Ucraina: manifestazioni, scioperi e scontri in piazza

a cura di Enrico Vigna, 17 luglio 2018
SOS Ucraina resistente/civg

Guidati dai minatori, pensionati, reduci della guerra in Afghanistan, familiari dell’Associazione vittime di Chernobyl, protestano davanti al Parlamento di Kiev

Con una manifestazione di piazza guidata dai minatori, pensionati, reduci afgani e familiari delle vittime di Chernobyl sono scesi in piazza per protestare contro le misure economiche adottate dal governo ucraino, per annullare i provvedimenti che colpiscono in particolare l’industria del carbone, già in crisi profonda con la guerra nel Donbass, e contro le intenzioni delle autorità di chiudere numerose miniere, attualmente sono ancora circa 30.

Mikhail Volynets capo del Sindacato indipendente dei minatori ucraini, ha tenuto un comizio minacciando azioni sempre più dure se non verranno accettate le richieste dei lavoratori. “…I minatori di tutta l’Ucraina sono venuti a Kiev, ci siamo riuniti qui davanti alle mura della Verkhovna Rada dell’Ucraina per denunciare la sempre più critica situazione che si è sviluppata nel settore del carbone statale. Il debito dell’industria statale dell’energia comprendente il credito dei minatori delle miniere di carbone statali, è di 761,1 milioni di grivne (circa 28,9 milioni di dollari, ndt).

I manifestanti con dei picchetti hanno bloccato tutti gli ingressi e le uscite del Parlamento ucraino per ottenere un incontro con esponenti governativi.

La polizia indossava giubbotti antiproiettile mentre il servizio d’ordine dei minatori conteneva la rabbia dei dimostranti, che intendevano attaccare il palazzo, ma alcuni scontri nei dintorni della Rada sono comunque avvenuti.

La vice presidente del parlamento, Irina Gerashchenko, è uscito per parlare coi manifestanti ma è stata subissata da fischi e ingiurie; per placare la folla ha promesso di preparare un incontro di una rappresentanza dei dimostranti con esponenti della Verkhovna Rada.

“Tu parli e prometti, mentre qui i lavoratori e i cittadini sono gonfi di gas lacrimogeni… ci state avvelenando senza motivo. Fai uscire Paruby (il presidente del parlamento) adesso…”, urlavano dalla piazza.

Il deputato Andrey Nemirovsky uscito per incontrare i manifestanti è dovuto rientrare nel palazzo, invitando Paruby a uscire perché il clima in piazza era infuocato.

I dimostranti hanno ribadito la richiesta di indirizzare 6 miliardi di grivna per lo sviluppo dell’industria mineraria, di abolire la monetizzazione delle prestazioni, aumentare l’importo delle indennità e saldare gli arretrati degli stipendi.

Il Ministero dell’Energia dell’Ucraina ha dichiarato che i minatori devono smettere con le proteste che hanno solo lo scopo di attirare l’attenzione sul problema degli stipendi in ritardo.

Dallo scorso anno a oggi, ci sono state numerose proteste e scioperi dei minatori, dai minatori della miniera Kapustin, che per alcuni giorni si erano rifiutati di risalire in superficie, chiedendo il pagamento dei salari arretrati. A quelli della miniera di “Novodruzhesk”. Nonostante incontri e promesse con il Ministro dell’Energia e dell’Industria del carbone dell’Ucraina Igor Nasalik, il problema è rimasto irrisolto.

Il 22 maggio c’è stata a Kiev una conferenza stampa di attivisti sindacali, dal titolo: “Lo sciopero seguendo le regole, che ha provocato la paralisi della rete ferroviaria Ucraina, Ukrzaliznytsia”.

Nelle relazioni tra cui quella del presidente del Sindacato Indipendente dei Minatori di Ucraina e della Confederazione dei Sindacati Liberi di Ucraina, Mikhail Volynets, si è fatto il punto sui risultati dello sciopero ferroviario ad oltranza che c’è stato in Ucraina, durato otto giorni.

Lo sciopero partito dal deposito della città di Kremenchug il 14 maggio scorso, ha man mano coinvolto nella protesta, macchinisti dei depositi locomotive in diverse parti del paese: Kiev, Poltava, Zaporozhye, Lvov, Krivoy Rog, Sinelnikovo, Mironovka, Korosten. La richiesta è stata di maggior sicurezza nelle condizioni di lavoro e aumenti salariali.

Nel KSPU ( Sindacato Indipendente) hanno optato per uno “sciopero italiano”, così viene definito il tipo di sciopero, quando i lavoratori assunti seguono scrupolosamente tutte le regole e le istruzioni di legge e contrattuali relative alle norme del lavoro. Questo rallenta in modo significativo il processo di produzione, e lo sciopero “italiano” nelle ferrovie ha provocato la paralisi del lavoro di molte aziende che dipendono in maniera basilare dalle comunicazioni ferroviarie.

Questo è esattamente quello che è successo in una delle più grandi imprese ucraine la PJSC “ArcelorMittal di Kryviy Rih”, la più grande azienda siderurgica ucraina. Dato che l’intero ciclo di produzione, dal ricevimento delle materie prime alla distribuzione all’esterno dei prodotti finiti, a seguito degli scioperi si è fermato, nell’impianto metallurgico si è creato un vero e proprio panico. Il giornale filo-governativo “Nuovo tempo” ha denunciato questo tipo di proteste: “…Già ora si può sostenere che gli scioperi dei lavoratori delle ferrovie, porteranno a conseguenze estremamente negative nel paese. Anche senza prendere in considerazione la minaccia grave di un disastro causato dagli scioperanti nelle grandi imprese metallurgiche del paese, l’azione dei lavoratori delle ferrovie ridurrà le entrate in valuta estera in Ucraina che interesseranno la grivna e l’intera economia… “, ha scritto con inquietudine per gli eventi accaduti.

Anche il presidente dell’Associazione degli industriali “Ukrmetallurgprom” Alexander Kalenkov, ha lanciato l’allarme: “… In soli quattro giorni non abbiamo potuto caricare 126 mila tonnellate di prodotti. Per un mese si può calcolare un danno di 85-90 milioni di dollari. In questi giorni abbiamo perso un terzo delle esportazioni di tutto il minerale di ferro dall’Ucraina. Circa il 20-25% del deficit del commercio estero dell’Ucraina, che ora è in rosso per 400 milioni dollari, si è lamentato con forte preoccupazione…”.

Ovviamente egli ha anche evidenziato che la protesta dei lavoratori sono nell’interesse del Cremlino: “… possiamo già dire che lo sciopero dei ferrovieri porterà a conseguenze estremamente negative… Se la situazione persisterà l’industria metallurgica semplicemente perderà i suoi mercati esteri, che si rivolgeranno, prima di tutto, alle società russe… “.

Il 21 maggio è stato annunciato la fine dello sciopero. I lavoratori hanno raggiunto alcuni degli obiettivi, il che ha consentito la ripresa della produzione nel cuore delle industrie.

Ma altri lavoratori associati alla Confederazione dei Sindacati Liberi dell’Ucraina continuano altre azioni di protesta, come ha detto Mikhail Volynets. Il KSPU sottolinea che le azioni e le richieste dei lavoratori sono assolutamente legali e intendono “italianizzarsi” fino alla piena soddisfazione delle loro richieste.

Gli scioperi sono comuni in Europa, ma non in Ucraina, dove il movimento sindacale negli ultimi anni è stato calpestato e criminalizzato, così come ogni protesta sociale repressa, accusandola di essere diretta dalla Russia. Invece questo nuovo tipo di protesta, lo “sciopero italiano”, ha incrinato la dura repressione mostrando la realtà della situazione sociale dei lavoratori e della popolazione.

Inoltre, questo tipo di sciopero è particolarmente indicato da organizzare nelle piccole e più deboli realtà, quando le norme del diritto del lavoro prescritte ufficialmente non sono quasi mai osservate nel concreto del processo di produzione. Non sorprende che la classe dirigente dell’Ucraina cerca di screditare gli scioperi attraverso i media locali tutti controllati, mentre intimidisce i sindacalisti e i lavoratori minacciando rappresaglie, richiedendo agli scioperanti certificazioni particolari, sospensioni e altre sanzioni.

La ripresa e la presenza di organizzazioni di massa dei lavoratori organizzati, è un presupposto imprescindibile per la ripresa sociale, economica e politica del paese.

Sindacati attivi e legati ai lavoratori, potranno non solo arginare gli aumenti vertiginosi di prezzi, servizi e tariffe, ma anche impedire la distruzione delle imprese che sono state liquidate o smantellate in seguito ai risultati di Euromaidan.

Potrebbero ridare una speranza nel futuro a milioni di onesti cittadini ucraini, lavoratori, giovani, pensionati, attraverso il raggiungimento di un livello normale di vita, riconquistando servizi sociali e salari più alti, che ora sono al livello di indigenza, ma anche una resistenza popolare a questi governi golpisti e illegali.

Dopo il golpe di “Euromaidan” e tutto ciò che ne è conseguito, questo paese potrà trovare una via di ripresa e di sviluppo solo quando i diritti e gli interessi dei lavoratori e della gente comune, saranno non più calpestati ma rispettati. Forse allora anche scenari di pace relativi al conflitto nel Donbass potranno essere all’orizzonte.

Chissà che questa esperienza di lotta dei ferrovieri ucraini, utilizzando lo “sciopero italiano”, contribuisca a sperare, che un giorno tutto questo, sarà possibile in Ucraina… almeno di questo, nel nostro paese potremmo essere orgogliosi.

Fonti: RIA Novosti. Volyntsa. Nabat TV

Nome di battaglia Nemo

Il Comandante Nemo

di Fabrizio Rostelli – ilmanifesto.it

9dic2017.- Intervista esclusiva. Parla il comandante italiano di InterUnit, l’unità degli internazionalisti del Donbass

Ha combattuto per due anni, armi in pugno, al fianco del popolo del Donbass in nome del socialismo. Questa è la sua prima intervista da quando è rientrato in Italia a luglio 2017.

Il suo nome di battaglia è Nemo, è stato il comandante dell’InterUnit, l’unità degli internazionalisti fondata nel settembre 2015, che ha combattuto per le Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsk, dichiaratesi unilateralmente indipendenti dall’Ucraina il 12 maggio 2014, a seguito di un referendum popolare. InterUnit, operativa in prima linea a nord-ovest della Repubblica Popolare di Lugansk, ha sospeso le attività militari nel gennaio 2017.

Il conflitto però non concede tregue, la guerra civile dura da 4 anni e secondo le stime ufficiali ha già provocato più di 10mila morti. Nemo preferisce mantenere il suo anonimato.

L’ho incontrato a Roma, sua città natale, a margine di un incontro pubblico sul centenario della Rivoluzione bolscevica.

Tra i presenti, gli ambasciatori e i delegati di Venezuela, Cuba e Nicaragua hanno seguito con interesse il suo intervento.

Si combatte ancora in Donbass? Qual è lo scenario attuale dal punto di vista politico e militare?

La situazione in Donbass è estremamente chiara, abbiamo vinto. Abbiamo sconfitto i fascisti, abbiamo liberato un territorio e stiamo tentando di costruire uno stato socialista. Deve essere chiaro che il detonante dell’insurrezione in Donbass è stato il colpo di stato fascista di Kiev; il popolo però non si è sollevato soltanto contro il fascismo ma anche contro il capitalismo, che in Ucraina è fallito mostrando il suo volto peggiore.

Nonostante gli accordi di Minsk II si combatte ancora e le Repubbliche Popolari continuano ad essere sotto attacco. Il governo di Kiev ha compreso che con gli assalti frontali non riesce a passare ed è in atto una guerra a bassa intensità che comunque provoca mediamente la morte di 2/3 soldati ucraini al giorno; una cifra enorme. In Ucraina vige la leva obbligatoria e hanno una quantità di ‘carne da cannone’ sterminata.

A noi non fa assolutamente piacere questa situazione, ovviamente abbiamo i nostri morti e pensiamo a loro. In questo momento gli ucraini stanno attaccando con metodi non convenzionali, soprattutto con autobombe nei centri cittadini; c’è da dire che lo fanno professionalmente, con cariche ben calibrate, e raramente ci sono vittime tra i civili ma è qualcosa che va fermato e che non possiamo accettare.

Kiev deve capire che se continua su questa strada ci sarà una recrudescenza inevitabile.

Perché sostieni che il governo di Kiev sia un governo fascista?

Il governo di Kiev attua una politica fascista in continuità con i governi precedenti ma si appoggia a componenti naziste che hanno avuto un ruolo decisivo in Euromaidan. I nazisti hanno ottenuto, in cambio del loro supporto, un mandato incondizionato per effettuare operazioni ‘di pulizia’ contro la popolazione ma anche all’interno dell’esercito ucraino, andando a colpire chi si rifiuta di combattere.

Inoltre le milizie naziste, come il battaglione Azov, non sono dipendenti dal Ministero della Difesa ma dal Ministero degli Interni.

Nelle città di Charkiv e Mariupol, che prima facevano parte dei nostri territori, i nazisti hanno compiuto delle feroci rappresaglie quando le hanno riconquistate. Oggi per questi motivi i nazisti sono odiati anche dalla gente comune.

La rivolta in Donbass si è innescata emotivamente proprio dal fatto di vedere i fascisti al potere, poi è diventata una lotta anticapitalista.

Quanto tempo hai trascorso in Donbass?

Dal 2015 al 2017 ho trascorso un anno e mezzo in prima linea e sei mesi nelle retrovie. Ho avuto 14 giorni di riposo e sono uno di quelli che ne ha avuti di più; alcuni compagni stanno combattendo da quattro anni e questo vuol dire anche quattro gelidi inverni.

Non c’è tregua: con il freddo, i combattimenti e la morte ti confronti sempre e dopo 4 anni inizia ad essere molto dura.

C’è chi è stato ferito anche tre volte ma continua a combattere. Nessuno vuole prendersi dei giorni di riposo perché se la persona che ti sostituisce perdesse la vita vivresti per sempre con il senso di colpa. Ad alcuni è accaduto purtroppo.

Cosa rappresenta l’InterUnit e da chi è composta?

L’InterUnit è un soggetto politico militare nato dalla Brigata Prizrak (la Brigata Fantasma creata da Aleksej Mozgovoj che combatte nella milizia della LNR ndr). La grande differenza rispetto ad altre esperienze del passato è stata quella di ricompattare la sfera politica con quella militare, questo è un tabù che in Italia non è stato più affrontato negli ultimi anni. Noi ci inseriamo nel solco tracciato dalle migliori lotte internazionaliste, sia della Guerra Civile Spagnola, sia delle guerre di liberazione dell’America Latina. Siamo persone normalissime, quasi tutte senza precedenti esperienze militari.

Nel complesso hanno militato in InterUnit 31 compagni provenienti dall’Italia, dalla Francia, dalla Finlandia, dagli Sati Uniti e da altri Paesi. Il grosso dei combattenti è arrivato dalla Spagna proprio perché c’è questo retaggio della Guerra Civile Spagnola, qualcosa di indelebile nella memoria degli antifascisti.

Quali sono le rivendicazioni di chi combatte in Donbass e quali sono le prospettive, non solo nel breve periodo?

Il Donbass è nato come un progetto politico con l’intento di costruire una realtà alternativa che fosse in continuità con l’Unione Sovietica; il capitalismo in Ucraina infatti è stato il terreno fertile per mafia ed oligarchia. A causa di alcune contraddizioni interne le Repubbliche Popolari non si sono sviluppate pienamente ma il processo è in atto. Il problema più grande dal punto di vista politico è che nelle Repubbliche i partiti comunisti non contano nulla per una loro incapacità di lettura della situazione contingente; inizialmente infatti non hanno appoggiato l’insurrezione, perdendo un’occasione storica. In questo vuoto politico si sono inserite le forze che cercano di restaurare il sistema economico precedente ed il sistema delle oligarchie.

Tutto questo ha portato ad una «russizzazione», il governo attuale infatti vede la Russia come unico interlocutore. In questa fase c’è una guerra all’interno della guerra, da un lato la guerra guerreggiata, militare, in cui sono impegnati in prima fila i comunisti che sono quelli che danno il contributo più spassionato e disinteressato ma poi ci sono degli scontri anche all’interno, nelle retrovie, tra chi vuole davvero il socialismo e chi cerca di restaurare il capitalismo.

Per quale motivo hai deciso di mettere a rischio la tua vita andando a combattere in Donbass?

Sono un antifascista e un internazionalista e a chi crede davvero in queste idee viene spontaneo dargli un’attuazione pratica. In questa fase la rivoluzione e l’insurrezione armata in Italia non credo siano alle porte, quindi chiunque avesse intenzione di fare un’esperienza di lotta armata rivoluzionaria deve rivolgere le proprie attenzioni altrove.

È la tua prima esperienza al fronte? Dove ti sei addestrato?

Come operativo al fronte è stata la prima esperienza. In realtà il mio addestramento risale a parecchi anni fa ed è avvenuto in Jugoslavia, durante la crisi del Kosovo. Anche lì si è tentato di costituire delle unità internazionaliste per difendere un’esperienza socialista ma purtroppo siamo arrivati troppo tardi quando il vento era già cambiato.

Abbiamo perso tanto tempo all’inizio perché all’epoca internet era solo agli albori, non lo padroneggiavamo e non riuscivamo a sfruttare a pieno le potenzialità anche perché erano ancora poco sviluppate. In Donbass ci siamo perfezionati e raccordati con i compagni locali, sia per quanto riguarda le tecniche sia per quanto riguarda l’affiatamento generale.

Perché questo nome e quali erano i tuoi compiti?

Il nome Nemo viene dalla letteratura, ci sono due casi estremamente noti. Il primo è nell’Odissea, l’altro Nemo è quello di Ventimila leghe sotto i mari, un militante internazionalista ante litteram che andava per il mondo a combattere l’imperialismo con metodi un po’ fantascientifici ma comunque efficaci.

Appena arrivato in Donbass sono stato inquadrato in un’unità di fanteria, un paio di mesi dopo è stato sviluppato il progetto politico militare e in InterUnit ho assunto il compito di commissario politico.

Nei primi due anni di guerra si utilizzava il sistema di lotta partigiana con il doppio comando: commissario politico e comandante militare. All’epoca ero commissario politico per un motivo ben preciso, non conoscevo la lingua russa, quando sono arrivato ad un livello di conoscenza sufficiente ho assunto il comando dell’unità. I compiti classici sono quelli di controllo del territorio, grossi avanzamenti non ce ne sono stati, comunque ho contribuito a strappare parti di territorio all’Ucraina, compresi due villaggi e una collina strategica.

I media hanno dato spesso risalto a battaglioni di estrema destra, in cui sono presenti anche italiani, che combattono in Donbass per l’indipendenza delle Repubbliche Popolari. È una narrazione parziale?

Non è una lettura parziale, è semplicemente una balla montata dai media. Ci sono dei fascisti che combattono per Kiev e poi ce ne sono alcuni che fanno parte delle milizie popolari, questi ultimi sono di due tipi: i fascisti locali e quelli europei che per motivi loro hanno deciso di andare a combattere contro la NATO.

Nessuno di questi è inquadrato in un battaglione fascista, assolutamente non esistono formazioni militari fasciste che combatto per le Repubbliche Popolari, questa è un’invenzione.

Ci sono stati dei tentativi di costituirne e sono stati immediatamente smantellati perché totalmente incompatibili con la fiera natura antifascista del popolo del Donbass. Purtroppo però questi personaggi sono molto bravi a camuffarsi e ad inserirsi nei gangli del potere assumendo la veste del rossobrunismo.

Ad esempio nella Repubblica Popolare di Lugansk hanno occupato tutti i posti dell’agenzia di stampa ufficiali. Le informazioni che passano fuori sono ampiamente filtrate per mano dei fascisti, questa è un’altra grande contraddizione. I fascisti che realmente hanno combattuto al fianco degli ucraini non sono più di 10, poi ce ne sono altri 20 circa che hanno combattuto per brevi periodi.

C’è però un buco nero, perché è impossibile quantificare quanti europei siano passati per i centri di addestramento dei battaglioni punitivi ucraini. Sappiamo per certo che i nazisti ucraini hanno dato formazione militare ai fascisti italiani e forse anche delle armi. Sappiamo ad esempio che l’esercito ucraino ha perso 5 milioni di armi leggere, di questi un milione lo abbiamo sottratto noi delle Repubbliche Popolari. Gli altri 4 milioni? Queste armi scomparse sono già apparse in altri scenari, ad esempio in Romania e in Libia.

Non molto tempo fa una coppia di napoletani è stata arrestata perché accusata di traffico internazionale di armi ed elicotteri (dalle indagini risulterebbero provenienti dall’Ucraina e venduti ad Iran e Libia ndr), non si sta parlando più solo di armi leggere.

L’Ucraina si sta vendendo tutto anche perché le frontiere sono molto permeabili. Alcuni fascisti europei sono stati già trovati con delle armi sottratte e questo farebbe pensare che parte di queste possano essere già arrivate qui.

Tornando al tema degli italiani nelle milizie popolari, gli antifascisti che hanno combattuto per lunghi periodi sono stati più di 20, poi ce ne sono circa 10 che sono stati per brevi periodi. Per quanto riguarda i fascisti invece, quelli che hanno combattuto realmente sono stati 2, mentre sono stati circa 10 quelli che sono stati al fronte per brevi periodi. Bisogna considerare inoltre che ci sono stati 6 fascisti, molto esposti mediaticamente, che dicono di essere combattenti mentre sono stati sempre in seconda linea.

Se consideriamo i fascisti locali ucraini, più quelli russi e quelli europei, nel loro apice raggiungevano lo 0,9% dei combattenti in Donbass, se a questi aggiungiamo i nazionalisti e gli integralisti religiosi (ultraortodossi e neopagani) arriviamo al 2%. Numeri irrisori. Se in Italia rappresentiamo la lotta del Donbass guardando solo questo 0,9% vogliamo volutamente fare una narrazione distorta.

Quanto è forte ancora la tradizione sovietica in Donbass?

Le Repubbliche Popolari si pongono in piena continuità con l’Unione Sovietica e questo serve anche a sfatare un altro mito: non siamo filorussi. Se la popolazione del Donbass fosse realmente filorussa non avrebbe mai costituito una Repubblica Popolare, perché una realtà che contiene degli elementi di socialismo è in aperta antitesi con la storia degli ultimi 25 anni della Russia.

La maggioranza della popolazione del Donbass si ritiene sovietica. Nel 1991 ci fu un referendum in cui la popolazione dell’Unione Sovietica si espresse fermamente contro la sua dissoluzione (77% dei votanti ndr), che è stata portata avanti comunque con un colpo di mano e solo con un colpo di mano gli si può rispondere.

Logo della Prizrak nelle strade di Napoli

Qual è la posizione della Russia in questo conflitto? Vi ha offerto un supporto militare?

La Russia era interessata esclusivamente alla Crimea ed ha ottenuto quello che voleva, infatti lì gli scontri sono durati solo 2 giorni e hanno provocato 2 morti. In Donbass invece si combatte da 4 anni e non c’è stato nessun supporto militare russo alla nostra lotta.

La Russia non è interessata all’indipendenza delle Repubbliche Popolari, non è ostile alla causa ma tende a rappresentarla come una causa etnica.

La Brigata Prizrak ha infatti combattuto solo con armi sovietiche. All’inizio dell’insurrezione sono state utilizzate armi da caccia e da autodifesa, dopodiché sono stati assaltati i posti di polizia per sottrarre le armi.

A quel punto il conflitto è diventato ad alta intensità e Kiev ha inviato il suo esercito. In molti casi però i soldati ucraini hanno disertato e si sono addirittura uniti alle milizie popolari.

Successivamente siamo entrati in possesso delle cartine dei vecchi depositi di armi sovietiche sotterrate segretamente dall’URSS da utilizzare in caso di attacco e abbiamo combattuto con quelle. Abbiamo preso pezzi di artiglieria dai parchi e molte armi anche dai musei, erano armi funzionanti che magari avevano solo bisogno di sostituire il percussore. Le armi di precisione sono state prese tutte dai musei ed erano armi sovietiche. La mia arma personale era un kalashnikov, mentre quella di posizione era un fucile PTRD del ’41.

La Russia non vi ha offerto nemmeno un sostegno economico?

Bisogna considerare che gli unici rapporti commerciali che le Repubbliche Popolari hanno con l’esterno sono con la Russia che è, credo, l’unico acquirente del carbone del Donbass. Gli scambi sono tutti in rubli e la Russia, immettendo denaro dall’esterno, ha contribuito a riattivare l’economia delle Repubbliche che era completamente ferma.

In che modo è cambiata la tua vita oggi?

La mia vita non è cambiata praticamente per niente perché sono un militante rivoluzionario, quindi per me fare la guerra o fare normale attività politica non cambia assolutamente niente, se non negli strumenti.

Pensi di tornare a combattere?

Io continuo a combattere solo che non sto facendo una lotta armata; non ha senso farla in Italia in questa fase, non ci sono le condizioni, faccio una lotta politica.

Per quanto riguarda il Donbass, se dovesse essere necessario sarei operativo in 48 ore e come me tanti altri compagni. Noi ci siamo fermati in quanto la diplomazia internazionale ci ha imposto di non avanzare ulteriormente, ma il popolo del Donbass non si accontenta di aver liberato un fazzoletto di terra, per quanto grande possa essere.

Il nemico è il fascismo che ancora imperversa a Kiev e a questo si deve porre un rimedio. Se non lo farà la comunità internazionale prima o poi lo faranno i popoli dell’ex Ucraina.

C’è anche un altro aspetto da considerare, InterUnit è un soggetto militare che in questa fase non sta operando in Donbass ma deve essere chiaro che se ci fosse un attacco ad altre esperienze socialiste nel mondo, i compagni sarebbero sicuramente pronti ad intervenire in qualsiasi momento.

Oliver Stone: «Il giornalismo mondiale ha fallito»

da Yvke Mundial/Correo del Orinoco

7feb2017.- Oliver Stone è convinto che i responsabili della circolazione di tante notizie false nel mondo non sono i canali alternativi ma piuttosto i media più prestigiosi.

Presentando il documentario Ucraina on fire che ha prodotto e che racconta la “rivoluzione” Ucraina del 2014, Stone ha voluto portare il suo punto di vista secondo il quale i generatori delle fake news sono soprattutto i canali di stampa tradizionali. 

La “rivoluzione” Ucraina, la cui responsabilità è stata attribuita alla Russia di Vladimir Putin, è stata invece elaborata e finanziata dagli Stati Uniti per far ricadere la responsabilità sulla Russia e giustificare ancora l’esistenza della Nato. 

Stone ha inoltre definito ridicola la teoria secondo la quale Donald Trump sarebbe stato eletto grazie alle interferenze di Vladimir Putin. 

Il documentario è stato presentato durante la prima edizione di “Filming on Italy” un evento di promozione dell’Italia come set cinematografico organizzato a Los Angeles. Il regista e l’Ucraino Igor Lopatonok. Stone lo ha prodotto e ha intervistato i protagonisti del caso: Vladimir Putin e Victor Yanukovich, ex presidente ucraino deposto dopo che si è fatta passare quella ucraina, come una rivoluzione partita dal basso ma, secondo la versione del documentario, è stato invece un autentico colpo di Stato che ha goduto del finanziamento degli Stati Uniti. 

Gli Stati Uniti hanno un ruolo enorme ed una grande responsabilità e lo continuano a negare. Lo ha affermato il regista vincitore dell’Oscar per “Platoon” e “Nato il 4 luglio”, tra gli altri. Stone ha affermato che: “è una situazione dolorosa per la gente Ucraina. Quella che raccontiamo non è la narrazione ufficiale ma invece quello che è realmente successo. Non lo vedranno nei media statunitensi ma troveremo il modo di diffondere il nostro documentario anche se fosse attraverso YouTube”.

Stone ha criticato duramente il giornalismo statunitense responsabilizzandolo per aver accettato la versione del governo senza fare alcuna ricerca, senza andare a fondo. “Che fine ha fatto il giornalismo degli anni ’60, quello che ha portato alla luce lo scandalo del Watergate e ha mostrato la vera faccia della guerra del Vietnam?”, si chiede Stone, “Ad un certo punto la stampa ha smesso di avere senso critico. La sua funzione dovrebbe essere quella di analizzare le teorie delle fonti ufficiali e criticarle ma già non lo sta più facendo, e questo documentario mostra chiaramente il suo fallimento”. 

Il New York Times, il Washington Post e altre prestigiose testate statunitensi non stanno più svolgendo il ruolo di un tempo, ossia il loro lavoro, ha denunciato il regista Stone, anche commentato l’elezione di Trump alla Casa Bianca, e ha definito ridicole le teorie secondo le quali lo stesso Trump, abbia vinto grazie all’ingerenza russa. 

“Sono gli Stati Uniti ad avere una lunga tradizione di ingerenza nella politica degli altri Paesi, non la Russia”, ha ricordato.

[…]

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Ciro Brescia]

Napoli 8dic2016: La Voce Dei Martiri Di Odessa

di Movimento Internazionale Antifascista

Silenzi, violenze e paure, sono le uniche verità dopo che un gruppo di manifestanti filo-russi, disarmati e ignari è stato costretto a rifugiarsi nel Palazzo dei Sindacati, il 2 maggio 2014, per colpa di squadristi che avevano circondato il palazzo e lo avevano incendiato con un fitto lancio di bombe molotov. I più fortunati sono arsi vivi o sono rimasti uccisi soffocati dal fumo o schiantati al suolo nel disperato tentativo di sfuggire alle fiamme lanciandosi dalla finestra. Ai meno fortunati è capitato il linciaggio, fino alla morte, o la terribile sopravvivenza. Ed è di quest’ultimi che ci occuperemo.

“La sede del sindacato è stata data alle fiamme. Le persone sono morte nell’incendio. Gli scontri sono violentissimi” ecco cosa recita un sms di un inviato sul posto. Eppure, di fronte alle prove schiaccianti dei video e delle testimonianze unanimi, quando ormai tutto il mondo riconosceva la matrice della strage, anche la stampa italiana ha corretto il tiro. E qui il fenomeno si fa curioso. Quasi come da manuale, viene messa in atto quella manipolazione delle notizie che gli studiosi hanno riconosciuto nel triplice processo di agenda-setting, priming e framing. Praticamente un silenzio dei colpevoli.

Nietzsche diceva che non esistono i fatti ma solo le interpretazioni. Talvolta la stampa italiana appare sbadata nel raccogliere e fornire notizia dei fatti; ma è sempre pronta e creativamente incoerente quando si tratta di interpretarli al posto dei lettori.

Govedì 8 dicembre alle ore 16.00, presso il sindacato USB, Via Carriera Grande, 32, 80139 Napoli, si darà voce ai sopravvissuti e alla verità il suo degno spazio. Affinché il mondo sappia che cosa si vive in quella parte d’Europa. Daremo voce ai sopravvissuti. Perché non possiamo dimenticare, il popolo ascolterà la voce di chi ha le mani bruciate dal rogo e l’anima distrutta dal ricordo di una manifestazione che si è trasformata in una tragedia mondiale.

Konstantin Nemanijc

Roma 10dic2016: Odessa non dimentica!

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(VIDEO) Novorossia: Intervista a Diana Volkova

di Danilo Della Valle

Lugansk, città martoriata dalle bombe e dai combattimenti casa per casa, cerca di ripartire e ricostruire ciò che è stato distrutto dalla guerra. All’orizzonte ci sono le elezioni che si incastrano in un momento in cui, si dice, il clima potrebbe tornare ad esser pesante. Proprio di poche ore fa è la notizia dell’attentato al Presidente della Repubblica Popolare di Lugansk, Igor Plotnitsky, rimasto ferito da un ordigno che ha fatto saltare in aria la sua auto. La città che portava il nome del generale sovietico Vorosilov e che oggi è la capitale dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk si prepara ad affrontare i prossimi mesi che saranno decisivi per le sorti del Donbass con consapevolezza e forza di volontà.

Ne abbiamo parlato con Diana Volkova, Presidente dell’Associazione “Lugansk città russa”, che allo scoppio della guerra ha lasciato la propria abitazione in Italia per tornare in Donbass, dalla sua gente, per partecipare attivamente alla costruzione della neonata Repubblica.

Ciao Diana, innanzitutto raccontaci la tua storia. Allo scoppio della guerra sei tornata in Patria, a Lugansk. Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?

Allo scoppio della guerra abitavo in Italia, studiavo in un liceo. Ogni sera però, quando tornavo a casa, sentivo le notizie sul Donbass. La preoccupazione per la mia gente andava via via aumentando con il passare del tempo, quando i bombardamenti erano sempre più frequenti e cruenti, quando cominciavano a morire molti dei nostri uomini che volevano difendere la propria terra. Per questa sofferenza, per la mia casa ed i mie affetti, ho pensato di tornare lì dove sono nata, a Lugansk. Volevo fare anch’io qualcosa per il nostro territorio con la speranza che tutto si sarebbe risolto con il tempo.

Che situazione hai trovato a Lugansk?

Quando sono arrivata a Lugansk, si sentivano ancora gli spari in lontananza, benché i bombardamenti fossero finiti. La prima cosa che mi è balzata agli occhi è stata la quantità di case distrutte dalle bombe e dai combattimenti. C’era disperazione e dolore tra la popolazione.

Oggi tu sei a capo del movimento giovanile “Lugansk città Russa” che fa parte dell’Associazione giovanile di Lugansk. Raccontaci come è nata questa associazione e quali obiettivi essa si prefigge?

Sì, esattamente, sono tra i fondatori del movimento giovanile “Lugansk città russa” che fa parte dell’Associazione giovanile di Lugansk. I presidenti di quest’organizzazione, nel gennaio del 2015, hanno pensato di riunire tutti i ragazzi giovani che condividevano pensieri ed idee nell’Associazione giovanile di Lugansk. Anzitutto quest’organizzazione ha lo scopo di unire i giovani e sviluppare in loro il patriottismo verso la propria terra natia, aiutare loro a sviluppare idee, proposte creative ed a realizzare progetti in diversi campi.

Attualmente i media principali sembrano aver dimenticato il Donbass facendo credere che si viva una tregua permanente dopo gli accordi di Minsk. È esattamente così oppure si continua a sparare?

Purtroppo la situazione non è cambiata molto, si continua a sparare anche nel territorio di Lugansk. Gli accordi di Minsk non sono del tutto rispettati.

Qual è attualmente la situazione umanitaria nel territorio di Lugansk?

Posso affermare che ora la situazione è sensibilmente migliorata rispetto a quando è scoppiata la guerra. Nella popolazione si avverte la voglia di ricominciare, ognuno fa qualcosa per lo sviluppo della città. La gente sta ritrovando la forza per ripartire e si sta sviluppando inoltre un grande senso della Patria. Soprattutto in noi giovani, posso dire che siamo la vera forza motrice di questa neonata Repubblica.

In Ucraina Occidentale invece, dopo il Maidan, molte cose sono cambiate. Cosa pensi riguardo quello che accade lì?

La gente in Ucraina Occidentale sta cominciando a capire ciò che sta succedendo nel Paese. I prezzi dei prodotti di prima necessita aumentano di giorno in giorno, gli stipendi e le pensioni sono sempre più bassi, ormai è davvero impossibile vivere in lì, non ci sono più le condizioni minime e la situazione è insostenibile.

Prossimamente ci saranno le elezioni in Donbass, come si avvia il popolo novorusso ad affrontare questo importante avvenimento? Come immagini il futuro prossimo per il Donbass?

Il popolo novorusso vuole esser innanzitutto libero, principalmente per questo le prossime elezioni saranno un banco di prova importantissimo per la nostra nascente Patria. Dal mio punto di vista, invece, mi piacerebbe vedere il Donbass parte della Federazione Russa. Non voglio che il nostro territorio torni a far parte dell’Ucraina dopo tutta la sofferenza ed il dolore che ci ha causato.

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(VIDEO) Festa di Riscossa Popolare con il Venezuela che resiste!

di P-Carc

Venerdì, 29 luglio 2016, presso la Festa Nazionale della Riscossa Popolare si è tenuto il dibattito copromosso dal Partito dei CARC ed il Consolato della Repubblica Bolivariana del Venezuela di Napoli. “Con il Venezuela che resiste! Contro le guerre imperialiste! Combattiamo il nemico in casa Nostra!”. Nel corso dell’iniziativa la Console Amarilis Gutiérrez Graffe ha illustrato le manovre golpiste condotte dagli imperialisti in Venezuela e la necessità di rafforzare la solidarietà internazionale. Il dibattito ha unito la riflessione sulla situazione attuale, e il che fare qui ed ora nel nostro Paese per avanzare verso l’instaurazione del socialismo, coscienti che la forma più alta di solidarietà con i popoli in lotta contro l’imperialismo è spezzare la catena qui nel nostro Paese.

Al dibattito ha contribuito anche Giorgio Cremaschi per la piattaforma sociale EuroStop, il quale ha riconosciuto l’impossibilità di terze vie e la necessità di costruire un fronte di resistenza popolare per difendere i diritti, per constrastare le politiche degli imperialisti USA e francotedeschi ed avanzare verso il socialismo, l’unica alternativa possibile. La mobilitazione contro la Riforma Costituzionale deve essere un terreno per la costruzione di questo fronte. Inoltre sono intervenuti anche rappresentanti del Donbass e dell’Ucraina e Patrick Boylan del Comitato NO war No NATO di “Cittadini USA contro la guerra”.
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Caracas ChiAma: Roma risponde!
Verso il V Incontro Italiano di Solidarietà con la
Rivoluzione Bolivariana
Roma, 28-29-30 Ottobre 2016
 
Hacia el V Encuentro Italiano de Solidaridad con la 
Revolución Bolivariana
Roma, 28-29-30 de Octubre de 2016 

caracaschiama.noblogs.org

Appello agli antifascisti: No alla messa al bando del PC Ucraino!

di CUA – Coordinamento Ucraina Antifascista 

APPELLO AGLI ANTIFASCISTI:
NO ALLA MESSA AL BANDO DELLE ORGANIZZAZIONI COMUNISTE UCRAINE! NO AL GOVERNO NAZIFASCISTA DI KIEV!

La corte di Kiev, lo scorso 17 dicembre, ha messo definitivamente al bando il Partito Comunista d’Ucraina (KPU) ed i suoi simboli, interdicendone l’attività politica, per “incitamento all’odio etnico” ed all’“usurpazione dei diritti umani e delle libertà”. Queste accuse demenziali non farebbero che sorridere, se non costituissero il tragico capovolgimento della realtà: da due anni esatti, infatti, sono le forze filoeuropeiste “rivoluzionarie”, attualmente al governo, a tenere sotto il tallone di ferro il popolo ucraino, affamandolo e privandolo dei diritti sociali dietro i diktat del Fmi, a perseguitare gli oppositori politici, i giornalisti, i russofoni e i semplici cittadini sospettati di essere “nemici della nazione”. Questo governo di oligarchi e nazisti riesce a governare soltanto alimentando l’odio antirusso e conducendo una guerra fratricida contro il popolo del Donbass.

Nonostante la stampa nostrana abbia fatto di tutto per far passare un golpe reazionario come “rivoluzione democratica dei giovani per la libertà”, la natura nazista dei “ribelli” di piazza Maidan non ha tardato a rivelarsi: abbiamo visto paramilitari col viso coperto abbattere le statue di Lenin, il partito Svoboda sfilare per le strade d’Ucraina con il ritratto del nazista Stepan Bandera, dirigenti del KPU perseguitati, roghi di libri, sedi di partito bruciate, linciaggi di piazza, sequestri di giornalisti, seviziati e poi uccisi. I pogrom di Odessa e Mariupol ed i bombardamenti col fosforo bianco sugli abitanti inermi di Slaviansk, Lugansk e Donetsk, sono stati il preludio dell’aggressione di Kiev che sinora ha mietuto più di 8000 vittime. Il popolo operaio e antifascista del Donbass resiste nuovamente alla peste bruna, resuscitata dall’imperialismo Usa e Ue, che ha giocato un ruolo determinante nella destabilizzazione dell’Ucraina, dando sostegno politico, finanziario e mediatico ai golpisti.

La messa al bando del Partito Comunista è dunque l’atto finale di una persecuzione politica. Autorizza la repressione di qualsiasi opposizione al governo di Kiev. Allontana sempre più dalla democrazia, dal rispetto dei diritti umani, dalla tolleranza e dalla libertà. Sinora la propaganda della stampa, organica agli interessi imperialisti, ha mostrato una realtà capovolta in cui i nazisti erano i ribelli democratici e le vittime delle persecuzioni i “burattini” nelle mani del “dittatore Putin”. Una certa sinistra italiana, condizionata da questa propaganda, dinnanzi alla repressione, alla guerra e ai crimini di un imperialismo che resuscita la canaglia nazista, è rimasta in silenzio perché “dall’altro lato c’è Putin”, perché in Donbass ci sarebbero delle fantomatiche formazioni fasciste. Ma adesso, dinnanzi alla definitiva messa al bando del KPU ad opera di forze naziste, non ci sono più scuse per non prendere posizione!

Il KPU è una forza democratica e garante della democrazia Ucraina, una forza progressista che rappresenta i lavoratori, una forza erede di quei partigiani che durante la grande guerra patriottica hanno respinto la quinta colonna banderista, quelle SS criminali e genocide assurte ad eroi nazionali dal governo di Kiev. Il KPU e le altre forze comuniste, costituiscono l’unica resistenza alla junta neonazista e all’aggressione imperialista.
In quanto comunisti, quindi progressisti, antifascisti e antimperialisti, riteniamo un pericoloso atto di repressione la messa al bando del KPU e dei nostri simboli. Riteniamo inaccettabile che le forze che si dicono progressiste rimangano in silenzio: non si può più stare a guardare, o antifascisti o con i fascisti di Kiev!

Solidarietà ai compagni di Ucraina e a tutte le forze progressiste perseguitate dal regime di Kiev! Solidarietà al popolo del Donbass, ai minatori, operai e antifascisti che resistono all’aggressione nazista! NO PASARAN!

Coordinamento Ucraina Antifascista
Comitato Catanese di Solidarietà con l’Ucraina Antifascista
Banda Bassotti
Banda POPolare dell’Emilia Rossa
Carovana Antifascista
Comitato Ucraina Antifascista Bologna
Comitato No Guerra No Nato Milano
Comitato Contro la Guerra Milano
Comitato Donbass Antinazista Roma
Noi Saremo Tutto
Fronte Popolare
Movimento Internazionale Antifascista
Libreria Aurora Spoleto
Collettivo Arditi del Popolo Civitavecchia
Culletivo s’Idea Libera
Area Globale
Fronte Antimperialista
Comitato Veronese di Solidarietà con l’Ucraina Antifascista
Collettivo Stella Rossa Nord Est
Collettivo Padovano di Solidarietà con l’Ucraina Antifascista
Assemblea Antifascista Bassano del Grappa
Associazione per la Ricostruzione del Partito Comunista – Palermo
Patria Socialista
Partito Comunista
Marx21.it
Partito della Rifondazione Comunista
Rete dei Comunisti
Partito Comunista (Svizzera)
Collettivo Comunista Veneto Orientale
La Casa Rossa
Scintilla Milano
Comitato Ucraina Antifascista Milano
P38 punk
Premio Goebbels per la Disinformazione
Manlio Dinucci, Comitato No Guerra No Nato

per aderire: [email protected]

(VIDEO) Ricordando Odessa

Napoli 8mag2016: Il “Reggimento degli Immortali” scende in piazza

di Movimento delle Donne Ucraine Antifasciste di Napoli

In occasione della Giornata della Vittoria sui fascisti, il Movimento delle Donne Ucraine Antifasciste di Napoli propone una camminata commemorativa come avviene in diverse città del mondo.


Proponiamo di costituire il “Reggimento Immortale”. Così è chiamata un’azione civile su larga scala in memoria dei veterani della Seconda Guerra Mondiale, dei lavoratori delle retrovie e dei prigionieri dei campi di concentramento. Il giorno scelto per la marcia del “Reggimento degli Immortali” è la Giornata della Vittoria Sovietica sulla Germania nazista, il 9 maggio.

A Napoli lo terremo però domenica 8 maggio 2016 a Piazza Vittoria, appuntamento alle ore 10,00

Per saperne di più: ogni invitato può portare la foto o oggetti ricordo del parente che è stato coinvolto nella Seconda Guerra Mondiale, partigiani, soldati, vittime del nazi-fascismo. Per costituire un Reggimento che non muore mai.

Ucraina: muore Igor Astakhof prigioniero politico antifascista

di Enrico Vigna

28 aprile 2016.- Igor Astakhov, prigioniero politico e attivista antifascista di Odessa, è morto in carcere, ucciso dalla mancanza di cure delle autorità ucraine.                  

Nella tarda serata del 23 aprile 2016 è morto nel carcere di Odessa il prigioniero politico Igor Astakhov, ucciso dalla illegalità e dalla mancanza di cure, oltreché per le torture e violenze subite in detenzione. Il cuore malato dell’uomo si è fermato. Era il giorno del suo compleanno.

Il regime di Kiev ha comunicato che “è morto per insufficienza cardiaca“.

Igor Astakhov era nato 48 anni fa, era stato arrestato il 20 gennaio 2015, accusato per i fatti del 2 maggio ad Odessa; era stato accusato per il sospetto coinvolgimento nell’uccisione di un noto esponente neonazista dei Battaglioni ATO, Yanu Shishman, e delle sue due guardie del corpo.                                                                                           
Secondo le informazioni disponibili e i documenti video e fotografici, Shishman era uno dei capi dell’assalto neonazista alla Casa del Sindacati, dove il 2 maggio furono assassinate 48 persone e oltre 200 rimasero mutilate e ferite; questi era uno di quelli che lanciarono le molotov alla Casa dei Sindacati a Odessa il 2 maggio, e che avevano personalmente bruciato persone lì rifugiate.

Astakhov era stato accusato sulla base del codice penale ucraino, dell’articolo 115 parte 2: uccisione di diverse persone; dell’articolo 263 parte 1: possesso illegale di armi e dell’articolo 294: parte 2, partecipazione a disordini di massa il 2 maggio. Egli fin dall’inizio era stato membro attivo delle milizie di autodifesa popolare contro i nazisti di Odessa e contro il golpe di EuroMaidan. Un vero patriota ucraino antifascista, come si definiva.

Il suo avvocato in questi sedici mesi ha denunciato e documentato le orribili torture e violenze a cui è stato sottoposto, non solo all’inizio della detenzione, ma anche pochi mesi fa.                                                         

Astakhov a partire dal primo giorno della sua detenzione è stato sottoposto a torture terribili. Ogni giorno è stato sottoposto a metodi illegali di interrogatorio. E ‘stato picchiato, torturato con scosse elettriche, unghie strappate, dita schiacciate, costole rotte, chiedendogli di ammettere le accuse e deporre contro i suoi compagni. Igor aveva una valvola artificiale nel cuore e dopo le torture stava sempre peggio, di recente aveva avuto un attacco di cuore e la richiesta di chiamare un medico non aveva avuto risposta“, ha denunciato il suo avvocato. 

Persino la sua famiglia poteva incontrarlo solo saltuariamente e solo a molti mesi dal suo arresto. 

Anche le continue richieste di maggiori cure e assistenza sono state negate, tutte cadute in un letale silenzio. Tutto Invano. Attese, rinvii e tutto è rimaso in attesa, mese dopo mese, anno dopo anno. Hanno aspettato e sperato: ma la Giunta di Kiev è sorda ai diritti umani ed alla legalità internazionale.

I suoi avvocati hanno anche coinvolto le parti che partecipano agli “Accordi di Minsk”, Ucraina, Russia, Bielorussia, L/DNR, UE, fornendo le documentazioni relative alle bestiali violenze e torture a cui era sottoposto e chiedendo che fosse incluso negli scambi di prigionieri di guerra tra le parti.

Igor Astakhov non tornerà più, né dalla sua famiglia, né tra il suo popolo, in nome del quale ha donato la vita. Uomo buono, altruista, che secondo le testimonianze degli altri prigionieri usciti dal carcere, anche nel buio delle segrete del regime di Kiev riusciva a contribuire a mantenere alto il morale dei prigionieri politici e di guerra.

Ad Memoriam Igor Astakhov!

 

“Da sotto la copertura delle tenebre della notte

Dal buco nero dei terribili tormenti

Ringrazio tutti gli dèi

Per il mio spirito inviolato.

Ed io, caduto nella morsa della disgrazia

Non ho tremato e non ho gemuto

E sotto i colpi del destino

Sono stato ferito, ma non sono caduto.

Passa un sentiero tra il male e le lacrime

Anche se la strada da fare non è chiara

Di difficoltà e disgrazie

Io, come prima, non ho paura.

Non importa che la porta è stretta

Il pericolo non mi spaventa

Io sono padrone del mio destino

Io sono capitano della mia anima”

Igor Astakhov

 

“E  sorridendomi mi spezzavano le ali

La mia voce rauca a volte sembrava un ululato.

Io diventavo muto dal dolore e dalla fiacchezza

E solo sussurravo: Grazie che sono vivo”

Igor Astakhov

“IN MEMORIA DI IGOR ASTAKHOV ucciso nel carcere di ODESSA il 23 aprile 2016 giorno del suo ultimo compleanno”                          

– di Sergey Barkovskii
Volontariamente ho messo la testa sul ceppo,
Non aspettare!, No, no, io voglio metterla !
Io, combattente antifascista Igor Astakhov,
Io disprezzo le autorità di Kiev,
Forza, cattiveria, meschinità, l’inganno
regnano in Ucraina!

“Così ho deciso: non starò in silenzio!
Ma la mia lotta non sarà un mistero.
Ho combattuto per la libertà, con volontà,
Ho cercato di spazzare tutto lo sporco.
E il giorno della battaglia di Kulikovo
Ho camminato eretto  e apertamente!
C’erano canaglie
Con tante forze,
La povertà morale galoppa furiosamente.
Negli ultimi due anni, questi idioti
Volevano insegnami ad “amare la patria!”
Sono in carcere sotto tortura, ma non mi arrendo,
Nessuno che ha donato agli altri, può angosciarsi per la sua lotta.
Pur in un orrore misterioso, non mi spezzano,
E io continuo a combattere fino alla morte!
E ora, in piedi sul bordo della tomba,
Alla fine dei miei giorni di vita,
Chiedo a Dio di dare ancora più forza
No, non a me, ma alla mia Patria!
L’oscurità scomparirà. Nella nostra casa la luce vincerà!

Tornerà il paese in cui regna la felicità.
Per i nazisti sarà finita
Allora l’Ucraina rinascerà!”

 

 

Esprimendo le nostre condoglianze alla famiglia, agli amici, ai suoi compagni di lotta, riteniamo che la cosa più importante da fare è mantenere vivo il suo ricordo con un impegno attento alla sorte degli altri prigionieri politici e di guerra, contro l’illegalità della Giunta Ucraina di Kiev, con la convinzione che:

 NULLA E’ DIMENTICATO. NESSUNO DIMENTICA!

Napoli 2mag2016: ricordiamo i martiri di Odessa

di Comunità Ucraina Antifascista

lunedì 2 maggio – dalle 17 – Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo

– “Accendi la candela della memoria…”

Mostra fotografica e commemorazione dedicata alla strage di Odessa, organizzata con la comunità ucraina antifascista!


– Aperitivo

– Proiezione di NAPOLI – ATALANTA e braciata!

Il 2 maggio 2014 gli squadroni di Pravy Sektor e Svoboda, le principali organizzazioni naziste in Ucraina attaccano alcuni gruppi di oppositori al governo di Kiev che avevano allestito tende e gazebo per chiedere la federalizzazione dell’Ucraina, il riconoscimento della lingua russa e per protestare contro il colpo di stato con cui, nel febbraio precedente, era stato deposto il legittimo presidente Viktor Janukovič. I manifestanti si rifugiano dentro la Casa dei Sindacati, che viene circondata dal folto gruppo di neonazisti. A questo punto entrano in azione veri e propri gruppi paramilitari, che bloccano l’ingresso del palazzo e iniziano a incendiarlo con un fitto lancio di bottiglie molotov. Oltre 100 morti, tantissimi arsi vivi, con la piena complicità mediatiche e politiche delle Istituzioni Internazionali e dei Governi Occidentali – che hanno fatto di tutto nei giorni immediatamente successivi per insabbiare l’accaduto e nasconderne i responsabili.

http://ilmanifesto.info/a-odessa-si-ricorda-la-strage-neonazista/

http://www.carmillaonline.com/2015/05/05/dossier-odessa/
—-
Je so’ pazzo è un ex-opg (ospedale psichiatrico giudiziario) occupato nel marzo 2015 da un gruppo di studenti, lavoratori, disoccupati, per sottrarlo all’abbandono e per restituirlo alla città, per ricostruire la memoria di questo luogo terribile di esclusione e tortura, e lanciare percorsi di mobilitazione a partire dalle nostre concrete esigenze: dal lavoro al territorio, dalle scuole alle università, dalla casa alla sanità.

—-
Come arrivarci?
– Metro Linea 1: Fermata Materdei
(5 minuti a piedi verso Salita San Raffaele)
– Dal centro storico (15 minuti a piedi):
arrivare al museo nazionale e salire via Salvator Rosa,
all’incrocio con via Imbriani ci trovate sulla destra.

—-
Ex Opg Occupato – Je so’ pazzo
pagina facebook: https://www.facebook.com/exopgjesopazzo
sito web: http://jesopazzo.org/
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