde es por que ellos me han arrestado./ El bosque de olivos siempre estuvo verde./ Hubo allí, amor mío, cincuenta víctimas./ Al atardecer, el bosque se cambió en un pantano rojo./ Amor mío, no te molestes… Me mataron… mataron… me…

¿Cuántas han muerto en estos días, como té, héroe, poeta, en el pequeño paño de arena y olivares que es Gaza, la oquedad de tu patria, una vez más empurpurada? Muchos niños ya no podrán llegar a ser como él. Alguien, no sé, te inquirió en cierta ocasión sobre tu Palestina. En lugar de responder, fuiste socrático preguntándole al inquisidor detrás de tus ojos abrumados por la miopía y la lágrima trabada: “¿Que significa el hecho de que yo diga que mi poesía proviene de una patria donde los niños han sido cambiados en fantasmas?”. Si el asediante hubiera proseguido, habría oído decirte qué era Palestina en su pecho: Mi patria es una cuerda de tender ropa/ para pañuelos ensangrentados a cada instante. 

¿Cómo callarme en este instante en que Gaza entierra a más de mil palestinos (¡hay entre ellos niños, poeta, niños que jugaban con un balón en la playa!) abatidos por las balas de Israel y la indiferencia del mundo; cómo silenciar, digo, aquel poema tuyo que fue a abrazar a los asesinos de tu pueblo para ganar su compasión? Léelo, de nuevo, allá, quién sabe, donde te encuentres: ¿Qué harías si yo me escapara, hermano, mi hermano? ¿Qué he hecho yo para que tú me asesines? Mira, dos rapaces vuelan sobre nosotros. ¡Dirige tu fuego hacia lo alto! ¡ Derrama tu infierno lejos de mí! Y ven a la pequeña casa de mi madre; ella te preparará un plato de lentejas. Pero ¿qué dices? ¿Qué me dices? ¿Te hastiaste de mi abrazo y de mi olor? ¿Te fatiga el miedo que en mí ocultas? Entonces, lanza tu arma al río… ¿Qué hice yo para que tú me mates? No dejaré de abrazarte. No te soltaré. 

Después de tu muerte, el renombrado músico y director de orquesta judío-argentino, Daniel Barenboim, acaso evocándote, renovó su pasión palestina en su libro La música es un todo (editado en 2002). Junto a otro espíritu afín al tuyo, el añorado intelectual Edward Said, como tú palestino, como tú con su corazón detenido, el maestro logró cierto día reunir a un grupo de jóvenes músicos de Gaza y de Tel Aviv por voluntad de la ONU y de la Unesco. Yo pude conmoverme cuando esos jóvenes se dijeron adiós y se amaron con miedo. Sé que luego, algún congresante israelí le reclamó su marcado interés por Gaza y Palestina y objetó el reconocimiento que su Estado le había otorgado en anterior ocasión. En el libro de marras, que he transitado con emoción por su fervor humanista, escribe: “los israelíes no sólo deben poner fin a la ocupación de Gaza y desmantelar las colonias, sino también asumir las responsabilidades de todo lo que ha pasado y todo lo que ha de pasar en el curso de estos años”. Unas páginas más tarde agrega: “Los israelíes deben aceptar que la parte oriental de Jerusalén sea la capital de Palestina”, y con marcado énfasis subraya “la insoportable condición a que han sido sometidos sus habitantes”.  

Daniel Berenboim forma parte de ese millar de isrealíes que ha poco gritaban de horror en Tel Aviv ante la matanza de palestinos en ese “pañuelo mojado en sangre” que es Gaza. 

¿Para qué Palestina? parece preguntarse el alma de lobo de quienes fueron convertidos en pudrición de tifus y ceniza en los campos de concentración de la Europa que hoy tímidamente “critica” esta nueva carnicería perpetrada por los herederos de la Shoa. A ellos, Mahmoud Darwich le responde en palestino legítimo, entre el dolor y la miel: “¿Cuando será el día en que la paz abra las puertas de su fortín de palomas?” y esplenda “En las ruinas nuestra flor?”. 

 

América Latina se solidariza con el pueblo palestino

por Red de Amigos de la Revolución Ciudadana

La opinión pública mundial hizo eco de cientos de imágenes sobre la realidad del conflicto armado palestino-israelí y la necesidad de una salida diplomática que ponga de un alto al fuego. El Ecuador, por medio del comunicado oficial del Canciller Ricardo Patiño, condena la intromisión del Estado de Israel y exige un cese inmediato a los “ataques indiscriminados contra la población civil en la franja de Gaza”. Precisamente por este hecho hizo el llamado a consultas al Embajador ecuatoriano en Israel. Por su parte, el presidente Rafael Correa lamentó la ofensiva desproporcionada que lleva centenares de víctimas civiles y principalmente niños. Hizo un llamado a la comunidad internacional para la instauración de mesas de negociación que pongan fin con la violencia.

Cabe señalar que la Republica del Ecuador está abriendo su Embajada en los territorios ocupados de Palestina, y, que pronto el pueblo palestino verá reconocida su sede diplomática en el Ecuador. Por su parte, el delegado palestino en suelo ecuatoriano agradeció la posición del gobierno ecuatoriano y afirmó que nuestro país hizo un voto de justicia con su declaración. Así mismo, los diferentes bloques regionales de América Latina convocaron al fin de esta ofensiva. El comunicado oficial del ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) lamenta el deceso de tres ciudadanos israelitas, motivo por el cual se agudizaron los enfrentamientos, sin embargo llama a la comunidad internacional a interceder, respetando la paz y el imperio de la Ley. Sumado a los comunicados oficiales, las presiones económicas se hicieron presentes por parte de Chile, quién detuvo la negociación del TLC (Tratado de Libre Comercios) con el gobierno israelí hasta las solución del conflicto armado. El consejo de Seguridad de la ONU sesionó de forma urgente el día 22 donde se exigió formalmente el fin inmediato a las hostilidades entre los dos países.

Por su parte, el consejo de Derechos Humanos, el día miércoles 23 de julio acordó abrir la investigación para esclarecer los crímenes del plan “Margen Protector” ejecutado por Israel desde el 8 de julio sobre la Franja de Gaza. En dicha asamblea Estados Unidos fue la única en negarse a la iniciativa, mientras que gran porcentaje de países europeos se abstuvieron a la propuesta.

Evo Morales: «Dobbiamo fermare il genocidio in atto a Gaza»

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Nel corso di una conferenza stampa tenuta questa domenica il presidente della nazione sudamericana ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e all’Alto Commissariato per i Diritti Umani di assumersi le proprie responsabilità di fronte al genocidio subito dal popolo palestinese

Il presidente della Bolivia, Evo Morales, ha definito un genocidio l’assassinio di civili e bambini nella Striscia di Gaza da parte di Israele, che ha già provocato oltre mille morti.

Parlando della crisi che sta vivendo Gaza, Morales ha chiesto: «Dov’è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? Quando stati o popoli si oppongono alle politiche dell’impero lì ecco che c’è il Consiglio, ma quando l’impero umilia, uccide come in Palestina non c’è nessun Consiglio».

Il presidente boliviano ha inoltre manifestato la speranza che i media internazionali intendano cosa sta accadendo in questo nuovo millennio e ha chiesto alle organizzazioni per i diritti umani di assumersi le proprie responsabilità e giudicare coloro che stanno sterminando un popolo.

«Tutte queste morti sono inaccettabili», ha esclamato Morales.

Il bilancio delle vittime dell’offensiva israeliana a Gaza è salito a 1053 questa domenica. Alle 11 (ora locale) Hamas ha annunciato un cessate il fuoco della durata di 24 ore con l’esercito israeliano.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Appello ai volontari internazionali: stop all’impunità di Israele!

Appello ai volontari internazionali: stop all’impunità di Israele!

È tempo di andare a Gaza per proteggere gli agricoltori durante il raccolto.

Unisciti alla Campagna congiunta dello UAWC e di UNADIKUM.

Primavera a Gaza : lotta contro l’impunità di Israele per il futuro raccolto.

Un carro armato corre lungo una tranquilla valle di olivi, una piccola casa si affaccia sulla campagna. Improvvisamente, il veicolo militare blindato si ferma, prende di mira la casa e la bombarda con un potente carico esplosivo.

La parete frontale della casa esplode in mille pezzi che mostrano l’interno delle stanze devastate dalle schegge. Hala è morta, il suo corpo fragile, di appena tre anni, si trova ancora raggomitolato intorno alla ciotola da dove stava tranquillamente mangiando la sua merenda, seduta nel piccolo giardino di famiglia.

A Gaza era 24 dicembre 2013. Il resto del mondo stava celebrando la vigilia di Natale.

Il terribile meccanismo che porta a questo tipo di crimini ha un nome: impunità.

E può essere facilmente sintetizzata: qualunque siano gli omicidi, qualunque sia la distruzione, qualunque sia la sofferenza che le Forze di Occupazione Israeliana impongono ai palestinesi, avrà come unica risposta un cipiglio delle numerose, complesse e potenti organizzazioni internazionali auto-nominatesi per esercitare il diritto di emanare e far rispettare la cosiddetta “regola del diritto internazionale”.

Tra queste organizzazioni occupa una posizione di rilievo il sistema delle Nazioni Unite, ma anche le potenze economiche, alle quali è stata concessa una certa legittimità di parlare in nome dell’umanità, e cioè il governo degli Stati Uniti e gli organi dell’Unione Europea.

È una situazione impossibile da comprendere quella che porta a tale inerzia da parte della comunità internazionale?

No.

Da circa cento anni ad oggi il movimento sionista ha dichiarato che si sarebbe stabilito nel territorio della Palestina storica – e si è sforzato in questo compito, utilizzando tutti i mezzi possibili, compreso il terrorismo e gli attacchi di massa contro la popolazione civile.

Ignorando sprezzantemente le numerose “risoluzioni” delle Nazioni Unite (senza il minimo tentativo di rispettarle) che affermavano i diritti inalienabili del popolo Palestinese, i successivi responsabili delle decisioni israeliani hanno calpestato la popolazione locale, incrementato la colonizzazione delle terre, gli omicidi, lo spostamento e la segregazione di persone su base razziale, mentre si accumulano le dichiarazioni che rendono esplicita la loro certezza di essere sopra le leggi umane universali e la loro lunga volontà di sradicare i Palestinesi dalla loro terra.

I Comitati degli Agricoltori (UAWC) nella Striscia di Gaza e l’Associazione UNADIKUM lanciano un appello congiunto ai volontari internazionali per dirigersi a Gaza per proteggere gli agricoltori mentre questi sono impegnati nella stagione del raccolto tra aprile e luglio. C’è bisogno urgentemente di volontari che proteggano con la loro presenza gli agricoltori durante il lavoro, interponendosi pacificamente tra i soldati israeliani che pattugliano lungo il recinto e di modesti contadini disarmati che cercano unicamente di raccogliere alimenti per sopravvivere. La semplice presenza di volontari internazionali rende difficile all’esercito israeliano il suo abituale e criminale compito di uccidere e ferire impunemente questi lavoratori della terra.

Inoltre sono necessari volontari per informare sulla drammatica situazione della quale saranno testimoni, rompendo così le montagne di menzogne mediatiche e politiche che si sforzeranno di coprire i crimini di lesa umanità commessi dalle forze israeliane di occupazione.

«Abbiamo attaccato un obiettivo terrorista», dichiarò l’esercito occupante dopo il bombardamento del carro armato contro l’umile casa di Hala, la bambina di tre anni assassinata durante l’attacco. Dopo, i portavoce israeliani ritrattarono e ci provarono con un’altra menzogna: «iniziativa individuale» dichiararono cinicamente dopo che le immagini della casa distrutta della famiglia della piccola Hala cominciò ad essere diffuso nella web. L’abusato termine di “terrorismo” di cui blatera tutto l’esercito invasore quando si scontra con la resistenza di un popolo è una scusa futile per avallare crimini di guerra. Gli agricoltori di Gaza rispondono: Venite, condividetele nostre vite, informate i vostri paesi!

Il Comitato di Agricoltori di Gaza e le Brigate Unadikum ti convocano:
Per la piccola Hala è già troppo tardi, ma per le sue sorelle e i suoi fratelli di tutta la striscia di Gaza, per i loro padri e le loro madri che lavorano senza riposo le loro terre sotto la mortale minaccia delle armi, agire ora è possibile, necessario, vitale. 
Qualsiasi sia la quantità di tempo che puoi concedere al popolo di Gaza, se è possibile dedicare due settimane, mettiti in contatto con Unadikum e unisciti a noi.

Sito Web Unadikum: www.asociacionunadikum.org
Indirizzo mail Unadikum Italia: [email protected]

Siria, Yarmouk: dopo 200 giorni di assedio dei terroristi, consegnati gli aiuti umanitari

di Francesco Guadagni

Dopo quasi 200 giorni di assedio dei terroristi e di terribili sofferenze, i Palestinesi del Quartiere di Yarmouk, a Damasco, hanno ricevuto un carico di aiuti umanitari. I primi aiuti sono stati consegnati a bambini, anziani e ammalati. Sono stati portati fuori da Yarmouk, diverse persone bisognose di cure specifiche.

L’operazione è stata realizzata grazie alla collaborazione fra le autorità della Repubblica Araba di Siria, l’Unrwa e la fazioni Palestinesi.
La consegna degli aiuti è stata coordinata dal Segretario Generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale, Ahmed Jibril.
Prezioso è stato anche il lavoro dei compagni del FPLP-CG, conosciuti come gli irriducibili guardiani del campo.

Sono utili alcune precisazioni su Yarmouk. Dai massacri della Nakba dei sionisti contro i palestinesi nel 1948 fino ai giorni nostri, la Siria ha ricevuto milioni di rifugiati palestinesi a braccia aperte. Il paese ha ospitato la più grande popolazione palestinese in esilio in tutto il territorio.

Una delle più grandi comunità palestinesi in Siria è al campo profughi di Yarmouk vicino Damasco, dove oggi vivono circa 20.000 palestinesi. Ma, come sottolinea l’analista politico Christof Lehmann, il termine “campo profughi” è fuorviante. Questo perché ai residenti palestinesi sono sempre stati concessi la cittadinanza siriana piena e i diritti civili. “Yarmouk è più di un sobborgo ordinario di Damasco, osserva Lehmann”, ma ha uno status tecnico del campo profughi ai sensi del diritto siriano e internazionale. Questa è una misura della tradizionale ospitalità concessa sulla diaspora palestinese all’interno della Siria.

Dallo scoppio del conflitto siriano nel 2011, le fazioni palestinesi nel quartiere Yarmouk hanno permesso agli estremisti di Jabhat al Nusra ed altri di infiltrarsi, occupandone ampie fasce.

(VIDEO) TeleSUR presenta Fuego sobre el Marmara

Quando Israele uccise nove persone che portavano aiuti a Gaza. Questa è la storia della flottiglia. Un documentario venezuelano.

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