da Marx21.it
Le ultime vicende sulla crisi greca hanno mostrato come un governo democratico, fedele al suo mandato elettorale, possa mettere in discussione la governance europea, rigida su regole punitive che nulla hanno a che fare con la virtuosità dei paesi dell’eurozona. Il fallimento più grande è proprio l’architettura della UE e dei suoi Trattati, che negano la possibilità di agire su obiettivi realmente strutturali, come l’occupazione, la capacità produttiva e i redditi. In questo contesto, la moneta unica è uno strumento di potere funzionale ad interessi altri, quali la stabilità dei prezzi e delle banche. Se è vero che bisogna rimettere in discussione regole e obiettivi europei, allo stesso tempo è necessario capire in quali tempi queste modifiche possono intervenire. Più i tempi sono lunghi più è inevitabile che anche la moneta unica possa essere rimessa in discussione, in quanto strumento di potere. Ne parliamo con Vladimiro Giacché, economista e Presidente del Centro Europa Ricerche.
Nonostante l’intransigenza mostrata dal governo tedesco e qualche gioco strategico, pare che la fermezza di Tsipras abbia mandato in tilt l’armonia della governance europea. Come lo interpreta?
Tsipras ha fatto una cosa nuova nell’Europa di questi ultimi anni: ha cercato di tener fede al mandato elettorale ricevuto. Ha trattato, ma quando ha visto che quello che veniva richiesto dalla controparte (peraltro senza contropartite immediate in termini di debt relief) era incompatibile col mandato elettorale ricevuto, ha detto che a quel punto soltanto gli elettori del suo Paese potevano decidere se accettare le proposte europee. In questo modo ha rotto il potere di ricatto dei creditori. Questo ha mandato in tilt la governance europea, che in questi ultimi anni è stata caratterizzata da un potere esorbitante dei creditori. L’Europa oggi viene destabilizzata non da Tsipras, ma proprio da quel potere esorbitante, che ha avuto conseguenze pesantissime per molte economie tra cui la nostra.
Tsipras ha fatto default, ma ha comunque rilanciato chiedendo ristrutturazione del debito, tema che sembrava sparito dal tavolo dei negoziati, e nuovi prestiti. Com’è finita la negoziazione dell’ultimo eurogruppo di fatto e cosa significa concretamente?
La ristrutturazione del debito greco la chiede la situazione prima ancora che Tsipras: l’entità attuale del debito greco è semplicemente impagabile. Lo era già nel 2010, ma allora si decise di non praticare un taglio del debito, perché questo avrebbe colpito le banche francesi e tedesche, fortemente esposte sulla Grecia. Non avendo ridotto il debito, il successivo intervento di BCE, fondo salva-Stati e FMI è servito unicamente a quelle banche per far rientrare la loro esposizione sulla Grecia senza troppi danni, ma non ha rappresentato alcun “salvataggio” della Grecia. A quanto è dato di capire l’Eurogruppo ha deciso comunque di chiudere la porta al governo greco sino al referendum, probabilmente confidando in un suo esito positivo (vittoria del Sì ndr).
Seppure sia stato un errore entrare nell’euro (cosa dimenticata da quasi tutte le sinistre europee), è possibile dire che è tutta colpa della moneta unica? Quanto pesano per i Paesi del Sud Europa le mancate politiche industriali a prescindere dalla moneta?
No, non è tutta colpa della moneta unica. Le mancate politiche industriali pesano, come pure gli insufficienti investimenti da parte delle imprese, che nella seconda parte degli anni Novanta ritennero di non averne bisogno potendo giovarsi dei maggiori profitti derivanti dall’abolizione della scala mobile. Il risultato è stata una perdita di competitività evidente nel decennio successivo, che però a quel punto, essendo nel frattempo partita la moneta unica, non poteva più essere corretta da una svalutazione. Il punto però è un altro: la moneta unica rappresenta comunque un elemento di rigidità che ostacola, e non favorisce, la convergenza tra le economie. Questa divergenza negli ultimi anni si è accentuata.
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