Maduro recibe Premio Rodolfo Walsh en Argentina

por telesurtv.net

El presidente de Venezuela, Nicolás Maduro Moros, recibió el Premio Rodolfo Walsh, en reconocimiento a su lucha por la integración latinoamericana. El galardón fue otorgado de forma unánime por el Consejo Directivo de la Facultad de Periodismo y Comunicación Social de la Universidad Nacional de la Plata, en Argentina.

Esta casa de estudios se basó en el esfuerzo que viene realizando el mandatario para preservar la integración latinoamericana a fin de garantizar el bienestar de los pueblos.

La noticia fue anunciada a través de un boletín de prensa emitido por el Parlatino en el que indicaron que la Universidad destacó la democratización de las comunicaciones en Venezuela, mediante la creación de medios comunitarios.

En la nota, el profesor universitario y vicepresidente del Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv) para asuntos internacionales, Rodrígo Cabezas, comentó que “reconocen además las políticas de inclusión educativa y alfabetización del Estado Venezolano y la firme defensa contra los ataques golpistas de los grupos concentrados de medios de comunicación en el país y en la región latinoamericana y caribeña”.

Cabezas destacó que este reconocimiento académico que se le otorga al dignatario tiene un gran significado para el pueblo venezolano, pues lo recibe en momentos en los que se ha recrudecido la guerra mediática en su contra.

FAO premia Maduro per la lotta alla fame

da tribunodelpopolo.it

Per lo stupore della stampa occidentale, che non se ne capacita, la Fao (Food and Agricolture Organization) ha premiato il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, per il suo impegno e per i risultati conseguiti nella lotta contro la fame. Eppure secondo gli Usa, l’Europa e molti intellettuali alla “Saviano”, Caracas rappresenta un “regime”. Un “regime” talmente bizzarro da essere stato votato democraticamente.

Spesso quando si vuole perorare una causa piuttosto che un’altra sarebbe necessario partire da un punto fermo: conoscere i fatti. E’ sin troppo facile infatti definire buono o cattivo questo o quel paese sulla base del giudizio che spesso un pugno di opinion leaders affida troppo frettolosamente ai salotti Tv, più difficile approfondire e contestualizzare. A nostro avviso è quello che accade al Venezuela, paese vittima di una importante campagna di demonizzazione mediatica ormai da diversi anni proprio perché il suo governo, quello di Chávez prima, e di Maduro poi, è inviso all’occidente per ovvi motivi politici e geopolitici.

Il problema è che Hugo Chávez prima e Nicolás Maduro poi hanno vinto democraticamente le elezioni e di conseguenza la loro rivoluzione Bolivariana di stampo socialista è del tutto legittima. E quanti lamentano autoritarismo e tendenze autoritarie da parte del governo dovrebbero comunque compiere lo sforzo di ricordare che cosa fosse il Venezuela prima dell’avvento del chavismo, ovvero un paese poverissimo in balìa delle bande criminali, dell’analfabetismo e della corruzione spietata al servizio delle multinazionali e dei potentati stranieri.

Ai salotti non piaceva Chávez, militare dai modi spicci, e non piace Maduro, che con la sua semplicità fa arricciare il naso ai benpensanti opinion leaders di casa nostra, quelli che per intenderci abboccano ogni volta alle campagne di isteria e demonizzazione contro il “regime” di turno. Non piace nemmeno a personaggi come Saviano che, incautamente, hanno accusato Caracas di essere collusa con il narcotraffico prendendo per buone notizie di fonte Dipartimento di Stato Usa, ovvero lo stesso paese, gli Stati Uniti, che nel 2001 ha tentato un golpe contro il chavismo e che ininterrottamente finanzia e supporta l’opposizione di destra per destabilizzare il governo venezuelano.

Quella che però non si può occultare è la realtà, e infatti la Fao, ovvero il programma Food And Agricolture Organization delle Nazioni Unite, ha deciso di premiare proprio il presidente venezuelano Nicolás Maduro per il suo impegno nel combattere la fame in Venzuela.

“Il Venezuela è il Paese che ha combattuto di più la fame nel mondo, grazie ai programmi sociali di cibo e al lavoro quotidiano instancabile”, ha spiegato la Fao, che ha fatto riferimento al piano di sussidio istituito da Chávez nel 2003. Secondo recenti statistiche tale programma è riuscito nell’impresa di distribuire circa 26,5 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, sconfiggendo la fame in quasi tutto il Paese.

Ma non è finita qui, anche se il Venezuela sta attraversando una difficile congiuntura economica a causa della crisi dovuta anche ai prezzi del petrolio, secondo la tv sudamericana Telesur, Maduro avrebbe deciso di chiedere un aumento delle spese per l’allargamento del piano voluto da Chávez: “Tra il 2015 e il 2016 saranno stanziati 24 miliardi di BsF per la costruzione di nuovi centri di distribuzione e supermercati Mercal”. Ma non si tratta solo di propaganda dato che è stato lo stesso Fao a riconoscere che il governo venezuelano ha diminuito la povertà del 50% nel 2012. Di fronte ai dati gli opinionisti cosiddetti e sedicenti “democratici” semplicemente non ne parlano, preferendo dare invece spazio a tutte le rivendicazioni dell’opposizione venezuelana, dipinta invece sempre e comunque con toni positivi.

 

(VIDEO) Napoli ripudia la campagna diffamatoria contro Cabello

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I rappresentanti del Movimento di Solidarietà con il Venezuela a Napoli si sono recati presso la sede del Consolato Generale per manifestare sostegno al Governo Bolivariano e al Presidente dell’Assemblea Nazionale, Diosdado Cabello.

Hanno consegnato alla Console Amarilis Gutiérrez, un documento elaborato dalla redazione di ALBAinformazione – pubblicazione dell’Associazione Nazionale di Reti ed Organizzazioni Sociali (ANROS Italia) – e sottoscritto dalle associazioni Assadakah Napoli e Russkoe Pole. [Qui il VIDEO della lettura e consegna del documento]

Nel testo del documento si afferma: «… Ribadiamo il nostro sostegno al Presidente dell’Assemblea Nazionale venezuelana e dirigente fondamentale della Rivoluzione Bolivariana. Diosdado Cabello è vittima di accuse infamanti che non trovano alcun fondamento nella realtà e di intimidazioni dal sapore mafioso, come testimonia la squallida copertina di Newsweek che lo ritrae sotto tiro di un mirino telescopico».

È stato inoltre rilevato che in Italia alcuni media hanno preso parte a questa campagna mediatica, coinvolgendo giornalisti e intellettuali riconosciuti, come nel caso di Roberto Saviano.

I rappresentanti dei gruppi di solidarietà hanno evidenziato che «nonostante mistificazioni, menzogne, aberranti campagne mediatiche, tentativi di destabilizzazione violenta e guerra economica, il Venezuela Bolivariano gode di forza e prestigio internazionale».

Sottolineando che la Patria di Bolívar può far affidamento sul sostegno di grandi paesi come Cina e Russia, con i quali è in fase di costruzione il nuovo mondo multipolare.

«Il Venezuela socialista è forte perché il popolo è protagonista e ha in mano il proprio destino. È forte perché grazie alla Rivoluzione Bolivariana il reddito dei lavoratori è in continuo rialzo dal 1999, perché entro il 2019 il 40% dei venezuelani vivrà in una degna casa costruita per il benessere del popolo, perché sono state sconfitte fame e povertà con ampio anticipo rispetto al cosiddetto ‘Obiettivo del Millennio’ nonostante la pesante eredità lasciata dai governi neoliberali».

Il momento si è rivelato opportuno anche per coordinare il programma di lavoro della delegazione napoletana che si recherà a Bruxelles per il Vertice dei Popoli in programma da mercoledì 10 a giovedì 11 giugno 2015.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Hernández: La Siria può contare sul sostegno di Cuba

da sana.sy e Syria -L’altra faccia della rivolta 

Cuba ammira e sostiene il popolo siriano per la sua lotta contro i gruppi estremisti e mercenari addestrati all’estero, ha dichiarato a L’Avana Esteban Lazo, membro dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba (PCC) e il presidente dell’Assemblea nazionale del potere popolare.

Il presidente del Parlamento cubano ha detto ad Hilal al-Hilal, vice segretario generale del partito socialista arabo Baath e alla sua delegazione che l’unità e l’integrazione aiuteranno a superare il nemico e possono contare sulla solidarietà cubana nella loro resistenza all’aggressione criminale.

Da parte sua, il Vicepresidente cubano, José Ramón Machado Ventura, in occasione del suo incontro con il Segretario Regionale aggiunto del Partito Socialista Arabo Baath, Hilal Al-Hilal, ha dichiarato che la fermezza del popolo siriano e il suo sostegno all’esercito sono il segreto della vittoria.

«I sacrifici sopportati dal popolo siriano nella lotta contro il terrorismo non sono solo per difendere la Siria, ma tutti», ha dichiarato Ventura.

Il vicepresidente ha sottolineato la simpatia del popolo cubano verso i fratelli siriani in lotta per la dignità e la libertà, sottolineando l’importanza dei risultati della visita a Cuba di Hilal.

Da parte sua, al-Hilal ha affermato la determinazione del popolo siriano nel proseguire la lotta contro il terrorismo e la difesa della sua sovranità e indipendenza, confermando che la guerra guidata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati contro la Siria non è riuscita grazie proprio alla fermezza del popolo e l’esercito siriano.

Hilal ha precisato che la solidarietà di molti paesi, tra cui Cuba, ha contribuito al consolidamento della fermezza del popolo siriano e che i motivi per la presa di mira di questi due paesi sono il loro impegno nella difesa della sovranità e dell’indipendenza nazionale, il loro sostegno ai movimenti di liberazione e la loro resistenza al colonialismo.

Anche il capo del Parlamento cubano, Esteban Lazo Hernández, ha ribadito che la vittoria della Siria, sotto la guida del presidente Bashar al Assad, al terrorismo e ai suoi sponsor è inevitabile grazie alla forza della sua gente e del suo esercito.

«Ci rendiamo conto che la Siria difende una questione giusta, vale a dire, la sovranità, l’indipendenza e la dignità. E continueremo a sostenerla», ha dichiarato Hernández.

[Traduzione dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Capote: «Sono stato un agente cubano infiltrato nella Cia»

raul-razones-de-cubaIntervista. Raul Capote: «la mia doppia vita di reclutato dall’agenzia per la sovversione a Cuba»

di Geraldina Colotti – il manifesto

29mag2015.- «Venni reclu­tato dalla Cia per pre­pa­rare la sov­ver­sione politico-ideologica con­tro il mio paese». Il pro­fes­sor Raul Capote comin­cia così il suo rac­conto al mani­fe­sto. In mano ha il libro «Un altro agente all’Avana», appena pub­bli­cato in Ita­lia da Zam­bon. Un’ampia scheda di Ales­san­dro Pagani, il cura­tore, rica­pi­tola ter­mini e tappe della «guerra psi­co­lo­gica degli Stati uniti con­tro Cuba». L’introduzione di Ser­gio Mari­noni, pre­si­dente dell’Associazione nazio­nale di ami­ci­zia Italia-Cuba, trac­cia la mappa delle prin­ci­pali «con­tro­mosse» messe in campo dal governo cubano per parare i colpi. Il primo a met­tere in gioco la sua vita per infil­trarsi tra i gruppi anti­ca­stri­sti, fu Alberto Del­gado y Del­gado, nella prima metà degli anni ’60. Del­gado venne sco­perto dai ban­di­dos che lo tor­tu­ra­rono sel­vag­gia­mente prima di impic­carlo a un albero vicino a Tri­ni­dad e la sua sto­ria è rac­con­tata in un film del 1973, «El hom­bre de Mai­si­nicu». Capote, il primo cubano a infil­trarsi nella Cia, ha rischiato la vita molte volte, ma è ancora qui, a rac­con­tare quella sto­ria anche in Ita­lia, in un giro di pre­sen­ta­zioni che lo ha por­tato a Roma, dove lo abbiamo incontrato.

Com’è comin­ciata la sua avventura?

Ero un gio­vane scrit­tore spe­ri­men­tale, docente uni­ver­si­ta­rio, impe­gnato nell’Unione nazio­nale degli scrit­tori e degli arti­sti di Cuba. La Cia mi ha con­tat­tato per lavo­rare a un pro­getto chia­mato Gene­sis, diretto soprat­tutto ai gio­vani uni­ver­si­tari cubani. Si pro­po­neva di for­mare i lea­der «del cam­bio» e creare una orga­niz­za­zione di falsa sini­stra che in un futuro avrebbe dovuto pre­di­sporre il cam­bia­mento poli­tico nel paese. Per la Cia, ero l’agente Pablo, per il governo cubano, ero Daniel.

Ero e sono un comu­ni­sta fedele ai suoi ideali, uno dei tanti cubani che amano il pro­prio paese. Vivere una dop­pia vita non è facile senza una con­vin­zione pro­fonda: quando ti sba­gli o ti attac­cano o vogliono com­prarti, sei solo e l’unica tua arma è la moti­va­zione. Ho fatto il mio dovere fino al giorno in cui avrei dovuto com­piere atten­tati e il mio governo ha deciso di rive­lare pub­bli­ca­mente l’operazione.

Negli ultimi incon­tri tra rap­pre­sen­tanze Usa e quelle di Cuba, una gior­na­li­sta ha chie­sto alla dele­ga­zione sta­tu­ni­tense se Washing­ton modi­fi­cherà la sua stra­te­gia di inge­renza per pro­muo­vere “la tran­si­zione” a Cuba ora che sono riprese le rela­zioni tra i due governi. Le è stato rispo­sto che, in sostanza, l’obiettivo resta il mede­simo. Lei che ne pensa? E il suo libro è ancora attuale?

Quel che descrive il libro resta ancora molto attuale. L’attuale stra­te­gia di smart power degli Usa — san­zioni da una parte e dia­logo dall’altra, che ora stiamo vedendo nei con­fronti del Vene­zuela — si può rias­su­mere nel pro­po­sito di distrug­gere la rivo­lu­zione cubana seguendo altri metodi, con­si­de­rati più effi­caci di quelli più mar­ca­ta­mente aggres­sivi impie­gati durante la guerra al «peri­colo rosso»: for­mando, alle­nando, finan­ziando lea­der per il cam­bia­mento, infil­trando o creando gruppi alter­na­tivi finan­ziati dalle agen­zie gover­na­tive sta­tu­ni­tensi. Tutto que­sto all’insegna di rela­zioni nor­mali tra i due paesi che con­sen­tano di agire a Cuba in un con­te­sto di legalità.

Que­sti erano gli obiet­tivi del pro­getto Gene­sis. Gli Usa hanno dovuto pren­dere atto del loro fal­li­mento: per 56 anni hanno ten­tato di met­tere in ginoc­chio Cuba pren­den­doci per fame, allet­tando il popolo con ogni tipo di biso­gno indotto affin­ché si sol­le­vasse con­tro la sua rivo­lu­zione. Tut­ta­via, né l’aggressione mili­tare, né il ter­ro­ri­smo, né la guerra bio­lo­gica, né il blocco eco­no­mico hanno pie­gato Cuba. Per que­sto, ora ricor­rono alla poli­tica del buon vici­nato. Cre­dono che, rista­bi­lendo le rela­zioni diplo­ma­ti­che, togliendo pro­gres­si­va­mente il blo­queo pos­sano vin­cere: attra­verso una intensa guerra cul­tu­rale, semi­nando nell’isola i valori del capi­ta­li­smo, impa­dro­nen­dosi della nostra eco­no­mia, cor­rom­pendo fun­zio­nari, impre­sari, mili­tari e poli­tici. In pochi anni, con un pro­cesso sot­tile ma inar­re­sta­bile, senza che pos­siamo accor­ger­cene, Cuba ritor­ne­rebbe al capitalismo.

I più insi­diosi com­plici delle scelte neo­li­be­ri­ste o mode­rate dei governi euro­pei sono gli intel­let­tuali. Lei rac­conta nel libro la dif­fi­coltà per resi­stere a quelle sirene quand’era un gio­vane e ambi­zioso scrit­tore. I gio­vani cubani sono più espo­sti di quelli della sua generazione?

Non credo, anzi. I gio­vani cubani sono molto più pre­pa­rati, cono­scono i modelli occi­den­tali, hanno una cul­tura gene­rale supe­riore alla nostra, un impe­gno grande con il socia­li­smo cubano e hanno modo di fre­quen­tare i nostri nemici più di noi. Il fatto che Cuba abbia un livello di cul­tura gene­rale molto più ele­vato rispetto a quello di altri paesi della regione e a quello di molti paesi del mondo svi­lup­pato, non è da sottovalutare.

La prima grande opera della rivo­lu­zione è stata quella di ele­vare l’educazione e la cul­tura del popolo e que­sto ha dato i suoi frutti. Cuba ha un pro­getto cul­tu­rale alter­na­tivo e ecce­dente la cul­tura glo­bale del capitalismo.

Difen­dere que­sto pro­getto richiede uomini e donne for­mati in que­sta cul­tura dif­fe­rente, capaci di andare in qual­siasi parte del mondo a edu­care, a curare, a costruire, a sal­vare vite umane come fanno i nipo­tini della rivo­lu­zione in Africa, in Vene­zuela, in Bra­sile. Que­sto non lo fa il capi­ta­li­smo. Sul piano poli­tico, il paese è molto più forte di prima.

Il Potere popo­lare si con­so­lida, cre­sce il livello della par­te­ci­pa­zione popo­lare nelle deci­sioni, si sta per­fe­zio­nando il sistema elet­to­rale, si attua­liz­zano le leggi. Il nostro par­tito di avan­guar­dia — che non è un par­tito elet­to­rale come molti cre­dono — è diretto per oltre l’80% da qua­dri poli­tici gio­vani e di alto livello cul­tu­rale. L’unità del par­tito con il popolo è più forte di prima, la gente si sente par­te­cipe e giu­dice di quel che accade nel paese.

Shaaban: «Siria e America latina un’unica lotta per la libertà»

di Miguel Fernández Martínez – Prensa latina

Per Buzaina Shaaban, consigliere politico e mediatico del Presidente siriano, Bashar al Assad, il Levante è un settore vitale in tutto il mondo arabo, perché se la Siria cade, tutta la regione diventerà una terra di servi.

Questo piccola ma attiva donna, nata nella provincia di Homs e legata al Partito Arabo Socialista Baath, è probabilmente uno delle figure più vicine al presidente Assad. Prensa Latina ha parlato con lei nel suo ufficio al Palazzo del Popolo, costruito su una collina che domina la città di Damasco che può essere vista in tutta la sua grandezza, alla ricerca di uno scorcio del conflitto che ha colpito questo paese arabo da quattro anni fa.

«Il Levante è stato a lungo la bussola degli arabi, da qui la fermezza e la forza della Siria, molto importante per il futuro di tutti, qualcosa che i nemici sanno molto bene».

«Così hanno favorito l’entrata di tutti i tipi di criminali, mercenari e terroristi in Siria, per rompere questo schema. Abbiamo 10.000 anni di storia, siamo stati invasi da molti, tutti sono stati sconfitti, e i siriani sono sempre riusciti a resistere», ha dichiarato Shabaan.

«Bisogna mantenere l’asse della resistenza perché è molto importante per il futuro di questa regione. Il problema non è esistere, se esistiamo senza libertà, noi volgiamo essere veramente liberi».

Aggressione internazionale

Per Bouthaina Shaaban, l’aggressione contro la Siria è stata  complementare alla guerra scatenata contro l’Iraq nel 2003, è avvenuta perché i due paesi hanno avuto forti eserciti, civiltà radicate e anche molta influenza in Medio Oriente.

«Quello a cui stiamo assistendo oggi nella regione, è la distruzione di due eserciti potenti, l’opzione per disegnare questi due paesi nella linea di confronto contro Israele, cercare di porre fine all’indipendenza e formare governi lacchè, servi degli USA», ha spiegato.

La consigliera presidenziale ha ricordato che fin dai tempi del presidente Hafez al-Assad, la Siria è stato l’unico paese arabo che ha rifiutato di firmare un accordo con Tel Aviv, ha sostenuto la lotta dei popoli dell’America Latina, la battaglia contro l’apartheid in Sud Africa, e la rivoluzione islamica in Iran.

È stato anche un membro attivo del Movimento dei Paesi Non Allineati, attore indipendente nella Conferenza islamica, ma l’imperialismo vuole porre fine a questo modello di indipendenza.

«La guerra contro la Siria è stato progettato per imporre una tutela degli Stati Uniti e viene condotta con strumenti regionali, perché penso che oggi stiamo vivendo una invasione turco-saudita, stiamo conducendo una battaglia per mantenere la nostra sovranità e l’indipendenza», ha ribadito con enfasi.

Campagna di disinformazione

Bouthaina Shaaban ritiene che nel quadro che è statt tracciato intorno allala Siria, il problema non era esattamente rovesciare il governo.

Le intenzioni delle maggiori potenze occidentali e di Israele è quello di frammentare e indebolire la regione levantina.

«Come Saddam Hussein e Muammar Gheddafi sono stati usati come pretesto per distruggere l’Iraq e la Libia, così stanno facendo la stessa cosa con la Siria, criticando il suo governo, ma il loro obiettivo è quello di distruggere il Paese, le nostre fabbriche, le nostre scuole, il nostro patrimonio archeologico, la nostra identità e la nostra storia».

«Perché hanno mobilitato tutti questi mezzi e tutte queste capacità criminali contro la Siria? Perché il conflitto e la guerra sono per frenare il futuro di questa regione», ha sottolineato.

«Così come hanno combattuto in America Latina per non rimanere il cortile degli USA, si combatte anche in Siria per garantire un futuro indipendente», ha aggiunto.

«Cosa c’è di nuovo oggi, purtroppo, è che ci sono paesi che sostengono di essere arabi – si è riferita alle monarchie del Golfo –  sono usati dagli Stati Uniti e dalla Turchia come strumenti per cambiare il futuro, in modo che noi saremo schiavi».

«State vedendo qualcosa stampa internazionale sulla Libia?» si è chiesta, evidenziando che «coloro che ora attaccano la Siria, hanno già distrutto la Libia, ma ora nessuno parla di questo paese, come se non ci fosse alcun problema».

«Ora distruggono Yemen e poi inviare alcune scatole di aiuti umanitari. Ci sono circa 15 milioni di yemeniti minacciati dalla carestia, cinque milioni di bambini yemeniti possono morire».

A suo parere, gli Stati Uniti o i media occidentali se ne fregano poco di 300 milioni di arabi. «La guerra che stiamo conducendo ora è per l’indipendenza, una guerra per preservare la nostra sovranità».

La stampa siriana in tempo di guerra

Shaaban ha sottolineato che la credibilità dell’Occidente non c’è più, e tutto quello che dicono sulla libertà, la libertà di stampa e dei diritti umani sono solo falsità.

A Prensa Latina, la consigliera di Assad ha raccontato che la principale sfida dei giornalisti siriani è la fermezza e la resistenza, e cercare di trasmettere al mondo la verità di ciò che sta accadendo nel paese.

«Il popolo nordamericano non sa nulla di ciò che sta accadendo qui. Quando si va in America ci si sente come se si fosse in un altro mondo. Le nostre notizie non arriveranno sugli schermi delle televisioni dei nordamericani, e se arrivano, riflettono il punto di vista dei nemici degli arabi, non quella dei nostri alleati», ha precisato.

«Quando il gruppo terroristico, Stato Islamico, h decapitato i giornalisti statunitensi, i media hanno fatto una grande campagna, un sacco di rumore, ma quando è successo, i terroristi avevano decapitato centinaia di siriani, tra cui giornalisti, civili, bambini e le donne».

La campagna mediatica è stata scatenata quando hanno ucciso James Foley: «Ci dispiace per la decapitazione di qualsiasi essere umano, il loro comportamento però dimostra il razzismo con il quale ci vedono, perché interessa solo se americano o europeo, non se siamo noi ad essere massacrati o macellati, non sono interessati», ha chiarito.

Solidarietà internazionale

La consigliera presidenziale di Assad confida nel supporto dell’ America Latina. «Continueremo a stare in piedi e ringraziare la gente dell’America Latina, e sappiamo che sono con noi. La loro fermezza contro gli Stati Uniti è una cosa che sostiene la nostra resistenza», ha affermato.

«Noi siamo i popoli indigeni, come i nativi americani, come Evo Morales in Bolivia, ma come è successo in America Latina, hanno distrutto tutte le civiltà e ora stanno facendo lo stesso qui».

«Sappiamo chi sono i nostri amici, basta guardare a questo mondo ipocrita che ora parlando della strage degli armeni nel 1915, ma non parlano del massacro che si sta commettendo contro il popolo siriano e il popolo yemenita nel 2015».

«Noi combattiamo o moriamo su questa terra, ma continueremo a stare in piedi, e se moriamo, i nostri figli continueranno la lotta, e se i nostri figli muoiono, i nostri nipoti continueranno la lotta. Questa terra è nostra e rimarrà nostra e gli invasori saranno sconfitti».

A margine, la dottoressa Bouthaina Shaaban ha sorriso ed ha detto semplicemente: «Noi combattiamo, perché siamo parte di questa terra».

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

“Las palabras como armas”: impegno rivoluzionario, costruzione identitaria

Tony11Ecco l’esempio che Tony Guerrero ha trasmesso nel suo incontro con gli studenti universitari di Milano

di Alessandro Pagani

Il periodo di riflusso politico che ebbe inizio negli anni Novanta del secolo passato, dopo il crollo dell’URSS e della maggior parte dei paesi socialisti, fu anche lo scenario di emergenza da parte di Cuba di fronte all’implementarsi delle azioni di destabilizzazione della Rivoluzione cubana da parte degli Stati Uniti del Nord America, la cui virulenza rese necessario che il popolo cubano e il suo governo aumentassero la propria vigilanza rivoluzionaria infiltrando i propri agenti della sicurezza di Stato in seno a quelle organizzazioni terroriste anticastriste con sede a Miami.

E’ da qui che nasce l’eroica storia dei Cinque eroi cubani, che misero da parte i propri affetti e la propria vita personale per difendere il proprio Paese da siffatte azioni terroriste organizzate dalla mafia cubano americana, e che per questo dovettero patire – inoltre – le sofferenze e le privazioni del duro regime carcerario statunitense.

Un aspetto centrale di questa esperienza è il processo di costruzione dell’identità rivoluzionaria, fattore che ha reso possibile la Resistenza soggettiva alla barbarie carcerarie, come ha raccontato Tony Guerrero durante il suo incontro in un’aula piena di studenti dell’Università degli Studi di Milano.

Questo processo interiore, come quello inerente alla costruzione di un’identità collettiva, include la necessità di farsi proprio un universo di referenze capaci di dinamizzare la volontà, di materializzare sensazioni, di contrarrestare quelle forze centrifughe della soggettività individuale e che Tony Guerrero – rinchiuso in isolamento carcerario per 17 mesi consecutivi durante i 16 anni che ha dovuto scontare – è riuscito a trasmettere attraverso i suoi “versos sencillos”.

Ebbene, nel caso di Tony ciò che si evince dal suo incontro universitario “La palabra como armas” è che la dinamica di Resistenza della sua identità rivoluzionaria (la sua cosmovisione poetica) non è solo la materializzazione di un insieme di formulazioni teorico-ideologiche ma, anche, di una strutturazione di un immaginario politico – teoria e prassi – fortemente intriso di elementi propri di una cultura rivoluzionaria d’innegabile tradizione martiana, facilmente riconoscibile a partire dal trionfo della Rivoluzione cubana (1 gennaio 1959) e da colui che rappresenta – senz’altro – il più degno rappresentante, il comandante in capo di tutti gli umili della terra: Fidel Castro Ruz.

La “parola come arma”, vale a dire la poesia come strumento per interiorizzare le sofferenze delle carceri imperialiste statunitensi, in questo senso, ha rappresentato per Tony un elemento fondamentale tanto della costruzione della propria identità come rivoluzionario – fattore che traspare ascoltandolo narrare siffatta esperienza personale – come dell’esempio che ne viene fuori per tutti, là dove orbene si evince la condotta che deve mostrare un vero rivoluzionario di fronte a chi, dalla sua parte, ha solo la ragione della forza.

Ascoltando le parole di Tony Guerrero, davanti ad una platea di giovani universitari italiani, palesemente trasportati in cielo (come quelle farfalle cubane che diedero dignità alla sua vita carceraria), è impossibile disconoscere che i vincoli tra certe componenti del pensiero martiano e marxista rivoluzionario non sono affatto qualcosa di astratto o immaginario, ma rappresentano la forza della ragione di questi Cinque Eroi Cubani, degni rappresentanti dell’invitto popolo cubano.

Da siffatta prospettiva, si deve leggere l’incontro che si è tenuto presso l’università degli studi di Milano, cercando di interpretare al meglio le caratteristiche di una figura chiave dell’universo rivoluzionario cubano: quella di un eroe. La forma in cui questa figura rivoluzionaria si è articolata in un sistema di principi rivoluzionari e che nella interiorizzazione delle sofferenze carcerarie, nella conquista della libertà, costituiscono a loro volta uno degli esempi più alti della vita di un rivoluzionario che ha deciso di dare tutto per una giusta causa come quella della difesa della propria Patria e della propria Rivoluzione, contro le azioni terroriste e sovversive degli Stati Uniti del Nord America.
Gli studenti universitari di Milano non hanno ignorato tale esempio che è riuscito a trasmettergli Antonio Guerrero, oggi le sue poesie, le sue parole di amore alla vita e di indomabile Resistenza, riecheggiano nelle aule di quell’università e prendono il volo verso l’orizzonte, verso quel sol dell’avvenire che oggi, grazie a Tony, grazie ai Cinque eroi cubani, grazie a Fidel e Raul, grazie al comandante eterno Hugo Chavez, è diventato realtà e che si chiama: Patria Grande!

esclusivo per it.cubadebate.cu

Pepe Mujica, cent’anni di moltitudine

di Geraldina Colotti – il manifesto 

L’intervista. Abbiamo incontrato a Roma l’ex presidente-tupamaro dell’Uruguay

Avrebbe dovuto essere una visita pri­vata: alla ricerca dei suoi tra­scorsi liguri a Favaro, dove sono nati i nonni. Ma l’agenda dell’ex pre­si­dente uru­gua­yano José Alberto Mujica Cor­dano si è riem­pita subito. E “Pepe” ha avuto ben pochi momenti per godersi l’alternanza di sole e piog­gia di que­sti ultimi giorni, insieme alla moglie Lucia Topo­lan­sky. Una cop­pia inos­si­da­bile di diri­genti poli­tici dai tra­scorsi guer­ri­glieri, rima­sti insieme dai tempi in cui i Tupa­ma­ros ispi­ra­vano il cuore dei gio­vani, nel Nove­cento delle grandi speranze.

Il Movi­mento di libe­ra­zione nazio­nale Tupa­ma­ros è stato un’organizzazione di guer­ri­glia urbana di orien­ta­mento marxista-leninista che ha agito in Uru­guay tra gli anni ’60 e ’70. Fon­da­tori e diri­genti — da Raul Sen­dic a Mujica, a Topo­lan­sky a Mau­ri­cio Rosen­cof — hanno pagato con lun­ghi anni di car­cere, ostaggi del regime mili­tare che ha oppresso il paese a par­tire dal golpe del 1973, e che ha con­cluso il suo ciclo nel 1984, con l’elezione del mode­rato Julio Maria Sanguinetti.

A Livorno, Pepe ha rice­vuto la cit­ta­di­nanza ono­ra­ria dal sin­daco pen­ta­stel­lato Filippo Noga­rin: «Per­ché la sua atti­vità tesa alla pro­mo­zione e all’affermazione dei prin­cipi della demo­cra­zia e dello svi­luppo eco­no­mico non è mai stata scissa dall’attenzione verso i più deboli, e per lo stile umile che ha saputo man­te­nere rico­prendo la mas­sima carica dello stato».

Mujica devolve infatti il 90% del pro­prio sti­pen­dio ai poveri e vive in modo fru­gale. Lui ha rin­gra­ziato la città dicen­dosi «cit­ta­dino del mondo» e ha offerto uno dei suoi discorsi diretti e pro­fondi che arri­vano al noc­ciolo senza affi­darsi al gergo.

Lo abbiamo incon­trato a Roma, nella resi­denza dell’ambasciatore dell’Uruguay in Ita­lia, insieme a Lucia Topo­lan­sky e a Cri­stina Guar­nieri, della casa edi­trice Eir, infa­ti­ca­bile orga­niz­za­trice dei suoi incon­tri a Roma.

Che idea si è fatto di que­sta Europa, dell’Italia, della Spa­gna in odore di cam­bia­menti e della Gre­cia ricat­tata dai poteri forti?

All’origine vi sono pro­blemi che tra­scen­dono le sca­denze elet­to­rali. I pro­blemi dell’Europa riflet­tono le con­trad­di­zioni di que­sto sistema che col­pi­sce i set­tori più deboli. C’è una crisi della domanda per­ché la gente con­ti­nua a con­su­mare una infi­nità di cose inu­tili, e al con­tempo una enorme fetta di mondo pieno di povertà che non abbiamo il corag­gio di incor­po­rare: il mondo ricco non ha suf­fi­ciente gene­ro­sità soli­dale per incor­po­rarla nella civi­liz­za­zione. Spre­chiamo un’infinità di pre­ziose risorse per­ché il mondo ricco possa con­su­mare cose inu­tili o fri­vole. E invece non diamo acqua, scuole, case ai più poveri. E anzi respin­giamo i bar­coni che arri­vano nel Medi­ter­ra­neo, o magari pen­siamo di affon­darli, impe­diamo il pas­sag­gio dei migranti mes­si­cani alla fron­tiera nor­da­me­ri­cana. Li invi­tiamo a par­te­ci­pare a una civi­liz­za­zione che poi non gli dà il posto pro­messo. E’ come se ti dices­sero: vedi quanto è bello? Ma non è per tutti.… Allo stesso tempo sca­te­niamo pro­blemi su scala pla­ne­ta­ria per­ché non pos­siamo gover­narci: ci governa il mer­cato. Il mondo è glo­ba­liz­zato ma non ha un governo mon­diale all’altezza dell’intelligenza scien­ti­fica rag­giunta, che con­sen­ti­rebbe un’organizzazione gene­rale e una equa distri­bu­zione delle risorse. Siamo in preda a un caos che sta por­tando al limite la natura: per via di una ecces­siva con­cen­tra­zione della ric­chezza. Ti sem­bra pos­si­bile che un mani­polo di bei tomi detenga quel che serve al 40% dell’umanità?

E in che dire­zione ci si dovrebbe muo­vere per inver­tire la tendenza?

Dob­biamo impa­rare a muo­verci per il governo della spe­cie e non solo in base agli inte­ressi dei paesi, dei sin­goli stati, con la con­sa­pe­vo­lezza che siamo respon­sa­bili di un pia­neta, di una bar­chetta che sta andando alla deriva nell’universo. Biso­gna avere chiaro che non gover­nano le per­sone, ma gli inte­ressi del grande capi­tale finan­zia­rio e i suoi ricatti. Abbiamo un’arma più vicina del Palazzo d’Inverno su cui agire, qual­cosa di più vicino e potente: le nostre menti e le nostre coscienze. C’è una rivo­lu­zione pos­si­bile nella testa di ognuno per costruire una nuova uma­nità. Dob­biamo agire per­ché ognuno sia cosciente che il mer­cato ci toglie la libertà. Non cam­biamo il mondo se non cam­biamo noi stessi. Per tanto tempo abbiamo seguito una linea trac­ciata: abbiamo pen­sato che bastasse pren­dere il potere, cam­biare i rap­porti di pro­prietà e di distri­bu­zione per cam­biare l’umanità. Invece, quel che è suc­cesso in Unione sovie­tica ha dimo­strato che le cose sono molto più com­pli­cate. Oggi dob­biamo pun­tare di più sulla cul­tura. Non dob­biamo agire per coman­dare ma per­ché le per­sone diven­tino padrone di loro stesse.

L’America latina sta cam­biando in fretta, e sulla base di governi socia­li­sti o pro­gres­si­sti che spo­stano i rap­porti di potere a favore delle classi popolari.

… Sta cam­biando un poco, ci vuole tempo. Dob­biamo svi­lup­pare intel­li­genza nella gente, i ritorni indie­tro sono sem­pre pos­si­bili, l’interventismo esterno è sem­pre latente. Le basi mili­tari Usa sono sem­pre attive in Ame­rica latina. Obama è un pre­si­dente pri­gio­niero, ostag­gio del com­plesso militare-industriale. Non gli hanno per­messo di fare niente. I nostri amici, negli Stati uniti, pur­troppo non si tro­vano nelle fab­bri­che, ma nelle uni­ver­sità, è così dai tempi del Viet­nam. Il meglio degli Sati uniti si trova nel mondo intel­let­tuale, il peg­gio nelle ban­che e sui ban­chi del par­la­mento, ma non biso­gna fare di ogni erba un fascio.

Lei ha deciso di pren­dersi alcuni pri­gio­nieri di Guan­ta­namo, men­tre con­ti­nua l’avanzata dell’Isis.

Sai com’è, no? Solo chi è stato tanto tempo in car­cere come noi può capire… Oggi invece si pensa di risol­vere i pro­blemi dell’umanità e i pro­pri costruendo più car­ceri, chie­dendo più car­cere e più bombe. Noi, un pic­colo paese, abbiamo indi­cato che si può pren­dere un’altra strada. A cosa sta por­tanto la bal­ca­niz­za­zione del mondo? Hai visto come hanno ridotto la Libia: una bar­ba­rie. Io non voglio difen­dere Ghed­dafi, ma almeno prima c’era uno stato ordi­nato, ora c’è un disa­stro… Sono stato negli Stati uniti. C’è gente in car­cere da 34 anni senza mai aver ver­sato una goc­cia di san­gue, solo per aver riven­di­cato l’indipendenza del pro­prio paese come il por­to­ri­cano Oscar Lopez. Ma agli Stati uniti inte­ressa di più la libertà di un altro Lopez…

Il gol­pi­sta venezuelano?

Pre­ci­sa­mente…

A pro­po­sito di peri­coli e di ritorni indie­tro. Lei ha dichia­rato a suo tempo: «Abbiamo biso­gno del Mer­co­sur come del pane». Ora, invece, il suo suc­ces­sore, Tabaré Vaz­quez dice che biso­gna «fles­si­bi­liz­zare» il Mer­co­sur. Sta striz­zando l’occhio alle alleanze pro­po­ste dagli Usa? In diverse occa­sioni lei non ha lesi­nato cri­ti­che alla nuova gestione.

…Penso di no, che non si saranno ritorni indie­tro. Il fatto è che oggi il Mer­co­sur è un po’ pro­vato, non avanza, non fa le cose che si era pre­fisso. Soprat­tutto, Bra­sile a Argen­tina non hanno tro­vato un’intesa, quindi ora abbiamo il pro­blema di diver­si­fi­care le rela­zioni. La pre­senza della Cina è sem­pre più forte, da diversi anni que­sto ha por­tato risul­tati posi­tivi, ma dob­biamo fare atten­zione, prima par­la­vamo di dipen­denze, di debito, il pro­blema della sovra­nità va visto da diverse prospettive.

Tutti, in Ame­rica latina, la vogliono come media­tore dei con­flitti: il governo colom­biano e la guer­ri­glia mar­xi­sta, la Boli­via nel con­ten­zioso con il Cile. E lei accetta...

La guerra preme dap­per­tutto, i con­flitti facil­mente emer­gono, lo svi­luppo delle nuove tec­no­lo­gie com­plica lo sce­na­rio. Eppure sap­piamo di essere inter­di­pen­denti, il pro­gresso e la tec­nica non pos­sono ipo­te­care la con­vi­venza, il vivere in con­sessi umani. Dob­biamo impa­rare a vivere con le dif­fe­renze, tro­vare un altro modo di comu­ni­care, siamo di fronte a un altro mondo in cui gli stati nazione e le forme tra­di­zio­nali della poli­tica non rie­scono a dare rispo­ste ade­guate. Si sono sca­te­nate forze di cui non tro­viamo più le bri­glie, a par­tire da quelle del capi­tale finan­zia­rio e degli “avvol­toi” che si avven­tano sulle prede quando cer­cano la pro­pria sovra­nità. Però mi fa più paura quel che non suc­cede di quel che suc­cede… Per esem­pio, c’è molta gio­ventù disoc­cu­pata, che ora si sta ras­se­gnando a vivere col red­dito minimo, che si sta addor­men­tando… e non lotta.

Evo Morales: «Narcotraffico business capitalista»

evoo_122221da librered.net

Gli Stati Uniti includono la Bolivia nella lista nera dei paesi che non combattono il traffico di droga, mentre l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine evidenzia i risultati conseguiti dal paese nella lotta contro la droga, secondo quanto riportato da Russia Today.

Gli esperti ritengono questo atteggiamento come una vendetta per la strategia boliviana di rispetto verso la millenaria cultura cocalera del paese, che si è liberato dal controllo degli Stati Uniti, conservando la sua sovranità.

Prima dell’arrivo al potere di Evo Morales, l’Amministrazione per il controllo della droga (DEA), controllava il narcotraffico, ma in modo aggressivo, criminalizzando gli agricoltori tradizionali mentre i veri trafficanti spostavano le loro fortune all’estero.

Per il presidente della Bolivia, Evo Morales, gli Stati Uniti sono «il cuore del problema» e il traffico di droga è un «business del sistema capitalista» rappresentato da questo paese. Inoltre gli Stati Uniti sono il più grande consumatore di cocaina nel mondo.

Nonostante i tentativi di minimizzazione degli Stati Uniti, le organizzazioni internazionali riconoscono il lavoro delle autorità boliviane.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Integrazione latinoamericana: università argentina premia Maduro

6559379.jpg_1718483346da Telesur

Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro Moros, ha ricevuto il Premio Rodolfo Walsh, in riconoscimento alla sua lotta per l’integrazione latinoamericana. Il premio è stato assegnato all’unanimità dal Consiglio Direttivo della Facoltà di Giornalismo e Comunicazione Sociale dell’Università Nazionale di La Plata, in Argentina.

L’ateneo ha deciso di premiare il presidente in base agli sforzi compiuti per preservare l’unità latinoamericana al fine di garantire il benessere dei popoli.

La notizia è stata annunciata attraverso un comunicato stampa emesso dal Parlatino (Parlamento Latinoamericano) in cui viene indicato che l’università ha evidenziato la democratizzazione della comunicazione in Venezuela, avvenuta attraverso la creazione di media comunitari.

In una nota, il professore universitario e vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) per gli affari internazionali, Rodrigo Cabezas, ha spiegato che «viene inoltre riconosciuta l’efficacia delle politiche adottate dallo stato venezuelano in ambito educativo e la ferma resistenza contro gli attacchi golpisti portati dai mezzi di comunicazione del paese e dell’intera regione latinoamericana».

Cabezas ha infine sottolineato che questo riconoscimento accademico assegnato al presidente Nicolás Maduro ha un grande significato per il popolo venezuelano, perché arriva in una fase dove la guerra mediatica contro il Venezuela si è notevolmente intensificata.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Comunicato di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana

11354863_10206279521779174_993623405_nSolidarietà al Venezuela Bolivariano e al presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello vittime di un’aberrante campagna mediatica

La redazione di ALBAinformazione, pubblicazione dell’ANROS-Italia, l’associazione Assadakha Napoli e l’associazione “Russkoe Pole” esprimono piena solidarietà al governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, guidato dal Presidente Obrero Nicolás Maduro, che si trova a dover fronteggiare l’ennesima campagna mediatica internazionale volta a destabilizzare la patria di Simón Bolívar e Hugo Chávez.

Ribadiamo il nostro sostegno al Presidente dell’Assemblea Nazionale venezuelana, nonché dirigente «fondamentale per la Rivoluzione Bolivariana», Diosdado Cabello, vittima di accuse infamanti che non trovano alcun fondamento nella realtà e di intimidazioni dal sapore mafioso, come testimonia la squallida copertina di Newsweek che lo ritrae sotto tiro di un mirino telescopico.

aszzxNiente di nuovo per la Rivoluzione Bolivariana che sin da quando mosse i primi passi ha dovuto imparare, serrando le fila, a tener testa alla tracotanza imperialista. «Ogni attacco che noi subiamo, che colpisce il popolo e la Forza Armata Nazionale Bolivariana – ha spiegato Maduro – ci unisce sempre più perché stiamo difendendo qualcosa di sacro; l’indipendenza, la stabilità, la pace e il diritto al futuro, questi sono elementi sacri della vita del nostro paese».

La canea mediatica in Italia è stata alimentata da quel prodotto del mainstream imperialista, contrabbandato come giornalista e scrittore d’inchiesta, che risponde al nome di Roberto Saviano, il quale su ‘L’Espresso’ aveva spiegato bene i meccanismi della cosiddetta macchina del fango: «Io credo che la macchina del fango comincia là dove finisce l’inchiesta. L’inchiesta fornisce una serie di fatti che permettono al lettore di farsi un’idea generale, anche se sono elementi scelti dal giornalista. La macchina del fango invece ne prende uno solo di questi elementi e su questo, isolato dal contesto, costruisce una realtà». Parole che facciamo nostre, chiedendoci al contempo, perché Saviano prende in considerazione un elemento – le notizie false diffuse da ABC – e vi costruisce sopra una realtà fittizia?

11262959_694367180709888_1458916106_nCi chiediamo inoltre: se il dirigente bolivariano è realmente il capo di questa organizzazione composta da alti ufficiali venezuelani, perché sino a questo momento nemmeno un narcotrafficante ha lanciato accuse contro Cabello? Perché non vi sono evidenze, fotografie, intercettazioni, riguardanti questo fantomatico cartello? Qualcuno sta aspettando che siano forse fabbricate per bene? Come mai questa indagine è l’unica nel suo genere a basarsi esclusivamente su ‘rivelazioni’ fornite da due latitanti venezuelani – Rafael Isea e Leasmy Salazar – dapprima spariti e poi riapparsi negli Stati Uniti per sottrarsi al corso della giustizia venezuelana? Infine, perché gli Stati Uniti non hanno mai preso alcun provvedimento contro l’ex presidente colombiano Uribe che in una lista della DEA, risalente ai primi anni ’90, figurava tra i narcotrafficanti più pericolosi al mondo (n.82) dietro al celebre Pablo Escobar (n.79)?

La risposta è semplice: siamo di fronte all’ennesima montatura mediatica, una sporca campagna propagandistica senza alcun fondamento, che riesce a passare in occidente esclusivamente grazie ad un’informazione che invece di fare il proprio mestiere, lavora al servizio della reazione, di chi vorrebbe far tornare indietro le lancette della storia quando il Venezuela si trovava in uno stato semi-coloniale ed era privato della propria sovranità.

Stampa asservita e personaggi quali Roberto Saviano diverranno credibili solo quando, come scrive la redazione de L’Antidiplomatico – che ha pubblicato una completa controinchiesta – si libereranno dalle catene della dittatura mediatica e cominceranno ad occuparsi della Mafia di Caracas Est o della Mafia di Bruxelles, Berlino e Francoforte, che ha imposto all’Italia la povertà diffusa, la disoccupazione di massa e l’eliminazione di diritti sociali acquisiti, per tener legato il paese alla trappola dell’euro, dell’austerità e delle ‘riforme strutturali’.

Nonostante mistificazioni, menzogne, aberranti campagne mediatiche, tentativi di destabilizzazione violenta e guerra economica, il Venezuela Bolivariano gode di forza e prestigio internazionale. Può contare sul sostegno di grandi paesi quali Russia e Cina con cui è in fase di costruzione il nuovo mondo multipolare. Il Venezuela socialista è forte perché il popolo è protagonista e ha in mano il proprio destino. È forte perché grazie alla Rivoluzione Bolivariana il reddito dei lavoratori è in continuo rialzo dal 1999, perché entro il 2019 il 40% dei venezuelani vivrà in una degna casa costruita per il benessere del popolo, perché sono state sconfitte fame e povertà con ampio anticipo rispetto al cosiddetto ‘Obiettivo del Millennio’ nonostante la pesante eredità lasciata dai governi neoliberali.

Ribadiamo il nostro sostegno militante e incondizionato verso il Venezuela Bolivariano impegnato nella costruzione del Socialismo del XXI secolo seguendo il percorso tracciato dal Comandante Invitto Hugo Chávez.

ALBAInformazione/ANROS-Italia – Assadakah Napoli – Russkoe Pole

Cuba: La coraggiosa resistenza della Siria è necessaria all’umanità

da sana.sy

Il segretario del Partito Socialista Arabo Baath, Hilal al-Hilal, ha incontrato, oggi, nella capitale cubana L’Avana, il Ministro degli Affari Esteri di Cuba, Bruno Rodriguez.

Durante l’incontro, il ministro degli Esteri cubano ha dichiarato che la strenua resistenza condotta dal popolo siriano è essenziale per il destino del genere umano, assicurando che il suo paese mantiene un grande rispetto per il popolo siriano per la sua fermezza e resistenza.

Al-Hilal ha affermato che il Partito arabo socialista Baath attraverso la sua storia di lotta, dal 1947 e fino ad oggi, ha sempre fornito tutte le forme di sostegno e il supporto per i movimenti di liberazione nel mondo, notando che Cuba è stato fra i primi paesi con il quale il partito ha stabilito relazioni particolari.

Il leader del Baath ha ribadito che l’aggressione contro la Siria e Cuba da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, paesi arabi, regionali e occidentali, è dovuta al fatto che entrambi i paesi sono legati alla loro sovranità e indipendenza..

Da parte sua, il ministro degli Affari Esteri di Cuba ha precisato: «Cuba riconosce e rispetta la fermezza del popolo siriano, che sta conducendo una lotta cruciale e questa lotta è un diritto del popolo siriano in conformità con il diritto internazionale e della Carta delle le Nazioni Unite».

Rodriguez ha aggiunto che Cuba e «i paesi latino-americani sostengono la lotta del popolo siriano, lasciando intendere che il sostegno di Cuba alla Siria è espressione dei rapporti di amicizia e cooperazione».

Il ministro degli Esteri cubano ha poi evidenziato che «il governo cubano apprezza molto la leadership del presidente al-Assad e la sua forza, e che Cuba sta conducendo una lotta comune con la Siria a livello internazionale», esprimendo, infine, fiducia nella inevitabilità della vittoria della Siria.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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