Egipto: Detienen a dos sospechosos de introducir bomba en el avión ruso

por RT

Dos empleados del aeropuerto egipcio de Sharm el-Sheij fueron detenidos este martes bajo sospecha de haber ayudado a introducir la bomba en el avión ruso A321 siniestrado en el Sinaí el pasado 31 de octubre, según informa Reuters, que cita una fuente en los servicios de seguridad de Egipto.

“Diecisiete personas se encuentran retenidas, dos de ellos sospechosos de haber ayudado a quien puso la bomba en el avión en Sharm al-Sheij”, señaló uno de los funcionarios citados por Reuters.

Por su parte, el Ministerio del Interior egipcio negó la detención de los empleados del aeropuerto del balneario del mar Rojo.

Este martes, el jefe del servicio de seguridad ruso Aleksandr Bórtnikov, ha anunciado que el accidente del A321 en el Sinaí del pasado 31 de octubre fue un atentado terrorista. Sus declaraciones surgieron durante una reunión con el presidente ruso, Vladímir Putin.

El 31 de octubre, un Airbus A321, con 224 personas a bordo, que cubría la ruta Sharm el-Sheij (Egipto) – San Petersburgo (Rusia) se estrelló en el norte de la península egipcia del Sinaí. En el avión, de la aerolínea rusa Metrojet (Kogalymavia), viajaban 25 niños, 192 pasajeros adultos y 7 tripulantes.

(VIDEO) I Libici non dimenticano Gheddafi

da allainjules.com

 Nonostante il suo assassinio macabro orchestrato dagli Stati Uniti e dalla Francia, il fratello Guise Muammar Gheddafi è e rimarrà il leader indiscusso della Libia. Mentre la Libia è assediata da faide tra milizie per il controllo dei profitti del petrolio e del gas, oltre al fatto che il governo di criminali è in fuga, il popolo libico lo ha riabilitato. Terrorizzato dagli attacchi machiavellici della NATO, è stato in silenzio per anni.

Il 1 ° settembre, anniversario del 45° anno dell’ascesa al potere del colonnello Gheddafi, senza spargimento di sangue, i libici hanno approfittato del caos per festeggiare come si deve, la festa della Vittoria. Nonostante la presenza di milizie islamiste sostenute dall’Occidente, queste persone orgogliose, in tutta la Libia, hanno celebrato la loro guida, consapevoli di essere state truffate e ingannate.

Queste circostanze hanno portato a Sebha, Bani Walid, Sirte, Zliten, Al Zaziya, e in altre città libiche, ad organizzare festeggiamenti, con l’aggiunta o meno di fuochi d’artificio per festeggiare la Grande Jamahiriya Araba Libica. Naturalmente, la stampa mainstream, nido di spie, non poteva  diffondere tali informazioni.

 Novità di questo 45° anniversario, le celebrazioni per  Gheddafi hanno varcato i confini libici. Così i libici in esilio in Tunisia hanno celebrato in maniera massiccia in tutto il paese questa festa, a Ben Gardan, Sousse, Tunisi e anche a Medina. La bandiera verde, la vera bandiera della Libia, è stata sventolata così come sono stati mostrati i ritratti del fratello del leader Muammar Gheddafi.

È accaduta la stessa cosa in Egitto, soprattutto al Cairo e Alessandria, dove il generale Abdel Fatah al-Sissi ha autorizzato l’evento.

 Sono quasi 3 milioni e mezzo i libici esiliati che hanno espresso il loro sostegno a Muammar Gheddafi e pochi sono quelli rimasti in Libia. Un affronto agli occidentali, che hanno rovesciato non solo un uomo, ma un sistema sociale che è stato accettato dalla maggioranza del popolo libico.

Ecco perché non vedrete questa informazioni trasmesse dai media occidentali, strumento di propaganda e veri nemici del popolo libico.

[Traduzione dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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Punti di accordo sul cessate il fuoco a Gaza

da al manar

Israeliani e palestinesi hanno accettato la proposta egiziana per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, entrato in vigore dopo 50 giorni di un conflitto che ha ucciso 2.140 palestinesi e 69 israeliani, 64 erano soldati.

 Ecco i punti principali della proposta egiziana, secondo Azzam al-Ahmed, capo della delegazione palestinese:

 Apertura dei valichi di frontiera e fine al blocco.

 Il cessate il fuoco comporta l’immediata apertura dei passi che collegano la Striscia di Gaza con il territorio dell’entità sionista per contribuire alla ricostruzione di Gaza, che subisce un embargo israeliano rigoroso dal 2006. In questo senso, l’accordo prevede la fine del blocco di Gaza e  delle restrizioni per l’importazione di materiali da costruzione.

«L’iniziativa egiziana prevede l’apertura di passaggi per l’assistenza umanitaria e il cibo, forniture mediche e tutto il necessario per la riparazione di sistemi di acqua, elettricità e telefoni cellulari», ha detto Ahmad. Erez nel nord, è il principale punto di passaggio per le persone, mentre Kerem Shalom, nel sud di Gaza, è l’unico punto di attraversamento per i beni materiali. Tuttavia, Ahmed e gli egiziani non sono stati chiari sul valico di Rafah, in Egitto, chiuso più volte negli ultimi anni.

 Estensione della pesca

 Le restrizioni imposte da Israele ai pescatori di Gaza saranno rimosse, in particolare, la limitazione dell’area di navigazione a 3 miglia. Questa area sarà ora estesa a 12 miglia.

 Prigionieri

 La proposta egiziana, accettata da entrambe le parti, fa riferimento alla «liberazione dei prigionieri palestinesi in cambio dei corpi di soldati israeliani uccisi», ha detto Ahmed.  Hamas ha chiesto la liberazione di 60 prigionieri che sono stati rilasciati nel 2011 in cambio del soldato Shalit e sono stati arrestati di nuovo nel mese di giugno, dopo la morte di tre coloni israeliani nella Cisgiordania occupata.

 Porto e aeroporto di Gaza

 I palestinesi chiedono la riapertura dell’aeroporto di Gaza e la possibilità di riutilizzare il porto.  «È uno dei punti che verranno discussi nel corso dei prossimi negoziati che si terranno il prossimo mese», ha aggiunto il funzionario palestinese.

 Fine del lancio dei razzi

Le fazioni della resistenza palestinese si impegnano a non sparare razzi e missili contro gli insediamenti israeliani. Israele insiste sul fatto che la questione della smilitarizzazione di Gaza sia affrontato nei negoziati che inizieranno fra un mese, ma Hamas e altri gruppi palestinesi rifiutano il disarmo e tutte le indicazioni sono che questo non si verificherà.

 Fine delle restrizioni alle banche di Gaza

 Israele ha revocato le restrizioni finanziarie sulle banche di Gaza.

[Traduzione dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

 

Nazionalisti arabi combattono con l’Esercito Siriano

da Al Manar

Centinaia di nazionalisti arabi in tutta la regione hanno formato una propria milizia volontaria in Siria, Guardia Nazionale Araba (GNA) e combattono per il governo di Bashar al Assad.

Nidal, un libanese 25 anni, ha dichiarato che ha preso la sua decisione l’anno scorso, quando c’era il rischio di un attacco militare statunitense contro la Siria. Ha citato il detto dell’ex presidente egiziano Gamal Abdel Nasser: «Se gli Stati Uniti sono soddisfatti di me vuol dire che sono sulla strada sbagliata».
«A quel tempo divenne chiaro che noi, come giovani arabi che seguono il percorso del Movimento Nazionalista Arabo, non potevamo rimanere neutrali di fronte a tutto questo. Crediamo sia una battaglia per la sopravvivenza, non solo della Siria, ma anche della nazione araba».

La GNA è stato istituita nel maggio 2013, dopo diversi attacchi israeliani contro la Siria da Abu Aid, un cittadino libanese della città meridionale di Jabal Amal. Aid, insieme a diversi compagni di della gioventù araba nazionalista, ha deciso di creare la GNA, nel tentativo di preservare l’ideologia del panarabismo, che credevano potesse essere distrutta dalle interferenze occidentali in Siria.

Aid, che ha poco più di 30 anni, mantiene un profilo basso per evitare problemi con le autorità libanesi, che lo hanno arrestato e interrogato più volte per quanto riguarda le sue attività in Siria . Ha combattuto prima in Iraq contro gli invasori americani, ma ora passa la maggior parte del suo tempo in Siria.

Il Campo della Gioventù Araba Nazionalista si compone di elementi appartenenti a vari paesi arabi ed ai movimenti pan arabisti. È stata fondata nei primi anni novanta, nel tentativo di far rivivere il nazionalismo arabo. Oggi , l’organizzazione si riunisce ogni anno in diversi paesi per discutere di questioni politiche e sociali.

La GNA ha combattenti provenienti da vari paesi arabi, compresa la Palestina, Libano, Tunisia, Iraq, Egitto, Yemen e Siria. Ad oggi, l’organizzazione ha più di 1.000 combattenti. Circa 40 sono morti in combattimento fino ad oggi. Da sottolineare anche la presenza di ex membri degli eserciti egiziani e iracheni.

«Nel maggio del 2013, in collaborazione con l’esercito siriano, abbiamo creato dei campi militari in Monte Qasiun» ha raccontato Nidal, un fratello di Abu Aid, «E così siamo entrati in battaglia».

La GNA comprende quattro battaglioni recanti i nomi dei leader nazionalisti defunti: Wadih Haddad, un combattimento palestinese e nazionalista arabo; Wadih Haddad, combattente palestinese del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina; Brahmi Mohammed, un politico tunisino, che ha fondato il Movimento Socialista Popolare Arabo Nazionalista dopo il rovesciamento del dittatore Ben Ali e ucciso dai terroristi nel mese di luglio 2013; Haidar al Amali, un eminente pensatore nazionalista arabo e politico di origini libanesi ferito da Israele nella guerra del 2006, morto per le ferite riportate e Yules Yammal, un funzionario della marina siriana che affondò una nave francese durante la crisi Suez 1956.

Secondo i combattenti della milizia, il numero di reclute, soprattutto da Egitto e Palestina, sono significativamente aumentati dopo la minaccia di attacchi aerei Usa in Siria nel settembre 2013.

I combattenti della GNA collaborano strettamente con l’ esercito siriano e le forze di difesa e operano in diverse aree della Siria, tra cui Damasco, Deraa, Homs e Aleppo.

Finanziati e addestrati dell’esercito siriano, i combattenti hanno cambiato le manovre ed esercitazioni di fuoco durante l’addestramento. Essi partecipano anche a corsi sul nazionalismo arabo prima di diventare ufficialmente combattenti.

«Come nazionalisti arabi non stiamo lottando per la sopravvivenza di Assad. Stiamo lottando per la sopravvivenza della nazione araba», ha affermato Nidal. «Così come abbiamo combattuto contro la NATO in Libia e attraverso le Forze di Difesa Arabe in Iraq contro l’invasione degli Stati Uniti. A Gaza, abbiamo combattuto contro il nemico sionista da Brigate di Resistenza Arabe e, naturalmente, insieme al FPLP».

Tuttavia, secondo i membri del GNA, la loro presenza in Libia e in Iraq era molto limitata ed è stata influenzata dalla mancanza di finanziamenti e armi.

«L’esercito siriano ci ha sostenuto, fornito armi e addestramento di cui avevamo bisogno», disse Nasser. «Né il governo, né l’esercito in Iraq e la Libia hanno avuto la possibilità di farlo».

Finora, la GNA ha partecipato ai combattimenti in Hatita, Barza, Mazraa a Qasimiya, Al Bayadah, Al Sbeneh al Kubra e il sobborgo di Shebaa, nella provincia di Damasco.

Ha anche svolto un ruolo nel Ghoutha occidentale e orientale e nella zona offensiva Qalamún. Essi hanno anche combattuto a Saidnaya e a Quneitra, Tal al Yabieh, Tal al Hara e nella città di Al Dawayeh a Saguira.

Yamal ha 36 ed è un ex ufficiale dell’esercito egiziano che, secondo i suoi compagni della GNA, si considera “prima un arabo, in secondo un arabo e in terzo luogo un egiziano”.

Yamal ha lasciato l’ esercito egiziano a giugno 2013 dopo che l’ex presidente Mohammed Mursi, membro dei Fratelli Musulmani, ha espresso sostegno per l’opposizione siriana e ha fatto una richiesta di intervento internazionale nella crisi. Quindi, ha poi deciso di aderire alla GNA.

Per i nazionalisti egiziani, Bashar al Assad e il partito Baath stanno affrontando una aggressione tripartita simile a quella effettuate contro Nasser nel 1956.

Osman Ahmed, noto come Abu Bakr al Masri, è stato il primo combattente egiziano della GNA a morire sul campo di battaglia. Secondo il suo necrologio pubblicato dalla GNA, Abu Bakr cadde in battaglia per “liberare Qarra, nella regione di Qalamún, contro il wahhabismo”, nel mese di ottobre 2013. «Ha mantenuto la sua promessa alla nazione araba e alla sua gente e si unì il convoglio per dell’onore e dell’orgoglio nella battaglia per difendere l’unità e la dignità della Repubblica araba siriana».

La recluta più giovane della GNA è Fidaa Al Iraqi, un iracheno di 16 anni in cura a Damasco dopo essere stato ferito nella battaglia di Tel al Ahmar, una collina strategicamente importante della provincia di Quneitra.

Oltre agli iracheni, egiziani e yemeniti sono anche molti libanesi si sono arruolati nella GNA.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

La situazione egiziana vista dal Venezuela

da resistencialibia.info*

La sconfitta dei “Fratelli Musulmani”, attraverso l’azione combinata di un’ampia mobilitazione di massa con l’esercito Egiziano, costituisce un atto necessario e comprensibile.

Morsi, che aveva ottenuto la vittoria attraverso elezioni democratiche [anche se ampiamente contestate a causa di brogli fortemente denunciati da intellettuali, organizzazioni sociali, sindacali e politiche che si definiscono progressiste, comuniste, generalmente di sinistra e non, NdT], stava commettendo abusi inaccettabili da governante, violentando in flagranza le leggi di quel paese e seppellendo la legittimità che aveva conquistato con i voti.

Inoltre, la gestione sociale, economica e politica del presidente Morsi ha costituito una catastrofe così evidente, che il paese si incamminava rapidamente verso una crisi molto più grave rispetto a quella che ha vissuto nel recente passato.

Morsi è il rappresentante di una corrente politica profondamente reazionaria ed anticomunista [possiamo considerarlo sinonimo di ‘fascismo’ anche se in senso lato?, NdT], che incarna le posizioni sociali più primitive dell’attualità, di profondo disprezzo per il popolo, allo stesso modo per valori inalienabili come la libertà e l’uguaglianza.

Inoltre, Obama contava su Morsi per l’aggressione militare contro la Siria, qualcosa che l’Esercito né il popolo (che considerano la Siria come la propria sorella araba e musulmana) non accettano in nessun modo. Il rifiuto del nuovo governo a questa aggressione e la sua decisione di chiudere il Canale di Suez alle navi da guerra nordamericane, è più che eloquente [decisione che era stata ventilata nell’eventualità di un attacco diretto degli USA alla Siria e che, per adesso, non è ancora avvenuto, NdT].

Si profila all’orizzonte prossimo la possibilità di portare a termine elezioni democratiche con il controllo popolare e delle istituzioni sugli eletti, che non potranno considerare la vittoria elettorale come il via libera per instaurare una dittatura fondamentalista. Frenare l’ondata di violenza scatenata dai Fratelli Musulmani è un compito prioritario per il governo egiziano.

Nel futuro di questo paese, è possibile la formazione di una alleanza governativa progressista che stabilizzi il paese, lo ri-orienti verso il suo ambito naturale che è quello arabo e affronti la soluzione dei suoi gravi problemi sociali.

In questo momento il destino della Siria e dell’Egitto sono uniti e gli USA ed Israele tentano di impedire con la guerra che si trasformino nuovamente in un asse di resistenza a carattere antimperialista, come lo è stato sotto la direzione dell’immortale leader arabo Gamal Abdel Nasser.

In questo sensoè altamente positiva la decisione del Presidente Maduro di ristabilire l’ambasciatore venezuelano al Cairo per dialogare con l’attuale governo provvisorio, comprendendo che la politica è un processo profondamente diverso, dove non c’è spazio per le visioni manichee, per le quali azioni che possono considerarsi come colpi di Stato e loro rispettive conseguenze, devono essere analizzate dettagliatamente in ognuno dei casi, nelle condizioni concrete dei momenti storici dati.

*L’analisi congiunturale completa è consultabile su formacion.psuv.org.ve, Scuola Quadri del Partito Socialista Unito del Venezuela

[Si ringrazia per la segnalazione e traduzione per ALBAinFormazione Leonardo Landi]

Egitto. Il nuovo governo punta al dialogo con Damasco

da tribunodelpopolo.it

Il nuovo governo di Al-Sisi in Egitto sembra portare il Paese delle Piramidi verso una direzione diversa da quella che aveva in mente Morsi. Il Cairo ora ha deciso di cambiare registro e di aprire al dialogo con Damasco.

Quando all’ombra delle piramidi sedeva il nuovo “faraone” Mohamed Morsi le cose si mettevano molto ma molto bene sia per gli Stati Uniti, sia per gli interessi dei paesi del Golfo, Arabia Saudita, Qatar in primis. Anche per questo a molti sono saltati i nervi, in primis proprio a Obama che aveva scelto Morsi come cavallo vincente per fare gli interessi a stelle e strisce nell’area. Al-Sisi però sembra avere le idee molto chiare e non sembra volersi fermare di fronte al ricatto americano di sospendere gli aiuti economici al Cairo. Non solo, Al-Sisi sembra anche voler improntare la politica estera egiziana su altre basi. Riguardo a quanto successo in Siria Al-Sisi ha ricordato come Egitto, Algeria, Libano, Iraq e Tunisia sarebbero tutti contrari all’attacco franco-americano a Damasco, e Baghdad e Beirut non hanno nemmeno condannato Damasco per il presunto attacco con il gas avvenuto a Ghouta.

«Non sappiamo chi abbia usato le armi chimiche», ha spiegato il ministro degli esteri egiziano, Nabil Famhi, a sottolineare che il Cairo ora punta sul dialogo con Damasco, e che ancora non è stata esibita nessuna prova che dimostri la responsabilità di Assad. Si tratta di un vero e proprio cambio di rotta rispetto al pieno sostegno offerto ai ribelli siriani che era stato manifestato due mesi fa dal presidente islamista Mohammed Morsi, deposto dal colpo di Stato militare. Si tratta quindi di un cambiamento estremamente negativo per gli interessi americani nella regione, ecco quindi spiegato il rinnovato interventismo della Casa Bianca in Medio Oriente. Del resto Egitto e Siria già in passato avevano fatto fronte comune contro gli interessi dell’Occidente nell’area.

[Si ringrazia Leonardo Landi per la puntuale segnalazione]

Basem Tajeldine: «I morti beneficiano i “Fratelli Musulmani” che vogliono la guerra civile»

16ago2013 
Il 14 agosto del 2013 è accaduto ciò che molti aspettavano. Le Forze Armate dello Stato egiziano hanno eseguitola smobilitazione forzata di tutti gli accampamenti di protesta dei seguaci della Fratellanza Musulmana nelle importanti città egiziane di Nasser e Giza. Diversi media internazionali hanno insistito nel sottolineare e nel gonfiare le cifre non meno importanti di morti e feriti causati dalla violenza generata dall’azione dell’esercito egiziano e dalla resistenza dei seguaci del deposto presidente egiziano Mohamed Morsi.
L’azione delle Forze egiziane ha incontrato la resistenza armata da parte dei Miliziani  della Fratellanza Musulmana che non hanno esitato a rispondere con uguale potere di fuoco**. Immagini di impatto del fuoco incrociato non sono mai state diffuse nei primi momenti dell’evento. L’informazione era chiaramente faziosa e dominata da Al-Jazeera la quale ha fatto apparire gli FM come se fossero semplici “vittime” di una evidente repressione. Dei militari e dei poliziotti morti non si è commentato*** e oggi cominciano a farsi vedere le notizie alternative. Risulta utile evidenziare che dalla sua deposizione, Mursi, il passato 30 luglio, i manifestanti islamisti hanno portato il paese ad una virtuale paralisi di tutte le sue attività abituali e generato rigurgiti di violenza settaria in tutto il paese attaccando Chiese Copte e attaccando i gruppi che sostengono il governo di transizione diretto da Adli Mansour ed il generale Abdel Fatah Al Sisi.     
 
Le forze militari egiziane pretendevano con questa azione di ristabilire l’ordine pubblico, rompere la resistenza della Fratellanza Musulmana per dare l apossibilità al processo di transizione di continuare ed arrivare in maniera pacifica alle elezioni presidenziali previste per febbraio dle prossimo anno. L’attuale governo diretto da Adli Mansour aveva diretto reiterati appelli alla dirigenza della Fratellanza Musulmana affinché non continuasse ad utilizzare i manifestanti pro-Mursi come “scudi umani” in vista della scadenza indicata dalle Forze Armate Egiziane per iniziare lo sgombero delle città interessate. Centinaia di donne  e bambini sono stati presenti in queste manifestazioni ed hanno assistito ai dolorosi e brutali eventi dello sgombero, e sono stati utilizzato come scudi dagli islamisti armati.
 
La strategia della Fratellanza Musulmana ha consentito storicamente di vittimizzarsi agli occhi della comunità internazionale a causa della repressione, prima, del dittatore Hosni Mubarak (governo nel quale partecipò la stessa Fratellanza Musulmana fino ai suoi ultimi giorni), e oggi si fanno passare per le vittime della repressione del governo di transizione. Per questo hanno contato con il sostegno dei media transnazionali e fondamentalmente di Al-Jazeera. Nessuno di questi media, però, ha osato diffondere la notizia che i commandos jiadisti mercenari e traditori giunti dalla Siria e della Libia hanno eseguito azioni terroriste contro le istallazioni militari egiziane nel Sinai e in tutto il paese, pretendendo in questo modo di presentare una immagine di caos ed ingovernabilità dell’Egitto. Inoltre non hanno detto nulla nemmeno relativamente all’appoggio che Al Qaeda sta offrendo alla Fratellanza Musulmana. 
 
Il Fronte Tamarrud (responsabile delle grandi mobilitazioni previe alla deposizione di Mohamad Morsi) e La Corrente Popolare Egiziana, i più importante Fronte progressista dell’Egitto e guidato dal popolarissimo ex candidato presidenziale Hamdeen Sabbahi,  sostiene che la Fratellanza Musulmana è la principale responsabile della violenza del mercoledì scorso dovuto al fatto che il gruppo islamista ha «ha scelto uno scenario di scontro con lo Stato» e hanno fatto appello ad appoggiare la resistenza dei “comitati di difesa popolare” per appoggiare il governo transitorio. 
 
La possibilità di una guerra civile in Egitto è l’ipotesi più sanguinosa tanto desiderata dalla Fratellanza Musulmana, dagli USA e da Israele. Se è certo che gli strateghi USA hanno una grande influenza nei vertici delle Forze Armate Egiziane (il terzo esercito finanziato dagli USA), sanno che gli ultimi eventi accaduti in questo paese hanno svelato le responsabilità degli USA dell’Unione Europea e delle Petro-monarchie del golfo per il sostegno alla Fratellanza Musulmana. La situazione che vive il popolo egiziano ha radicalizzato molti gruppi delle Forze Armate, ragioni che oggi motivano forti dubbi e scontento degli strateghi falchi imperiali nei confronti dei militari di questo paese. 
 
Il criminale progetto dell’Islam politico reazionario per la regione – con il quale coincidono tanto gli strateghi USA come i loro alleati sionisti – si iscrive precisamente nello smantellamento di tutti gli Stati-Nazione del mondo arabo e più in là; nella divisione confessionale e tribale di tutti quei territori in maniera che diano luogo alla nascita alla creazione di nuovi califfati e vice-regni medievali (simili all’Arabia Saudita, al Qatar, al Bahréin e agli Emirati Arabi Uniti) retti dall’anarchia e la interpretazione reazionaria della Legge Islamica (La Sharia). 
 
Per realizzare questo proposito in Egitto, la Fratellanza Musulmana in Egitto ha tentanto la strada delle riforme costituzionali. Fallito questo intento e sconfitti dalla mobilitazione popolare e dai vertici militari opportunisti che hanno spodestato Morsi, adesso la strada che stanno tentando di imporre è la Guerra Civile. Uno stato debilitato sarebbe facile obiettivo per il suo smantellamento.  
 
I morti egiziani beneficiano soltanto la “Fratellanza Musulmana” e alimentano il suo proposito criminale di cercare appoggio internazionale alla sua causa, un intervento straniero auspicato dall’ONU ed il suo ritorno al governo nel paese. La “primavera araba” si è trasformata in un crudele inverno per i popoli della regione ed una nuova opportunità per il progetto reazionario politico che nascondono gli islamisti.  
 
Ciò che accade nella Repubblica Araba di Siria è un esempio di ciò che pretende la “Fratellanza Musulmana” in Egitto. Ma il popolo egiziano e la sua avanguardia nasseriana non cadranno facilmente nella trappola dei reazionari.
*  marxista venezuelano, analista internazionale, moderatore del Programma Voci contro l’Impero, Radio del SUR, articolista di DiarioVEA e CO 
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Ciro Brescia]

Il pubblico occidentale spaventato dal generale Al-Sissi


di Thierry Meyssan

Mentre gli egiziani sostengono al 95% il “colpo di stato militare” che ha rovesciato il presidente Morsi, la stampa occidentale strepita contro il ritorno della dittatura e piange i morti civili della repressione. Per Thierry Meyssan, questo atteggiamento deriva dalla castrazione delle popolazioni occidentali che hanno dimenticato le lezioni dei loro antenati e pensano che tutti i conflitti possano trovare delle soluzioni pacifiche.
Rete Voltaire -Damasco (Siria)| 26 agosto 2013

La stampa negli Stati Uniti e in Europa fa causa comune contro il colpo di stato militare in Egitto e lamenta il migliaio di morti che ne sono seguiti. Risulta evidente per essa che gli egiziani, che hanno rovesciato la dittatura di Hosni Mubarak, sono oggi le vittime di una nuova dittatura e che Mohamed Morsi, eletto “democraticamente“, sia l’unico legittimato a esercitare il potere.
Tuttavia, questa visione delle cose è contraddetta dall’unanimità con cui la società egiziana si schiera dietro il suo esercito. Abdelfatah Al-Sissi ha annunciato la destituzione del Presidente Morsi alla presenza dei rappresentanti di tutte le sensibilità del paese, compreso il rettore di Al-Azhar e il capo dei salafiti, venuti ad approvarla. Può vantarsi di essere sostenuto nella sua lotta dai rappresentanti del 95% dei suoi compatrioti.
Per gli egiziani, la legittimità di Mohamed Morsi non si misura nel modo in cui è stato designato alla carica di presidente, con o senza le elezioni, ma con il servizio che ha reso o meno al paese. Ora, i Fratelli hanno per lo più dimostrato che il loro slogan “L’Islam è la soluzione!” mascherava male la loro impreparazione e la loro incompetenza.

Per l’uomo della strada, il turismo si è rarefatto, l’economia è regredita, e la sterlina è precipitata del 20%.

Per le classi medie, Morsi non è mai stato eletto democraticamente. La maggior parte dei seggi elettorali erano stati occupati militarmente dai Fratelli Musulmani e il 65% degli elettori si sono astenuti. Questa farsa è stata coperta dagli osservatori internazionali inviati dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea che sostenevano la Fratellanza. A novembre, il presidente Morsi ha abrogato la separazione dei poteri, vietando ai tribunali di contestare le sue decisioni. Poi ha sciolto la Corte Suprema e ha revocato il procuratore generale. Ha abrogato la Costituzione e ne ha fatto redigere una nuova da una commissione da lui nominata, prima di fare adottare questa legge fondamentale in un referendum boicottato dal 66% dei votanti.

Per l’esercito, Morsi ha annunciato la sua intenzione di privatizzare il Canale di Suez, simbolo dell’indipendenza economica e politica del paese, e di venderlo ai suoi amici del Qatar. Ha iniziato la vendita dei terreni pubblici nel Sinai a personalità di Hamas affinché trasferissero in Egitto i lavoratori di Gaza e permettessero così a Israele di finirla con la sua “questione palestinese“. Soprattutto, ha fatto appello a entrare in guerra contro la Siria, avamposto storico dell’Egitto nel Levante. Così facendo, ha messo in pericolo la sicurezza nazionale, che gli spettava proteggere.

Tuttavia, il problema fondamentale degli occidentali di fronte alla crisi egiziana rimane il rapporto con la violenza. Visto da New York o da Parigi, un esercito che spara proiettili veri contro i manifestanti è tirannico. E la stampa non fa che evidenziare, per aggiungere orrore all’orrore, che molte delle vittime sono donne e bambini.

È una visione castrata delle relazioni umane nella quale una persona sarebbe disposta a dibattere in quanto disarmata. Ma il fanatismo è un comportamento che non ha nulla a che fare con il fatto di essere armati o meno. Gli occidentali hanno già affrontato questo problema 70 anni fa. All’epoca Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill fecero radere al suolo intere città, come Dresda (Germania) e Tokyo (Giappone), la cui popolazione civile era disarmata [1]. Questi due leader non sono considerati malgrado ciò come dei criminali, ma sono celebrati come eroi. Era evidente e indiscutibile che il fanatismo dei tedeschi e dei giapponesi rendeva impossibile qualsiasi soluzione pacifica.

I Fratelli musulmani sono terroristi e devono essere sconfitti? Qualsiasi risposta univoca e globale sarebbe sbagliata, perché ci sono molte tendenze in seno alla Fratellanza internazionale. Tuttavia, il loro bilancio parla da sé: hanno una lunga e oscura storia di golpisti in molti stati arabi. Nel 2011, hanno organizzato l’opposizione a Muammar el-Gheddafi e hanno approfittato del suo rovesciamento da parte della NATO. Continuano la lotta armata per conquistare il potere in Siria. Per quanto riguarda la Fratellanza in Egitto, il presidente Morsi ha riabilitato i killer del suo predecessore Anwar Sadat e li ha rilasciati. Ha inoltre nominato governatore di Luxor il numero due del commando che proprio lì vi aveva massacrato 62 persone, per lo più turisti, nel 1997. Inoltre, durante il semplice appello a dimostrare lanciato dai Fratelli affinché si riportasse in carica il “loro” presidente, essi si sono vendicati bruciando 82 chiese copte.

La repulsione degli occidentali per i governi militari non è condivisa dagli egiziani, l’unico popolo al mondo ad essere stato governato esclusivamente dai militari – con l’eccezione dell’anno di Morsi – per oltre 3000 anni.

[Si ringrazia Alfredo Viloria per la interessante segnalazione]

I video caricati prima del “fatto” e la foto usata in Egitto e in Siria

Tratto da Voltairenet

Qui sotto troverete i video, diffusi in rete prima che avvenissero i fatti denunciati e, addirittura, una fotografia utilizzata sia in Egitto, per denunciare i massacri dell’esercito, che in Siria per denunciare i massacri col gas. Una sfacciataggine da non credere, eppure basta guardare le foto qui sotto. Sono le stesse. Pochi giorni, forse poche ore ci separano dalla guerra. Una guerra ostinatamente voluta da USA, GB e Francia che, dopo la sconfitta sul campo dei loro tagliagole, vogliono intervenire direttamente per liquidare Assad, alzando la posta in gioco ed esponendo il mondo intero a un conflitto drammatico che ha buone probabilità di degenerare in una guerra mondiale. Ci scusiamo per la traduzione di quanto segue, che è palesemente imperfetta ma si capisce lo stesso. Perfettamente. Ed è agghiacciante.

di Gianni Fraschetti

Secondo l’Esercito siriano libero, le autorità siriane hanno bombardato la ghoutta, un sobborgo di Damasco, con il gas sarin,Questo annuncio è stato subito commentato da parte delle autorità tedesche, inglesi e francesi che hanno chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza in modo che gli osservatori delle Nazioni Unite può essere consentito di indagare. Tutte queste informazioni vengono rilevate dai media atlantisti come una certezza, il condizionale essendo formalmente impiegato per consentire gli investigatori il tempo di segnalare la prova in Occidente. Questa operazione di propaganda è grottesco: come tutti possono osservare su YouTube, la prova video del massacro del 21 agosto essendo stato pubblicato da il conto “Majles Rif.” … il giorno prima, il 20 Agosto. Su questi video, scioccante in un primo momento, si rileva rapidamente una configurazione: i bambini feriti appaiono sparuto o drogato, non hanno i genitori che li accompagnano. I ragazzi sono spesso nudi, mentre le ragazze sono tutte vestite. Non vediamo alcuna struttura ospedaliera, nemmeno un clandestino, tranne schermi e sacche di siero.

Alcune fotografie erano già state distribuite dai media atlantisti per accusare l’esercito egiziano di un massacro in un campo dei Fratelli Musulmani al Cairo.

Dall’alba e per tutta la giornata il Mercoledì, 21 agosto l’esercito arabo siriano ha bombardato le posizioni dell’esercito siriano libero che sono stati raggruppati in ghoutta sud-orientale (la fascia di agricoltura di sussistenza per la capitale). La zona di combattimento è stata evacuata dalla popolazione civile diversi mesi fa. Sembra che le perdite siano state considerevoli per gruppi jihadisti. Non c’era alcun uso di gas.

Le autorità russe hanno denunciato una campagna di propaganda pianificata in anticipo, come dimostra l’unanimità dei media atlantici che hanno tutti diffuso all’unisono la versione dell’Esercito siriano libero, senza alcuna verifica. Le autorità iraniane hanno sottolineato che l’uso di armi chimiche da parte della Siria in questo tipo di guerra era assurda e ingiustificata dato i suoi attuali successi militari e la presenza a Damasco di un folto numero si ispettori delle UN.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione.

Nel 2003, gli Stati Uniti avevano usato il possesso e l’uso di gas asfissianti come scusa per attaccare l’Iraq. Il Segretario di Stato Colin Powell aveva brandito una bottiglia di gas liquefatto prima del Consiglio di sicurezza e utilizzato una presentazione in PowerPoint per sostenere le sue affermazioni. In ultima analisi, ha riconosciuto, dopo la distruzione dell’Iraq, che tutte le prove erano false e che aveva mentito a tutta la comunità internazionale.

[Traduzione di Roger Lagasse, si ringrazia Lenardo Landi per la puntuale segnalazione]

Samir Amin: «Nessun rischio di guerra civile in Egitto»

Algeriepatriottique, 18 agosto 2013 

Non c’è rischio di guerra civile in Egitto

Intervista a Samir Amin di Mohamed El-Ghazi

Algeriepatriottique: Sono state formulate diverse ipotesi sulla destituzione del presidente egiziano Morsi da parte dell’esercito. Quali ne sono state le vere ragioni?

Samir Amin: La sola e unica ragione è che Morsi è stato rifiutato dal popolo egiziano. Prova ne sia la petizione promossa dal movimento Tamaroud che aveva raccolto, prima del 30 giugno, ventisei milioni di firme che chiedevano le dimissioni di Morsi. Queste firme non sono state raccattate alla buona. Sono vere. La manifestazione del 30 giugno era dunque attesa, solo che è andata anche oltre quello che si poteva immaginare. In tutto l’Egitto, e non solo a piazza Tahrir, c’erano trentatré milioni di manifestanti il 30 giugno. Per un paese di 85 milioni di abitanti, esclusi i bambini che sono tanti, e i vecchi che sono meno numerosi, essi rappresentavano praticamente tutto il paese. Di fronte a questa mobilitazione, evidentemente, il comando dell’esercito è stato molto saggio; ha deposto Morsi e affidato la presidenza interinale a chi di diritto, vale a dire al presidente del Consiglio Costituzionale, Adli Mansour, che è un giudice, ma non un giudice rivoluzionario; è un conservatore, conosciuto per essere onesto e democratico. Questa è la sola ragione, non ve ne sono altre.

Quando si dice che l’esercito ne ha approfittato per fare un colpo di Stato, io rispondo che, se l’esercito non fosse intervenuto, non sarebbe stata una bella cosa vedere Morsi che si comportava come un brigante e senza alcun rispetto per le regole più elementari della democrazia. Avendo armato le milizie dei Fratelli Mussulmani, non sarebbe stato accettabile. L’alternativa – vale a dire la non deposizione di Morsi – non sarebbe stata ugualmente accettabile. Devo aggiungere – tutti lo sanno in Egitto, e lo si dice oggi ad alta voce – che l’elezione che ha portato Morsi e i Fratelli Mussulmani al potere è stata una gigantesca frode. Una enorme frode di falsificazione delle liste elettorali, nella quale i Fratelli Mussulmani si sono inventati nove milioni di voti supplementari.

D: Da dove ricava queste cifre?

R: Tutti lo sanno in Egitto. E la prova sarà fornita presto dalla Giustizia. Non l’abbiamo appreso ieri, lo sapevamo già all’indomani dell’elezione. Conosciamo un sacco di casi nei quali un solo Fratello Mussulmano era in possesso di cinque certificati elettorali, con lo stesso nome ma relativi a cinque seggi diversi situati in quartieri vicini. E per di più questo elettore aveva la delega di voto da parte di sua moglie, dei figli maggiorenni e di sua nonna. Ha potuto votare cinque volte per dieci persone. In questo modo sono andate le cose. D’altra parte le milizie dei Fratelli Mussulmani avevano occupato i seggi e si sono attribuiti il diritto di votare, impedendo ad altri di farlo, fino al punto che i giudici egiziani, che di solito controllano le elezioni e che non sono – lo dico ancora una volta – dei rivoluzionari, si sono rifiutati in massa di ratificare queste elezioni. Il presidente della commissione elettorale, che era un Fratello Mussulmano, ha dichiarato, per ordine di Morsi, che Morsi aveva vinto prima ancora che lo spoglio fosse terminato. L’ambasciata degli Stati Uniti ha proclamato Morsi vincitore di elezioni “democratiche” e, ovviamente tre minuti dopo, le ambasciate della Gran Bretagna, della Francia e degli altri paesi europei si sono uniformate. La commissione dei sedicenti osservatori stranieri, soprattutto europei, ha ratificato queste elezioni-farsa. Il regime non beneficiava dunque di alcuna legittimità. E tuttavia il fatto che abbiano esercitato il potere per un anno è stato un bene, perché hanno così mostrato il loro vero volto. Hanno seguito la stessa politica neoliberale di Mubarak, in una versione ancora più brutale nei confronti delle classi popolari e, d’altra parte, hanno violato le regole più elementari della democrazia. Per questo motivo questa deposizione non è stata un colpo di Stato militare ed è per questo che questa deposizione e la caduta di Morsi sono una vittoria del popolo egiziano. Va da sé che non è una vittoria finale; è una tappa di una lunga battaglia politica che continuerà per mesi, forse per anni.

D: Con le gravi tensioni che la destituzione di Morsi ha provocato, pensa che l’Egitto si stia avviando verso una guerra civile?

R: Non c’è guerra civile e non c’è pericolo di guerra civile (in Egitto). Ci sono stati trentatré milioni di manifestanti al Cairo contro Morsi, che pure aveva nelle sue mani il potere dello Stato e miliardi di dollari del Golfo. E lui non è riuscito a mobilitare nemmeno due milioni di simpatizzanti. Si parla di pericolo di guerra civile quando l’opinione pubblica è veramente divisa e frammentata. Non è il caso dell’Egitto. Quello che si sta registrando sono piuttosto delle azioni terroriste. In Egitto tutti sanno che i Fratelli Mussulmani sono 5-600.000 e un centinaio di migliaia di loro sono armati. Sono loro che possono creare dei disordini, ma non una guerra civile. D’altronde, nelle manifestazioni popolari, quelli che arrestano i Fratelli Mussulmani  e li picchiano di santa ragione non sono le forze di polizia, ma gli stessi manifestanti. Nel quartiere di Boulaq, quando il 30 giugno 2013 stava per partire una manifestazione dei Fratelli Mussulmani, è stata la stessa gente di Boulaq che ha sbarrato loro la strada e li respinti a colpi di pietre. Morsi aveva minacciato: «Se sarò destituito, vi prometto la guerra civile!». Ma non ci sarà guerra civile. I media occidentali, ahimè, ripetono dal canto loro: «L’Egitto è diviso». Ma se in Francia vedessimo venti milioni di manifestanti contro il Fronte Nazionale e cinquecentomila a favore, diremmo che l’opinione pubblica è divisa? È grottesco parlare di opinione pubblica spaccata in Egitto e di rischi di guerra civile. Quanto ai gruppi jihadisti, essi giungono da due posti. Dall’ovest della Libia. Da quando i paesi occidentali hanno “liberato” la Libia e l’hanno distrutta, questo paese, caduto nelle mani dei signori della guerra, è diventato la base logistica di tutto. D’altronde le azioni contro il Mali e l’Algeria sono venute dalla Libia. E parimenti l’esercito ha appena arrestato nel deserto occidentale un gruppo di jihadisti venuti dalla Libia, armati di missili terra-terra. Evidentemente questi jihadisti sono in grado di creare degli incidenti relativamente gravi. L’altro fronte di attacco jihadista è il Sinai. Perché i malaugurati accordi, detti di pace, tra Egitto e Israele vietano una presenza importante dell’esercito egiziano nel Sinai. L’esercito ha diritto di mantenervi, non so, settecento uomini, fino forse a duemila. Si tratta di una presenza modestissima per una provincia desertica tanto vasta e per di più montagnosa.  È un po’ come l’Adrar degli Ifoghas (massiccio montuoso del Mali, ndt). Giunti col sostegno finanziario di alcuni paesi del Golfo e con la tolleranza – è il meno che si possa dire – di Israele, questi gruppi sono una realtà nel Sinai. L’hanno peraltro dimostrato immediatamente con una manifestazione violenta ad Al-Arich, la capitale del nord del Sinai.

D: Lei ha parlato di gruppi jihadisti. Conoscendo il carattere transnazionale della violenza salafita, pensa che l’esercito egiziano è in grado di farvi fronte?

R: Noi, in Egitto, abbiamo una situazione simile a quella vostra in Algeria. L’islam politico non è sparito. Si è un po’ indebolito perché ha mostrato la sua vera faccia. Da voi ha provocato 100.000 persone assassinate dai terroristi. E l’esercito algerino ha finito con l’aver ragione di loro. In Egitto il costo pagato è stato solo quello di un governo civile durato un anno, ma oramai l’opinione pubblica ha le idee chiarissime in Egitto. Certamente la grande massa degli Egiziani, come degli Algerini, resta mussulmana praticante e anche i copti cristiani, in Egitto, sono generalmente praticanti. E però non credono più all’islam politico. Quello che si sente continuamente nelle strade del Cairo – ci sono stato di recente – è: «Ihna mouch ayzin islam el baqala» (respingiamo l’islam del commercio). Ma comunque siamo in una società come la vostra, dove c’è ancora gente che non ha capito. E permane purtroppo una base oggettiva di reclutamento nella misera e nella disoccupazione. Finché potranno reclutare miliziani altrove, come accade in Siria, dove sappiamo che tutti questi gruppi islamisti non sono siriani e vi sono molti Tunisini, Egiziani, Afghani e Turchi, queste forze possono ancora agire. Io confido nelle forze dell’esercito egiziano che sono in grado di fronteggiare con successo queste minacce, perché anche negli alti comandi, sebbene sia possibile che alcuni siano stati alleati degli islamisti o che abbiano fatto  calcoli di alleanza con loro nel passato, una gran parte degli ufficiali egiziani sono al fianco del loro popolo contro Morsi. Però non sarà facile sconfiggerli, finché avranno basi e appoggi in Libia e nei paesi del Golfo.

D: I media parlano di un accordo concluso tra Morsi e gli Stati Uniti per la cessione del 40% dei territori del Sinai ai rifugiati palestinesi. In cambio i Fratelli Mussulmani avrebbero intascato otto miliardi di dollari. Cosa c’è di vero?

R: Sì, questa informazione è esatta. C’era un accordo tra Morsi, gli Statunitensi, gli Israeliani e gli accoliti ricchi dei Fratelli Mussulmani di Hamas a Gaza. Gli Stati Uniti hanno sostenuto Morsi fino alla fine, come sostennero Mubarak. Ma i poteri politici negli Stati Uniti sono, come dovunque, realisti. Quando una carta non può più essere giocata, l’abbandonano. Il progetto di Morsi era di vendere il 40% del Sinai a prezzi insignificanti, non al popolo di Gaza, ma ai ricchissimi Palestinesi di questo territorio, che avrebbero fatto venire da lì dei lavoratori. Era un piano israeliano per facilitare il loro obiettivo di espellere i Palestinesi, cominciando da quelli di Gaza verso il Sinai egiziano, in modo da poter colonizzare più celermente e comodamente  quel che resta della Palestina ancora con popolazione araba. Questo progetto israeliano ha ricevuto l’approvazione degli Stati Uniti e, di conseguenza, anche di Morsi. La sua realizzazione era cominciata. L’esercito è entrato in gioco ed ha reagito in modo patriottico, cosa che gli fa onore, e ha detto: “Non si può vendere il Sinai a chicchessia, sia pure dei Palestinesi, e facilitare così il piano israeliano”.  E’ stato a questo punto che l’esercito è entrato in conflitto con Morsi e gli USA.

D: Secondo un recente studio, nei prossimi mesi vi sarà una gigantesca ondata migratoria di Egiziani verso i paesi del Maghreb. Si intravvedono segnali di un tale scenario?

R: Non so da dove provenga una simile informazione. Vi è una pressione migratoria  fortissima in Egitto come in tutto gli altri paesi arabi. In Egitto vi è una povertà e una disoccupazione che sono enormi. Di conseguenza molti, soprattutto giovani ma non solo, quando hanno la possibilità di emigrare partono verso qualsiasi destinazione. Di preferenza per l’Europa. Attualmente i paesi del Golfo, l’Iraq e la Libia hanno chiuso gli ingressi. Quanto alla destinazione verso il Maghreb, non ne ho mai sentito parlare e non so valutare l’attendibilità di questo studio.

[Trad. dal francese a cura di Ossin]

Uno sguardo sull’Egitto, dall’India

Distogliamo per un attimo lo sguardo dalla Siria, e per commentare gli importantissimi eventi egiziani, scegliamo di dare spazio a uno sguardo non occidentale. L’autore di questo scritto, Feroze Mithiborwala, è un militante indiano antimperialista (fa anche parte della National Alliance of People’s Movements) ed è tra i firmatari dell’Appello internazionale per fermare la guerra in Siria.  

Questo testo, tradotto dalla Redazione di Sibialiria, è inedito per l’Italia.
Egitto! Per tutta la notte sono rimasto inchiodato a guardare gli eventi in corso. E’ chiaro dalla mobilitazione popolare, al Cairo a piazza Tahrir e davanti al palazzo presidenziale, e ad Alessandria, a Suez, a Mansoura, in tutti i centri del paese, che non solo i Fratelli musulmani guidati dall’ex presidente Morsi avevano perso il mandato popolare, ma che anzi questo mandato non lo avevano mai compreso, a causa della loro prospettiva esclusivamente islamica. Il livello della mobilitazione, e le sue modalità, vivacissime e determinate, hanno superato l’insurrezione anti-Mubarak nel 2011. La rivoluzione Tahrir I era stata una sollevazione popolare e non un risveglio islamico; gli Ikhwan (Fratelli musulmani) e i salafiti non l’hanno compreso. Era stata una rivoluzione per un Egitto democratico, inclusivo, plurale e variegato, un paese nel quale i diversi settori della società potessero tutti godere dei propri diritti. Ma gli islamisti nel loro fervore hanno travisato il mandato tradendo l’anima dell’Egitto e la sua antica cultura e civiltà.
Ancora una volta sono stati soprattutto i giovani a prendere l’iniziativa e a lanciare il movimento Tamarod (Ribellione), raccogliendo per le dimissioni di Morsi 22 milioni di firme in tre mesi (Morsi aveva ottenuto 13 milioni di voti). Tamarod aveva promesso di far scendere in strada un milione di persone il 30 giugno. Ma in realtà sono stati milioni e milioni gli egiziani mobilitati; persone convinte che la rivoluzione fosse stata tradita, tutto lo spazio sociale egemonizzato da Ikhwan e salafiti, l’economia peggiorata.
Gli egiziani non hanno accettato il fatto che il governo avesse promosso l’estremismo e il settarismo, emarginando i copti, che lo spazio secolare fosse perduto, che i laici, come i socialisti e i comunisti fossero emarginati totalmente dalle decisioni politiche. Occorreva dunque una battaglia per recuperare l’anima dell’Egitto.
Quanto alla questione centrale del ruolo dell’esercito, è chiaro che è stato il popolo a chiederne l’intervento. Chi teme che saranno i militari a reggere i giochi, deve sapere che quegli stessi giovani da Tahrir e dalle altre piazze rispediranno in caserma i militari, se questi tradiranno il mandato popolare. Lo hanno già fatto, prima contro Mubarak e poi contro l’esercito che aveva preso le redini nell’era post-Mubarak. Dunque, non sono molto preoccupato per il ruolo dell’esercito.
E c’erano soluzioni per prevenire questa crisi nazionale. Gli stessi Fratelli musulmani avrebbero potuto chiedere a Morsi di farsi un po’ da parte per promuovere la formazione di un governo nazionale – che avrebbe poi dovuto rinegoziare la Costituzione per assicurare che essa rispondesse alle aspirazioni di tutti i settori della società, come non è adesso. E poi arrivare a elezioni parlamentari e presidenziali. Ma i Fratelli musulmani sono rimasti fermi, sottostimando il terreno di scontento e paura e perdendo ogni contatto con le sezioni non Ikhwan della società.
Sono certo motivo di preoccupazione alcuni fattori:
1) Sia Tahrir 1 che Tahrir 2 sono carenti quanto a linguaggio antimperialista e antisionista. Vorremmo vedere marce verso le ambasciate di Stati Uniti e Israele per chiedere che quei paesi pongano fine alle loro guerre e interventi nelle nazioni arabe e nel resto del mondo.
2) L’Egitto adesso è una società profondamente divisa e gli al-khwan muslimin e i salafiti hanno accentuato questa divisione con il loro atteggiamento monopolistico ed estremista. E’ dunque responsabilità dei giovani, dei laici, delle sinistre, dei nazionalisti arabi e delle comunità religiose riuscire a coinvolgere tutte le frazioni della società, al di là della religione, del genere, della classe, delle tribù e dei gruppi religiosi, impegnando tutti i partiti politici per arrivare a un consenso nazionale, a una visione nazionale in ogni sfera della vita del paese. L’imposizione dei valori islamici o di quelli laici porterebbe a strozzature. Entrambi questi sistemi culturali dovranno impegnarsi a coesistere nel mutuo rispetto e comprensione.
3) Sarebbe necessario imparare dagli esperimenti di socialismo democratico in corso nell’America latina bolivariana; e la rivoluzione egiziana ha bisogno di sfidare il paradigma del neoliberismo capitalista, le misure di austerità e i tagli ai sussidi pubblici, i prestiti del Fondo monetario e quelli del Qatar e dell’Arabia Saudita. Tutti elementi che renderebbero più povere le masse e metterebbero la nazione nelle mani degli sceicchi con petrodollari e dei banchieri Usa-Ue. 
Sono fiducioso riguardo al futuro di questa grande civiltà, perché il popolo egiziano, guidato dalla sua gioventù, ha dimostrato tre volte in contesti politici diversi di essere all’erta e pronto a tornare alla carica contro chi tradisce le aspirazioni di una collettività che chiede democrazia, giustizia economica e sociale, mutuo rispetto ed eguaglianza religiosa, senza monopolio religioso dello spazio politico e sociale, un insieme laico e al tempo stesso islamico e cristiano.
Ora dovranno creare un governo civile di transizione formato da tutti i partiti politici e i settori sociali. Si tratterà di negoziare una nuova costituzione mediante referendum, fissando anche le date per elezioni presidenziali e politiche.
Il popolo egiziano sta imparando dai propri errori e al tempo stesso sta insegnando al mondo il vero significato del Potere popolare!
Feroze Mithiborwala

Sono stati i Fratelli Musulmani a uccidere i giornalisti: la denuncia del presidente della Stampa Estera al Cairo

Grave denuncia del corrispondente del settimanale Der Spiegel che punta il dito contro i «sedicenti manifestanti pacifici». E richiama anche i colleghi a non ignorare la verità dei fatti

di Windfuhr Volkhard, tratto da ioamolitalia – Il Presidente dell’Associazione della Stampa Estera al Cairo, il giornalista tedesco Volkhard Windfuhr, ha accusato i Fratelli Musulmani – qualificandoli sarcasticamente come “i sedicenti manifestanti pacifici” – di essere i responsabili dell’uccisione dei giornalisti che svolgevano la loro attività nel corso degli scontri tra l’Esercito e i miliziani islamici. Windfuhr è categorico: i giornalisti “non sono stati delle semplici vittime del caos o di un normale scambio di fuoco, ma gli hanno sparato addosso in modo intenzionale”. “Io stesso oggi sono fortunatamente sfuggito per un soffio al fuoco di un cecchino sul Ponte 15 maggio nel quartiere di Zamalek” – afferma Windfuhr – Il criminale non era assolutamente un poliziotto”.
Il 14 agosto sono stati uccisi quattro giornalisti nel corso degli scontri esplosi al Cairo nei quartieri di Rabaa Al Adaweya e di Al Nahda. Si tratta del britannico Mick Dean di SkyNews, e di tre giornalisti egiziani: Habiba Ahmed della Revue Express di Dubai, Ahmed Abdel Gawad del quotidiano filo-governativo al Akhbar, Mosaab el Shami fotografo del sito Rasd.
In un messaggio postato su Facebook Windfuhr, dopo aver esplicitamente condannato i Fratelli Musulmani come dei criminali, denuncia la stampa internazionale che a suo avviso non ha finora garantito una copertura giornalistica corretta e “adeguata”.
Windfuhr è un arabista, esperto del Medio Oriente, corrispondente del settimanale Der Spiegel.

Questa è la traduzione del testo in inglese postato su Facebook

Avviso del Presidente dell’Associazione della Stampa Estera al Cairo

Cari colleghi dell’Associazione della Stampa Estera al Cairo,
senza schierarmi nel conflitto interno, considero che sia mio dovere rendere i nostri membri consapevoli del crescente reale pericolo per la nostra attività giornalistica e anche per la nostra vita. Purtroppo alcuni dei nostri colleghi sono caduti vittime di attacchi fatali. Non sono stati delle semplici vittime del caos o di un normale scambio di fuoco, ma gli hanno sparato addosso in modo intenzionale. Non sono stati né gli agenti della Polizia o l’Esercito, ma i sedicenti “manifestanti pacifici”. Io stesso oggi sono fortunatamente sfuggito per un soffio al fuoco di un cecchino sul Ponte 15 maggio nel quartiere di Zamalek. Il criminale non era assolutamente un poliziotto e possono testimoniare il fatto dei comuni cittadini egiziani che si trovavano sul luogo. Non mi trovavo lì per attività giornalistica, ma ero semplicemente diretto a un caffè per incontrare degli amici.

È scandaloso ciò che commettono questi violenti “manifestanti”. Attaccano la gente all’improvviso, attaccano il proprio Stato, attaccano gli edifici pubblici e un ancor più cospicuo numero di chiese, negozi e case dei cristiani. Non è mio compito come Presidente dell’Associazione della Stampa Estera tediarvi con delle analisi politiche, ma si sento costretto dalla mia coscienza e dall’etica professionale di esprimere la mia ferma disapprovazione per il fatto che la guerra che i “manifestanti” combattono contro lo Stato che ci ospita solo raramente viene trattata dai giornalisti in modo adeguato. Ma non è mai tardi. Fate attenzione!

Il Presidente Volkhard Windfuhr

Leggi di Più: Egitto. I fratelli musulmani hanno ucciso i giornalisti

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