(VIDEO) Il senatore cileno Navarro: «L’Enel avvelena la comunità di Coronel»

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2543.jpgdi Romina Capone

Napoli, 12apr2019.- Mercurio, arsenico, piombo, nichel e altri metalli pesanti contaminano la comunità di Coronel. La centrale termoelettirica Endesa Bocamina di proprietà del gruppo Enel, alimentata a carbone, intossica gli abitanti inquinando l’aria, la terra e le acque del sud del Cile. A denunciare quanto sta accadendo è il senatore cileno Alejandro Navarro Brain il quale è accompagnato in Italia da Juana Hernandez (rappresentante delle famiglie vittime dell’inquinamento) e dal dottor Fredy Jelvez per incontrare l’amministratore delegato della multinazionale. La centrale termoelettrica è situata a soli dieci metri dal centro abitato e a cento metri da un edificio scolastico. Le analisi cliniche di sangue e urine hanno riscontrato che 17 alunni, 5 docenti e 2 genitori sono stati contaminati da metalli pesanti. Risulta elevato il numero di tumori e malattie neurologiche geneticamente trasmissibili. La popolazione è affetta da allergie croniche a seguito dell’inalazione dei fumi di scarico. Inquinata è anche l’acqua apportando ingenti danni alla loro economia che si basa in parte sulla pesca. I terreni sono incoltivabili.

 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2537.jpg«La centrale di proprietà italiana emette quotidianamente tonnellate di materiale tossico. Quando sono arrivato a Napoli mi hanno raccontato la triste realtà della Terra dei Fuochi. Capisco bene cosa vuol dire vivere in un territorio inquinato e contaminato. Stiamo sostenendo una dura lotta affinché vengano rispettati i diritti dell’ambiente e della salute. La causa contro in gigante Enel, portata in tribunale, l’abbiamo vinta una volta. Il giudice ha emanato, a 13 dirigenti dell’Enel, il divieto di lasciare il Paese» afferma Navarro e continua «Il nostro unico aiuto giunge dalle famiglie vittime dell’avvelenamento. Sono le mamme dei 17 alunni che lottano per avere giustizia. Solo grazie a loro abbiamo raccolto innumerevoli denunce. La mobilitazione popolare ci è di grande sostegno. Sarà una dura lotta contro la grande multinazionale capitalista che inizialmente chiedeva 138 dollari americani ogni megawatt/h ma siamo riusciti a far abbassare la cifra fino a 38 dollari MW/h. Inoltre l’azienda, dietro ricatto, non permette ai propri dipendenti di poter fare causa alcuna fino all’anno 2052. Ci ritroviamo in Cile a dover affrontare e risolvere un grave problema causato da una multinazionale italiana. Dopo aver appreso l’emergenza di Bagnoli, Acerra e tutta l’area della terra dei fuochi, ci siamo resi conto che la situazione ambientale è decisamente molto peggio della nostra. La politica deve responsabilizzarsi di fronte a questi disastri ambientali. Così come deve farlo il governo, i comuni e i cittadini. Se i politici non mettono in agenda il tema della salute ambientale e dell’uomo allora bisogna togliere di mezzo questi politici. Mi sento in colpa nei confronti delle nuove generazioni. La lotta per la vita è la prima lotta da vincere». Inoltre, il Senatore Navarro ha anche fatto riferimento allo scandaloso caso di Assange, un chiaro esempio oggi di prigioniero politico, per spiegare come funzione il sistema odierno di oppressione: «Vedete che chi come Assange mette a disposizione dei cittadini, gratuitamente, le informazioni delle grandi imprese multinazionali e di chi le comanda politicamente, viene perseguito ed arrestato, mentre chi invece consegna, dietro pagamento, le informazioni dei cittadini a quelle stesse grandi multinazionali, viene indicato ad esempio come uomo dell’anno», un lampante esempio di come funziona il mondo alla rovescia, per dirla con Eduardo Galeano.  

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2539.jpgJuana Hernandez è la testimonianza diretta di quello che sta accadendo a Coronel: «Il servizio medico statale ci ha comunicato che un quarto dei bambini della scuola di cui io sono la preside sono malati. Sono affetti da allergie croniche permanenti. Da leucemia. Da cancro e da tumori mai visti prima. Hanno un elevato deficit di apprendimento» continua il suo racconto «il tema energetico ossia la corrente elettrica è senza dubbio indispensabile per poter vivere. Ma gli effetti collaterali nessuno li ha considerati. Lo stato cileno, il quale non si sente responsabile di quanto sta accadendo, ha deciso che il nostro vicino di casa doveva essere un mostro gigante che sbuffa cenere e carbone in una discarica a cielo aperto nel centro storico del paese. Noi ora ne stiamo pagando le conseguenze. Vogliamo che l’Enel ci dia ascolto. Il loro denaro non è quello che ci interessa. La comunità di Coronel ha bisogno di salute, di poter vivere in un ambiente libero dall’inquinamento. Vogliamo ricominciare a sognare insieme ai nostri figli su ciò che sarà il loro futuro ad oggi incerto».

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2533.jpgDenunciare il danno ambientale è l’unica strada da intraprendere per il diritto alla salute dei popoli. Tramandare alle nuove generazioni l’importanza della qualità dell’ambiente, dei beni culturali per la salvaguardia dell’intero pianeta Terra spiega Maria Teresa Iervolino attivista politica, docente del liceo scientifico Labriola i cui studenti erano presenti all’incontro tenutosi a Palazzo San Giacomo.

«Ci siamo sentiti in dovere di ospitare a Napoli il senatore Navarro perché sono troppe le assonanze tra l’Italia e il Cile» sostiene Elena Coccia consigliera della città Metropolitana di Napoli e presidente della commissione cultura del Comune di Napoli affiancata da Laura Marmorale Assessore ai Diritti di cittadinanza ed alla Coesione sociale – relazioni internazionali, solidarietà popolare e cooperazione decentrata, da Ciro Borriello Assessore al verde urbano e allo sport, da Raffaele Del Giudice Assessore all’ambiente, da Amarilis Gutiérrez Graffe politologa ed esperta delle Relazioni internazionali, da Tommaso Sodano politico, agronomo e attivista per i diritti ambientali e da Gianmarco Pisa dei Corpi Civili di Pace.

“Se volete il lavoro dovete tenervi l’inquinamento” rimbomba in tutto l’universo questo slogan dai caratteri imperialisti. Rimbomba nella testa delle vittime dell’Italsider, nella testa delle vittime del termovalorizzatore di Acerra, rimbomba nella testa delle vittime all’Isochimica di Avellino, sul Formicoso dell’Irpinia. Rimbomba fino al sud del Cile, dove la centrale dell’Enel eroga energia per il Cile del Nord, dove di tutto lo stabilimento solamente quaranta operai sono cileni; il resto proviene dall’Italia. Sembra un film già visto con i sottotitoli in lingua italiana. L’Ilva di Taranto in Puglia, o l’Isochimica in Calabria, giusto per fare un esempio, tutte funzionali all’economia del nord Italia a dimostrazione che il liberismo non solo distrugge se stesso ma distrugge anche la Terra.


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Napoli 12apr2019: Diritti umani ed ambiente con il senatore cileno Navarro

L'immagine può contenere: cielo, nuvola e spazio all'apertodi Maite Iervolino 

Il senatore Alejandro Navarro è  in viaggio in Italia insieme alla dirigente scolastica cilena Juana Hernández e al dott. Fredy Jelvez per incontrare le istituzioni e rappresenti delle multinazionali con sedi centrali nel nostro Paese per denunciare chiaramente il danno ambientale e il rischio per la salute pubblica cilena, soprattutto dei bambini, che la Centrale Endesa Bocamina ha provocato e sta continuando a produrre.

Venerdì 12 aprile 2019
dalle ore 16:00 alle 19:00
Palazzo San Giacomo, Sala Giunta Comune di Napoli 

Come accertato dalla Procura, dal Ministero della Salute e dalla Polizia Investigativa del Cile le emissioni della centrale hanno implicato la presenza di metalli (come vanadio, mercurio, piombo o zinco) nell’ambiente e nelle persone, con una situazione estrema che colpisce migliaia di bambini, che hanno livelli pericolosi di mercurio, piombo, arsenico e altri metalli pesanti nel sangue. Davanti a queste questioni di interesse globale non si può rimanere indifferenti e in silenzio, perciò Napoli accoglie il Senatore Navarro con il suo staff organizzativo e sente la necessità di sostenere la denuncia contro i rischi gravissimi provocati dalla presenza delle multi-nazionali e, sull’esempio di Coronel, di segnare una strada per la collaborazione con gli altri popoli sostenendo incondizionatamente il diritto alla salute nel mondo.

Introduce e coordina:

Maria Teresa Iervolino detta Maite, attivista politica, scrittrice e docente alla scuola secondaria superiore.

intervengono:

Elena Coccia, consigliera della città Metropolitana di Napoli e presidente della commissione cultura del comune di Napoli.

Alejandro Navarro, Senatore della Repubblica Cilena

Laura Marmorale, Assessore ai Diritti di cittadinanza ed alla Coesione sociale – relazioni internazionali; solidarietà popolare; cooperazione decentrata –

Ciro Borriello, Assessore al verde urbano e allo sport

Raffaele del Giudice, Assessore all’ambiente

Amarilis Gutiérrez Graffe, politologa ed esperta delle Relazioni internazionali

Tommaso Sodano, politico, agronomo e attivista per i diritti ambientali

Gianmarco Pisa, Corpi Civili di Pace 

È stato invitato il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris.

Encendida crítica del nieto de Allende por Venezuela

por Pablo Sepúlveda Allende
politika.cl

Este domingo en el periódico mexicano La Jornada apareció una columna escrita por Pablo Sepúlveda Allende, nieto del expresidente Salvador Allende, en la cual levanta una sólida defensa del gobierno de Nicolás Maduro, repudia las presiones e injerencias de Estados Unidos y los gobiernos sudamericanos y repasa al Frente Amplio y a sus líderes por su alineamiento con las derechas latinoamericanas.

¿No son, acaso, exactamente los mismos poderes fácticos que desestabilizaron y provocaron el golpe de Estado contra Allende, los que han estado permanentemente desestabilizando y asediando a la Venezuela bolivariana?

Por eso resulta insultante la falta de ética, y la doble moral de figuras políticas visibles que aún se atreven a llamarse representantes de los ideales de izquierda –como, sólo por nombrar algunos, el presidente Pedro Sánchez, la senadora Isabel Allende, la ex candidata presidencial Beatriz Sánchez y sus falderos Giorgio Jackson y Gabriel Boric–, quienes reproducen exactamente el mismo discurso de la derecha mundial para criminalizar a la revolución bolivariana, pero son incapaces de señalar con vehemencia –como sí suelen hacerlo contra el venezolano– al gobierno de Estados Unidos como autor de los peores crímenes contra la humanidad en los pasados 70 años. Sólo en lo que va del siglo XXI sus intervenciones militares en Afganistán, Irak, Libia y Siria han dejado millones de muertos, millones de refugiados, países devastados e inmersos en el caos.

¿Es analfabetismo político? ¿Confusión ideológica? ¿Cobardía política? ¿Doble moral? ¿O es el oportunismo, lo que no les permite alzar su voz para denunciar y rechazar la anunciada intervención militar en Venezuela por Estados Unidos?

Existe un escenario prebélico muy claro en Venezuela y lo único que se les ocurre declarar en medios y redes sociales es que Maduro es un dictador, que viola de los derechos humanos, que hay una persecución política a quien opina diferente, etcétera. Todas ellas, gigantescas falacias del mismo tamaño de las corporaciones mediáticas que las fabrican. Poco o nada dicen sobre el sociópata Trump y la camarilla de criminales de guerra que lo rodea.

Con el mayor de los cinismos, vienen a decir que Venezuela o Nicaragua dañan a la izquierda ¡Vaya desfachatez! ¿Con que autoridad, a estas alturas, se autoproclaman de izquierda? Daño le hace a la noble lucha y al genuino ideal de izquierda la indefinición, la desideologización, el no asumirse anticapitalista, antineoliberal, el decir que el imperialismo es un concepto trasnochado, que con todo su poderío económico y militar sigue pretendiendo quitar y poner gobiernos afines a sus intereses, a punta de sangre y fuego, sin disimulo ni pudor alguno.

Daño le hacen a la izquierda si ya no luchan y si no se atreven a alzar su voz contra las terribles injusticias que son producto de ese sistema de despojo permanente.

Si ya no creen verdaderamente en la alternativa socialista para trascender este sistema criminal e inmoral, es mejor que no se llamen de izquierda.

Con todos los errores y problemas que pueda haber, ustedes no tienen autoridad moral para señalar a Venezuela, a Nicaragua o a Cuba como dictaduras que como política violan los derechos humanos. Sean consecuentes y leales a los anhelos de justicia de las mayorías. Groso daño hace a la política y a la izquierda, criticar irresponsablemente a los procesos políticos que deciden ser soberanos y que les toca, nada más y nada menos que enfrentar a los poderes fácticos de la plutocracia mundial.

Hoy por hoy, en Venezuela está en curso un golpe de Estado que pretende abrirle las puertas a una intervención militar. En esta ocasión, el gobierno estadunidense no está detrás –como sí lo estuvo solapadamente aquél fatídico 11 de septiembre de 1973–, hoy está adelante del golpe, anunciándolo, violando toda norma del derecho internacional y la Carta de la Naciones Unidas.

Recordemos que la excusa que hasta el día de hoy utiliza la derecha chilena para justificar el golpe de Estado es la honda crisis que atravesaba el país (palabras del propio tirano). Sabemos que esa crisis fue, en gran medida, provocada por la asfixia económica que decretó Nixon. Hoy, en Venezuela, la crisis económica es también, en gran medida, provocada por los poderes económicos nacionales y trasnacionales. Esa crisis, a la que convenientemente quieren catalogar de crisis humanitaria, es la excusa para justificar lo injustificable: la intervención militar.

Tal vez sea mucho pedir que apoyen abiertamente a la revolución bolivariana, pero si dicen ser demócratas, humanistas y de izquierda, sí me atrevo a exigirles que, en este momento histórico, no titubeen en tomar posición del lado correcto de la historia, del lado del respeto a la soberanía y la autodeterminación del pueblo venezolano y de todos los pueblos del mundo, del lado del respeto al derecho internacional, del lado de la paz. Debemos tener la audacia y el coraje de luchar decididamente contra los intentos injerencistas y golpistas, sin ambigüedades ni medias tintas. Es nuestro deber. El momento histórico lo exige. Están a tiempo de rectificar. La historia los juzgará.

Pablo Sepúlveda Allende: nieto de Salvador Allende; médico, coordinador del capítulo venezolano de la Red en Defensa de la Humanidad.

Venezuela y la confusión de la izquierda: Carta abierta al Frente Amplio de Chile

por Atilio A. Boron

Días pasados, Pablo Vidal, uno de los diputados del partido Revolución Democrática que integra el Frente Amplio de Chile, manifestó en una entrevista ante La Tercera que el presidente Nicolás Maduro era un dictador. Lo que podría haber sido el desafortunado exabrupto de un novel legislador tardó unas pocas horas en revelarse como el síntoma de una grave enfermedad que, de no combatirse de inmediato, clausuraría por largos años la posibilidad de ofrecer una alternativa pos-neoliberal al desprestigiado sistema de partidos políticos imperante en Chile, vástago de la funesta dictadura de Augusto Pinochet. En efecto, sin meditar sobre el significado y los alcances de las palabras de Vidal otros dirigentes del FA salieron en tropel a respaldar sus dichos poniendo en evidencia que su profundo desconocimiento de la historia chilena y de las categorías más elementales del análisis político es una falencia compartida por igual con sus compañeras y compañeros de partido. Porque, ¿cómo es posible que alguien que se propone como una alternativa de izquierda asuma por completo el discurso y la propaganda urdidas por el imperio y la derecha vernácula? Por si hubiera dudas al respecto Vlado Mirosevic, un representante del Partido Liberal –una derecha pura y dura, mal disimulada por una delgada pátina de posmodernismo combinada con un eficaz marketing político- saltó al ruedo para expresar su total acuerdo con el extravío de Vidal. Desgraciadamente en pocas horas el “efecto manada” hizo presa de muchos dirigentes del FA que de modo irreflexivo arrojaron por la borda buena parte de su identidad de izquierda.[1]

 

Se requiere un elevado nivel de analfabetismo político -para decirlo diplomáticamente- para que un ciudadano o una ciudadana de un país como Chile, que ha sufrido una de las más horrendas dictaduras de que se tenga noticias en el siglo veinte, pueda calificar con los mismos términos a Augusto Pinochet y Nicolás Maduro. No sólo Vidal y sus cofrades han demostrado tener un olímpico desconocimiento de la realidad venezolana sino que, peor aún, otro tanto ocurre con la historia de su propio país. Si la conocieran, porque es su obligación como legisladores o como dirigentes políticos conocerla muy bien, jamás podrían haber cometido una grosería como la que estamos comentando y que no por casualidad fue recibida con enorme alborozo por la canalla mediática, comenzando por la CNN y siguiendo por los demás medios hegemónicos. Como lo comenta con sensatez en su tuit una joven comunista chilena, Florencia Lagos Neumann, “Dictadura es dictadura. Pinochet era dictador, Videla era dictador, Somoza era dictador, Franco era dictador. Si en sus dictaduras hubiera aparecido un loco autoproclamándose presidente a las 2 horas era fusilado y tirado a una fosa común. ¿Se entiende?” La elocuencia de este razonamiento ahorra muchas palabras.

 

Se pueden decir muchas cosas de Juan Guaidó (la mayoría de las cuales poco honorables) menos que haya padecido inconveniente alguno en su continua prédica sediciosa, o en su convocatoria a la población y las fuerzas armadas para quebrar el orden constitucional o en su infame pedido al gobierno de Estados Unidos para que se inmiscuya activamente en la resolución –sin duda violenta y sin ninguna clase de diálogo político, como lo ha manifestado más de una vez la Casa Blanca- de la crisis que afecta a Venezuela. Su demagógica pregunta, formulada en un acto público callejero, de si alguien le tiene miedo a una guerra civil (y que el público asistente contestó con un resonante no) es de una irresponsabilidad criminal. En cualquier país del mundo –y Chile no es la excepción- un sujeto que obra de esa manera es de inmediato apresado y juzgado perentoriamente a cumplir una larga condena en una cárcel de máxima seguridad. En Estados Unidos podría inclusive ser pasible de la pena capital. Pero nada de eso ocurre en la “dictadura” de Maduro denunciada con un ardor digno de mejores causas por algunos sectores del FA. Una extraña dictadura –como decía Eduardo Galeano hablando de los días de Hugo Chávez en el poder- que permite que un fantoche como Guaidó circule por todo el país sin ser perseguido, que cite a exministros chavistas y se reúna con ellos, a plena luz del día, en el Palacio Legislativo en el centro de Caracas para intercambiar ideas sobre la constitución de un gabinete de su ilusoria “transición”. O que permite que un dirigente responsable de ser el inspirador y autor intelectual de las dos guarimbas que en el 2014 y 2017 dejaron una estela de centenares de muertos, miles de heridos e inmensos daños a la propiedad, nos referimos a  Leopoldo López, aparezca regularmente en diversos programas de radio reproducido y viralizados por las redes sociales y en donde desde su confortable prisión domiciliaria se exhorta a las fuerzas armadas bolivarianas a permitir el ingreso de la “ayuda humanitaria” enviada por Washington. ¿No son éstos, acaso, ejemplos rotundos de la libertad de prensa y de reunión que existe en la Venezuela bolivariana y que ninguna dictadura jamás admitió? ¿Pudo hacer esto la oposición a Pinochet en Chile, o de Videla en la Argentina o de Somoza en Nicaragua? ¿Es posible ignorar una verdad tan elemental como ésta? ¿Cuál es el concepto de “dictadura” que manejan algunos líderes del FA? Confieso mi curiosidad por conocerlo y por saber cuál es el teórico que produjo tan extravagante definición por la cual el venezolano es un dictador y el déspota de Arabia Saudita que masacra al pueble yemení y manda asesinar a un periodista de su país en la sede de su embajada en Turquía no lo es; o que un régimen neofascista y genocida como Israel sea considerado como una ejemplar democracia con la cual Chile debe estrechar sus vínculos sin ninguna clase de reserva pese a su flagrante y sistemática violación de los derechos humanos en los territorios ocupados y su rechazo a todas las resoluciones de Naciones Unidas.   

 

La conclusión inescapable de esta toma de posición de algunos dirigentes del FA es que su referencia a la cultura de la izquierda y sus centenarias luchas es un lamentable  malentendido; o, en caso de que exista mala fe, un artilugio discursivo y electorero para adquirir respetabilidad ante los sectores dominantes. Una identidad de izquierda tan frágil que se disuelve tan pronto sus representantes deben plantarse frente a los candentes desafíos de la realidad política, esa “lucha de dioses contrapuestos” a la que se refería Max Weber y en la cual no caben las mediatintas ni los “ni-ni” del posmodernismo sea en sus variantes de derecha o de (pseudo)izquierda. Recuerdo unos versos de Víctor Jara cuando cantaba, en los años de la Unidad Popular: “usté no es ná, ni chicha ni limoná”.  Quienes en estos días se unieron alegre e irresponsablemente al discurso del imperialismo y la reacción autóctona corren serio riesgo de convertirse en “ná”, y eso políticamente es un seguro camino al desastre. O, peor aún, convertirse en su contrario y abandonar la empresa histórica de rescatar a Chile de las garras del neoliberalismo. Porque quienes ingresan ruidosamente al ágora con el discurso de “Maduro dictador” ya se colocan, objetivamente y más allá de inconsecuenciales gestos de rebeldía, del lado del imperialismo y la reacción. Tienen que tomar conciencia que al hacerlo se han asociado a lo peor de la política latinoamericana. Están codo a codo con Uribe y Duque, Macri y Bolsonaro, con Hernández y Lenín Moreno, con Almagro y con Santos, con Bolton y Abrams, todos entonando el relato concebido en Estados Unidos y difundido en nuestra lengua por el inigualable maestro en el arte de decir mentiras que parezcan verdades: Mario Vargas Llosa. Ese sector del FA, porque no creo que sea toda esa organización, ingresa en la política latinoamericana de la mano de los herederos de los que ahogaron a sangre y fuego la experiencia pionera de Salvador Allende, y este no es un dato menor ni una simple anécdota. Tomaron partido por ellos, por los vástagos de quienes bombardearon la Moneda, asesinaron a Orlando Letelier, René Schneider, Carlos Prats González, a Pablo Neruda, a Eduardo Frei y condujeron a la muerte a Salvador Allende; también por los que torturaron, mutilaron y ejecutaron cobardemente a Víctor Jara y a miles de chilenas y chilenos; los que organizaron siniestros campos de concentración y caravanas de la muerte, desaparecieron a miles, mataron a otros tantos y enviaron a cientos de miles de sus compatriotas al exilio.

 

En su asombrosa ignorancia este sector de la dirigencia frentista demuestra desconocer el abc de la filosofía política, ¡y pretenden con tal rudimentario arsenal  teórico conducir a Chile por la senda del progreso y la justicia social!  Incapaces de distinguir lo que es una dictadura, de reconocer la omnipresencia del imperialismo –palabra prohibida en su discurso- o de conocer el dolor y la destrucción que éste provoca con su agresión económica, política, diplomática y mediática a la Venezuela bolivariana se rinden ante el pensamiento único en su fatal empeño por constituirse como una alternativa “moderada” ante la “inmoderada” injusticia que campea en Chile.

Ante el crisol de la crisis venezolana ese sector del FA se funde con la derecha en su maniqueísmo propio de la Guerra Fría, en su cruzada contra los gobiernos que no se arrodillan ante los mandatos de la Casa Blanca (Noam Chomsky dixit) y que son invariablemente  caracterizados por ésta como “dictaduras”. Una izquierda que en su infantilismo cae en la trampa de creer que va a poder resolver la deuda social de la “democracia de (muy) baja intensidad” de Chile, o de su “democradura”, sin enfrentarse con todos los demonios del infierno que saldrán en tropel para aplastar a sangre y fuego a quienes tengan la osadía de pretender cambiar el mundo. Gentes que, en su inexperiencia, creen que la política es un juego caballeresco en donde los reformadores sociales, ni digamos los revolucionarios, van a ser enfrentados con las armas de la legalidad y la institucionalidad por los partidarios del status quo. No basta con que Donald Trump le confiera el rango de presidente legítimo de Venezuela a un fantoche como Juan Guaidó, en abierta violación de la Carta de las Naciones Unidas y el derecho internacional. Tampoco que John Bolton haya declarado que quiere el petróleo de Venezuela para las empresas estadounidenses. Aunque Trump y Bolton les griten en la cara que en su momento vendrán a apoderarse de los recursos naturales de Chile en su ebriedad posmoderna los que vociferan “Maduro dictador” seguirán pensando que el imperialismo es una fábula de la vieja izquierda, un mito que sobrevive increíblemente en tiempos de la posmodernidad líquida en donde, como decían Marx y Engels en el  Manifiesto Comunista (que esos sectores del FA harían muy bien en leer) “todo lo sólido se disuelve en el aire”. Todo, sí, menos la lucha de clases y la dominación imperialista. Y si no comprenden esto no han comprendido nada y se disolverán en el aire sin dejar más que un borroso recuerdo, una juvenilia pasajera que prometió ser una brisa renovadora en la política chilena y acabó siendo más de lo mismo.

 

Admito que algunos sectores de la izquierda puedan ser duros críticos del gobierno de Maduro. O decir que éste no supo contrarrestar efectivamente la brutal ofensiva que Estados Unidos lanzó para acabar con la Revolución Bolivariana. O que su manejo de la política económica fue desacertado o que el combate a la corrupción careció de la energía requerida. Pero decir que Maduro es un dictador es un gigantesco error conceptual grávido de lesivas consecuencias prácticas para el futuro del movimiento popular chileno. Este difícilmente podrá hallar una ruta de salida a las injusticias e inequidades producto de casi medio siglo de políticas neoliberales cuando una fuerza política que se pretende de izquierda piensa y actúa como si fuera de derecha. Olvidándose, además, ¡torpes sociólogos quienes la asesoran!, que los pueblos, dondequiera que sea, y no sólo en Latinoamérica, siempre prefieren el original a la copia. Y una izquierda que se presenta como una caricatura de la derecha decreta su propia obsolescencia y lleva agua al molino de aquélla. El Frente Amplio aún está a tiempo de sortear tan lamentable desenlace. Una discusión franca,  rigurosa y con mucho fundamento puede salvar un proyecto de recambio, tendencialmente pos-neoliberal, que Chile necesita impostergablemente. Sería imperdonable que esa oportunidad se frustrara.

 

[1] Un reporte sobre este asunto se encuentra en https://www.cnnchile.com/pais/diputados-rd-se-alinean-al-calificar-de-dictador-a-nicolas-maduro_20190205/

 

Chile 3-7dic2018: Marco Teruggi presenta “Mañana será historia”

Los últimos mensajes del Presidente de Chile: Salvador Allende

por www.luiseaguilera.cl

El día de la gran traición, 11 de septiembre de 1973: 

7:55 A.M. Radio Corporación

Habla el Presidente de la República desde el Palacio de La Moneda. Informaciones confirmadas señalan que un sector de la marinería habría aislado Valparaíso y que la ciudad estaría ocupada, lo que significa un levantamiento contra el gobierno, del gobierno legítimamente constituido, del gobierno que está amparado por la ley y la voluntad del ciudadano.

En estas circunstancias, llamo a todos los trabajadores. Que ocupen sus puestos de trabajo, que concurran a sus fábricas, que mantengan la calma y serenidad. Hasta este momento en Santiago no se ha producido ningún movimiento extraordinario de tropas y, según me ha informado el jefe de la Guarnición, Santiago estaría acuartelado y normal.

En todo caso yo estoy aquí, en el Palacio de Gobierno, y me quedaré aquí defendiendo al gobierno que represento por voluntad del pueblo.

Lo que deseo, esencialmente, es que los trabajadores estén atentos, vigilantes y que eviten provocaciones. Como primera etapa tenemos que ver la respuesta, que espero sea positiva, de los soldados de la patria, que han jurado defender el régimen establecido que es la expresión de la voluntad ciudadana, y que cumplirán con la doctrina que prestigió a Chile y le prestigia el profesionalismo de las Fuerzas Armadas. En estas circunstancias, tengo la certeza de que los soldados sabrán cumplir con su obligación. De todas maneras, el pueblo y los trabajadores, fundamentalmente, deben estar movilizados activamente, pero en sus sitios de trabajo, escuchando el llamado que pueda hacerle y las instrucciones que les dé el compañero Presidente de la República.

8:15 A.M. Radio Corporación:  Trabajadores de Chile:

Les habla el Presidente de la República. Las noticias que tenemos hasta estos instantes nos revelan la existencia de una insurrección de la Marina en la provincia de Valparaíso. He ordenado que las tropas del ejército se dirijan a Valparaíso para sofocar este intento golpista. Deben esperar las instrucciones que emanan de la Presidencia. Tengan la seguridad de que el Presidente permanecerá en el Palacio de La Moneda defendiendo el gobierno de los trabajadores. Tengan la certeza que haré respetar la voluntad del pueblo que me entregara el mando de la nación hasta el 4 de noviembre de 1976.

Deben permanecer atentos en sus sitios de trabajo a la espera de mis informaciones. Las fuerzas leales respetando el juramento hecho a las autoridades, junto a los trabajadores organizados, aplastarán el golpe fascista que amenaza a la patria.

Radio Corporación (Fragmento)

… En ese bando se insta a renunciar al presidente de la república. No lo haré. Notifico ante el país la actitud increíble de soldados que faltan a su palabra y a su compromiso. Hago presente mi decisión irrevocable de seguir defendiendo a Chile, su prestigio, en su tradición, en sus normas jurídicas, su constitución. Señalo mi voluntad de resistir con lo que sea, a costa de mi vida, para que quede la lección que coloque ante la ignominia y de la historia a los que tienen la fuerza y no la razón.

En este instante señalo como una actitud digna, que aquí está junto a mí el director titular de Carabineros, general José María Sepúlveda. Y que en este instante los aviones pasan sobre La Moneda, seguramente la van a ametrallar. Nosotros estamos serenos y tranquilos. El holocausto nuestro marcará la infamia de los que traicionan la patria y el pueblo

8:45 A.M. Radio Corporación  Compañeros que me escuchan:

La situación es crítica, hacemos frente a un golpe de estado en que participan la mayoría de las Fuerzas Armadas.

En esta hora aciaga quiero recordarles algunas de mis palabras dichas el año 1971, se las digo con calma, con absoluta tranquilidad, yo no tengo pasta de apóstol ni de mesías. No tengo condiciones de mártir, soy un luchador social que cumple una tarea que el pueblo me ha dado. Pero que lo entiendan aquellos que quieren retrotraer la historia y desconocer la voluntad mayoritaria de Chile; sin tener carne de mártir, no daré un paso atrás. Que lo sepan, que lo oigan, que se lo graben profundamente: dejaré La Moneda cuando cumpla el mandato que el pueblo me diera, defenderé esta revolución chilena y defenderé el gobierno porque es el mandato que el pueblo me ha entregado. No tengo otra alternativa. Sólo acribillándome a balazos podrán impedir la voluntad que es hacer cumplir el programa del pueblo. Si me asesinan, el pueblo seguirá su ruta, seguirá el camino con la diferencia quizás que las cosas serán mucho más duras, mucho más violentas, porque será una lección objetiva muy clara para las masas de que esta gente no se detiene ante nada.

Yo tenía contabilizada esta posibilidad, no la ofrezco ni la facilito.

El proceso social no va a desaparecer porque desaparece un dirigente. Podrá demorarse, podrá prolongarse, pero a la postre no podrá detenerse.

Compañeros, permanezcan atentos a las informaciones en sus sitios de trabajo, que el compañero Presidente no abandonará a su pueblo ni su sitio de trabajo. Permaneceré aquí en La Moneda inclusive a costa de mi propia vida.

9:03 A.M. Radio Magallanes

En estos momentos pasan los aviones. Es posible que nos acribillen. Pero que sepan que aquí estamos, por lo menos con nuestro ejemplo, que en este país hay hombres que saben cumplir con la obligación que tienen. Yo lo haré por mandato del pueblo y por mandato conciente de un Presidente que tiene la dignidad del cargo entregado por su pueblo en elecciones libres y democráticas.

En nombre de los más sagrados intereses del pueblo, en nombre de la patria, los llamo a ustedes para decirles que tengan fe. La historia no se detiene ni con la represión ni con el crimen. Esta es una etapa que será superada. Este es un momento duro y difícil: es posible que nos aplasten. Pero el mañana será del pueblo, será de los trabajadores. La humanidad avanza para la conquista de una vida mejor.

Pagaré con mi vida la defensa de los principios que son caros a esta patria. Caerá un baldón sobre aquellos que han vulnerado sus compromisos, faltando a su palabra… roto la doctrina de las Fuerzas Armadas.

El pueblo debe estar alerta y vigilante. No debe dejarse provocar, ni debe dejarse masacrar, pero también debe defender sus conquistas. Debe defender el derecho a construir con su esfuerzo una vida digna y mejor.

9:10 A.M. Radio Magallanes

Seguramente, ésta será la última oportunidad en que pueda dirigirme a ustedes. La Fuerza Aérea ha bombardeado las torres de radio Portales y radio Corporación. Mis palabras no tienen amargura sino decepción. Que sean ellas un castigo moral para quienes han traicionado el juramento que hicieron: soldados de Chile, comandantes en jefe titulares, el almirante Merino, que se ha auto designado comandante de la Armada, más el señor Mendoza, general rastrero que sólo ayer manifestara su fidelidad y lealtad al Gobierno, y que también se ha autodenominado Director general de carabineros. Ante estos hechos sólo me cabe decir a los trabajadores: ¡Yo no voy a renunciar!

Colocado en un tránsito histórico, pagaré con mi vida la lealtad al pueblo. Y les digo que tengo la certeza de que la semilla que hemos entregado a la conciencia digna de miles y miles de chilenos, no podrá ser segada definitivamente. Tienen la fuerza, podrán avasallarnos, pero no se detienen los procesos sociales ni con el crimen ni con la fuerza. La historia es nuestra y la hacen los pueblos.

Trabajadores de mi patria: quiero agradecerles la lealtad que siempre tuvieron, la confianza que depositaron en un hombre que sólo fue intérprete de grandes anhelos de justicia, que empeñó su palabra en que respetaría la Constitución y la ley, y así lo hizo. En este momento definitivo, el último en que yo pueda dirigirme a ustedes, quiero que aprovechen la lección: el capital foráneo, el imperialismo, unidos a la reacción creó el clima para que las Fuerzas Armadas rompieran su tradición, la que les enseñara el general Schneider y reafirmara el comandante Araya, víctimas del mismo sector social que hoy estará en sus casas esperando con mano ajena, reconquistar el poder para seguir defendiendo sus granjerías y sus privilegios.

Me dirijo a ustedes, sobre todo a la modesta mujer de nuestra tierra, a la campesina que creyó en nosotros, a la obrera que trabajó más, a la madre que supo de nuestra preocupación por los niños. Me dirijo a los profesionales de la patria, a los profesionales patriotas que siguieron trabajando contra la sedición auspiciada por los colegios profesionales, colegios de clases que defendieron también las ventajas de una sociedad capitalista.

Me dirijo a la juventud, a aquellos que cantaron y entregaron su alegría y su espíritu de lucha. Me dirijo al hombre de Chile, al obrero, al campesino, al intelectual, a aquellos que serán perseguidos, porque en nuestro país el fascismo ya estuvo hace muchas horas presente; en los atentados terroristas, volando los puentes, cortando las vías férreas, destruyendo los oleoductos y los gaseoductos, frente al silencio de quienes tenían la obligación de proceder.

Estaban comprometidos. La historia los juzgará.

Seguramente Radio Magallanes será acallada y el metal tranquilo de mi voz no llegará a ustedes. No importa. La seguirán oyendo. Siempre estaré junto a ustedes. Por lo menos mi recuerdo será el de un hombre digno que fue leal con la patria.

El pueblo debe defenderse, pero no sacrificarse. El pueblo no debe dejarse arrasar ni acribillar, pero tampoco puede humillarse.

Trabajadores de mi patria, tengo fe en Chile y su destino. Superarán otros hombres este momento gris y amargo en el que la traición pretende imponerse. Sigan ustedes sabiendo que, mucho más temprano que tarde, de nuevo se abrirán las grandes alamedas por donde pase el hombre libre, para construir una sociedad mejor.

¡Viva Chile! ¡Viva el pueblo! ¡Vivan los trabajadores!

Estas son mis últimas palabras y tengo la certeza de que mi sacrificio no será en vano, tengo la certeza de que, por lo menos, será una lección moral que castigará la felonía, la cobardía y la traición.

Il nostro 11 settembre

di Rete di Solidarietà Caracas ChiAma

«Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa della irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli».

Segretario di stato statunitense Henry Kissinger prima del bombardamento del Cile e del colpo di stato di Pinochet a proposito della elezione di Salvador Allende in #Cile.

Il nostro 11 settembre.

Ideología

por Luis Fernando Lamberg Carcovich*

La revolución puede tener una piel hermosa y unos ojos bellos;
pero esto no le basta para caminar.

Para caminar necesita apoyar los pies en el hueso ideológico,
afirmarse en las vértebras de la táctica y la estrategia,
sostenerse en la espina dorsal de la doctrina.

Compañero, compañera: sin ideología
podemos pensar que existen seres providenciales
y apoyar con entusiasmo al sonriente deportista,
a la cautivante candidata
o al desconocido
que tal vez traiga la alfombra voladora del futuro;
podemos creer que con la muerte de un oligarca terminó la oligarquía;
podemos ayudar a un gobierno que rechaza a los humildes,
descuidar al enemigo discutiendo
cuál azul es más azul o cual amarillo es más amarillo
o ahogarnos en un dedal de agua.
Sin ideología la revolución es una belleza invertebrada.No basta con la amistad
porque podemos ser amigos de nuestras equivocaciones.

Ni siquiera basta con la lealtad
porque podemos ser leales con nuestros errores.
El amor es hermoso. Indudable.

Pero amar las sendas oscuras no conduce hacia la luz
ni amar la neblina sirve para orientarse.
Sin una ideología podemos pensar que es suficiente
fijarse una meta y dejar a los demás arreglarse como puedan;
podemos dejar de ser los jóvenes rebeldes
y convertirnos en ancianos sumisos o vendidos.
No existen los golpes de luz que aclaran los acontecimientos 
ni la intuición profunda que se anticipa a la razón
ni la llama subconsciente ni el caldero del brujo
ni los naipes adivinos ni el triunfo irracional.

Compañero, compañera: la revolución puede tener
una piel hermosa y unos ojos bellos;
pero eso no basta.

Abramos las puertas de la ideología
para que podamos dominar el mañana.

*Luis Fernando Lamberg Carcovich (Valparaíso, Chile, 7 de junio de 1928 – Caracas, Venezuela, 20 de febrero del 2011. Profesor y escritor de amplia trayectoria tanto en Chile como en Venezuela; cuenta con una vasta producción literaria en los géneros de poesía, cuento, fábulas, teatro, novela y ensayo.)

Ideologia

Risultati immagini per Luis Fernando Lamberg Carcovichdi Luis Fernando Lamberg Carcovich

La rivoluzione può avere una bella pelle e due begli occhi;
questo, però, non le basta per camminare.
Per camminare, essa ha bisogno di appoggiare i piedi nell’osso ideologico,
di imporsi nelle vertebre della tattica e della strategia,
di sostenersi nella spina dorsale della dottrina.

Compagna, compagno: senza ideologia
possiamo pensare che esistano esseri provvidenziali
ed appoggiare entusiasti lo sportivo sorridente,
l’intrigante candidato, giornalista o scrittore,
o lo sconosciuto
che, magari, porta con sé il tappeto volante del futuro;
possiamo credere che l’oligarchia si conclude con la morte di un oligarca;
possiamo sostenere un governo che rifiuta gli umili,
trascurare il nemico discutendo
di quale azzurro è più azzurro o quale giallo è più giallo
oppure affogare in un ditale d’acqua.

Senza ideologia, la rivoluzione è una bellezza invertebrata.

Non basta l’amicizia
perché rischiamo di essere amici dei nostri limiti.
Neppure è sufficiente la lealtà
perché rischiamo di essere leali ai nostri errori.
L’amore è bello. Indubitabile.
Amare, però, i sentieri oscuri non conduce alla luce
né amare la foschia serve per orientarsi.

Senza un’ideologia, possiamo pensare che è sufficiente
porsi un obiettivo e lasciare che gli altri se la sbrighino come possono;
possiamo smetterla di essere giovani ribelli
e diventare vecchi sottomessi o venduti

Non esistono colpi di luce che rischiarano gli eventi
neppure la profonda intuizione che anticipa la ragione
né la fiamma subcosciente né il calderone del mago
né le carte divinatorie né il trionfo irrazionale.

Compagna, compagno: la rivoluzione può avere
una bella pelle e due begli occhi,
ma ciò non basta.
Apriamo le porte dell’ideologia
così da poter dominare il domani.

* Valparaíso, Cile, 7 giugno 1928 – Caracas, Venezuela, 20 febbraio 2011. Professore e scrittore di amplia traiettoria tanto in Cile come in Venezuela; conta con una vasta produzione letteraria, poesie, racconti, favole, teatro, novelle e saggi.

[Trad. libererrima dal castigliano per ALBAinformazione di Antonio Cipolletta]

Cile e Venezuela: a 44 anni dal golpe fascista contro Allende

di Leandro Grille
(Caras y caretas – Uruguay)

Nicolas Maduro non è Salvador Allende. E non è nemmeno Hugo Chavez. Il Venezuela, inoltre, non è il Cile. E fin qui le affermazioni sono talmente triviali che potrebbero essere trascurate. Tuttavia, le similitudini tra la Rivoluzione Bolivariana e il Governo di Unità Popolare, guidato dall’indimenticabile presidente martire, sono enormi. E negarlo, disconoscerlo o eluderlo è la condizione necessaria per disinteressarsi e non comprendere un processo politico contemporaneo senza la necessità di rivedere vecchi amori ancora vigenti.

Mi propongo di esporre brevemente, entro i limiti della mia formazione, alcune chiavi di questo parallelismo, tenendo presente che non esistono processi storici e politici omologabili in senso profondo, tanto più quando avvengono in società e tempi differenti.

Storicamente il Venezuela ha avuto una economia basata sull’estrazione e commercializzazione delle sue enormi riserve petrolifere. Dal canto suo, il Cile, per decenni aveva basato la sua economia sullo sfruttamento del salnitro, sino al declino dell’industria seguito alla produzione del salnitro sintetico, dopo di che visse esclusivamente dell’estrazione e esportazione di rame che, al momento dell’arrivo di Salvador Alliende alla Presidenza, significava il 75% della produzione cilena e più del 30% del gettito fiscale. Entrambe erano economie estrattive fortemente dipendenti dal prezzo internazionale di una risorsa naturale prevalente.

Una prima grande similitudine tra il governo di UP e il progetto politico inizialmente guidato da Hugo Chávez fu la manifesta volontà di costruire una via democratica al socialismo in un paese del terzo mondo, ricorrendo alle urne e non alle armi. Questo proposito comune di risolvere in maniera pacifica le contraddizioni capitale-lavoro a favore degli sfruttati, mediante la costruzione di uno stato socialista per via elettorale, non ha ancora provato la sua fattibilità in nessuna parte del mondo, non ha precedenti.

Non è straordinario quindi che i due processi politici siano stati concentrati sulla vocazione socializzante della rendita prodotta nel settore economico principale, né può sorprendere che l’artificioso crollo del prezzo del rame tra l’anno 1971-73, per il Cile, e della caduta del prezzo del petrolio al barile a partire dall’anno 2014, per il Venezuela, abbiano avuto le conseguenze economiche devastanti che si sono verificate in entrambi i paesi.

La crisi economica del Cile di Salvador Allende fu tanto grave e tanto provocata dagli Stati Uniti quanto la crisi venezuelana. Appena Allende ottenne la presidenza del Cile, gli Stati Uniti, allora governati da Richard Nixon con il genocida Henry Kissinger a capo del dipartimento di stato, presero la decisione di destituirlo e a tal fine orchestrarono un piano, conosciuto come Fubelt: per distruggere l’economia cilena, radiarla dal mondo e provocare un colpo di stato che avrebbe abbattuto quel governo marxista considerato una minaccia per propri interessi.

Le prove di queste azioni sono state svelate dopo 25 anni, dopo aver levato il segreto ai relativi documenti, ma ciò era già evidente a qualsiasi osservatore che non fosse politicamente ingenuo o complice. Se il primo anno di Allende aveva significato un sostanziale miglioramento nelle capacità di acquisto della popolazione, crescita economica, espansione dei diritti, spinta alle politiche pubbliche di avanzata, gli anni successivi, caratterizzati da una guerra economica interna e esterna condotta dagli Stati Uniti e eseguita dai settori più potenti del Cile e i suoi relativi media, più la brusca – ed eterodiretta –  caduta del prezzo internazionale del rame in seguito alla nazionalizzazione del 1971, segnarono un crollo dell’economia, due anni consecutivi di caduta del prodotto interno lordo, deterioramento dei salari reali e iper-inflazione, che negli ultimi due anni del governo Allende arrivò ad essere la più alta del mondo, superando il 600%.

La politica di controllo dei prezzi applicata dal governo per contenere l’inflazione è perfettamente paragonabile alla legge venezuelana del giusto prezzo, e uguale la riposta del potere economico: destabilizzazione e accaparramento. I cileni dovevano fare code di vari isolati per ottenere i prodotti fondamentali a prezzi regolati o pagare prezzi tremendamente alti al mercato nero, dove si eludeva il controllo statale. Lo stesso succede oggi in Venezuela. E alla scarsità indotta la risposta del governo venezuelano è identica a quella che diede il governo di UP: Allende creò la JAP (Juntas de Abastecimiento y Control de Precios), Maduro ha creato i Clap (Comité Locales de Abastecimiento y Producion) che forse hanno funzionato meglio delle Jap, tra le altre cose perché, evidentemente, le autorità venezuelane hanno analizzato quell’esperienza e hanno fatto il possibile perché, a differenza della JAP cilena, i Clap non fossero sabotati e perseguitati.

Il malcontento sociale venezuelano degli ultimi anni e quello cileno all’epoca di Allende, causato dalla guerra economica e dalle sue dure conseguenze sulla vita dei cileni, sono ugualmente comparabili. Nelle elezioni parlamentari del 1973, la Confederazione per la Democrazia (CODE, la versione cilena dell’attuale Mesa de la Unidad Democratica che raggruppa la destra venezuelana), ottenne il 56% dei voti, contro il 43% ottenuto dall’Unità Popular di Salvador Allende, ottenendo la maggioranza dei seggi, con proporzioni che sono simili alle elezioni dell’Assemblea Nazionale, che ha perso il chavismo a causa di una crisi identica, perché nel 2015 la MUD venezuelana ottenne il 56% dei voti contro il 41% del Partido Socialista Unido de Venezuela.

Che fece Allende con un Parlamento all’opposizione? L’opposizione cilena riunita della CODE voleva i 2/3 del parlamento per poter accusare e, eventualmente, destituire Allende, come è stato fatto da poco con Dilma, e come hanno tentato di fare con Maduro. Non riuscirono ad arrivare a tanto. Però controllavano il parlamento, e l’opposizione cilena tentò di usare la sua maggioranza amplia per promuovere una riforma costituzionale conosciuta come il progetto Hamilton- Fuentealba che tentò di fermare la politica socialista e di statalizzazioni di Salvador Allende. Allende pose il veto al progetto e per questo fu accusato di calpestare la legalità e passare sopra al potere legislativo. Termini simili sono stati utilizzati per accusare Nicolás Maduro e l’odio politico delle classi medio alte si espresse per le strade, con mobilitazioni sempre più violente, e anche massive, a cui partecipavano anche studenti universitari – non furono solo i camionisti – e ingenti settori sociali, tra cui settori medi e professionali, come medici, dentisti, avvocati e commercianti. Con Allende si scaldarono le strade, non si ebbero 60 morti, ma più di 100, e per questo venne accusato di essere un assassino, un tiranno, e molto altro. Nel frattempo, i settori alleati della borghesia promuovevano il colpo di stato, si concentravano alle porte delle caserme e partecipavano alle cospirazioni. Se in questi giorni la procura generale del Venezuela si è piegata all’opposizione, allo stesso modo si era piegata la Corte dei Conti in Cile quando Allende venne accusato di disconoscere la Costituzione per aver posto il veto sul progetto degli oppositori di destra, che si proponeva di impedire l’espropriazione delle terre e l’intervento nel commercio e nel settore dei trasporti.

Perché molti credono che Salvador Allende fosse un uomo democratico, pacifico e il suo governo un esempio indimenticabile mentre, contemporaneamente si permettono di denigrare il progetto bolivariano? Non è un caso di incoerenza? Fino ad ora l’unica differenza è l’esito. Salvador Allende fu vittima di un colpo di stato a cui resistette con la propria stessa vita, mentre il governo venezuelano ancora non è stato abbattuto, neanche da un colpo di stato, anche se questa strada è stata tentata. Il Venezuela si difende come può. Hugo Chávez lo aveva detto: a differenza di quella cilena, la nostra non è una rivoluzione disarmata. Fidel lo aveva anticipato a Salvador Allende, nel suo discorso di commiato nello Stadio Nazionale, alla fine di un viaggio di tre settimane in Cile, nel dicembre 1971. Dopo aver visto l’esperienza – l’unica nella storia – della costruzione del socialismo per via pacifica, avvertì il popolo del Cile che la violenza è inesorabile, perché la destra l’avrebbe imposta. “Tornerò a Cuba più rivoluzionario di prima! Tornerò a Cuba più radicale di prima! Tornerò a Cuba più estremista di prima!”. 

Quanto sta accadendo in Venezuela non è una novità in America Latina. Né l’atteggiamento dell’Osa lo è. Né la violenza lo è. Né le menzogne dei media. Né la mano nera degli Stati Uniti. Né la pianificazione della scarsità di beni. Né l’accaparramento criminale. Né le gigantesche code, né l’inflazione astronomica, né il mercato nero, né il controllo dei prezzi, né i CLAP, né le sconfitte elettorali all’interno di crisi eterodirette, né il crollo spaventoso del prezzo della risorsa principale, né le manifestazioni delle classi medie e alte. Né le accuse di incostituzionalità. Né quelle di dispotismo e tirannia. Perché quanto sta succedendo è organizzato dalle stesse forze, con lo stesso obiettivo di 44 anni fa. E’ perpetrato contro le stesse forze. Sono soltanto stati aggiornati i metodi, perché come disse Fidel quel giorno, allo stadio nazionale del Cile, la destra impara prima del popolo umile. Però anche il popolo umile impara. E poiché adesso è difficile che compaia un Pinochet in Venezuela, allora la destra chiede l’intervento internazionale. Anche in Cile si preparava una guerra civile. Di questo si parlava nel 1973. Per me, sostanzialmente non vi è nulla di diverso. Non è nemmeno diverso chi non vuole che si sviluppi la Rivoluzione Venezuelana. Né è diversa la destra che vi si oppone.

Ché le lenti di Salvador Allende non si spezzino di nuovo.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Clara Statello]

Chile y Venezuela

por Leandro Grille
Caras y Caretas (Uruguay)

 

Nicolás Maduro no es Salvador Allende. Ni es Hugo Chávez. Venezuela, además, no es Chile. Hasta ahí las afirmaciones son de una trivialidad tal que podrían obviarse. Sin embargo, el paralelismo entre la revolución bolivariana y el gobierno de la Unidad Popular, encabezado por el inolvidable presidente mártir, es enorme. Y negarlo, desconocerlo o soslayarlo es condición necesaria para desentenderse y adversar un proceso político contemporáneo sin la necesidad de replantearse viejos amores todavía vigentes.

Me propongo exponer brevemente, dentro de las limitaciones de mi formación, algunas claves de este paralelismo más allá de que no existen procesos históricos y político homologables en un sentido profundo, mucho menos cuando operan sobre sociedades y tiempos distintos.

Históricamente Venezuela ha tenido una economía basada en la extracción y comercialización de sus enormes reservas petroleras. Chile, por su parte, fundó su economía durante décadas en la explotación del salitre, hasta su declive tras el desarrollo del salitre sintético, y tras ello vivió literalmente de la extracción y exportación de cobre que, al momento de ascender Salvador Allende a la presidencia, significaba el 75% de las exportaciones chilenas y más del 30% de los ingresos tributarios. Ambas eran economías extractivistas, fuertemente dependiente del precio internacional de un recurso natural preponderante.

Una primera gran similitud entre el gobierno de la UP y el proyecto político inicialmente liderado por Hugo Chávez fue la voluntad manifiesta de construir un camino al socialismo por vía democrática en un país del tercer mundo, recurriendo a las urnas y no a las armas. Este propósito común de resolver de modo pacífico la contradicción capital trabajo a favor de los explotados mediante la construcción de un Estado socialista por vía electoral, todavía no ha probado su viabilidad en ningún territorio del mundo. No hay precedentes.

No es extraordinario, entonces, que los dos procesos políticos hayan concentrado su vocación socializante en la redistribución de la renta producida por su principal rubro económico, ni puede sorprender que el derrumbe -forzado- del precio internacional del cobre entre el año 1971 y el año 1973, para Chile, y el desmoronamiento del precio del barril de petróleo a partir del año 2014, para Venezuela, hayan tenido las consecuencias económicas devastadoras que tuvieron en ambos países.

La crisis económica de la Chile de Salvador Allende fue tan grave y tan atizada por los Estados Unidos como la crisis venezolana. Desde que Allende obtuvo la presidencia de Chile, Estados Unidos, gobernado en ese entonces por Richard Nixon y con el genocida de Henry Kissinger al frente del Departamento de Estado, tomó la decisión de derrocarlo y para ello orquestó un plan, conocido como FUBELT, para destruir la economía chilena, radiarla del mundo, y producir un golpe de Estado que derrocara el gobierno marxista al que consideraban una grave amenaza a sus intereses.

Las pruebas de su accionar se conocieron 25 años después, cuando se desclasificaron los documentos, pero era evidente para cualquier observador que no fuera políticamente ingenuo o cómplice. Si el primer año de Allende significó una mejora sustantiva en la capacidad de consumo de la población, crecimiento económico, expansión de derechos, impulso de políticas públicas de avanzada, los años posteriores -condicionados por una guerra económica interna y externa conducida por Estados Unidos y ejecutada por los sectores más poderosos de Chile y sus medios afines, más la abrupta -y operada- caída del precio internacional del cobre tras la nacionalización de 1971, marcaron un derrumbe de la economía, dos años seguidos de caída del producto bruto, deterioro del salario real e inflación galopante, que llegó a ser los últimos dos años del gobierno de Allende la más alta del mundo, superando el 600%.

La política de control de precios que aplicó el gobierno de Chile para contener la inflación es perfectamente comparable a ley de precios justos venezolana, y el poder económico respondió de la misma manera: con desabastecimiento y acaparamiento. Los chilenos debían hacer colas de varias cuadras para obtener productos básicos a precio regulado, o pagar montos infernales en el mercado negro que esquivaba el control del Estado. En Venezuela sucedió lo mismo. Y al desabastecimiento inducido, la respuesta del Estado venezolano fue la misma que la respuesta del gobierno de la UP: Allende creo las JAP (Juntas de Abastecimiento y Control de Precios) y Nicolás Maduro creó los CLAP (Comité Locales de Abastecimiento y Producción) que tal vez han funcionado mejor que las JAP, entre otras cosas porque, evidentemente, las autoridades venezolanas analizaron aquella experiencia y han hecho lo posible para que, a diferencias de las JAP chilenas, los CLAP venezolanos no sean saboteados y perseguidos.

El descontento social venezolano de los últimos años y el chileno de la época de Allende trabajado por la guerra económica y sus duras consecuencias sobre la vida cotidiana de los chilenos, también fue comparable. Y en las elecciones parlamentarias de 1973, la Confederación para la Democracia (CODE, versión chilena de la actual Mesa de Unidad Democrática que agrupa a la derecha venezolana) obtuvo el 56% de los votos, contra el 43% que obtuvo la Unidad Popular de Salvador Allende, quedándose con la mayoría de las bancas, con guarismos que son singularmente parecidos a la elección de la Asamblea Nacional que perdió el chavismo en medio de una crisis idéntica, porque en 2015 la MUD venezolana obtuvo el 56% de los votos contra el 41% del Partido Socialista Unido de Venezuela.

¿Qué hizo Allende con un parlamento opositor? La oposición chilena agrupada en la CODE quería los dos tercios para poder acusar y, eventualmente, destituir a Allende como hicieron hace poco con Dilma, y como quisieron hacer con Maduro. No llegaron de casualidad. Pero controlaron el parlamento, y la oposición chilena intentó usar su mayoría parlamentaria amplia para promover una reforma constitucional con un proyecto conocido como Hamilton – Fuentealba que intentaba parar las políticas estatizadoras y socialistas de Allende. Allende vetó el proyecto y, por ello, fue acusado de avasallar la legalidad y pasar por arriba del poder legislativo. Fue acusado en parecidos términos que Nicolás Maduro y el odio político de las clases medias y altas se expresó en la calle, con movilizaciones cada vez más duras, y también masivas, donde también participaron estudiantes universitarios -no fueron solo los camioneros- e ingentes sectores sociales, entre los cuales sectores medios y profesionales, como médicos y abogados y dentistas y comerciantes. A Allende le calentaron la calle y no hubo 60 muertos, hubo más de 100, y lo acusaron de asesino, de tirano, de todo. Mientras tanto, los sectores aliados a la burguesía promovían el golpe, se concentraban en la puerta de los cuarteles, y participaban en conspiraciones. Si en estos días la fiscalía general de Venezuela se ha plegado a la oposición, también se plegó la contraloría general de la República en Chile cuando acusaron a Allende de desconocer la Constitución por vetar el proyecto de los opositores de derecha, que se proponía impedir la expropiación de tierras y la intervención en el comercio y en el rubro de los transportistas.

¿Por qué muchos creen que Salvador Allende era un hombre democrático y pacífico y su gobierno un ejemplo inolvidable, y se permiten a la vez aborrecer el proyecto de los bolivarianos? ¿No es acaso una inconsistencia? Por ahora, la gran diferencia es el desenlace. Salvador Allende fue víctima de un golpe de estado militar al que resistió con su vida y el gobierno venezolano no ha sido derrocado todavía, ni siquiera por un golpe de Estado, aunque lo intentaron. Venezuela se defiende como puede. Hugo Chávez lo dijo: a diferencia de la chilena, la nuestra no es una revolución desarmada. Fidel se lo anticipó a Salvador Allende en su discurso de despedida en el Estado Nacional, al final de un recorrido de tres semanas por territorio de Chile, en diciembre de 1971. Luego de ver la experiencia -única en la historia de construcción del socialismo por vía pacífica-, le advirtió al pueblo de Chile que la violencia era inexorable, porque la derecha la iba a imponer: “¡Regresaré a Cuba más revolucionario de lo que vine! ¡Regresaré a Cuba más radical de lo que vine! ¡Regresaré a Cuba más extremista de lo que vine!”

Lo que está sucediendo en Venezuela no es extraño a la historia de América Latina. Ni la actitud de la OEA lo es. Ni la violencia lo es. Ni la crisis. Ni los muertos. Ni la guerra económica. Ni las mentiras de los medios. Ni la intervención de la mano negra de los Estados Unidos. Ni el desabastecimiento concertado. Ni el acaparamiento criminal. Ni las colas gigantes, ni la inflación astronómica, ni el mercado negro, ni el control de precio, ni los CLAP, ni las derrotas electorales en medio de crisis operadas, ni la caída majestuosa del precio del recurso económico más importante, ni las manifestaciones de las clases altas y medias. Ni las acusaciones de inconstitucionalidad. Ni las acusaciones de despotismo y tiranía. Porque lo que está sucediendo viene organizado desde el mismo lado y con el mismo objetivo que hace cuarenta y cuatro años. Es contra los mismos. Solamente han aggiornado sus métodos, porque como también dijo Fidel aquel día en el Estadio Nacional de Chile, la derecha aprende antes que el pueblo humilde. Pero el pueblo humilde también aprende. Y como ahora es más difícil que aparezca un Pinochet en Venezuela, entonces piden la intervención internacional. También en Chile se anticipaba una guerra civil. De eso se hablaba en el 73. Para mí, nada es sustancialmente distinto. Tampoco son distintos los que no van a soltar la mano de la Revolución Venezolana. Ni es distinta la derecha que se lo opone. Qué no estallen de nuevo los cristales de los lentes de Salvador Allende.

Venezuela: un altro chavista ucciso, fratello da piangere. Fino a quando?

 da Rete Solidarietà Rivoluzione Boliarianaresumenlatinoamericano.org

José Muñoz Alcoholado era a cena a Caracas. Non un semplice ritrovo tra amici, ma tra compagni, che erano convenuti in quel ristorante per una manifestazione a sostegno del processo bolivariano e del governo venezuelano.

Dopo un paio d’ore pare che due commensali, seduti ad un tavolo vicino, si siano alzati e abbiano aperto il fuoco contro José. Gli hanno sparato diretto in faccia. Così l’hanno ammazzato. Le indagini sono ancora aperte, ma non è peregrino immaginare la parte da cui provengono gli assassini. Cileno, figlio di un carabiniere membro del GAP (Grupo de Amigos del Presidente), che fu accanto ad Allende fino agli ultimi istanti della sua vita, prima che fosse troncata dal golpe fascista di #Pinochet, il Chico Alejo, nome con cui era conosciuto dai compagni, ha dedicato la sua vita alla lotta, alla rivoluzione. Tra il suo paese, dove alla fine degli anni ’80 era stato tra i fondatori del MIR-EGP, una delle costole in cui si divise il MIR, e l’estero, dove a più riprese è stato costretto ad emigrare: Germania, Cuba, Nicaragua, Colombia e, ovviamente, Venezuela.

Anche i morti non sono uguali. Provate a scrivere il suo nome su un motore di ricerca e verificate quanti articoli hanno scritto “La Repubblica”, “La Stampa”, “Il Fatto”, “Il Sole 24 Ore” e tutti gli altri mezzi di informazione mainstream che pure paiono in queste settimane così attenti a cianciare di Venezuela.

Non troverete nulla perché non si dà pubblicità all’omicidio di un partigiano della “brutale dittatura chavista”.  Per costoro un comunista deve morire due volte, anche nell’oblio dei mezzi di comunicazione.

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