L’Honduras è controllato da una élite criminale

da Notas de Periodismo Popular 

Intervista di Fernando Vicente Prieto a Olivia Zúñiga

2maR2017.- Notas ha intervistato Olivia Zúñiga – candidata a deputata e figlia della militante honduregna Berta Cáceres (1) , assassinata un anno fa da sicari – che ha analizzato la situazione del paese latinoamericano e il suo ruolo geopolitico, col colpo di stato del 2009 (2) come punto di rottura.

Qual è la situazione del popolo Lenca (3) e dei movimenti popolari – in particolare del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (COPINH) – ad un anno dall’omicidio di Berta?

Il contesto attuale è fatto di criminalizzazione, persecuzione, minacce, omicidi. Lo Stato honduregno cerca di imporsi con l’implementazione di politiche del terrore. L’assassinio di Berta Cáceres non è stato il primo e nemmeno l’ultimo: ci sono stati diversi omicidi dopo che hanno ammazzato mia madre. E il popolo Lenca, malgrado questo messaggio di terrore, continua a lottare, ad organizzarsi. È il più numeroso dei nove popoli indigeni che abitano l’Honduras e, storicamente, il più ribelle. Ancora non sono arrivati al nostro sterminio, ancora sopravviviamo, siamo qui. Sappiamo che si avvicina un periodo ancor più pieno di battaglie e per questo la dittatura ha approvato un nuovo codice penale sul “terrorismo”, grazie al quale tutti noi, come movimenti sociali, saremo danneggiati. A questo ha portato la guerra mediatica e giuridica che si è imposta da diversi anni e che cerca di criminalizzarci ancor di più. In mezzo a tutto il dolore e il terrore non sono riusciti a fermarci: abbiamo continuato ad andare avanti, lottando, con grandi limiti. Nel caso del COPINH, l’organizzazione che coordinava mia madre, ancora si resiste alle cariche del progetto capitalista e neoliberista, di tutte queste politiche di morte e fasciste con cui cercano di sterminarci.

Che implicazioni ha questo crimine nel quadro della situazione politica e sociale in Honduras?

L’omicidio politico di Berta Cáceres segna un prima e un dopo nella storia dell’Honduras. Ha prodotto chiarezza tra la popolazione, coscienza sul pericolo che comporta la difesa della Madre Terra, la difesa della vita e della dignità dei popoli. Malgrado un’esposizione internazionale notevole, sebbene fosse una leader conosciuta a livello mondiale, nulla di tutto ciò ha fermato le elite criminali, che la mandarono ad uccidere con squadroni della morte e con una guerra contro i nostri popoli combattuta da truppe di elite addestrate dagli Stati Uniti, dalla Colombia, da Israele. E bisogna ammettere che senza dubbi tutto ciò produce coscienza ma anche terrore tra la popolazione. Ora essere ambientalista o difensore della vita, essere un/una militante sociale in questo paese significa firmare capo una sentenza di morte. Il crimine di Berta Cáceres conferma tutti i sospetti che aveva sul fatto che molte compagne e molti compagni sono stati assassinati dagli squadroni della morte perché colpevoli di difendere la vita. Come movimenti sociali abbiamo avuto certezza di tutto ciò e lo abbiamo sempre denunciato: così come negli anni ’80, un nuovo Piano Condor si è imposto a partire dal colpo di stato in Honduras. Il golpe del 2009 è stato cruciale per la riattivazione di tutti i gruppi paramilitari, gli squadroni della morte. La crisi umanitaria, politica e sociale che vive il nostro paese è il risultato di questo colpo di Stato, ed è responsabilità di un’elite criminale incuneatasi nello Stato honduregno, un’elite formata anche da imprenditori che lavorano per favorire al capitale transnazionale e non in favore della grande maggioranza del nostro popolo honduregno.

A quali obiettivi economici e politici risponde quest’offensiva?

Quest’offensiva contro il popolo honduregno risponde ad interessi economici del capitale transnazionale che controlla il mondo e che vuole saccheggiare i nostri territori, dal momento che l’Honduras è un paese estremamente ricco in biodiversità, risorse naturali, ha accesso ai due oceani (Atlantico e Pacifico), un clima tropicale umido, oro, petrolio, argento, minerali in abbondanza e, anche, acqua in abbondanza. Siamo paesi ricchi ma impoveriti economicamente: storicamente saccheggiati, sfruttati. Siamo coscienti del fatto che questi governi sono servili agli interessi del capitale transnazionale perché le elite politiche e imprenditoriali dei nostri paesi hanno i loro profitti, a costo di organizzare colpi di stato. Non è un caso che dopo il golpe del 2009 siano state date più di 300 concessioni per progetti estrattivisti, senza fare alcun processo di consultazione previa, libera e informata, secondo quanto prescritto dall’accordo 169 della OIL (Organizzazione Internazionale dei Lavoratori). I beneficiari sono un’elite imprenditoriale di questo paese, il capitale transnazionale e funzionari pubblici che sono parlamentari ma a volte anche imprenditori, in quanto azionisti dei progetti estrattivisti. Chi ha controllato questo paese sono elite criminali. L’Honduras è stato un paese storicamente occupato dagli anni ’70, visto che era il luogo in cui operavano i gruppi contro-insorgenti denominati “contras”, che agivano contro i processi rivoluzionari di liberazione nei momenti di scontro armato più importanti del Centro America. Da allora è un paese strategico per lanciare attacchi contro i processi rivoluzionari e di liberazione di altri paesi. Oggi l’Honduras è geopoliticamente strategico e viene utilizzato per attaccare paesi come Venezuela, Bolivia, Ecuador o Argentina. L’Honduras è stato un laboratorio di nuovi colpi di Stato, del “golpe blando”, così come lo chiamano. È un nuovo esperimento che poi è stato ripreso in tutto il continente. Ora stiamo vivendo le gravi conseguenze. Il golpe in Honduras è stato un golpe contro la democrazia in tutto il continente. Tutto ciò risponde ad interessi economici per i quali non importa la vita delle persone, soprattutto dei popoli indigeni e di noi che abitiamo i paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Tutto gira intorno al capitale. Per questo continuiamo a condannare questo sistema – come diceva mia madre – capitalista, razzista e patriarcale.

Qual è la situazione giudiziaria e a che punto ci troviamo per il progetto Agua Zarca?

Fino a questo momento gli autori intellettuali non sono stati nemmeno indagati, figuriamoci incarcerati. Delle 33 denunce promosse da mia madre nel 2015 per le minacce di morte, di stupro, di sequestro dei figli e del nipote, nessuna è stata ascoltata. Aveva misure cautelari concesse dalla Commissione Interamericana di Diritti Umani (CIDH)). Ciononostante, lo Stato honduregno non ha fatto nulla per proteggerla e, al contrario, è stato complice del suo assassinio. Mia madre aveva denunciato più volte di essere oggetto di minacce da parte di funzionari pubblici, sindaci, deputati. Che la stavano perseguitando sicari, squadroni della morte, gruppi paramilitari che la aggredivano fisicamente e verbalmente. Ad oggi continuiamo ad esigere che si aprano indagini contro gli organi dirigenti dell’impresa Desarrollos Energéticos S.A. (DESA) e che gli autori intellettuali di questo omicidio siano puniti con tutto il peso della legge. Al momento ci sono otto persone in carcere, tra cui vari militari – alcuni ancora in attività, altri in pensione. Uno è maggiore delle Forze Armate del Dipartimento di Forze Speciali di Intelligence e Controspionaggio dello Stato honduregno, che per di più aveva svolto missioni in altri paesi per conto dell’ONU, per “risolvere situazioni ostili di guerra”. Si tratta di persone addestrate dagli U.S.A., riunite in gruppi paramilitari. Continuiamo a rivendicare che il río Gualcarque venga dichiarato Patrimonio dell’Umanità, ad esigere che si cancellino, immediatamente e definitivamente, le concessioni del progetto idroelettrico Agua Zarca e tutte le concessioni date illegalmente nel paese. Il progetto Agua Zarca è temporaneamente sospeso, ma la concessione non è stata cancellata in maniera definitiva. Nonostante tutte le minacce, la campagna d’odio e di discredito messa su da più di diciottomila call center che lavorano per il governo honduregno, continuiamo a lottare dall’interno di questo paese. Non ci ferma la paura, non ci ferma il dolore. Crediamo che sia momento di agire a favore delle generazioni future, che un altro Honduras è possibile e che lo possiamo costruire.

[Trad. dal castigliano e note a cura di Giuliano Granato] 

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1 Berta Cáceres, leader del popolo Lenca e cofondatrice della Copinh, è stata assassinata, dopo anni di minacce, il 3 marzo del 2016 all’età di 43 anni. Da sempre alla testa delle lotte per la difesa delle terre ancestrali del suo popolo, il suo omicidio è legato alla battaglia per difendere il Río Gualcarque, fiume sacro al popolo Lenca, dalla costruzione di una diga ad opera di una joint venture tra l’honduregna DESA e la cinese Sinohydro.

2 Il 28 giugno 2009 il presidente honduregno Manuel Zelaya fu arrestato e costretto all’esilio da un colpo di stato militare ordinato dalla Corte Suprema. Il golpe mirava ad impedire le elezioni di un’assemblea costituente, indette dal presidente Zelaya, per timore di un avvicinamento dell’Honduras ad altri paesi progressisti latinoamericani, Venezuela e Cuba in primis. La traiettoria presidenziale di Zelaya, che si era andato poco a poco radicalizzandosi, metteva infatti in discussione gli interessi di chi ha retto l’Honduras fino ad oggi, che siano attori interni al paese o anche esterni.

3 I Lenca sono un popolo indigeno che abita il territorio al confine tra Salvador e Honduras. In quest’ultimo paese costituiscono il gruppo indigeno più numeroso. Il governo honduregno non riconosce la loro lingua, né la loro religione né qualsivoglia autonomia sulle terre ancestrali. Proprio su quest’elemento negli ultimi anni si sta producendo una estrema conflittualità.

Russia: intervista a Anton Tarasov (Kprf)

7520e7a0-74e2-48fa-8981-5c59ec790817di Danilo Della Valle 

Il nostro compagno e collaboratore Danilo Della Valle ha di recente visitato la Russia e ne ha approfittato per realizzare alcune interviste a diversi e differenti protagonisti della politica russa che possono essere qui in Italia di interesse per comprendere cosa si muove nel panorama del paese più esteso del mondo.

Nel giorno del novantanovesimo anniversario della rivoluzione d’Ottobre del 1917, abbiamo incontrato Anton Tarasov, candidato alle ultime elezioni parlamentari per il Kprf, deputato alla municipalità “Aeroport” della città di Mosca e primo segretario della sezione Leningrado del Kprf. Con lui abbiamo parlato, oltre che del risultato elettorale del Kprf, della situazione economica e sociale che vive la Russia oggi, situazione troppo spesso tralasciata dalle “tifoserie” pro o anti Cremlino.

Alla luce dei risultati delle elezioni dello scorso settembre, da cosa è dipeso il pesante arretramento in termini di voti del suo partito?

Sinceramente pensavo che il Kprf potesse raggiungere un risultato di gran lunga migliore dato che nell’ultima legislatura il governo in carica ha condotto una politica interna disastrosa. Purtroppo non è stato così, abbiamo perso vari punti percentuali durante queste elezioni, ma credo che il nostro partito sia stato penalizzato da quattro fattori: il primo è sicuramente quello che riguarda l’astensione alta che ha sfavorito tutte le forze di opposizione; il secondo è rappresentato dalla presenza di una seconda lista comunista, “Comunisti di Russia”. Questo partito è nato da una scissione del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) ed ha raggiunto il 3%, di fatto togliendo questa fetta di voti alla nostra lista. Inutile dire che questo partito è entrato nelle grazie del Cremlino visto il suo ruolo anti-Kprf; il terzo punto riguarda le altre due principali forze di opposizione, Russia Giusta e i Liberal-democratici di Zhirinovsky, che hanno condotto una campagna elettorale improntata sull’opposizione al governo usando le stesse parole d’ordine del Kprf. Purtroppo però nella realtà a queste parole non fanno seguito i fatti, nell’ultima legislatura i due partiti in questione hanno assunto il ruolo di stampella del governo votando spesso alla Duma come Russia Unita e lasciando solo il Kprf all’opposizione. Per quanto riguarda l’ultimo punto, credo sia giusto fare autocritica, al nostro partito è mancata innovazione. Credo che sia importante che il Kprf si doti di una forza innovativa capace di intercettare i voti delle generazioni più giovani che non hanno vissuto l’epoca del socialismo.

L’astensione è stata molto alta, soprattutto a Mosca e San Pietroburgo che sono riconosciute una come la capitale economica ed una come la capitale culturale del Paese, a cosa crede sia dovuto questo fenomeno?

Non credo che il problema della Russia siano le elezioni, il problema vero e proprio è la partecipazione alla vita politica che va sempre più diminuendo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica c’è stato un peggioramento in molti settori socio economici e di conseguenza la gente ha perso fiducia nella politica. Quando i peggioramenti avvengono in così tanti settori la sfiducia e lo sconforto prevalgono tra la popolazione che si sente impotente e non in grado di poter cambiare la situazione dal basso. Durante i nostri picchetti molte persone hanno mostrato una certa arrendevolezza ed una scarsa fiducia nella politica e questo è un problema da risolvere. Oggi l’atteggiamento dei russi sta cambiando, dopo il crollo dell’Urss sembra sia diventata una priorità solo guadagnare il più possibile o andar via dal Paese. È inaccettabile ciò ed è un problema anche per il Presidente Putin che non può ammettere pubblicamente questa cosa perché equivarrebbe ad una sconfitta.

Dalla caduta dell’Urss in poi la Russia si è caratterizzata per le forti diseguaglianze sociali, secondo lei le cause sono da ricercarsi nella crisi economica? Chi sono a suo parere i responsabili di questa situazione?

La situazione economica della Federazione Russa allo stato attuale la valuto negativamente, in netto ridimensionamento nonostante molti media dicano che il Paese vada a gonfie vele. I responsabili di questa situazione sono da ricercarsi tra coloro che ad inizio anni ’90 hanno avviato i processi di privatizzazione e di svendita di tutti i settori strategici statali. Questo processo è stato volutamente messo in atto con l’intento di distruggere pian piano la Russia. Del resto lo stesso Anatoly Chubais, responsabile delle privatizzazioni durante il governo Eltsin, nel corso di una intervista ammise che “ogni fabbrica regalata ai privati era un chiodo in più nella tomba del comunismo”. Questo è ciò che è accaduto non solo in Russia ma anche in Ucraina. Le difficoltà ovviamente non toccano tutta la popolazione russa, ma una larga fascia di settori sociali più deboli. Oggi il Paese è totalmente diviso, oltre che in classi anche in zone: ci sono delle zone sviluppate, direi le tre quattro città più importanti dove si può trovare un lavoro dignitoso, e tante altre zone che sono completamente abbandonate a sé stesse, dove ci sono tantissimi problemi socio-economici. Con l’entrata della Russia nel Wto poi, la situazione si è ulteriormente complicata, il libero mercato capitalista porta alla distruzione dell’apparato produttivo nazionale e ciò non può esser tollerato da parte di un governo sovrano. La domanda che mi pongo è: per quanto ancora permetteranno alle multinazionali di avere un così alto potere nel nostro Paese?

Nella situazione attuale della Russia, come pensa si possano combattere queste diseguaglianze? Come il Kprf lavora sul territorio?

Sul territorio il Kprf cerca di fare un lavoro importante nelle municipalità, cercando di coinvolgere i cittadini il più possibile affinché si occupino di ciò che gli accade intorno. A Mosca, ad esempio, è partita la battaglia contro i parcheggi a pagamento che ha radunato molti residenti delle periferie. In molte città del Paese il Kprf aiuta con iniziative di vario genere le persone in difficoltà economica per cercare di arginare la povertà. Oggi la globalizzazione ed il capitalismo selvaggio stanno unendo diverse classi della popolazione in una unica lotta di liberazione nazionale. Ad esempio molti piccoli e medi imprenditori russi aderiscono al Kprf proprio perché si vedono attaccati dalle grandi imprese straniere e vedono nel Partito Comunista l’unica forza in grado di difendere il popolo e gli interessi nazionali. La Russia è un Paese molto ricco, nonostante qualcuno ci dica che per via della crisi è necessario dimezzare gli stipendi ed alzare l’età pensionabile, ma il vero problema è legato alla redistribuzione: secondo uno studio di settore, se prendessimo tutti i soldi dei russi, da quelli del più ricco a quelli del più povero, per ogni cittadino ci sarebbe l’equivalente in euro di quasi due milioni (1 milione 800 mila euro, la cifra esatta). Le tv dicono che i comunisti vogliono prendere tutto quello che i russi hanno, ma la verità è molto diversa: noi vogliamo una redistribuzione più equa della ricchezza.

Però la Russia ha anche diversi nemici all’esterno del Paese, penso ad esempio alla Nato che mostra sempre più prepotentemente i muscoli ai confini. Inoltre, anche le sanzioni non facilitano certo il compito a chi governa, non crede?

Certo, sicuramente abbiamo dei nemici stranieri che sapendo che è molto difficile sconfiggere la Russia con la guerra cercano di farlo attraverso le sanzioni economiche e le provocazioni. Ma l’immagine dell’invasore d’oltreconfine comune a tutti non deve essere una giustificazione per mascherare quello che non funziona in Russia. Anzi, penso che a molti di questi nemici faccia comodo l’attuale governo russo che non si contrappone del tutto all’imperialismo e mantiene un sistema economico di stampo neoliberista. Oggi possiamo vedere che l’imperialismo è tornato alla carica in varie parti del mondo, soprattutto dove ci sono dei governi filo socialisti o dove storicamente c’è una tradizione di stampo comunista. Guardi ciò che accade al Venezuela bolivariano che è vittima di una aggressione sia paramilitare che economica atta a rovesciare un governo legittimo di ispirazione socialista. Penso che la battaglia del popolo Venezuelano per la liberazione nazionale e per il socialismo possa essere, e deve essere, la battaglia di tutti verso un mondo più giusto. Solo il socialismo può garantire determinati diritti ed eliminare le disuguaglianze.

Maduro: «Stiamo nuotando controcorrente»

di Geraldina Colotti – il manifesto

12lug2016.- Venezuela. Intervista al presidente della Repubblica bolivariana

«Siamo il popolo delle difficoltà, una trincea di pace per tutta l’America latina», dice al manifesto Nicolas Maduro, che abbiamo incontrato durante il nostro ultimo viaggio in Venezuela.

Ex militante della Lega socialista, ex autista del metro e sindacalista, Maduro ha ricoperto vari incarichi nei governi Chavez, di cui è stato ministro degli Esteri, viceministro e poi presidente della Repubblica dopo la sua morte, eletto il 14 aprile del 2013.

Violenze, scontro di poteri, referendum revocatorio, sanzioni internazionali. Tre anni vissuti pericolosamente…

Gruppi economico-politici che dipendono dal finanziamento e dall’appoggio della destra internazionale vogliono imporre al paese una direzione esterna. Se arrivassero al potere, governerebbero per i loro finanziatori.

Considerano il governo del paese un bottino, lottano fra loro per accreditarsi a livello internazionale.

Sono sostanzialmente quattro: il vecchio gruppo economico degli “adeco” della IV Repubblica, quello di Ramos Allup e di Accion democratica, che ha prodotto nel Zulia il gruppo di Manuel Rosales, la cui influenza è però diminuita e serve da zerbino alle nuove destre.

Il terzo gruppo è quello della borghesia “amarilla”, tradizionalmente parassitaria. Un nucleo di potere ambiguo e chiuso che si contende l’appoggio della destra imperialista mondiale, di cui è uno dei preferiti. E’ stato attivo in tutti i golpe ma non lo ha mai rivendicato, presentando sempre una facciata legale, dicendosi a favore delle elezioni. Ora, non essendo riuscito a realizzare i propri obiettivi nei tempi che si era prefisso, si sta spostando verso la violenza criminale e il bachaquerismo, il traffico illegale di alimenti e prodotti.

Il quarto gruppo è il più violento, è legato al paramilitarismo colombiano di Alvaro Uribe. Nel 2002 e nel 2003 ha organizzato il colpo di stato e poi l’occupazione militare della Plaza Altamira. E’ coinvolto in tutte le azioni violente, e per quanti sforzi faccia per assumere una parvenza legale, non riesce a nascondere l’odore di fascismo che emana. E’ il gruppo di Leopoldo Lopez.

E’ vero, ho dovuto affrontare ogni genere di attacco in un tempo più concentrato rispetto a quelli a cui ha dovuto far fronte il Comandante Chavez, ma i pericoli che lui ha dovuto correre sono stati molti di più e ne siamo sempre venuti fuori. Quando è stato eletto, gli avevano dato solo due anni di luna di miele con il suo popolo, invece nonostante il golpe e la serrata petrolifera padronale abbiamo recuperato il prezzo del barile, avviato i piani sociali, costruito l’Alba, la Unasur, la Celac.

Dopo la mia elezione, anche alcune componenti della sinistra internazionale hanno pensato che il proceso bolivariano non sarebbe sopravvissuto senza Chavez.

La destra ha scommesso che sarei caduto nel 2013, nel 2014, nel 2015… Invece siamo ancora qui: siamo gli eredi di Bolivar, che era l’uomo delle difficoltà.

Questo sarà un anno determinante, ma il nostro popolo si rafforza nelle difficoltà. Nessuno riuscirà a riportarci al rango di colonia.

Nel 2002, se il golpe avesse trionfato, non ci avrebbe lasciato altra strada che il ricorso alle armi. Tutta la regione si sarebbe trasformata in zona di guerra, perché abbiamo molti alleati, in America latina e nei Caraibi. E anche oggi, il governo Maduro – lo dico in tutta umiltà – è il solo che può garantire la stabilità, la pace con giustizia sociale.

Ma il quadro internazionale – con il ritorno delle destre in Argentina e in Brasile e con la caduta del prezzo del petrolio – sta rimettendo in forse i rapporti sud-sud. Fin dove è disposto a spingersi per difendere questa rivoluzione?

Oggi siamo di fronte a nuove sfide, diverse da quelle che hanno attraversato il secolo scorso: il secolo di Lenin, di Mao, del Che, di Allende e di Chavez, che ha proiettato con forza il suo progetto nel secolo XXI, dando però inizio a un percorso costituente, verso il socialismo ma in modo pacifico e democratico.

Nel XX secolo, tutte le rivoluzioni socialiste e anticoloniali sono state armate.

L’anno prossimo saranno 100 anni dalla vittoria bolscevica del ’17 che ha cambiato il corso dell’umanità. Una lotta durissima per un nuovo mondo.

Bastano alcune date: il colpo di stato in Guatemala nel 1954, quello del ’64 in Brasile, la seconda occupazione statunitense della Repubblica Dominicana, nel ’65 con l’Operazione Power Pack, passando per l’invasione della Baia dei Porci a Cuba, nel ’61. E poi Allende in Cile, nel ’73, l’Argentina… fino al golpe contro Chavez del 2002.

Ma 100 anni, sul piano della storia, sono un tempo breve. La lotta per l’autodeterminazione dei popoli e per la loro emancipazione dallo sfruttamento è ancora giovane, ha subito sconfitte e progressi. Oggi siamo di fronte a un altro mondo, a dinamiche più complesse…

Una nuova realtà multipolare su cui cerca di imporsi un nuovo, devastante, progetto imperiale. Che invade e distrugge.

Cos’ha prodotto la cosiddetta lotta al terrorismo dopo l’attacco alle Torri gemelle? Hanno distrutto l’Afghanistan, che oggi è un paese esportatore di rifugiati e terrorismo. Hanno distrutto la Libia, e guardate i risultati. Vorrebbero fare lo stesso con la Siria…

Vogliono minare i Brics, che hanno messo in relazione nuove forze emergenti.

La Nato minaccia in modo irresponsabile la Russia, che invece è un fattore di pace anche per l’Europa. Cercano di screditare Putin, che ha saputo governare sapientemente la fase seguita alla caduta dell’Unione sovietica e porta avanti la lotta contro il terrorismo.

Provocano la Cina… Vogliono seminare guerra anche in questa nuova America latina che ha iniziato, con Chavez, cambiamenti profondi che travalicano la geografia del continente: una nuova epoca di rivoluzioni democratiche, popolari, pacifiche ma in una prospettiva socialista, che ha saputo unire tutte le forze progressiste sulla via della pace, della sovranità: fidando sul consenso, la cultura, i diritti, sulla forza delle donne.

Siamo una trincea di questi valori. Non lasceremo che li azzerino, ma nemmeno vogliamo deviare dal cammino intrapreso. Siamo nel momento più difficile, ma la nuova America latina è viva: nella forza del suo popolo, della piazza, dell’amore, che è la grande causa dell’umanità, come diceva il poeta Che Guevara.

Fin dove siamo disposti a spingerci? Fino a dare la vita per questo: per costruire la vita ogni giorno.

Il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha recentemente denunciato l’esistenza di un nuovo Piano Condor contro il socialismo del XXI secolo. E’ d’accordo?

La prima che ha parlato dell’esistenza di un nuovo piano Condor è stata la compagna Cristina Kirchner, l’anno scorso al vertice delle Americhe di Panama. Allora, il Venezuela ha ricevuto l’appoggio unanime di tutti i paesi latinoamericani contro le sanzioni imposte dagli Stati uniti. Mi sono trovato d’accordo con lei.

Certo, oggi non ci sono più i Pinochet, i Videla, gli Stroessner, ma persistono le oligarchie che li sostennero, e che alimentano le destre modello marketing e i pupazzetti impomatati che vediamo agire anche in Venezuela.

Siamo di fronte a un nuovo tipo di sicariato, politico economico e mediatico, che ci attacca sia a livello nazionale che internazionale. E, per quanto riguarda il Venezuela, cerca di impedire che passiamo dalla fase della difesa a quella del recupero, nella guerra economica e petrolifera.

I sicari economici organizzano il sabotaggio interno, seminano odio e razzismo, credono di poter ingannare e truffare a piacimento. I sicari mediatici conducono una guerra psicologica per uccidere la speranza e la stabilità, intossicando soprattutto le reti sociali. Quelli politici finanziano e guidano da fuori campagne destabilizzanti.

Avete visto cos’è successo durante la campagna elettorale spagnola? Le destre hanno usato la rivoluzione bolivariana per fini interni. Una vera ossessione.

Se la magistratura spagnola aprisse un’inchiesta, non le ci vorrebbe molto per scoprire le filiere di finanziamento illegale miliardario che partono da Madrid, dirette alle destre venezuelane. Usano la Spagna come piattaforma per cospirare contro il nostro governo.

Siamo un paese pacifico e sovrano, che non si immischia negli affari interni di altri paesi. Abbiamo le nostre difficoltà, cerchiamo di superarle alla nostra maniera.

E’ nostro diritto costruire il socialismo, adottare il modello che il nostro popolo ha scelto. E quanta pazienza abbiamo avuto per continuare sulla via pacifica e democratica, mantenendo sempre aperta la porta del dialogo, promosso dalla Unasur e da tre ex presidenti, José Zapatero, Martín Torrijos e Lionel Fernandez, a dispetto di tutti gli attacchi.

Ma i nuovi sicari vogliono far fuori i leader progressisti della nostra America. Guardate il golpe parlamentare contro Dilma, in Brasile. Un governo che in tre settimane ha visto dimettersi tre ministri per corruzione accusa di disonestà una donna integerrima.

Contro di noi, cercano di attivare la cosiddetta Carta democratica interamericana, di imporre sanzioni. E’ un attacco che viene da lontano.

Siamo i custodi della grande storia e della terra dei libertadores. Stiamo nuotando controcorrente.

de Magistris a l’AntiDiplomatico: da Napoli verso una nuova Europa

di Fabrizio Verde – lantidiplomatico.it

Scambi economici con monete alternative all’euro, diplomazia dei popoli, cooperazione, mutualismo, solidarietà, partecipazione popolare e liberazione degli spazi. Con lo sguardo rivolto all’esperienza dei paesi dell’Alba, la ricetta per una nuova Europa del sud proposta dal sindaco di Napoli  

“Da Sud e dal Sud Europa, può nascere una spinta per la costruzione di un’altra Europa e abbiamo dei segnali rappresentati da alcune esperienze nel sud Italia. Non vorrei apparire presuntuoso, ma il mio percorso politico e amministrativo nella città di Napoli si inserisce in questo discorso”. A pochi giorni dalla polemica scoppiata nel corso della trasmissione di Massimo Giletti “L’Arena”, nel corso della quale il “giornalista” e Matteo Salvini hanno insultato Napoli, definendola “città indecorosa”, l’AntiDiplomatico ha incontrato il sindaco Luigi de Magistris per una chiacchierata sui temi di politica internazionale e sul ruolo da protagonista che la città di Napoli vuole giocare nella costruzione di un’Europa alternativa possibile. De Magistris ha ribadito che le (indecorose, quelle si) politiche neo-liberiste dell’Europa si possono sconfiggere anche guardando all’esperienza recente dei paesi dell’ALBA bolivariana.

L’intervista

 
– Nonostante l’oggettiva insostenibilità e le previsioni di una sua fine imminente, l’Euro è ancora la moneta di riferimento per i 18 paesi membri. Non crede che l’esperienza recente greca dimostri che l’Euro sia destinato a durare per un periodo prolungato, data l’impossibilità per un paese singolo che non sia la Germania, di ‘staccare la spina’. E proprio per questo non crede sia giunto il momento di iniziare a ragionare in termini di ‘Europa del Sud’, immaginando in un lasso temporale di medio-lungo periodo, una nuova organizzazione in grado di sostituirsi all’Unione Europea e alla zona Euro, basata su altri modelli macro-economici e altri valori di riferimento? A suo giudizio potrebbe essere l’ALBA latinoamericana, modello d’integrazione basato su solidarietà e giustizia sociale, il modello da seguire?
 

Sicuramente c’è bisogno della costruzione di un’altra Europa. L’Europa si è preoccupata in cinquant’anni e più di costruire in particolare la globalizzazione monetaria, finanziaria ed economica, non preoccupandosi di costruire quella dei diritti, delle persone e nemmeno di consolidare quella della solidarietà e della lotta alle disuguaglianze. Quindi da Sud e dal Sud Europa, può nascere una spinta per la costruzione di un’altra Europa e abbiamo dei segnali rappresentati da alcune esperienze nel sud Italia. Non vorrei apparire presuntuoso, ma il mio percorso politico e amministrativo nella città di Napoli si inserisce in questo discorso. Penso all’esperienza di Tsipras in Grecia, penso all’esperienza di Podemos a Barcellona. Credo che il sud Europa debba provare a costruire modelli non solo sociali, culturali e politici, ma anche economici diversi.

Quindi finanche il tema della moneta, secondo me, non dev’essere un tabù. Nel senso di costruire scambi economici fondati su monete alternative o comunque che vanno ad aggiungersi all’Euro. Senza per questo andare a fare una guerra di religione sull’Euro e la moneta unica, ma sicuramente con l’anelito di costruire modelli economici dal basso, con un’economia vicina alle comunità locali e che quindi non sia eterodiretta dalle grandi centrali della finanza e delle banche internazionali, quindi fondata sulla cooperazione, il mutualismo, la partecipazione popolare, il crowdfunding, su altre modalità di partecipazione alla vita collettiva attraverso la costruzione del concetto di bene comune che contiene al suo interno anche modelli economici alternativi. 


Quindi, io credo che dall’Europa del sud stia venendo una spinta forte verso la costruzione di un’altra Europa. 
Si può guardare alle esperienze latinoamericane, ai movimenti popolari del Sudamerica, a quelle esperienze politiche che si sono contraddistinte nel corso della storia. Credo che ci sono delle similitudini, fondate sulla sete di giustizia, sulla lotta alla disuguaglianza, sulla voglia di libertà, di andare contro gli oligopoli, contro le eterodirezioni. Noi non vogliamo essere né eterodiretti, né mantenuti, né assistiti. I popoli del sud questa forza devono avere: quella di fondare il proprio riscatto sulla voglia di autodeterminazione, di autogestione, sul concetto di appartenenza alla propria terra, che significa riscatto e non vincolo di schiavitù e subordinazione. Secondo me solo dal sud del mondo può venire una rivoluzione di questo tipo.  
 
– Uno dei pilastri fondamentali dell’ALBA è il Venezuela bolivariano, una realtà a cui lei ha mostrato in più occasioni vicinanza e solidarietà. Ritiene possibile per Napoli, come fece la città di Londra nel 2007, trovare un accordo di collaborazione con questo paese per ricevere carburante a prezzo scontato – in modo da abbassare le tariffe del trasporto pubblico per i meno abbienti – in cambio di know-how?Un accordo tra la città di Napoli e il Venezuela fu oggetto di colloqui importanti tra me e l’ex Console venezuelano a Napoli. Lavorammo anche alla stesura di un protocollo, che fece passi in avanti importantissimi sino ad arrivare a un accordo tra la città di Napoli e il governo venezuelano, che poi si arenò perché c’era bisogno di avere il via libera da parte del Ministero degli Esteri. Proprio qui in Italia, questo accordo si arenò perché venne detto che le città non potevano fare accordi diretti con governi. Però devo dire, questa è una notizia, che ci stiamo riprovando. Un mese fa circa ho avuto un incontro con l’Ambasciatore venezuelano a Roma, un incontro molto importante e proficuo, dove abbiamo rinsaldato rapporti per iniziative culturali e politiche, e dove abbiamo deciso di riprendere vigorosamente la possibilità di firmare un accordo. I nostri uffici sono nuovamente al lavoro per cercare di ottenere il via libera da parte del nostro governo. Sarebbe una gran bella cosa connettere i porti direttamente, connettere la nostra città al Venezuela. Realizzare esattamente quello che noi volevamo scrivere nel protocollo d’intesa: petrolio in cambio di know-how, sia in ambito tecnologico per l’industria, sia in ambito culturale.      

 
– Dal 3 ottobre in Italia, Spagna e Portogallo è in corso la «Trident Juncture 2015» (TJ15) – «la più grande esercitazione Nato dalla caduta del Muro di Berlino» nella definizione data dallo U.S. Army Europe, in cui il Comando delle forze congiunte NATO di Napoli avrà un ruolo chiave. Lei si è immediatamente schierato contro questa politica aggressiva e di guerra, dichiarando il Porto di Napoli ‘area denuclearizzata’. Cos’altro può fare lei come Sindaco in opposizione all’aggressività della NATO e la città di Napoli in generale per promuovere una politica di pace nell’area mediterranea?
 
Dobbiamo innanzitutto partire dalla Costituzione italiana nata dalla Resistenza al nazifascismo. L’Italia ripudia la guerra, articoli 10 e 11, come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Napoli ha la promozione della pace come elemento costitutivo della città, e noi come amministrazione lavoriamo in quella direzione: mentre altri innalzano mura nella civile Europa, noi non ne costruiamo. Anzi lavoriamo per costruire ponti di pace e per abbattere confini. La nostra città è sempre più una città di abitanti e non di cittadini: visto che il paese non riesce a dare la cittadinanza a chi nasce in Italia noi andiamo oltre e siamo la città degli abitanti. Tutti quelli che vogliono venire a Napoli trovano un luogo di accoglienza, solidarietà e fratellanza. Da questo punto di vista ci vogliamo caratterizzare, come una città che costruisce relazioni diplomatiche dal basso che vanno verso la non-violenza e la non aggressività. 

Dare messaggi che possano portare atti concreti e speranze laddove c’è guerra. Questo è quello che ho cercato di fare sulla questione mediorientale tra Palestina e Israele, cerchiamo anche di farlo tessendo rapporti con la comunità russa sul piano culturale. A noi non interessa schierarci in questa nuova guerra fredda, e non solo fredda, noi vogliamo essere amici del popolo americano, ma allo stesso tempo amici del popolo russo. Costruire relazioni diplomatiche dal basso e rapporti forti tra le nostre comunità. Credo che sia stato molto significativo, aver con una delibera di giunta dichiarato il porto di Napoli de-nuclearizzato. Un atto molto importante, motivato, a cui ha fatto seguito un ordine del giorno nell’Autorità Portuale perché noi non vogliamo che nel Porto di Napoli entrino sommergibili a propulsione nucleare o che ci siano portaerei con armamenti nucleari.


Siamo contro le esercitazioni militari di qualunque tipo e soprattutto di questo tipo – si tratta della più imponente dalla caduta del Muro di Berlino – nel nostro Golfo, che dev’essere il Golfo del turismo, dei naviganti, dell’accoglienza; il Golfo del recupero del mare, della preservazione della fauna ittica. A noi interessa costruire una città dell’accoglienza, multietnica, capitale del Mediterraneo che prova a costruire connessioni affinché il Mar Mediterraneo torni a essere un mare non insanguinato. Un mare azzurro e non rosso sangue. 
              
 
– Mentre diktat europei e politiche ultraliberiste svuotano le istituzioni elettive, Napoli continuerà a puntare sulla democrazia partecipativa?
 
Sempre con maggiore forza. Nell’ultimo anno e mezzo c’è stata una grande accelerazione in quella direzione. Crediamo nelle esperieze di autodeterminazione dal basso, guardiamo con grande interesse, per esempio alla questione di Kobane. Guardiamo con interesse alla liberazione di spazi che erano andati abbandonati o che non erano considerati più di nessuno. Abbiamo sostenuto non intaccandone per nulla l’autonomia, perché io credo molto al concetto di autonomia in tutti i sensi, anche in politica, esperienze tipo l’ex OPG a Materdei, ma penso anche alle altre esperienze come il Giardino Liberato sempre a Materdei, Santa Fede Liberata nel Centro Storico, l’Asilo Filangieri, Villa Medusa e altre esperienze. Noi crediamo che queste non sono azioni di occupazione illegale, violenta, di spazi della nostra città, ma processi caratterizzati da veri e propri connotati di liberazione di spazi abbandonati. 

L’amministrazione non è conflittuale con tutto questo, anzi. La vera rivoluzione è quella di tornare in qualche modo all’agorà di un tempo e alle origini. Vale per l’acqua, non a caso siamo l’unica città d’Italia che ha attuato il referendum sull’acqua pubblica. Vale per la terra, l’appartenenza al territorio, il recupero degli spazi abbandonati, la cura del patrimonio paesaggistico-monumentale e storico che abbiamo in base all’articolo 9 della nostra Costituzione. Vale per l’aria, volendo eliminare l’emergenza rifiuti, terra dei fuochi e veleni sprigionati per anni. Per fare questo serve un movimento di popolo, una partecipazione dal basso. Non si tratta di operazioni che puoi calare dall’alto. Noi diamo la nostra spinta, diamo la nostra energia, ma non basta: a questa rivoluzione interna alle istituzioni, si deve accompagnare una rivoluzione popolare, di riscatto, con grandi energie e grande creatività. 

Credo che Napoli, lo dico senza presunzione, in questo momento sia un laboratorio
. Non penso in Italia ci sia nulla di simile, un percorso comune dell’autonomia che viene fatto da chi rappresenta la città perché eletto democraticamente e quindi non nominato e chi sta facendo politica dal basso con la democrazia partecipativa. Penso che in Italia, in questo momento, rappresentiamo un laboratorio civico e politico.        

 

Intervista a Oscar Carrero del Comitato Vittime delle Guarimbas

di Clara Statello

Nel 2014 l’opposizione antichavista controrivoluzionaria scendeva per le strade del Venezuela a chiedere una presunta “libertà e democrazia”, dopo l’ennesima conferma elettorale del PSUV. Erano giorni di tensioni e violenze: immagini cruente sui media, sangue per le strade, presunti giovani e studenti che denunciavano “la repressione” e chiedevano un intervento esterno per porre fine alla “dittatura”.

Una enorme campagna pseudo-umanitaria denominata “SOS Venezuela” veniva lanciata su scala internazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica e spingere verso un cambiamento a Caracas. Secondo questi personaggi il socialismo si rivelava nuovamente un regime repressivo incapace di garantire il rispetto dei diritti umani. Diritti umani violati ovunque, anche adesso, come dimostrerebbe la condanna a 12 anni del leader dell’opposizione Leopoldo López, “perseguitato politico” per aver organizzato le proteste. Sorprendentemente questa condanna scuote l’animo dei parlamentari italiani del PD, notoriamente poco sensibili verso le vittime della repressione politica, che lanciano un accorato appello in difesa dei diritti umani del “prigioniero politico” López. 

É una storia molto toccante, soprattutto per un pubblico con una certa sensibilità progressista. Ma come la mettiamo se le vere vittime delle cosiddette manifestazioni democratiche arrivano in Italia e, anziché unirsi alla campagna in difesa dei diritti umani di Leopoldo López, lo accusano di essere il mandante delle violenze? Non vittima ma carnefice? 

Il Comitato Vittime delle Guarimbas e del Golpe Continuo in questi giorni sta girando l’Italia per raccontare una realtà opposta a quella mostrata dagli spot strappalacrime di “SOS Venezuela”. La realtà delle vittime capovolge la campagna mediatica: non è il governo di Caracas ad aver violato i loro diritti umani, ma il proprio Leopoldo López, che indicano come loro carnefice.

Si scopre così che i disordini non erano proteste spontanee che scaturivano dalla naturale aspirazione dei “giovani studenti” ad emanciparsi da una “ottusa dittatura liberticida”, ma piuttosto la conseguenza di un piano di destabilizzazione chiamato “La Salida”, volto a far cadere il governo di Maduro anche con un intervento esterno, piano in cui López avrebbe un ruolo centrale. Un golpe come quello in Libia e Ucraina o quello tentato in Siria. Una strategia della destabilizzazione permanente, un golpe continuo in una guerra mondiale per tappe condotta dagli Usa e loro alleati, contro gli Stati non allineati.

Le vittime delle violenze in Venezuela spiegano che le rivolte non erano condotte da giovani studenti, ma paramilitari armati, spesso stranieri, provenienti per lo più dalla Colombia, ma anche di ritorno dal Maidan ucraino. Non erano proteste pacifiche e democratiche, ma sommosse violente contro il governo in cui il popolo diventava ostaggio dei guarimberos. Ci raccontano, infatti, di strade bloccate da barricate, controllate dai rivoltosi, dei cittadini che potevano spostarsi solo pagando loro un pedaggio.

I “manifestanti” quando non erano mercenari armati stranieri, appartenevano alla classe medio alta, che non vede certo di buon occhio le misure sociali adottate dai governi bolivariani. I loro obiettivi, infatti erano istituzioni pubbliche: distruggevano scuole, asili, ospedali, centri di salute, enti del turismo.

Costringevano negozi e supermercati a chiudere, per costringere il popolo alla fame. Organizzavano attentati con armi da fuoco, molotov, bombe artigianali, e altri ordigni utili nelle imboscate, come miguelitos e papitas, contro politici chavisti, funzionari, forze dell’ordine, ma anche semplici cittadini.

Come il caso di Oscar Germán Guerrero, che abbiamo intervistato a Ravenna, durante il III incontro della Rete “Caracas ChiAma”, vittima di un’imboscata mentre trasportava medicine all’ospedale pubblico. Nell’imboscata Germán ha perso la mano. Pubblichiamo di seguito la sua testimonianza.

Qui di seguito quanto ci ha dichiarato Oscar.

Buongiorno, il mio nome è Oscar Germán Guerrero, sono venezuelano di San Cristóbal, dello stato di Táchira. Sono il portavoce del Comitato Vittime delle Guarimbas e del Golpe Continuo. Sono una vittima diretta.

Per nessuno è un segreto che lo stato Táchira è uno stato di frontiera con la Colombia, dove sono scoppiate le guarimbas, dove sono iniziate le guarimbas, dove sono state più forti, dove c’è stata più distruzione, più feriti e più morti. Dove hanno attaccato i CDI, i Centri Diagnostici Integrali.

In quei momenti noi ci siamo organizzati per prestare la nostra collaborazione al governatore Vielma Mora e a tutti i deputati del PSUV. Collaboravamo con un collettivo, che si chiama Luis Pablo Salina Ribas ed è partito da noi sostenere il governo e il presidente Hugo Rafael Chávez Frías. E noi ci siamo mobilitati. Quella domenica c’eravamo incontrati a casa mia. Uscimmo di mattina eravamo per liberare le strade dalle barricate e ci hanno chiesto di scortare delle medicine dirette all’ospedale, dove non lasciavano passare né auto, né camion, né ambulanze, niente. Io dissi di sì, di andare, perché sono un autista e so guidare un furgone. 

Così ci dirigemmo verso l’ospedale, ma nella nostra corsa serale, verso le cinque di sera, di quella domenica del 23 febbraio 2014, ci hanno teso un’imboscata, spargendo l’olio in mezzo alla strada, ci hanno aggrediti con bombe, con i miguelitos, che sono tre piccoli pezzi di ferro saldati che si spargono sulla strada per far esplodere gli pneumatici dei mezzi in transito per fermarli.

Ci hanno colpito perché dicevano che il furgone era di uso ufficiale e quindi dovevano ucciderci perché eravamo chavisti. Io gli gridai che non lavoravamo per il governo ma che stavamo solo trasportando medicine per l’ospedale, medicine per tutti. Loro non capivano, sembravano delle belve. Hanno cominciato a tirarci bombe, oggetti contundenti, di tutto. A un certo punto qualcosa stava per colpirmi la faccia. Io ho messo la mia mano davanti, per proteggerla e così l’ho persa.

Sono rimasto 5 giorni in terapia intensiva all’ospedale centrale tra la vita e la morte. Dopo 5 giorni mi sono svegliato ero convinto di star bene. Poi è arrivato il dottore con i miei figli a dirmi che doveva parlarmi: mi ha detto che avevo perso la mano. All’ascoltare quella notizia sono svenuto per un altro paio di ore. Al mio risveglio i miei figli mi hanno consolato, mi hanno detto che io ero un guerriero e dovevo continuare a lottare.

E adesso sto qui, nella lotta per il Venezuela, per il nostro paese e per la verità, perché i mezzi di comunicazione e l’opposizione rovesciano la verità, mostrano noi come carnefici e come vittime i responsabili dei disordini, che fanno passare come “prigionieri politici”, come perseguitati.

Noi del Comitato Vittime delle guarimbas andiamo in giro per il mondo per testimoniare la verità su tutto ciò che è successo in Venezuela, affinché tutti sappiano quello che abbiamo sofferto e affinché cose di questo genere non accadano più. Quello che noi chiediamo a tutti i popoli di tutti i paesi è che ascoltino.

Diciamo la verità perché crediamo nella pace, nella libertà e chiediamo che ci sia giustizia, che non sia impunità, che non violino più i nostri diritti umani, perché loro utilizzano i diritti umani per uscire ad aggredire la gente e a uccidere durante le loro manifestazioni. Che non li utilizzino! Perché i diritti umani sono molti, però ce n’è uno fondamentale che è la nostra vita, il diritto alla vita di tutti noi. A noi hanno violato tutti i diritti: il diritto all’istruzione, all’alimentazione, alla libertà di camminare per strada. Chiediamo a che nessuno si faccia trascinare dagli appelli a creare disordini e violenza di questo tipo, che pensino perché quello che è successo a noi in Venezuela può succedere in qualsiasi altro paese e che nessuno si attenga a questi appelli.

Quale è stato il ruolo di Leopoldo López nelle Guarimbas?

Leopoldo López è stato il principale mandante intellettuale, è stato l’ideatore della cosiddetta “Salida”. E’ stato lui a incitare ai disordini e alla violenza che hanno portato la morte qui in Venezuela. È lui la principale causa degli 878 feriti che ci sono stati, dei 43 morti, delle devastazioni che ci sono state nel paese, delle famiglie che hanno perso tutto.
Leopoldo López incitò alla violenza e organizzò “La Salida” e non si è messo la mano sul cuore come essere umano, ha avuto bisogno che ci ammazzassero, per metterci gli uni contro gli altri.

Qui in Italia alcuni parlamentari del PD hanno pubblicato un documento per chiedere la liberazione di colui che definiscono “un combattente per la libertà”, cioè Leopoldo López. Sappiamo che anche in Spagna hanno espresso critiche al governo venezuelano per la carcerazione di López. Come considera queste pressioni esterne su questioni che concernono la politica interna di un paese sovrano?

Per nessuno è un segreto che è stato Leopoldo López a fare appello alla “Salida” in Venezuela, l’uscita di scena per via non democratica del presidente Maduro, che ha chiamato a manifestare nelle strade e a intraprendere il cammino della violenza e della distruzione, dei 43 morti e degli otre 800 feriti, che ci sono stati nello stato Táchira e in altre regioni del paese. Però noi non chiediamo vendetta, lo abbiamo sempre detto, noi chiediamo la pace, la verità e la giustizia. Per noi è molto doloroso, lui aveva l’obbligo di assumersi la responsabilità dei suoi atti e accettare il fatto che è responsabile di tutto questo disastro che ha scatenato in Venezuela.

Loro si definiscono prigionieri politici, ma non lo sono. Sono persone che hanno compiuto crimini e causato disastri in Venezuela. E questi politici degli altri paesi, come Spagna, Colombia, Messico, che dicono di difendere i diritti umani negli altri paesi, perché non parlano di diritti umani di noi vittime, ma parlano dei diritti umani di una sola persona, Leopoldo López? E dicono che in Venezuela non si rispettano i diritti umani e che il Venezuela è una dittatura. Leopoldo López sta in carcere ma sta bene, vive in una cella tutta per lui e con tutte le comodità. Se lo stesso fosse successo in Italia o in un altro paese gli avrebbero dato almeno 30 anni, non solo 13 anni, 9 mesi e dodici giorni, come è accaduto in Venezuela, e anche per questo siamo indignati.

Bielorussia: un paese dal volto giovane

di Danilo Della Valle

Per molti esperti, il prossimo mese di Ottobre sarà un importantissimo mese per il futuro della Repubblica di Bielorussia. La Russia Bianca resta infatti l’ultimo avamposto antimperialista in Europa, l’ultimo Paese ancora fedele alla Madre Russia, sotto attacco Nato ormai da molto tempo. In verità la Repubblica governata da Alexander Lukashenko è stata oggetto di un tentativo di cosiddetta “rivoluzione colorata” già nel 2010, ma il tentativo non andò a buon fine, nonostante l’impegno dei vari sponsor (ONG) e media stranieri.

Con la crisi Ucraina, il governo Bielorusso si è ritagliato uno spazio importante nello scenario internazionale cercando di fare da paciere e cercando di risolvere il conflitto in maniera pacifica e senza ulteriore spargimento di sangue tra fratelli.

Tra poco meno di un mese il governo Lukashenko sarà chiamato ad una grande prova, quella delle elezioni.

Di seguito proponiamo una intervista al Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Bielorussia nonché membro del Comitato esecutivo della città di Minsk, Nikolay Viktorovich Volovich. Il Partito Comunista di Bielorussia (PKB) nacque nel dicembre 1918 a Smolensk e nei giorni della Grande Guerra Patriottica fu il principale organizzatore della Resistenza antinazista. Oggi il Partito Comunista di Bielorussia è uno dei maggiori partiti della Repubblica di Belarus, ha una sua importante rappresentanza al Parlamento, alla Camera dei Deputati, nelle autorità esecutive, e nei vari consigli locali, inoltre conta circa 7.000 membri.

  1. – Ad ottobre ci saranno le elezioni Presidenziali in Bielorussa, il suo Partito appoggia la candidatura del Presidente in carica Alexander Lukashenko, quali sono i punti in comune con il suo programma elettorale?

        – Le prossime elezioni del Presidente della Repubblica di Belarus avranno un valore politico importante non solo per il  Partito Comunista di Belarus, ma anche, più in generale, per la Repubblica di Belarus.

L’11 ottobre dovremmo fare una scelta importante che definirà la prospettiva dello sviluppo sociale, economico e politico del paese per i prossimi 5 anni. Il nostro partito non ha proposto il suo candidato presidenziale. Al XI (XLIII) Congresso straordinario del KPB  è stata approvata la decisione di sostenere la candidatura del Capo dello Stato Alexander Grigoryevich Lukashenko alla Presidenza della Repubblica di Belarus.

Il nostro sostegno alla candidatura dell’attuale Presidente di Bielorussia è dovuto al fatto che alla base del corso sociale, economico e politico condotto da Alexander Lukashenko ci sono idee di un lavoro costruttivo e di una società di giustizia sociale, libera dai principi della bugia redditizia. Queste condizioni coincidono completamente con le condizioni del programma del nostro partito. Sia nella sua base che nella base dell’ideologia socialista.

  1. – Alcuni giornalisti e politologi, in Occidente, credono che la Bielorussia possa esser il prossimo Paese ad esser destabilizzato sull’onda della “rivoluzione colorata” Ucraina, crede ci possa esser un tentativo da parte delle opposizioni con l’appoggio di ONG internazionali?

      –  Non ci sarà mai un altro Maidan in Bielorussia. È già stato dichiarato dal Presidente della Repubblica di Belarus Alexander Lukashenko. Certamente la nostra “quinta colonna” può cercare di destabilizzare la situazione con l’aiuto di sponsor stranieri. Ma in genere, nel nostro paese, noi non abbiamo tali prerequisiti sociali e politici che hanno condotto Kiev a Maidan a suo tempo.

  1. – Negli ultimi anni sembra esser ritornati ad una sorta di guerra fredda, molti sono i Paesi sotto attacco dell’Imperialismo, quale è la posizione del suo Partito riguardo quello che accade in Ucraina, Siria ecc. Ecc.?

– In 25 anni dall’indipendenza dal centro industriale, scientifico e culturale della ex URSS, l’Ucraina si è trasformata in un paese povero con l’industria distrutta e l’economia che, oltre ad esser distrutta dalla guerra civile, è governata da un gruppo oligarchico.

Naturalmente per l’Europa e gli Stati Uniti non esiste nessun obbligo morale riguardo agli stati-limitrofi. Essi senza rimorsi hanno finanziato e istigato le guerre in Libia, Siria, Iraq, Jugoslavia, rovinano i paesi latino-americani e africani dove “la gente di Maidan” crede in un “futuro luminoso”, ma poi alla fine resta con niente, sporcata con il sangue dei compatrioti. È immorale? Senza dubbio, ma la loro politica è così. Dopo tutto l’élite occidentale agisce in corrispondenza dei propri interessi. Sono convinto che una via d’uscita c’è ed è lo sviluppo dei processi d’integrazione tra i Paesi non allineati.

  1. – Il Partito Comunista Bielorusso è molto attivo sulla questione Ucraina, come giudica la decisione di pochi giorni fa di mettere fuorilegge il Partito Comunista Ucraino?

      – Tutto quello che sta succedendo non solo in Ucraina, ma in tutto il mondo non ha niente in comune con la democrazia originale che presume la possibilità della gente di influenzare il processo decisorio al livello statale più alto in favore dei propri interessi. È difficile da esprimere lo shock che provi leggendo la legge che vieta la simbologia sovietica e comunista, e la decisione di mettere fuori legge il KPU. La legge non è ancora stata firmata dal presidente, ma i monumenti sovietici li hanno già iniziati a distruggere. Ma i comunisti ucraini non si arrenderanno. Nonostante la pressione, la repressione giudiziaria e le minacce di violenza fisica, continuano a combattere organizzando ed attuando azioni di protesta, conducendo il lavoro di propaganda nelle strade delle città.

  1. – L’Europa, e l’Italia in particolare, sta soffrendo moltissimo per la situazione di sanzioni e contro-sanzioni che si è venuta a creare con la Russia. Come la Bielorussia vive questa situazione instabile dal punto di vista delle relazioni commerciali?

– Le tendenze negative nella economia della Russia indubbiamente hanno intaccato le relazioni economiche e politiche con la Bielorussia. Gli esperti occidentali parlano di un deflusso degli investimenti dalla Russia in generale, e un  ritardo della economia. Il nostro paese dipende dalla Federazione Russa in molti parametri perciò, naturalmente, tutto questo si è riflesso considerevolmente sulla Repubblica di Belarus.

  1. – Dopo la sparizione fisica di Chávez il popolo Bielorusso è stato tra quelli più attivi nella commemorazione del Comandante, determinata dalla grande collaborazione tra i due Paesi. In quali progetti i due Paesi hanno collaborato e quali prospettive future di sviluppo ci sono tra la Repubblica di Bielorussia ed i Paesi dell’ALBA?

– Le relazioni tra la Repubblica di Belarus e la Repubblica Bolivariana del Venezuela furono istituite nel 1997 nella missione permanente di Belarus all’ONU a New-York. Lo stabilimento delle relazioni così ritardato (vi ricordiamo, la stessa cosa avvenne con i più grandi paesi della regione ancora nel 1992) testimoniò la sottovalutazione da parte bielorussa del ruolo potenziale del Venezuela nella regione.

Le visite reciproche dei due Presidenti hanno promosso la crescita importante dello scambio di merci tra i due Paesi. Se nel 1998 questo scambio fece 3,6 milioni di dollari, nel 2005 — 15,6 milioni di dollari, già nel 2007 — 100 milioni di dollari, con l’aumento predetto fino a 650 milioni di dollari, che mette il Venezuela al secondo posto nella regione sul volume di cooperazione economica (vi ricordiamo, al primo posto resta sempre il Brasile con lo scambio di merci di 1,3 miliardi di dollari). La nomenclatura delle merci esportate si è estesa considerevolmente — oltre ai fertilizzanti potassici la Repubblica di Belarus ha cominciato a consegnare la produzione di tecnologie avanzate al Venezuela.

La cooperazione con il Venezuela per la Repubblica di Belarus ha permesso di trovare un nuovo partner e un alleato, ha aperto parecchie opportunità per la realizzazione del potenziale economico, scientifico e militare.

In 10 anni a partire dal momento in cui sono stare stabilite le relazioni tra i due Paesi, fu creata una considerevole base legale. “Lo sfondamento venezuelano” è diventato indicativo in molti aspetti per la diplomazia bielorussa perché ha fatto rivedere sotto altra luce le prospettive del continente latinoamericano. La cooperazione bilaterale si è sviluppata in una partnership strategica che è causata da parecchi fattori. In primo luogo, la coordinazione al livello politico con il partito venezuelano permette alla Bielorussia di ottenere il sostegno potente in parecchie organizzazioni internazionali (prima di tutto, nel Movimento dei Paesi non Allineati). In secondo luogo, sul piano economico il Venezuela oltre a una prospettiva di mercato interno è anche “la chiave” al mercato di tutta la regione latino-americana, cosa su cui insisteva anche Chávez. Per il Venezuela la Bielorussia è il fornitore di tecnologie avanzate, e anche il compagno in cooperazione militare e tecnica. L’ultimo aspetto è molto importante per il governo Venezuelano tenendo conto della pressione permanente da parte degli Stati Uniti.

         Lo sviluppo dei rapporti con il Venezuela permetterà ai reparti produttivi bielorussi di cambiare concettualmente le idee di prospettive di sviluppo delle relazioni con i paesi dell’America Latina.

  1. – La Bielorussia per molti è ancora un Paese sconosciuto, i media Occidentali non menzionano mai i dati internazionali dove risulta che la Bielorussia ha una percentuale di disoccupazione bassissima, livello di istruzione elevatissmo, grande sviluppo tecnologico, ecc ecc. Ci racconti la Bielorussia vista dai suoi occhi.

– Il mio Paese lo vedo esattamente come lei vede la Sua famiglia – stabile, un Paese con un volto giovane e a misura d’uomo.

La Bielorussia è la mia famiglia, e vorrei che nel mio Paese non ci fosse mai alcun problema. Noi non creiamo problemi ai nostri vicini, siamo un Paese dignitoso, che è sempre più autosufficiente e indipendente.

Venezuela: a colloquio con Giulio Santosuosso

di Paolo Moiola – rivistamissioniconsolata.it

Colloquio con il professor Giulio Santosusso

Nato a Roma, una laurea summa cum laude in matematica, Giulio Santosusso lascia l’Italia per il Venezuela nel lontano 1968. Dopo essere stato professore presso la Universidad de Oriente di Cumaná e la Universidad Simón Bolivar di Caracas, nel 1985 fonda la Editorial Galac, una casa editrice che si propone l’obiettivo di «appoggiare la società nel cambio di paradigma verso l’economia della conoscenza». Egli stesso è autore di due libri di successo: «Reinventar a Venezuela» (1992) e «Socialismo en un paradigma liberal» (1999). A dispetto dell’età e del fisico minuto, Giulio Santosuosso è una forza della natura.

Professore, a sentire i principali media italiani e internazionali il Venezuela è una dittatura senza se e senza ma.

«È impressionante come i giornali abbiano perso la capacità d’informare. E fanno realmente ridere quando usano la parola “dittatura”. In Venezuela, negli ultimi 15 anni si sono celebrate 19 elezioni e con un sistema elettorale che, nel settembre 2012, Jimmy Carter, ex presidente degli Usa, ha dichiarato essere il migliore del pianeta.

Mi chiedo: sono coscienti del fatto che stanno mentendo?

Siamo la prima dittatura nella storia del pianeta che vuole che la gente sia istruita, colta. Non si può non ridere pensando che esistono persone che chiamano dittatore un presidente come Chávez che affermava “il libro libera” e che, nel suo programma televisivo (Aló Presidente), suggeriva i libri da leggere (tra cui, una volta, anche uno mio). Un altro dato, molto importante, secondo me. A inizio dicembre ci saranno le elezioni per il parlamento. I candidati del Psuv (Partito socialista unito del Venezuela, il gruppo principale della coalizione “Gran Polo Patriótico”, ndr) sono stati scelti lo scorso 28 giugno dalla base attraverso le primarie alle quali hanno partecipato quasi 3,2 milioni di persone. Dovevano scegliere tra 1.152 cittadini, dei quali il 60% donne, e il 49% minori di 30 anni. Anche i partiti dell’opposizione hanno fatto (il 17 maggio) le primarie, però con alcune “piccole” differenze: chi si candidava doveva pagare 150.000 bolivares (equivalenti, al cambio ufficiale, a 23.800 dollari); si sono presentati 110 candidati (dei quali solamente il 10% donne) e in meno della metà delle circoscrizioni elettorali (33 su 78). Per finire, hanno votato meno di 550 mila persone».

I media sostengono però che il presidente Maduro e il suo governo imprigionano i propri avversari politici…

«Le persone che stanno in prigione, chiamate dai mezzi di disinformazione “prigionieri politici”, sono Leopoldo López, Daniel Ceballo e Antonio Ledezma. Per colpa della loro chiamata alla protesta (guarimba), tra febbraio e marzo 2014 ci sono stati 43 morti e più di 800 feriti. Ma c’è di più. La quasi totalità dei morti erano sostenitori del governo o poliziotti!».

In un articolo del Corriere della Sera (6 giugno) Leopoldo López viene descritto come un eroe senza paura e senza macchia.

«Ricordo che egli ha fondato il partito Primero Justicia (dal quale è poi uscito) con fondi della compagnia statale Pdvsa di cui la madre era una dirigente. Ma soprattutto, quando era sindaco di Chacao, ha partecipato attivamente al golpe dell’aprile 2002. È uno dei primi responsabili delle violenze del 2014. Gli aggettivi per questo “eroe senza paura e macchia” è meglio che me li tenga in testa…».

Insisto su questo tema. Su un altro quotidiano (La Stampa, 3 marzo), Antonio Ledezma è descritto come un martire e Maduro come un affamatore.

«Prima di fare un’intervista, un giornalista dovrebbe informarsi adeguatamente sulla persona alla quale rivolgerà le proprie domande».

Molti degli oppositori di oggi appoggiarono a vario titolo il golpe del 2002.

«Che dire? In un eccesso di bontà, a fine dicembre 2007 il presidente Chávez amnistiò tutti. Lo ripeto sempre nelle mie conversazioni: lui era un ingenuo».

La situazione economica del Venezuela viene descritta come al limite del default. E ancora: inflazione molto alta, carenza di beni di prima necessità, dollarizzazione dell’economia. Come stanno le cose?

«I mezzi di disinformazione parlano della scarsezza, però non riferiscono quasi mai notizie di segno opposto come il ritrovamento nei magazzini di migliaia di tonnellate di un prodotto che scarseggia, volutamente sottratto alla distribuzione. L’inflazione è senza dubbio molto alta, però la grande domanda è: in che misura è indotta dalla speculazione? Una delle ipotesi che si fanno è che molte imprese fissano i prezzi del prodotto usando il dollaro parallelo come unità di misura (da cui la “dollarizzazione” dell’economia), mentre li importarono con un dollaro a 6,3 bolivares (Bs). Riguardo alla valuta americana, è poi importante leggere i numeri: più del 70% dei movimenti in divisa si fanno con il cambio ufficiale a 6,3. Più del 20% si fanno con il dollaro Sicad (per esempio: gli acquisti via internet e i dollari per il turismo all’estero), che sta a 12 Bs. Infine, una quantità che non arriva al 5% si fanno con il dollaro Simadi, che gira intorno ai 200 Bs. Però chi vuole gridare alla pessima situazione economica del Venezuela usa il DollarToDay, una pagina web in mano a gente dell’opposizione, che dice che il dollaro sta a più di 400 Bs. A me piacerebbe molto sapere se veramente esiste gente che compra un dollaro a 400 Bs. Neanche un narcotrafficante lo farebbe!».

Il Venezuela è uno dei primi produttori mondiali di petrolio. Eppure non siete riusciti a gestire adeguatamente questa ricchezza.

«Non sono affatto d’accordo! Io credo che la ricchezza derivante dal petrolio sia stata gestita molto bene. I risultati lo dimostrano. Per esempio, lo scorso aprile è stata consegnata la casa n. 700.000 della Gran Misión Vivienda. L’obiettivo è che, entro il 2019, nessun venezuelano viva più in una baracca. Una enorme quantità di barrios, specialmente quelli su colline pericolose, che con una forte pioggia possono crollare, oggi non esistono più e tutti i loro abitanti vivono in appartamenti donati dalla missione governativa (e completi di cucina, scaldabagno, mobili, etc.). Quindici anni fa la povertà riguardava quasi il 50% della popolazione, oggi il 27%. E poi uno dei numeri più importanti in assoluto, è – io credo – l’investimento delle entrate petrolifere nel sistema educativo. Nel 2005 l’Unesco dichiarò il Venezuela paese libero dall’analfabetismo. Oggigiorno la percentuale di studenti universitari è la seconda a livello latinoamericano e una delle prime a livello mondiale. In questi quindici anni (dal 1999 al 2014), si sono spesi nell’area sociale – educazione, salute, casa, etc. – ben 782 mila milioni di dollari, una cifra corrispondente al 62% delle entrate statali. Guardando ai numeri, io dico che Venezuela è il primo paese nella storia che sta trasformando in realtà la dichiarazione universale dei diritti umani».

Il Venezuela importa tutto o quasi tutto. È una grave debolezza, non crede?

«Non è vero che importiamo tutto o quasi tutto, ma è vero che importiamo molto. Il problema è che finora abbiamo vissuto sulla cosiddetta renta petrolera. Per fortuna, ogni medaglia ha due facce, e la faccia (secondo me) positiva della discesa del prezzo del petrolio è che si comincia a discutere sul tema. Ad esempio, si sta promuovendo molto l’agricoltura».

Tutti i principali rapporti internazionali attribuiscono al Venezuela altissimi tassi di criminalità.

«Il grande problema del Venezuela è di stare tra la Colombia, il maggiore produttore di droga del pianeta, e gli Usa, il maggior consumatore. La droga entra dalla frontiera colombiana, all’Ovest del paese, ed esce dallo stato di Sucre, all’Est del paese, da dove va, si dice, a Trinidad e da qui agli Usa e al resto del mondo. La grande maggioranza degli atti delinquenziali è legato alla droga. Per esempio, la grande maggioranza degli omicidi sono “aggiustamenti di conti” fra bande rivali, per il dominio del territorio. Io vivo a Caracas da 45 anni, vado camminando da tutte le parti e non sono mai stato testimone di un atto delinquenziale e una sola volta mi hanno derubato del portafogli sulla metropolitana. Però, quando lo racconto, molto spesso mi rispondono che sono una persona super fortunata! Quanto ai sequestri, altro crimine molto diffuso, essi sono generalmente realizzati da paramilitari colombiani. Altro dato importante: le inchieste dicono che la percezione di insicurezza è maggiore della insicurezza reale».

Secondo il presidente Obama il Venezuela è una minaccia per gli Stati Uniti…

«Quindici anni fa, gli Usa dominavano il mondo intero. Oggi la maggior parte dei paesi va per un altro cammino, soprattutto grazie a Chávez. La consacrazione definitiva del nuovo corso è avvenuta nella “Cumbre de las Américas” (il vertice dei paesi americani, ndr), tenutasi a Panamá lo scorso aprile, durante la quale tutti i convenuti si sono espressi contro il decreto esecutivo di Obama, al punto che il presidente se n’è andato per non sentir parlare contro di lui. Una vera e propria fuga, la dimostrazione palese di una disfatta».

Il Venezuela ha sempre aiutato economicamente Cuba. Adesso Cuba ha fatto pace con gli Stati Uniti, il nemico di sempre. Cosa cambierà per voi?

«Questa è una lettura sbagliata della situazione. Credo sia molto importante spiegare meglio la relazione tra Venezuela e Cuba. Se è vero che noi l’abbiamo sempre aiutata economicamente, è altrettanto vero che Cuba ha sempre ricambiato con le missioni sociali. Pensiamo ai medici cubani. Prima di Chávez la gran parte dei venezuelani non aveva mai fatto una visita medica. Oggi tutti le fanno, a poca distanza della propria casa e gratis. Se si provasse a calcolare il valore monetario di tutte le consulte mediche, operazioni, protesi, etc., è possibile che quella cifra risulterebbe maggiore dello sconto fatto a Cuba sul prezzo del petrolio venezuelano».

I rapporti con la vicina Colombia sono piuttosto tesi. Come mai?

«La Colombia è un paese realmente misterioso. Tutti quanti sanno che Alvaro Uribe Vélez è uno dei suoi principali narcotrafficanti, collocato al n. 82 nella lista stilata dalla Dia, l’agenzia d’intelligence statunitense, però lo hanno eletto presidente, e adesso senatore. È il creatore dei paramilitari, e quindi il responsabile morale di centinaia di migliaia di morti. L’attuale presidente, Juan Manuel Santos, ha occupato incarichi importanti durante la presidenza Uribe, e questa è una confessione di disonestà. Oggi ci sono in Venezuela circa sei milioni di colombiani che sono scappati dal proprio paese per la povertà, la guerra civile, la violenza. Troppi di loro svolgono però attività disoneste, ad esempio comprano prodotti in Venezuela e li vanno a rivendere alla frontiera colombiana. Al presidente Maduro, che il 4 di giugno aveva detto che i colombiani “vengono qui portando necessità e povertà, e cercando educazione, lavoro, salute e casa”, il presidente Santos ha risposto dicendo che “Colombia genera prosperidad y no exporta pobreza”. Un’affermazione francamente ridicola».

Secondo Freedom House in Venezuela i mezzi di comunicazione non sono liberi.

«Quando Orson Welles, nella sua famosa pellicola “Il cittadino Kane”, parla della stampa come del “quarto potere”, non immaginava che qualche decennio dopo sarebbe diventata il primo!

Le dichiarazioni sulla mancanza di libertà di espressione in Venezuela sono realmente comiche e il fatto che tanti media occidentali le ripetano in maniera automatica e acritica è un pessimo segnale. Come non rendersi conto della contraddizione esistente nell’affermare che “in questo paese non abbiamo libertà d’espressione” davanti a decine di giornalisti che poi fanno domande sul tema? Non è forse questo un sintomo evidente di “analfabetismo funzionale”?

Nel 2000 in America apparve un libro, The Twilight of American Culture (Il crepuscolo della cultura americana), di Morris Berman, in cui, alla pagina 42, afferma che “il numero di adulti realmente istruiti negli Stati Uniti è il 3% della popolazione”. Cioè il 97% è analfabeta funzionale. Io ripeto sempre che a quel libro occorrerebbe cambiare il titolo in The Twilight of Occidental Culture, perché quello che l’autore dice sugli Usa si applica a tutto l’Occidente.

Quando vado a fare il turista a Roma, passo sempre a salutare un amico, proprietario di una libreria dove cinquanta anni fa compravo molti libri. Lui mi dice: “Giulio, io sopravvivo vendendo guide ai turisti… Nessuno più compra un libro…”. Qui in Venezuela è esattamente l’opposto: tutti gli anni aumenta il numero di libri che si vendono».

Donbass: intervista al combattente internazionalista anarchico Ludwig

da Comitato per il Donbass Antinazista

“Ludwig” italiano ed anarchico, entra nell’Unità 404 dei comunisti combattenti del comandante Arkadich. Lo intervistiamo.

• Nome di battaglia?

Ludwig

• Come il compositore?

Come il più grande compositore di sempre-

• Perché sei qui?

Vivo di ideali ma sono anche una persona molto pratica…

• In che senso?

Sono un anarchico, ho la mia utopia per cui combattere. Ma ciò che succede nel Donbass è qualcosa di diverso. E’ un qualcosa di tetro che può succedere anche in Italia se non lo fermiamo in tempo. La fascistizzazione dell’Ucraina è una questione seria. Una società evoluta dovrebbe puntare alla distruzione dei padroni mentre avviene il contrario in Ucraina, quella “liberata” come dicono loro a Kiev. Lì c’è proprio la massima espressione di quel che di peggio può combinare un padrone. L’indottrinamento e la propaganda stanno promuovendo il massacro di migliaia di persone.

• Quindi sei qui per partecipare ad una sorta di fronte antifascista?

Sì, fondamentalmente qui come in tutta Europa non c’è nemmeno un germoglio di quel futuro che un uomo dai principi di sinistra come me si augurerebbe di trovare. E’ una situazione generalizzata dei tempi che viviamo, possiamo solo porre resistenza alle barbarie che esondano di fronte ai nostri occhi, in attesa di una ricostituzione delle forze attorno ad un’idea comune di sinistra, di progresso.

Per il resto, mi chiedo, è possibile che nel 2015 ancora non si parli del benessere comune come argomento principale? Gli Stati Uniti, l’imperialismo, sono i promotori di questa visione omicida del mondo che porta l’uomo ad odiare l’uomo. Lo hanno dimostrato qui in Italia proteggendo i fascisti, utilizzandoli per soffocare i movimenti popolari. In Ucraina stanno sperimentando ora la regia statunitense, voglio sinceramente evitargli questa “democrazia” a stelle e strisce. Da questa storia o ne usciremo tutti un po’ più liberi o finiremo tutti un po’ più schiavi.

• Ludwig, la presenza degli italiani nel Donbass è veramente limitata se confrontata con quella gli spagnoli. Ti senti un po’ una specie di eroe?

Che sia un periodo storico in cui farebbe bene a tutti avere eroi questo mi pare evidente, purtroppo. In una società malata il popolo ha bisogno di eroi, nel casino della modernità fatta d’apparenza, sì, sarebbe proprio la medicina giusta. Ma ho solo una buona dose di senso del dovere, forse è empatia, forse sapere che è la cosa giusta da fare.

• Che ne pensi dei ribelli?

L’arma più forte che hanno i ribelli è la verità e non basteranno le armi più tecnologiche americane per sconfiggerli. Sono animati di un misto tra lotta di classe e guerra nazionalista. E’ già successo nella storia e continuerà a succedere. Sta a noi indirizzare e valorizzare una delle due tendenze.

• E dell’esercito ucraino?

Loro invece sono un misto fra nazionalisti, mercenari ma anche gente comune mandata a morire.

• Se incontri un soldato ucraino sul campo, uno giovane, magari finito nella mobilitazione di Poroshenko… cosa farai?

Questa guerra l’ho scelta e lui no, è contro questo che combatto, per evitare che altri come lui siano spinti a trovarsi nella sua stessa situazione.

• Hai saputo della campagna che stanno portando avanti gruppi musicali anarchici come i Moscow Death Brigade?

Mi stupisce questa cosa, sono rimasto piuttosto deluso quando ho letto il loro appello contro le repubbliche popolari. Non tutti gli anarchici hanno le stesse priorità, evidentemente. Forse sono rimasti spaventati dalla partecipazione di alcuni elementi nazionalisti fra la resistenza… ma questo sta nella natura delle cose, anche in Italia contro i nazifascisti fu proprio così, la situazione era tutt’altro che pura. Il conto però si paga alla fine. La guerra non finisce con la resistenza.

• Come ti informi?

Su internet c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno. Le televisioni sono inutili ed assoggettate ai poteri forti, è da sempre così. Con internet tutto questo è stato scavalcato, per chi comanda è un grosso problema. Seguo soprattutto alcuni gruppi italiani e spagnoli, sono quelli che stanno più sul pezzo.

• Come descrivi questa guerra?

E’ una guerra già vista, gli americani che armano e finanziano dei criminali ed il popolo che subisce le peggiori violenze di questa strategia scellerata. Ora c’è la tregua, prima ci riversavano proiettili e bombe dappertutto, senza badare alle zone abitate da civili inermi. Ogni area, anche a chilometri dalla linea del fronte, è a tiro dei missili Grad e dall’artiglieria.

• Quanto resterai lì?

Il tempo necessario, magari per mostrare ad altri che si può agire nella vita, che possiamo essere attori di questo spettacolo indecifrabile che è la nostra esistenza.

• Questa è la domanda che forse i più vorrebbero farti: non hai paura di morire?

Sono sicuro che quando giungerà la nostra ora ci torneranno in mente gli attimi in cui abbiamo voltato le spalle a chi aveva bisogno. Preferirei affrontare quel momento con il cuore sereno.

• Sei preparato per quello che ti aspetta?

Certo. Sono un fuciliere d’assalto.

• Vuoi mandare un messaggio ai compagni italiani?

Stare a casa ad impazzire sui socialnetwork, terribile, non credete?

‪#‎Donbass‬ ‪#‎Unit404‬ ‪#‎Anarchy‬ ‪#‎Lugansk‬ ‪#‎Donetsk‬ ‪#‎донбасс‬ ‪#‎Донецк‬‪#‎луганск‬ ‪#‎новороссия‬ ‪#‎Ukraine‬ ‪#‎Novorossiya‬

Geraldina Colotti: intervista a un guarimbero

unnamed (1)Si consiglia vivamente l’attenta lettura della seguente intervista poiché di sicuro interesse per chi voglia comprendere il profilo psicologico, culturale, sociale e politico di chi si è reso responsabile delle violenze reazionarie dell’ultimo mese.  

di  Geraldina Colotti, Il Manifesto

Caracas, 21mar2014.- Intervista a un componente delle “mani bianche”. «Così noi studenti di centro-destra ci riprendiamo le strade e ci facciamo sentire da questo governo che ha distrutto l’economia, ha portato la fame e le code»

«Con le gua­rim­bas ci siamo ripresi la strada, ci ser­vono per farci sen­tire», dice al mani­fe­sto lo stu­dente vene­zue­lano. Lo chia­me­remo Miguel. Fre­quenta la facoltà di Scienze della comu­ni­ca­zione all’università pri­vata Monte Avila, casa dell’Opus Dei in Vene­zuela. Vive in un quar­tiere di classe media della capi­tale. In fami­glia sono tutti cha­vi­sti e mili­tanti, padre, madre e fra­telli. Lui, un acceso oppo­si­tore. Fa parte dei «Mani­tas blan­cas», chia­mati così per via del palmo di mano dipinto di bianco che gli stu­denti mostrano quando avan­zano verso la poli­zia. Manos blan­cas arriva in Vene­zuela nel 2007 sull’esempio di Otpor (Resi­stenza), il gruppo “paci­fi­sta” finan­ziato dalla Cia per orien­tare le mani­fe­sta­zioni nella ex-Jugoslavia nel 2000. Il suo sim­bolo è un pugno, i cui colori variano a seconda del posto in cui si ripro­duce. Un sim­bolo di “pace”, secondo il gua­rim­bero, ma anche di «limite, fron­tiera della dignità che non ti per­met­terò di oltre­pas­sare», che segue le tec­ni­che “non-violente” illu­strate nel libro dell’ex agente Cia, Gene Sharp.

Per cosa protestate?
Soprat­tutto con­tro l’insicurezza e l’impunità pro­dotte da que­sto governo, che ha distrutto l’economia, ha por­tato la fame e le code, e non sa pro­teg­gere gli stu­denti nelle uni­ver­sità. Ci sen­tiamo in pericolo.

Lei sof­fre la fame? Ha subito aggres­sioni per strada?
Io vivo in un quar­tiere di classe media, fre­quento un’università pri­vata per­ché in quelle pub­bli­che stanno sem­pre in piazza, e voglio pro­se­guire gli studi in Europa. Però vedo la dome­stica che fa le code. E i turi­sti non ven­gono più in Vene­zuela per­ché hanno paura, nono­stante tutte le bel­lezze natu­rali del paese. Ogni giorno le camere mor­tua­rie sono piene di cada­veri. Una volta ho visto ban­diti spor­gere le armi dai fine­strini, sono scap­pato insieme ai miei amici. Dopo le mani­fe­sta­zioni del 12 feb­braio, durante gli scon­tri, sono stato preso a mal par­tito da un indi­vi­duo, evi­den­te­mente cha­vi­sta, che poi ha chia­mato altri. Quando ha visto la Mano bianca sulla maglietta, sim­bolo delle lotte stu­den­te­sche, mi ha preso a calci chia­man­domi «fasci­sta assas­sino». Sono finito all’ospedale. I col­let­tivi che appog­giano il governo devono essere disarmati.

Le «gua­rim­bas» hanno pro­vo­cato morti, feriti, deva­sta­zioni. Lot­tate con­tro l’insicurezza e poi la pro­du­cete? Chie­dete più poli­zia e poi pro­te­state per la pre­senza della Guar­dia nacio­nal bolivariana?
Le gua­rim­bas sono un’espressione demo­cra­tica, il governo deve garan­tirne l’espressione, non man­dare la Guar­dia nacio­nal. Ci sono dei momenti in cui si deve ricor­rere a certi metodi, che sosten­gono le mani­fe­sta­zioni paci­fi­che. In que­sto modo ci stiamo facendo sen­tire e abbiamo deciso di continuare.

Alcuni diri­genti della Mud chie­dono la caduta del governo. Lei è d’accordo?
Loro fanno poli­tica, hanno pro­getti, noi pro­te­stiamo, vogliamo solo stu­diare in pace, girare tranquilli.

Alcune orga­niz­za­zioni stu­den­te­sche hanno accet­tato il dia­logo con il governo. Cosa ne pensa?
Dev’essere un dia­logo alla pari. Noi abbiamo le nostre con­di­zioni: la sicu­rezza e la libe­ra­zione dei dete­nuti, in primo luogo Lopez e Simonovis.

L’ex com­mis­sa­rio Ivan Simo­no­vis ha spa­rato su mani­fe­stanti disar­mati a Puente Lla­guno, durante il golpe del 2002. Fra gli arre­stati ci sono per­sone accu­sate di omi­ci­dio. Siete con­tro l’impunità e volete fuori dal car­cere gli assassini?
Si tratta di pri­gio­nieri poli­tici, vit­time della dit­ta­tura chavista.

Secondo gli indi­ca­tori inter­na­zio­nali, il Vene­zuela ha uno dei più alti indici di svi­luppo umano, i diritti eco­no­mici sono garan­titi, si stu­dia gra­tui­ta­mente. Nella IV repub­blica gli stu­denti scen­de­vano in piazza per la scuola pub­blica, e mori­vano. In quale tipo di società le pia­ce­rebbe vivere?
IV, V, VI repub­blica… Non posso ricor­darmi com’era prima e non mi inte­res­sano i grandi discorsi. Sono con­tro le vio­lenze delle parti più estreme, ma mi con­si­dero uno stu­dente di centro-destra. Voglio viag­giare con tutti i dol­lari a dispo­si­zione senza dipen­dere da Cadivi, senza que­sto con­trollo dei cambi, voglio sce­gliere cosa com­prare, ma anche vivere qui con tutto que­sto, lavo­rare in una televisione.

Lei è un lau­reando in comu­ni­ca­zione sociale. Come valuta l’informazione sul Vene­zuela? I media inter­na­zio­nali par­lano di vio­la­zione dei diritti umani. Ha potuto veri­fi­carlo di persona?

Io no, ma alcuni amici me ne hanno rac­con­tate, molti sono stati fer­mati, altri sono in car­cere. Qui le tele­vi­sioni si divi­dono fra quelle che tra­smet­tono solo tele­no­vela e poca infor­ma­zione, e quelle che san­ti­fi­cano il dit­ta­tore Chávez. L’unica che infor­mava per dav­vero era Rctv, ma Chávez  non gli ha rin­no­vato la con­ces­sione e ha smesso di tra­smet­tere. C’era Glo­bo­vi­sion ma è stata com­prata da uno vicino all’apparato e si è ammorbidita.

Rctv ha par­te­ci­pato al colpo di stato con­tro Cha­vez nel 2002. Allora lei aveva 6 anni, in una foto pub­blica com­pare con la ban­diera boli­va­riana per mano di sua madre. Cos’è cam­biato dopo?
Cre­scendo, Chávez  non mi è pia­ciuto, nel 2008 sono stato eletto segre­ta­rio del Cen­tro stu­denti della mia uni­ver­sità e quando è arri­vata Manos blan­cas ho ade­rito. Ho comin­ciato a liti­gare in fami­glia per­ché sono tutti cha­vi­sti. E in que­sto mese la situa­zione è diven­tata più dif­fi­cile, evi­tiamo di par­lare di poli­tica, è molto dolo­roso. Spero che si risolva presto.

[Si ringrazia Mario Neri per la segnalazione]

P-CARC: Intervista con l’Ambasciatore venezuelano in Italia

Qui di seguito riportiamo l’intervista del P-CARC (Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo) a Julián Isaías Rodríguez Díaz, Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia

Dal mese di febbraio gli imperialisti USA hanno lanciato un’operazione di destabilizzazione per arrivare a un colpo di Stato (come nel 2002 contro il presidente Chávez). Quali sono le principali forze su cui fanno leva all’interno del paese?
Tentativi di questo genere ce ne sono stati anche prima. Già nel ’98 e prima, successivamente si sono concretizzati in un colpo di Stato nel 2002, una serrata del settore petrolifero nel 2003, e, in sequenza, azioni esattamente uguali a queste sono state messe in atto nel 2004, nel 2005 e nel 2007. Non è certo la prima volta che in Venezuela ci troviamo in una situazione di questo tipo. Questi avvenimenti sono parte di ciò che è stato definito “golpe morbido”. Una variante della guerra di quarta generazione, con la quale gli USA inizialmente non si mostrano, non si intromettono in maniera diretta, come è avvenuto in Cile. Agiscono disarticolando la società per generare il caos e in maniera che venga attribuita la responsabilità al governo venezuelano e, successivamente, attraverso i mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali, manipolano i fatti, ingigantendo e amplificando ciò che sta avvenendo.

 
In Venezuela in questo momento ci troviamo in una situazione economica difficile e complessa proprio a causa dei fatti di cui sopra, e che ancora oggi accadono. In Venezuela andiamo a dormire con il nemico, ci conviviamo. È una situazione diversa da quella che vive Cuba e che hanno vissuto altri paesi che hanno provato a costruire una società alternativa. Come accade in Bolivia, in Ecuador, o nello stesso Brasile, questa strategia di destabilizzazione il Venezuela la sta vivendo da molto tempo. Non si tratta semplicemente di un problema di ordine economico. È un problema inerente al fatto che c’è chi non vuole che esista alcun riferimento alla costruzione di un sistema diverso dal capitalismo. Noi siamo questo riferimento, continueremo ad esserlo e siamo assolutamente certi che il popolo venezuelano, i cittadini venezuelani che hanno sconfitto la reazione 17 volte nelle ultime 18 elezioni, faranno fallire i tentativi di destabilizzazione. 

 

Possiamo dire che questa operazione è il segno che il tentativo delle forze reazionarie interne di rovesciare il governo bolivariano per via elettorale è andato a vuoto? I risultati delle elezioni amministrative dell’8 dicembre scorso da questo punto di vista parlano chiaro…
Nella domanda è già insita la risposta. Come dicevo, in Venezuela in 18 elezioni il processo popolare rivoluzionario si è imposto per ben 17 volte. Le ultime tre sono state chiare: Capriles perde con Chávez, Capriles perde con Maduro e, successivamente, con le elezioni municipali, la differenza tra le forze rivoluzionarie e l’opposizione è superiore ad un milione di voti garantendoci la vittoria nel 71% dei municipi. Questo ha fatto pensare, non all’opposizione venezuelana, ma a coloro che la animano, a coloro che la utilizzano, che non c’è alcuna possibilità di imporsi con le elezioni e la democrazia. 
L’imperialismo, il fascismo non si fanno problemi nell’inventare qualsiasi cosa che non sia democratica, elettorale e pacifica per prendere il potere.  È per loro fondamentale mantenere il potere per continuare a tenere in piedi le relazioni capitaliste appoggiando tutte le azioni utili ad allargare il dominio dell’imperialismo neoliberista. Se per fare ciò hanno bisogno di ricorrere alla violenza fascista, lo fanno… e abbiamo già diversi esempi: il più recente è quello dell’Ucraina, ma prima c’è stato l’attacco contro la Siria e quello contro l’Egitto, nulla di nuovo quindi. Specialmente nei paesi produttori di petrolio: non in Arabia Saudita né in Qatar, ma in quei paesi che possono offrire una resistenza all’imperialismo e che possono in qualche modo offrire un’immagine di rinnovamento della società in funzione di una maggiore giustizia e uguaglianza. 

Da noi i giornali che non hanno collaborato alla campagna di disinformazione e diversione made in USA hanno principalmente denunciato l’operato delle squadre fasciste e la falsità delle notizie (e delle immagini!) partite dalla CNN. Noi vorremmo concentrarci sull’azione che il governo sta conducendo per continuare la rivoluzione bolivariana e avanzare verso il socialismo. Recentemente infatti il presidente Maduro ha annunciato un piano in 4 punti: 1. lotta alla speculazione sui prezzi nel commercio al minuto, 2. lotta contro l’insicurezza e la criminalità diffusa con interventi per creare posti di lavoro, 3. lotta per rafforzare le amministrazioni locali (comunali), 4. lotta contro la cospirazione. Quali sono le forze mobilitate per attuarlo e i risultati a oggi raggiunti?
La lotta contro l’insicurezza, contro la speculazione, contro l’irreperibilità dei prodotti, è una lotta che stiamo portando avanti da molti anni e che negli ultimi tempi si sta approfondendo. E’ una lotta permanente, perché uno dei modi per destabilizzare il nostro processo rivoluzionario da parte di questo nemico con cui andiamo a dormire, che abbiamo in casa, è provocare l’irreperibilità dei prodotti attraverso il controllo del commercio, quello che ancora sta nelle loro mani, e della produzione di alcuni beni di prima necessità e materie prime, che ancora conservano, per mettere in difficoltà il governo. Per arginare questa situazione stiamo agendo in maniera creativa [ndt: il riferimento implicito è alla frase di Simón Rodríguez “o inventamos, o erramos”, che può essere tradotta con “se non siamo creativi, commettiamo un errore”]. Stiamo dando una risposta nuova, promuovendo la mobilitazione popolare, delle donne, degli anziani, dei diversamente abili, dei lavoratori dell’industria petrolifera, affinché il Paese prenda coscienza che la sua forza fondamentale, pacificamente, sta nella mobilitazione di massa per dare sostegno al governo. E affinché il governo si esprima con forza con la voce delle comunità, pacificamente e nel migliore dei modi, con l’obiettivo di disarticolare le manifestazioni violente del fascismo. La violenza di coloro che vogliono trascinare nel caos e nel disordine la nostra società per generare eventuali scontri con il governo e quindi dimostrare che il governo è repressivo e che bisogna liberarsene con ogni mezzo, anche in maniera non democratica. Alla luce del fatto che non sono riusciti a raggiungere questo obiettivo, rimane solo la carta del golpe e dell’intervento esterno di terzi. Nel paese sono già sconfitti, sanno di non avere alcuna possibilità elettorale e nessuna possibilità democratica di imporsi e stanno intraprendendo forme non democratiche per arrivare al potere. Ma questo meccanismo non darà loro alcun risultato.
Il governo sta affrontando le questioni economiche, della giustizia, dell’occupazione, della sanità, abitative e dell’educazione. La Rivoluzione non si è mai fermata e possiamo vantare, di fronte al mondo, cifre e statistiche grazie alle quali la nostra Rivoluzione, agli occhi del mondo, non è solo una parola, ma conta su conquiste, fatti concreti, progressi sociali che danno profonda dignità alla società venezuelana. Ci sono meno poveri e ci sono molti più studenti di prima, siamo al quinto posto nel mondo per numero di nuovi iscritti all’Università. La popolazione del Venezuela è giovane, con una età media di 35 anni, e questa popolazione aspira ad un futuro migliore, come si è visto nelle elezioni: nell’ultima tornata elettorale il rapporto tra maggioranza e opposizione si è attestato al 60% contro il 40%.
Siamo perfettamente coscienti che tutto ciò è un riferimento mondiale nella lotta contro il capitalismo. 

Che dimensioni ha la classe operaia di fabbrica in Venezuela? Come è organizzata? Che orientamento e che ruolo ha nell’attuazione del piano in 4 punti?
Facevo prima riferimento al fatto che una delle mobilitazioni di appoggio al Governo rivoluzionario è stata una manifestazione di migliaia di lavoratori dell’industria del petrolio a Caracas. Una manifestazione così non c’era mai stata prima in Venezuela, una manifestazione dei soli lavoratori del settore petrolifero che sono scesi in piazza per sostenere pacificamente Maduro. La classe operaia si organizza in sindacati, ci sono centrali operaie nazionali, esistono diverse organizzazioni sindacali e reti sociali. Indubbiamente, con il processo rivoluzionario i più favoriti sono stati i lavoratori: c’è più lavoro, ci sono salari migliori, abbiamo il salario minimo più alto dell’America latina. Ci sono diverse opportunità per i figli dei lavoratori, opportunità di educazione e di formazione, ci sono opportunità di studio per gli stessi lavoratori: la giornata lavorativa è stata ridotta, i lavoratori hanno molto più tempo libero, hanno più tempo a disposizione per la formazione intellettuale, accademica, pratica, spirituale. Soprattutto esiste la certezza che la società marcia verso l’uguaglianza dei cittadini, marcia per dare risposte ai problemi di chi ha meno e fra questi ci sono i lavoratori. Non è un caso che la campagna di destabilizzazione si sia basata sulla categoria degli “studenti”, in nessun caso hanno provato a coinvolgere i lavoratori. Questo indica che i lavoratori sono parte fondamentale del processo rivoluzionario. 

Nel 2002, all’epoca del colpo di Stato contro il governo del presidente Chávez, il grosso delle Forze Armate venezuelane rimase fedele alla Costituzione e alla rivoluzione. Qual è attualmente il loro orientamento?
Una delle cose interessanti delle Forze Armate venezuelane è che rappresentano le uniche Forze Armate dell’America latina di estrazione popolare. La maggior parte delle caste che si sono formate in America latina tra le FA viene dall’élite della società, dell’aristocrazia sociale, invece in Venezuela proviene dal popolo e questo fa sì che abbiano una visione del paese molto più aderente e reale, con maggiore senso di responsabilità rispetto ad altre dell’America latina. Inoltre abbiamo avuto anche un altro elemento importante, con il Presidente Chávez, che proviene dalle fila delle Forze Armate con un’estrazione popolare: un contadino, un uomo di famiglia molto povera che è arrivato ad essere un comandante delle FA ed è arrivato ad essere Presidente della Repubblica uscendo da una caserma. Questo ha generato nelle FA una visione che noi chiamiamo “civico-militare”, che mette insieme l’elemento civile e militare con l’obiettivo di costruire il Paese. Uniti per costruire il Paese. In nessun altro Paese si è verificata una situazione di questo genere, ed è qualcosa che difficilmente può accadere dove le FA non hanno un’estrazione popolare. Inoltre hanno anche una maggiore coscienza politica. Il militare non è solo colui che ha come missione la difesa dello Stato, ma piuttosto la difesa della società. Questa difesa della società si articola in azioni che non sono necessariamente di guerra, ma in azioni con le quali i militari partecipano al lavoro civile con l’obiettivo di dare senso, formazione e conquiste alla società rivoluzionaria. I nostri soldati partecipano permanentemente alle attività per far fronte al problema degli approvvigionamenti alimentari, alla lotta al contrabbando, per evitare che gli alimenti vengano contrabbandati fuori dal paese. Trasporto, educazione, salute: i militari partecipano a tutte queste attività che sono attività civili. Ma l’aspetto più importante, che noi consideriamo imprescindibile, è che i militari sono strettamente legati al concetto di sovranità del nostro paese: per loro la cosa più importante è che il nostro paese sia un paese sovrano (concetto fondamentale di qualsiasi forza armata che sia tale), integrando a questo l’idea della società, della propria famiglia, dei propri fratelli, e facendo proprie le idee dei libertadores. Le nostre FA sono forze liberatrici, per liberare il nostro paese dall’oppressione. 

Sempre nel 2002, la gerarchia ecclesiastica (in particolare l’allora vescovo di Caracas Velasco Garcia) ebbe una parte importante nel colpo di Stato. Che forza ha la gerarchia ecclesiastica in Venezuela? qual è oggi il suo atteggiamento?
Esistono due Chiese. Quella dall’alto e quella dal basso. Quella che dirige la Chiesa e quella che milita, che partecipa alla Chiesa. Quella che partecipa alla Chiesa con contenuto popolare, non sarà mai domata né addomesticata da questa gerarchia ecclesiastica. Questa gerarchia ecclesiastica risponde agli interessi fondamentali di dominazione, ma coloro che stanno in basso, i dominati, sanno che devono liberarsi di questi gerarchi e sanno che devono liberarsi da questi elementi di dominazione. La Chiesa in Venezuela ha sempre giocato un ruolo determinante contro la liberazione. Nell’epoca di Bolívar la Chiesa provò a frenare l’emancipazione del Venezuela e in tutte le altre occasioni la Chiesa, per quanto concerne la sua gerarchia, è stata una Chiesa assolutamente conservatrice. Oggi continua ad avere lo stesso ruolo. Ma, insisto, esistono due Chiese: una cosa sono quelli che la dirigono e altro sono coloro che partecipano alla Chiesa. Chi partecipa alla Chiesa non necessariamente si identifica con i cardinali, con i vescovi. Inoltre ci sono molti sacerdoti in America latina che fanno ancora parte della Teologia della Liberazione e sono impegnati in un’interessante attività al fine di usare lo strumento della religione per unirsi al popolo e organizzare nelle fila del popolo una forza di liberazione.  

Ringraziamo Ciro Brescia, redattore di ALBAinformazione – per l’amicizia e la solidarietà tra i popoli, che ha curato la traduzione dell’intervista.

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