Acerbo: in Italia governa delusione e spoliticizzazione del popolo

10380308_803092386389890_772741365744850058_ndi Ida Garberi*

“Mi sono convinto che anche quando tutto è, o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio” (Antonio Gramsci- lettera del 12 settembre 1927). 

Agli inizi del mese di ottobre, è venuta a Cuba una delegazione del Partito della Sinistra Europea, su invito del Partito Comunista Cubano (PCC). Nel gruppo della sinistra radicale erano presenti Maite Mola, vicepresidenta del Partito della Sinistra Europea (Partido de la Izquierda Europea, Spagna), Renato Soeiro (Bloco de Ezquierda, Portogallo),Yiannis Bournous (responsabile esteri Syriza, Grecia) Obey Ament (Partito Comunista Francese), e Maurizio Acerbo (della segreteria nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, Italia). Per me è stato un vero piacere conoscere il compagno Maurizio e poter scambiare due chiacchiere sul nostro triste paese d’origine, nella bellissima Piazza San Francisco, ne L’Avana Vecchia.

Il mio grande dubbio, che manifesto a Maurizio, la mia grande preoccupazione sulla nostra penisola, è che gli italiani di sinistra sembrano avere perso la bussola e la coscienza politica e continuano a considerare il Partito Democratico (PD) un partito a sinistra. “C’è stato un lungo processo di mutazione genetica della maggioranza dell’ex Partito Comunista, dove gli stessi ex comunisti sono diventati la minoranza ed a dirigere il partito adesso c’è Matteo Renzi, che non è mai stato neanche di sinistra, né comunista, era democristiano! Il fatto più impressionante è che il partito di Renzi è riuscito a portare avanti le politiche neoliberali di destra con un’efficacia che il centro-destra non aveva mai ottenuto”. “Questo succede perché l’unificazione dei gruppi capitalistici nazionali ed europei permette un’egemonia nel campo mediatico in appoggio a Renzi, crea difficoltà nei sindacati e nelle organizzazioni sociali nel fare un’opposizione efficace quando al governo risulta esserci ‘la sinistra’, crea confusione e provoca una delusione profonda nel popolo, ormai spoliticizzato e deluso”.

“Purtroppo il grande assenteismo elettorale è da attribuirsi agli elettori di sinistra. E questo non è un problema per i gruppi capitalisti, perché le leggi elettorali che si stanno approvando con il governo Renzi ricordano quelle in vigore durante il fascismo di Mussolini, cioè consentono con una minoranza di voti di avere la maggioranza nel Parlamento, se arrivi primo alle elezioni tra tutti i partiti. Il nostro compito è ragionare sul fatto che, nonostante l’impoverimento della società, i tagli drastici sull’educazione e sulla sanità, un tasso altissimo di disoccupazione non aumenta l’adesione a sinistra”. “Infatti, esistono due problemi fondamentali: uno è lo spaesamento creato dal fatto che al governo ci dovrebbe essere una supposta ‘sinistra’ e l’altro è che esiste un’egemonia tra centro-destra e centro-sinistra nell’ideologia neoliberista tra le masse popolari”.

“Per ribellarti deve avere la coscienza che una cosa è ingiusta, non ci si può ribellare contro la pioggia: se ti convincono che certe riforme sono corrette, tecniche, quasi naturali non poi sentirti tradito. Poi, oltretutto, grazie ad un pesante lavoro mediatico, lo scontento popolare, sia in Italia che in altri paesi europei, non è più diretto contro il potere dei ricchi o il capitale, ma viene spostato verso gli immigranti stranieri. Si crea così un meccanismo di guerra tra poveri, il malcontento generale non è più opera del governo o delle manovre assassine del debito europeo che continuiamo a pagare più e più volte, ma dall’arrivo di troppi immigranti”.

“Però non sarebbe onesto non citare che la colpa di questa situazione è dovuta anche alla frammentazione della sinistra, non esiste una forza consistente per poter creare un’alternativa a sinistra del PD. Come Rifondazione Comunista (RC), stiamo cercando di portare avanti al massimo un’attitudine unitaria, dialogando sia con le formazioni politiche più radicali (che purtroppo a volte sono così settarie che non consentono l’unità, occupate in una gara per vedere chi è il più rivoluzionario) sia con i compagni che si sono staccati da noi cercando un’alleanza con il PD ed il centro-sinistra, perché ritornino con noi, in un soggetto unitario e plurale, dove possa esserci tutta la sinistra anti-liberista”. “Da qui, potremmo costruire un punto di riferimento per il popolo italiano che abbia una credibilità per presentare un’alternativa reale alle politiche capitaliste. Nel 1991, come Rifondazione Comunista, ci siamo battuti per il NON scioglimento del Partito Comunista Italiano ed i fatti oggi ci stanno dando ragione”. “Dal cambiamento del nome, siamo arrivati oggi fino al PD, come diceva la buona anima di Ingrao, che non può nemmeno essere considerato una formazione di sinistra social democratica”.

“E’ un partito neoliberista, che ha lo stesso programma dei conservatori britannici, ha portato l’Italia ad una situazione simile a quella degli USA: sulle principali questioni di politica economica ed internazionale non c’è differenza tra repubblicani e democratici. Un esempio può essere l’aggressione contro Gheddafi: mentre Berlusconi era titubante sul fatto di appoggiare la NATO per assalire la Libia, il PD criticava il centro-destra per la sua timidezza. Questo perché i partiti capitalisti del sud del mondo non sono assolutamente attratti dalle politiche di interesse nazionale, vogliono solo legittimarsi presso l’Impero, sono ansiosi di dimostrare che sanno fare bene i compiti che assegnano loro i padroni del Nord”.

Cambiando tema, chiedo a Maurizio, che è per la prima volta a Cuba, cosa ne pensa di questa isola caraibica, come è stato l’incontro con i compagni cubani. “Per me è stata un’esperienza assolutamente soddisfacente e non lo dico per rapporti diplomatici. Cuba, per molti italiani, è un pezzo di cuore, abbiamo con lei un legame fortissimo e noi di RC non abbiamo mai assimilato Cuba alle esperienze di socialismo importato dall’esterno di vari paesi dell’Est europeo. Stimiamo molto il PCC per l’onestà dei suoi dirigenti e per l’originalità della sua Rivoluzione, dovuto al suo radicamento popolare, nell’esperienza concreta del popolo cubano”.

“In questa settimana di incontri i miei pensieri positivi su Cuba si sono confermati: infatti ho potuto ascoltare sia funzionari, che dirigenti sia del partito che delle organizzazioni sociali che ho considerato molto sinceri nell’esporre i problemi e le difficoltà e molto determinati nella lotta per salvaguardare l’esperienza della Rivoluzione cubana, farla progredire, sviluppare ed attualizzare, per non darla vinta all’Impero e prepararla quando succederà l’inevitabile sostituzione della dirigenza storica della Rivoluzione”.

“Mi è molto interessata la preparazione politica dei funzionari del PCC, che hanno una visione molto chiara dei loro compiti a Cuba ed anche nello scenario internazionale. Noi abbiamo potuto spiegare le nostre orientazioni come Partito della Sinistra Europea, ricordare che il nostro progetto è figlio di quello che Cuba ha fatto nel continente latinoamericano, costruendo un fronte ampio, combattendo su base nazionale ed anche unendo, con una prospettiva continentale tutta la sinistra dell’America Latina”. “Mi ricordo una visita in America Centrale nel 1990, in Salvador c’era ancora la guerra civile ed in Guatemala una repressione orribile: come potevamo immaginare che nel 2015 un guerrigliero potesse essere presidente della repubblica in Salvador e che in Guatemala il popolo potesse esigere il carcere per un presidente corrotto?”.

“Chi avrebbe potuto pensare, negli anni ’90, ad un’unione così grande in America Latina di tanti governi progressisti?”.

“Ci siamo impegnati con i compagni cubani a ritornare in Europa ed a batterci per la caduta del bloqueo genocida che gli Stati Uniti esercitano contro Cuba, smentire la propaganda dei mass media capitalisti europei che vuole far credere che il nuovo allacciamento dei rapporti diplomatici, annunciato il 17 dicembre 2014, abbia fatto cadere tutte le proibizioni assurde contro l’isola. Sappiamo invece che tutti i divieti continuano in piedi e ringraziamo i compagni del PCC che ci hanno fornito alcune informazioni fondamentali per implementare il lavoro politico in sostegno di Cuba e di tutti gli altri paesi latinoamericani, che attualmente sono investiti dalla forza capitalista con una campagna violenta mediatica di menzogne dell’estrema destra, finanziata dagli Stati Uniti”.

Devo ammettere che mi fa piacere ascoltare Maurizio, le sue parole accendono una fiammella di speranza dentro di me per questa povera Italia mia.

Anche l’ultima votazione all’ONU contro il bloqueo è motivo di allegria e conferma che di fronte al mondo quelli che sono rimasti soli sono i due paesi più genocidi del mondo: gli Stati Uniti ed Israele.

E pensando a quello che mi commentava Maurizio sull’unità della sinistra, sul settarismo politico, concludo con le parole di Antonio Guiteras, cubano, e secondo il Che Guevara, “il più grande lottatore antimperialista”: “Solo la forza dell’unione di tutti gli uomini —anche se possiedono differenti tendenze politiche—avvolti nella lotta, per ottenere un regime di libertà e giustizia, potrebbe conseguire il trionfo di una vera Rivoluzione.”

  • corrispondente a Cuba del sito web Cubainformacion.tv

Si scarta al momento la tesi di un attentato contro il volo #7K9268

3110150949df9bfmeddi Percy Francisco Alvarado Godoy

Tratto da Descubriendo Verdades

Sebbene il gruppo terrorista Wilayat Sina, filiale egiziana dello Stato Islamico (ISIS), ha inviato un comunicato nel quale si dichiara responsabile del sinistro del volo 7K9268 della compagnia russa Kokavia o MetroJet, che copriva la rotta Sharm el-Sheik – San Pietroburgo, le autorità russe hanno smentito fino a questo momento la veridicità di tali informazioni.

L’aereo, un Airbus A321 – in volo da circa 18 anni – è precipitato al sud della località di El Arish, nel nord della penisola del Sinai (Egitto), provocando, così, la morte delle 224 persone che trasportava; tra questi vi erano 200 adulti, 17 bimbi e 7 funzionari addetti al volo.

Non pochi sono i dubbi sulla attendibilità del comunicato diffuso nelle reti sociali da parte del Willayat Sina. Infatti, nello stesso si afferma che “i soldati del califfato sono riusciti a abbattere un aereo russo che sorvolava lo Stato del Sinai con oltre 220 di obiettivi russi a bordo” (…) “Adesso i Russi e i loro alleati lo sanno, che non c’è sicurezza per coloro che violano lo spazio aereo della terra dei musulmani”.

Ciò nonostante, gli esperti militari considerano che i terroristi del Wilayat Sina, che operano nel nord del Sinai, non dispongono di missili capaci di raggiungere un aereo in volo a oltre 9.000 metri di altezza s.l.m. Ciò detto, tale analisi non esclude la possibile alternativa che, potrebbe essere stata collocata una bomba nell’aereo o – semmai – che ha perso il controllo ed è precipitato a causa di un problema tecnico.

D’altro canto, il ministro russo per i Trasporti, Maxim Sokolov, ha commentato quanto segue:

“Siamo in stretto contatto con i nostri colleghi egiziani e le autorità aeree di quel paese. In questo momento, non dispongo di nessun tipo di informazione che possa confermare siffatte insinuazioni”. Inoltre, è stato categorico nell’affermare che: “Questa affermazione non può essere data per certa”.

In un profilo Twitter è apparso un Tweet che riprende tale comunicato.

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Suddetto comunicato è stato pubblicato anche nel sito Aamaq, una specie di “agenzia” di informazione dello Stato Islamico.

Fino a questo momento le indagini si muovono su un problema tecnico come causa del sinistro, tesi rafforzata in seguito al fatto che il sistema di regolazione nazionale dei Trasporti russo, il Rostransnador, ha dato inizio – su mandato del presidente Vladimir Putin – a un inchiesta sulla sede della Kogalymavia nell’aereoporto di Domodedovo, cosi come degli uffici dei Brisco, ubicati a San Pietroburgo. Le autorità russe stanno trattando come precedente il fatto che quell’impresa russa, lo scorso marzo del 2014, aveva riscontrato talune deficienze in certuni aerei della compagnia. Nel contempo, le indagini hanno rilevato alcuni campioni del combustibile presente all’interno dell’aereo nella località russa di Samara.

Questa ipotesi si rafforza dopo che è stato reso pubblico che gli assistenti di volo, prima di partire, avevano espresso le loro inquietudini sulle condizioni dell’aereo. Inoltre, anche il pilota del volo ha dichiarato qualche minuto prima del sinistro di aver riscontrato dei problemi tecnici nell’aereo, sollecitando un’atterraggio di sicurezza in un aeroporto. Questo – a quanto pare – è avvenuto pochi minuti prima di perdere del tutto i contatti tra il pilota dell’aereo e la torre di controllo egiziana; quindi, prima che l’aereo precipitasse.


5634ee86c461883a298b45fdAnche Vladimir Markin, portavoce del Comitato per le indagini preliminari, ha dichiarato che si è dato inizio a un’indagine sulla base dell’articolo 246 del C.P. della Federazione Russa, là dove si evince la volontà di perseguire legalmente le “Violazioni nelle norme di sicurezza del trasporto via terra, mare e aria”. Parimenti, si è reso noto che il ministro russo per le Emergenze, Vladimir Puchkov, è stato incaricato delle operazioni di ricerca e riscatto in Egitto.

Fonte: Rusia Today, Sputnik e agenzie varie.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessandro Pagani]

¡Todos Somos Carlos Aznárez!

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Comunicado de prensa

Nos hemos enterado, con profundo disgusto que está en curso una investigación en contra del compañero argentino Carlos Aznárez, director de Resumen Latinoamericano, revista de análisis y de noticias ampliadas desde el sur del mundo que resiste contra la barbarie del capitalismo y del imperialismo yankee.

La redacción de ALBAinformazione y del Diario Revolucionarios al Poder expresan la propia solidaridad a las trabajadoras y trabajadores de Resumen Latinoamericano, que han demostrado en estos años cuanto importante es la batalla de las ideas contra la guerra mediática, sicológica y cultural llevada a cabo por los Estados Unidos, a través de los principales medios de comunicación internacionales.

La carta que Carlos Aznáres ha recibido de Google, en la cual, el grande gigante de internet estadounidense, informa al director de Resumen Latinoamericano a deber entregar los datos privados de su perfil google al tribunal penal argentino, a causa de una denuncia de la DAIA porque es “culpable” de ser solidario con la legítima lucha del pueblo palestino contra la entidad israelita sionista, ciertamente se incluyen en aquella restructuración de los derechos individuales de cada ciudadano y que significan:

La cancelación de las leyes y la creación de nuevas reglas hechas ad hoc para tutelar los intereses imperialistas USA y de su “brazo armado”, el sionismo;

La complicidad de los gobiernos europeos en permitir de cancelar con un borrón y cuenta nueva la más elementares reglas del derecho a la libertad de pensamiento y la privacidad;

El rechazo del poder judiciario argentino a reconocer el derecho absoluto de un pueblo a rebelarse con todos los medios necesarios, donde exista un abuso o un atropello en contra de ellos (segun cuanto se evidencia en la misma Carta de los Derechos de la ONU).

El mundo está frente a cambios epocales: nunca antes en la historia de la humanidad se han dado tantos cambios políticos de tan grande relevancia como en estos últimos veinte años, donde vemos que desde la caída de la URSS en los años noventa del siglo pasado hemos pasado de un sistema de las relaciones internacionales de carácter bipolar (USA-URSS), a uno unipolar (USA), a aquello que varios analistas definen como sistema de nuevos paradigmas hacia un mundo multipolar. El elemento relevante de estos nuevos paradigmas es sin duda la cuestión que los USA, han perdido, o van siempre perdiendo, su supremacía política, económica y también militar frente a nuevos actores que se abren paso en el complejo sistema de las relaciones internacionales, sepultando siempre más la geopolítica imperialista USA en todo el tricontinente.

Dentro de este escenario internacional, hay que subrayar el rol estratégico que toma Nuestra América, la Patria Grande de Bolívar y Martí y de todos los Libertadores de la América Latina. Una América Latina que a través de acuerdos y alianzas como el ALBA-TCP, UNASUR, CELAC, MERCOSUR y el G77+China, por ejemplo, marchan “en cuadro apretado” hacia la segunda y definitiva independencia.

Dentro de este proceso bolivariano cabe mencionar que la América Latina no está sola y por medio de las nuevas triangulaciones (América Latina, Rusia y China) esta mostrando a los trabajadores de todo el mundo (también aquí en Europa) que después del neoliberalismo hay vida todavía y se llama: Socialismo. La historia no ha terminado, es por ésto que la honestidad intelectual de periodistas como Carlos Aznárez ha sido criminalizada y por último – silenciada.

Aquello a lo que estamos asistiendo es un ataque gravísimo al derecho de los pueblos a la Resistencia. Se trata de un alarma que debe acudir a todos, trabajadores y estudiantes, reactivando en ellos el sentido de pertenencia a una clase, que esta siempre más, bajo ataque, a nivel internacional y que ha sido dejada sola por parte de los partidos de una asì mal llamada “izquierda”, actualmente descarrilada, y a la deriva de conceptos “Post (post-estructuralismo, post-marxismo, post-modernismo) e filo-imperialistas.

Se necesita tomar ejemplo de todos estos acontecimientos: a la amenaza imperialista y fascista de aplicar un nuevo órden mundial a estrellas y barras, los pueblos trabajadores de todo el tricontinente han respondido escogiendo la línea de la lucha revolucionaria contra el imperialismo, donde Rusia con su potetencial tecnológico – militar, el ALBA-TCP con su política económica y social alternativa al sistema capitalista, Cuba y Venezuela bastiones de la dignidad bolivariana y martiana en toda la Patria Grande, estan rediseñando los sueños y las esperanzas de muchos de jóvenes y trabajadores que desde cada rincón y camino revolucionario de nuestro infinito universo, se alzan en lucha abrazando la batalla de las ideas para la reconstrucción de una teoría revolucionaria sobre la base del pensamiento de Marx y Lenin, hoy más actuales que nunca.

En el caso de Carlos Aznárez, estan actuando fuerzas oscuras alineadas a los intereses de estado norteamericano, aquellas fuerzas que en los años setenta del siglo pasado han puesto en marcha la Operación Cóndor.

A todo esto debemos decir: nunca más otro Plan Cóndor! Frente al ataque fascista e imperialista contra nuestro compañero de lucha Carlos Aznárez, ha llegado la hora de lanzar la unidad revolucionaria de todos los humildes de la tierra, de todas las mujeres y los hombres de espaldas rectas.

Gritemos en la cara a estos mercaderes del imperialismo:

TODOS SOMOS RESUMEN LATINOAMERICANO!   YO SOY CARLOS AZNAREZ!

ALBAinformazione y el Diario “Revolucionarios al Poder”, lanzan un llamado a la subscripción electrónica en solidaridad con Carlos Aznárez que ya está circolando e invita a todos los compañeros y compañeras a lanzar un encuentro de todos los medios de comunicación alternativos a la guerra mediática a estrellas y barras, para hacer una plataforma y la unidad combativa en el plan informativo.

Redacción ALBAinformazione – por la amistad y la solidaridad entre los pueblos
Redacción Diario “Revolucionarios al Poder”

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Appello urgente in difesa del Venezuela Bolivariano

Caracas-chiAmaComunicato contro la mozione presentata dal PD per sostenere la liberazione del golpista Leopoldo López

Questa mattina il quotidiano italiano, Il Corriere della Sera, principale strumento della guerra mediatica e psicologica degli Stati Uniti e della borghesia imperialista italiana contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, ha pubblicato un articolo nel quale afferma che un gruppo di parlamentari del Partito Socialista e del Partito Democratico, hanno presentato una mozione alla Camera dei Deputati della Repubblica Italiana di condanna nei confronti della Repubblica Bolivariana del Venezuela, dovuto al giudizio che ha portato in cella il fascista Leopoldo López, reo confesso di aver partecipato attivamente al colpo di Stato contro il governo Chávez nel 2002 e all’assedio all’Ambasciata della Republica di Cuba in Venezuela.

In siffatta mozione si afferma quanto segue:
«Roma si impegni per liberare Leopoldo López»
Mozione alla Camera «Roma si impegni per liberare Leopoldo López» Viene depositata oggi alla Camera una mozione che impegna il governo italiano «ad adottare con urgenza ogni iniziativa utile» perché vi sia una «soluzione positiva» per Leopoldo Lopez e gli altri prigionieri politici in Venezuela. Il popolare leader dell’opposizione al chavismo, in carcere da un anno e sette mesi, è appena stato condannato a quasi 14 anni per istigazione alla violenza e altri reati in un processo «additato da gran parte del mondo come un atto di persecuzione politica da parte del governo di Nicolás Maduro» recita il testo firmato da:
Deputati socialisti (Marco Di bello, Leilo Di Gioia)
Deputati Pd (Roberto Rampi, Gea Schirò, Walter Verini, Salvatore Piccolo, Luigi Lacquaniti Massimiliano Manfredi, Emiliano Minnucci).

Ebbene, l’attacco e l’ingerenza politica nei confronti della Repubblica Bolivariana del Venezuela non è un episodio isolato: si inserisce nel quadro del piano preparato per determinare una situazione idonea per un intervento militare nel paese andino-amazzonico, che dia uno spunto per un cambio di regime in senso autoritario, fascista e oligarchico. Si tratta di un’operazione in marcia da tempo in modo coperto e strisciante, che rafforza gli elementi che dimostrano l’ingerenza di governi stranieri contro il governo costituzionale di Maduro; come si evince in questo caso, là dove, la camera dei deputati della Repubblica italiana dovesse approvare siffatta mozione.

Un precedente assai grave che provocherebbe, senz’altro, non pochi problemi nei rapporti bilaterali tra Italia e Venezuela.

All’indomani del voto popolare che ha consacrato Nicolás Maduro come Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, si è scatenata la fase golpista dell’oligarchia nazionale venezuelana in collaborazione col Dipartimento di Stato statunitense e la CIA, con il sabotaggio dell’economia nazionale venezuelana, attraverso la guerra mediatica, psicologica e culturale, attraverso le operazioni terroristiche e paramilitari.

Nell’evidente tentativo di riproporre il piano delle cosiddette “rivoluzioni colorate”, si sta tentando di creare una situazione nella quale l’opinione pubblica internazionale avvalli un intervento militare in Venezuela.

Ciò che l’imperialismo e – a quanto pare – i parlamentari firmatari di suddetta mozione non tollerano, è che il popolo venezuelano abbia deciso di costruire un paese basato sulla giustizia e l’eguaglianza sociale. Solo qualche mese fa, la FAO ha riconosciuto e premiato la Repubblica Bolivariana del Venezuela come paese libero dalla fame. Questo è quello che – evidentemente – non tollera il Partito democratico, organizzazione politica completamente asservita agli interessi di stato statunitensi.

L’aggressione di cui è vittima la Repubblica Bolivariana è parte essenziale della guerra di IV generazione in atto da quando il comandante eterno Hugo Chávez ha trionfato alle elezioni del 1999.

La solidarietà internazionalista presente qui in Italia deve denunciarla con tenacia e contribuire a respingerla, facendo fronte alle minacce imperialiste contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, cercando di costruire un forte movimento di solidarietà per questo paese e per tutti i paesi membri dell’ALBA-TCP, che sovranamente hanno deciso di incamminarsi verso la seconda e definitiva indipendenza.

Per queste ragioni, la Rete Caracas ChiAma, l’Associazione Nazionale delle Reti e Organizzazioni Sociali (ANROS – Italia), lanciano l’appello urgente a tutte le compagne e i compagni, a tutte le associazioni, reti, organizzazioni, partiti e movimenti che solidarizzano con la Repubblica Bolivariana del Venezuela a partecipare al Terzo Incontro in Solidarietà con la Repubblica Bolivariana del Venezuela che si terrà a Ravenna i giorni 9-10-11 ottobre.

Compagne e Compagni! Caracas ChiAma, la solidarietà non può restare con le braccia incrociate:

Tutti a Ravenna!

Associazione Nazionale delle Reti e Organizzazioni Sociali (ANROS Italia)
Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana “Caracas ChiAma”

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Leopoldo López condenado a 13 años y 9 meses: por fin se hizo justicia

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“Pon atención a los medios de comunicación, porque si no estás prevenido, ellos te harán amar al opreso y odiar al oprimido”, había escrito Malcolm X, el gran activista negro asesinado el 21 de febrero de 1965 dentro del terrorismo de estado estadounidense contra la comunidad afroamericana en los EEUU. Ahora bien, cuando leemos artículos como el de Massimo Cavallini en el “Fatto Quotidiano” del 11 de septiembre 2015 en relación a la condena de 13 años y 9 meses al fascista y golpista reo confeso Leopoldo López, no podemos hacer sino constatar como la frase mencionada de Malcolm X, justamente corresponde a este género de periodistas asalariados, que buscan hacer “amar al opreso y odiar al oprimido”. De hecho, éste acusa de “proceso farsa” y de “condena falsa” el poder jurídico de un país soberano reconocido por las Naciones Unidas. El habla de un país al borde del abismo, cuando, al contrario, sabemos que Venezuela ha sido premiada por la FAO, por haber erradicado completamente el problema del hambre en Venezuela, sin mencionar todas la misiones y proyectos sociales que han devuelto la esperanza a una población – la venezolana – que en su mayoria, hasta antes del triunfo de Chávez en 1999, se encontraba relegada a los márgenes de la sociedad.

El periodista, además, se permite emitir juicios de valor fuera de lugar y fuera de toda realidad, cuando afirma que “el gobierno bolivariano – hoy guiado por Nicolás Maduro, hijo y apóstol de Hugo Chávez – ha resultado del todo incapaz, no solamente de gobernar un País, arrastrándolo al borde del desastre económico, político y moral, sino también de preparar una, apenas decente, (decente en el sentido de no totalmente grotesca) parodia de justicia”. Ahora tales afirmaciones son falsas. Maduro – como sabemos – se está demostrando un óptimo sucesor de Chávez, si pensamos a la política interna e internacional que está llevando adelante conjuntamente con la colaboración del pueblo venezolano y mediante acuerdos que están re forzando el proyecto bolivariano y martiano de una Patria Grande en “Nuestra América”.

Desde cuando Maduro está en el gobierno, no ha faltado, por cierto, el ampliarse de la guerra de “Cuarta Generación” contra el proceso revolucionario. Esto se evidencia si pensamos a las campañas mediáticas en curso contra el gobierno de Maduro; si pensamos a la guerra económica, a la guerra sicológica y cultural; al paramilitarismo y a las “guarimbas”, que han llevado al país andino-amazónico al límite de una guerra a “baja intensidad”, y que si no se concluye en un golpe de estado o en una guerra civil, es debido a la gran capacidad política y humana del primer presidente obrero de “Nuestra América”, el compañero Nicolás Maduro. Un Nicolás Maduro, que ha sabido recoger y reforzar la bandera de la unidad civico-militar heredada del Comandante Eterno Hugo Chávez.

Las acusaciones de “proceso farsa” y de “condena falsa” denotan el ridículo, si no fuera que tales consideraciones van inmersas dentro de una campaña de odio orquestada por las agencias del imperio con sede en Washigton. No es un caso, de hecho, que el artículo de Cavallini es una verdadera y propia “copia y calco” de otros artículos “basura” de la prensa alineada a los intereses de estado estadounidenses (BBC, el País, El Mundo, etc) y que buscan “hacer amar al opresor”: el imperialismo yanqui y sus acólitos, y “odiar al oprimido”: los pueblos y gobiernos que hoy están demostrando a la opinión pública internacional que salir de la crisis del capital es posible sólo con la construcción del socialismo del siglo XXI; a través de la realización de aquello que los pueblos y los gobiernos miembros del ALBA-TCP definen – con razón – como “Nuestros Socialismos”.

Pero quién es Leopoldo López? Este fascista y golpista, reo confeso, que el mecionado periodista italiano lo dibuja como un “paladín de libertad”, un “oprimido”, un “combatiente por la libertad”?

López, de ciudadanía venezolana, es el jefe de la organización de extrema derecha “Voluntad Popular”, grupo que no ha escondido nunca las propias simpatías por otros grupos de extrema derecha que en el pasado, no tan remoto, durante los años de las dictaduras militares fascistas y de la Operación Cóndor en América Latina, se han manchado de los peores crímenes contra la humanidad; desde cuando se ha terminado la segunda guerra mundial. Para hacer una comparación con Italia podriamos decir que “Voluntad Popular” representa la misma fuerza política que entonces ha representado el Movimiento Social Italiano (MSI) en Italia.

Las actividades de Leopoldo López han iniciado en los años noventa del siglo pasado cuando éste emprende un curso de estudios en el Kennedy School of Government de la Universidad de Harvard, un Centro de altos estudios estratégicos y militares fianciados por la Agencia Central de Intelligence estadounidense (CIA). Fue en aquel entonces que Lopez conoce al general David Petraeus, que sucesivamente se ha descubierto ser un agente de la CIA.

En el 2002, luego del entrenamiento recibido de aquel tropel de espías y asesinos que son la CIA, lo vemos dirigir las protestas que provocaron decenas de muertos inocentes, propiciando el golpe de estado contra el gobierno revolucionario y bolivariano de Hugo Chávez. Siempre en aquellos días, se hace conocer tambien por el asedio contra la Embajada de la República de Cuba ubicada en Caracas.

No obstante una amistía recibida en el 2007, López se quedará en el centro de la atención, por el grande y considerable robo de los fondos de PDVSA, a través de “Primero Justicia”, el partido del que él ha sido dirigente principal.

Leopoldo López no ha escondido nunca su interés por convertirse en presidente de la República, algo que no es un crímen en Venezuela, a no ser que, para obtener tal objetivo y frente a la incapacidad de hacer brecha en la mayoría de la población venezolana, decidiera construír un “pacto criminal” con la extrema derecha narco-paramilitar colombiana y en el caso con Alvaro Uribe, acusado, no pocas veces, por sus estrechos lazos con las Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) que, al contrario de haber sido desmanteladas durante su gobierno, han encontrado un resguardo jurídico detrás de su “mano dura” contra el pueblo colombiano y su “gran corazón” hacia los paramilitares.

En una entrevista Alvaro Uribe declaró: “Me he reunido con Leopoldo López, un dirigente político, joven y ambicioso, con grandes capacidades como dirigente político. Con el hemos delineado la lucha conta el narcotráfico”. Esta entrevista fue hecha cuando Uribe era presidente de Colombia.

Ahora bien, se necesitaría preguntar a Cavallini, que escribe para el “Fatto Quotidiano”, un periódico que hace de la “lucha conta la corrupción” su caballo de batalla: por qué un presidente de la República de una nación como Colombia se reunía con el jefe de la oposición – de una oposición además golpista y involucrada en el narcotráfico – y no con el gobierno elegido democráticamente y constitucionalmente presente en Venezuela, para hablar de lucha contra el narcotráfico? Qué cosa diría cualquier gobierno italiano, si el presidente de un país amigo se encontrase con los jefes de la mafia para hablar de lucha contra el narcotráfico, por ejemplo?

Resulta evidente que leyendo el artículo de Cavallini, quien está moviendo un “juicio farsa” no es el poder jurídico venezolano, sino, el periodismo italiano, que en lugar de investigar sin prejuicios ideológicos la compleja situación actualmente en curso en Venezuela, ha preferido dar cabida a las mentiras de una cierta prensa internacional alineada a la guerra no convencional en cruso contra Venezuela y contra de todos los países miembros del ALBA –TCP, que evidentemente molestan a los intereses económicos de los Estados Unidos en el hemisferio occidental, donde la América Latina ha sido considerada siempre como el propio “patrio trasero”.

Otro golpe contra la credibilidad del periodismo italiano.

Leopoldo López condannato a 13 anni e 9 mesi: giustizia è fatta

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di Alessandro Pagani

“Fai attenzione ai mezzi di comunicazione, perché se non sarai prevenuto, costoro ti faranno amare l’oppressore e odiare l’oppresso”, ebbe a scrivere Malcom X, il grande attivista nero assassinato il 21 febbraio 1965 all’interno del terrorismo di Stato statunitense contro la comunità afroamericana negli USA. Orbene, quando leggiamo articoli come quello di Massimo Cavallini sul “Fatto Quotidiano” dell11 settembre 2015 in merito alla condanna di 13 anni e 9 mesi al fascista e golpista reo confesso Leopoldo Lopez, non possiamo fare a meno di constatare come la suddetta frase di Malcom X si addica proprio a questo genere di giornalisti salariati, che cercano di far “amare l’oppressore e odiare l’oppresso”. Costui infatti accusa di “processo farsa” e di “condanna farsa” il potere giudiziario di un paese sovrano riconosciuto dalle Nazioni Unite. Egli, parla di un paese all’orlo del baratro, quando, invece, sappiamo che il Venezuela è stato premiato dalla FAO per aver debellato completamente il problema della fame in Venezuela; senza poi menzionare tutte le missioni e progetti sociali che hanno ridato speranza ad una popolazione – quella venezuelana – che nella sua maggioranza, fino a prima del trionfo rivoluzionario di Chávez nel 1999, si trovava relegata ai margini della società.

Il giornalista, inoltre, si lascia andare a giudizi di valore fuori luogo e fuori da ogni realtà quando afferma che: “il governo bolivariano – oggi guidato da Nicolás Maduro, figlio ed apostolo di Hugo Chávez- s’è rivelato del tutto incapace, non solo di governare un Paese trascinato sull’orlo dello sfascio economico, politico e morale, ma anche di allestire un’appena decente (decente nel senso di non totalmente grottesca) parodia di giustizia”. Ora, tali affermazioni sono false. Maduro – come sappiamo – si sta dimostrando un ottimo successore di Chávez, se pensiamo alla politica interna e internazionale che sta portando avanti assieme alla collaborazione del popolo venezuelano e mediante accordi che stanno rafforzando il progetto bolivariano e martiano di una Patria Grande in “Nuestra América”.

Da quando Maduro è al governo, non è di certo mancato l’ampliarsi della guerra di “Quarta Generazione” contro il processo rivoluzionario. Questo lo si evince se pensiamo alle campagne mediatiche in corso contro il governo di Maduro; se pensiamo alla guerra economica, alla guerra psicologica e culturale; al paramilitarismo e alle “guarimbas”, che hanno portato il paese andino-amazzonico al limite di una guerra a “bassa intensità”, e che se non si è conclusa in un colpo di stato o in una guerra civile, è dovuto alla grande capacità politica e umana del primo presidente operaio di “Nuestra América”, il Compagno Nicolás Maduro. Un Nicolás Maduro, che ha saputo raccogliere e rafforzare la bandiera dell’unità civico-militare ereditata dal Comandante Eterno Hugo Chávez.

Le accuse di “processo farsa” e di “condanna farsa” palesano il ridicolo, se non fosse che tali considerazioni vanno inserite all’interno di una campagna di odio orchestrata dalle agenzie dell’impero con sede a Washington. Non è un caso, infatti, che l’articolo di Cavallini è un vero e proprio “copia e incolla” di altri articoli “spazzatura” della stampa allineata agli interessi di stato statunitensi (BBC, el Pais, El Mundo, etc) e che cercano di “far amare l’oppressore”: l’imperialismo yankee e i suoi accoliti, e “odiare l’oppresso”: i popoli e i governi che oggi stanno dimostrando all’opinione pubblica internazionale che uscire dalla crisi del capitale è possibile solo nella costruzione del socialismo del XXI secolo; attraverso la realizzazione di quello che i popoli e i governi membri dell’ALBA-TCP definiscono – a ragione – come “Nuestros Socialismos” (al piurale, perché basato sulle proprie condizioni oggettive e soggettive presenti nelle diverse nazioni).

Ma chi è Leopoldo Lopez? Questo fascista e golpista reo confesso, che suddetto giornalista italiano lo disegna come un “paladino della libertà”, un “oppresso”, un “combattente per la libertà”?

Lopez, di cittadinanza venezuelana, è il capo dell’organizzazione di estrema destra “Voluntad Popular”, gruppo che non ha mai nascosto le proprie simpatie per altri gruppi di estrema destra che nel passato non troppo remoto, durante gli anni delle dittature militari fasciste e dell’Operazione Condor in America Latina, si sono macchiati dei peggiori crimini contro l’umanità; da quando è finita la seconda guerra mondiale. Per fare un confronto con l’Italia potremmo dire che Voluntad Popular rappresenta la stessa forza politica che allora ha rappresentato l’MSI in Italia.

Le attività di Leopoldo Lopez hanno inizio negli anni Novanta del secolo passato quando costui intraprende un percorso di studi nel Kennedy School of Government dell’Università di Harvard, un Centro di alti studi strategici e militari finanziato e diretto dalla Agenzia Centrale di Intelligence statunitense(CIA). Fu allora che Lopez conobbe il generale David Petraeus, che successivamente si è scoperto essere un agente della CIA.

Nel 2002, in seguito all’addestramento ricevuto da quella accozzaglia di spie e assassini che sono la CIA, lo vediamo dirigere le proteste che provocarono decine di morti innocenti, propiziando il colpo di stato contro il governo rivoluzionario e bolivariano di Hugo Chávez. Sempre i quei giorni, si fece conoscere per l’assedio contro l’Ambasciata della Repubblica di Cuba a Caracas.

Nonostante un’amnistia ricevuta nel 2007, Lopez rimarrà al centro dell’attenzione, per l’ingente e cospicuo furto di fondi da PDVSA, attraverso “Primero Justicia”, il Partito di cui è stato il dirigente principale.

Leopoldo Lopez non ha mai nascosto il suo interesse a diventare presidente della Repubblica, qualcosa che non è un reato in Venezuela, non fosse altro che, per ottenere tale obiettivo e di fronte all’incapacità di fare breccia nella maggioranza della popolazione venezuelana, decideva di costituire un “patto criminale” con l’estrema destra narco-paramilitare colombiana e nella fattispecie con Alvaro Uribe, accusato non poche volte per i suoi stretti legami con le Autodefensas Unidas de Colombia che, al contrario di essere state smantellate durante il suo governo, hanno trovato riparo giuridico dietro alla sua “mano dura” contro il popolo colombiano e il suo “cuore grande” verso i paramilitari.

In un intervista Alvaro Uribe dichiara: “Mi sono riunito con Leopoldo Lopez, un dirigente politico, giovane e ambizioso, con grandi capacità come dirigente politico. Con lui abbiamo delineato la lotta contro il narcotraffico”. Questa intervista risale a quando Uribe era presidente della Colombia.

Ora, bisognerebbe chiedere a Cavallini, che scrive per il “Fatto Quotidiano”, un quotidiano che fa della “lotta contro la corruzione” il suo cavallo di battaglia, perché mai un presidente della Repubblica di una nazione come la Colombia si riuniva con il capo dell’opposizione – di una opposizione per di più golpista e immischiata nel narcotraffico – e non con il governo eletto democraticamente e costituzionalmente presente in Venezuela, per parlare di lotta contro il narcotraffico? Cosa direbbe un qualsivoglia governo italiano, se il presidente di un paese amico si incontrasse con i capi della mafia per parlare di lotta contro il narcotraffico, per esempio?

Risulta evidente che leggendo l’articolo di Cavallini, chi stia muovendo un “giudizio farsa” non è il potere giudiziario venezuelano, ma, semmai, il giornalista italiano, che al posto di provare ad analizzare senza pregiudizi ideologici la complessa situazione oggi in corso in Venezuela, ha preferito dare addito alle fanzine di una certa stampa internazionale allineata alla guerra non convenzionale in corso contro il Venezuela e contro tutti i Paesi membri dell’ALBA-TCP, che evidentemente danno fastidio agli interessi economici degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale, dove l’America Latina è sempre stata considerata dai governi statunitensi come il proprioPatio Trasero (Giardino di casa).

Un altro colpo contro la credibilità del giornalismo italiano.

AL: non epoca di cambiamenti, un cambiamento di epoca

11903537_820128578104618_664332439_ndi Ida Garberi*

«Nella storia degli uomini ogni atto di distruzione trova la sua risposta, presto o tardi, in un atto di creazione».

(Eduardo Galeano)

La famosa frase del titolo, enunciato del presidente ecuadoriano Rafael Correa, oggigiorno, non è oramai qualcosa di profetico, bensì una realtà invariabile.

Stavo pensando proprio questo osservando John Kerry mentre parlava nel cortile della nuova ambasciata statunitense a L’Avana. Lui stesso ha dovuto ammettere: “Prima di terminare voglio, sinceramente, ringraziare i leader delle Americhe, che hanno spronato gli Stati Uniti e Cuba per molto tempo affinché ristabiliscano lacci diplomatici normali”.

Questa dichiarazione dimostra che il popolo cubano ha sconfitto il vicino del Nord.

Dal trionfo della Rivoluzione nel 1959, Cuba ha rappresentato un raggio di luce nel continente: però poi, ha dovuto pagare molto caro la sua disobbedienza. Il suo nemico, che dista solo 90 miglia, ha tentato di isolarla dall’America Latina (nel 1962 l’OSA – Organizzazione degli Stati Americani – rompeva le relazioni diplomatiche con l’isola), condannandola ad un bloqueo genocida, ancora vigente.

Dopo l’espulsione dall’OSA, il popolo di Cuba ha emesso la “Seconda Dichiarazione de L’Avana”, un appello a tutti i popoli dell’America Latina e del mondo dove rivendica il lascito martiano e segnala il principale nemico dell’indipendenza e della sovranità del continente: il potere imperialista di Washington.

Questa dichiarazione costituisce un appello all’insubordinazione ed alla disobbedienza di tutte le nazioni contro un potere egemonico che vuole schiacciare le aspirazioni di libertà, uguaglianza e giustizia sociale degli umili e dei poveri della terra americana.

Penso che questo testo, pilastro dei distinti processi di integrazione e Resistenza agli appetiti imperiali degli USA, sia una delle fonti di ispirazione dei nuovi leader progressisti dell’America Latina. Chavez, Correa, Morales sono arrivati al potere nel momento in cui l’America Latina già non era più un fuoco insorgente, le armi non risultarono essere la soluzione per vincere il “Norte revuelto y brutal”; il socialismo del XXI secolo è l’evoluzione del progetto emancipatore del secolo XIX di Josè Martì e Simon Bolivar, ed i popoli latinoamericani hanno capito che dovevano creare una federazione di tutte le forze progressiste con un piano di integrazione regionale basato nella solidarietà, nella reciprocità, nella giustizia sociale e nella preservazione della cultura per vincere, nell’unità.

Un’altra volta, Cuba, col suo Comandante in capo Fidel Castro, è stata il faro che, con Hugo Chavez, ha creato nel 2004 l’Alternativa Bolivariana per le Americhe, ora Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America, e che volle realizzare un’integrazione basata nella cooperazione, nella solidarietà e nella volontà comune per soddisfare le necessità e gli aneliti dei popoli latinoamericani e caraibici e, allo stesso modo, preservare la sua indipendenza, sovranità ed identità. Sorsero in seguito progetti come Petrocaribe, fino alla CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici), organizzazione regionale intergovernativa che riunisce i paesi dell’America Latina e dei Caraibi, senza l’ingerenza degli Stati Uniti e del Canada.

Il suo Vertice di fondazione è stato il 2 ed il 3 dicembre 2011 a Caracas con la presenza dei Presidenti e dei Capi di Governo di 33 paesi latinoamericani e caraibici, presieduta da colui che sempre rimarrà il nostro Comandante Eterno, Hugo Chavez.

Tra i governi progressisti del XXI secolo, la Rivoluzione Cittadina di Rafael Correa presiede questo anno la strategica organizzazione e lo stesso presidente ha affermato che “la CELAC dovrebbe sostituire l’OSA, che è sempre stato uno strumento di dominazione del governo statunitense”. “La nostra agenda di lavoro avrà 4 assi: la pianificazione dell’integrazione per far scomparire la povertà estrema; la nuova architettura finanziaria regionale; la regolazione del capitale multinazionale ed, in maniera fondamentale, la garanzia dei diritti umani”.

E come sicurezza che per Correa la solidarietà non è solo una parola, possiamo ricordare il suo appoggio incondizionato a Cuba dal suo arrivo al potere nel 2006: ha sempre contribuito con appoggi materiali in seguito ai danni degli uragani che hanno colpito l’Isola e nel 2012 ha istituito la “Missione di Appoggio alla Riabilitazione ed alla Costruzione Ecuador-Cuba Eloy Alfaro” che ha reso possibile l’edificazione di ben 1600 soluzioni domiciliari in Santiago di Cuba; nella lotta politica è stato il primo presidente che ha avuto il coraggio di chiedere agli USA la liberazione dei Cinque cubani nel Vertice dell’OSA di Trinidad e Tobago con Obama fisicamente presente nel forum; nel campo diplomatico fu il primo presidente che ha avuto l’idea di disertare i Vertici delle Americhe fino a che Cuba non fosse riammessa. Ed in tutte queste sfide chi ha vinto è stato Rafael Correa, con l’appoggio di “Nuestra América”.

L’Ecuador è quello che ha bisogno di solidarietà, poiché è minacciato da “un golpe soave” come parte della restaurazione conservatrice di quei settori di destra che persero il potere. Cuba è pronta per offrire il suo appoggio incondizionato. Si sono emesse dichiarazioni dell’Assemblea Nazionale cubana e perfino lo stesso popolo ha inviato il suo spirito di Resistenza a Rafael Correa ed alla Rivoluzione Cittadina ecuadoriana.

Un’altra volta, per concludere, voglio utilizzare alcune affermazioni di Fidel Castro che possono servire per riflettere, sia per Cuba che per Ecuador, due paesi che affrontano momenti determinanti. Alla sua entrata a L’Avana a Ciudad Libertad l’8 gennaio 1959 egli affermava: “Credo che sia questo un momento decisivo della nostra storia: la tirannia è stata abbattuta. L’allegria è immensa. E tuttavia, rimane molto da fare, ancora. Non dobbiamo farci illusioni credendo che da adesso tutto sarà facile; magari, da adesso, tutto sarà più difficile”.

*corrispondente di Cubainformacion a Cuba

La realtà e i sogni

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da Cubaminrex.cu

Il leader della Rivoluzione cubana sottolinea che “mai e poi mai smetteremo di lottare nemmeno per un secondo per la pace e il benessere di tutti gli esseri umani, al di là del colore della pelle o il paese di origine di ogni abitante della terra”.

Scrivere è una maniera per rendersi utili se consideriamo l’importanza che riveste una tale attività, di fronte a una popolazione mondiale che ha bisogno di educazione per poter superare i propri limiti dovuti ad un alto livello di ignoranza. Tale ragionamento, esclude quei ricercatori che attraverso le scienze cercano di dare risposte soddisfacenti. E’ un concetto che in poche parole deve riflettere il suo contenuto infinito.

Ognuno di noi ha sentito nominare almeno una volta nella propria vita il nome di Einstein e, in particolare, all’indomani dell’esplosione delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki, che misero fine alla crudele guerra tra il Giappone e gli Stati Uniti. Quando quelle bombe furono lanciate, dopo la dichiarazione di guerra degli Stati Uniti come risposta all’attacco giapponese alla base di Pearl Harbor, l’impero giapponese era già vinto.

Gli Stati Uniti, il cui territorio nazionale e le proprie industrie rimasero indenni dai bombardamenti della guerra, divenne il Paese con la maggior ricchezza di armamenti in tutto il pianeta; tutto questo, di fronte a un mondo completamente distrutto, pieno di morti, feriti e affamati. Sia l’URSS che la Cina avevano perso oltre 50 milioni di vite, sommate alle enormi distruzioni materiali.


Quasi tutto l’oro della Terra fu trasferito negli Stati Uniti. Oggi si calcola che il totale di quel metallo, inteso come riserva monetaria di suddetta nazione, raggiunga gli 8.133,5 tonnellate.

Fu proprio allora che gli Stati Uniti decisero di non rispettare gli accordi sottoscritti a Bretton Woods, e dichiararono unilateralmente che non avrebbero rispettato il cambio pattuito tra il valore in peso dell’oro rispetto alla carta moneta.

Tale decisione decretata da Nixon violava palesemente i impegni contratti dal presidente Franklin Delano Roosevelt. Secondo non pochi esperti di tale materia, venivano create, così facendo, le basi di una crisi che tra i tanti disastri avrebbe creato le basi per l’instabilità stessa del modello economico degli Stati Uniti. Detto questo, mi sembra ovvio che sia necessario indennizzare Cuba per il danno provocato e che ascende a moltissimi milioni di dollari, come del resto ha denunciato il nostro Paese con prove e dati inconfutabili durante tutte le discussioni che si sono svolte in questi decenni nell’ambito delle Nazioni Unite.

Come fu affermato con precisione dal Partito e dal Governo di Cuba, sulla base della nostra buona volontà di costruire la pace tra tutti i Paesi di questo emisfero, ovvero assieme a tutti i popoli che fanno parte di questa grande famiglia umana, e con il fine di contribuire a garantire la sopravvivenza della nostra specie all’interno di quel modesto spazio che ci viene concesso di stare nell’universo, reiteriamo ancora una volta la nostra ferma volontà di non smettere mai di lottare per la pace e il benessere di tutti gli esseri umani, al di la del colore della pelle o del paese di origine di ogni abitante del pianeta. Questo è il desiderio che auguro a tutti coloro che condividono appieno o in parte le mie idee, a quelli che fanno un’analisi assai migliore della mia ma che condividono la mia stessa prospettiva. A tutti voi, voglio dirvi grazie, miei cari compatrioti.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessandro Pagani]

Alerta que camina… la Misión Milagro por Africa

unknown1Por Alessandro Pagani (ANROS Italia)

“Hace 60 años, por estos mismos días, a esta misma hora ocurrió el acto terrorista màs grande que recuerde la historia, un verdadero genocidio cometido por el imperialismo norteamericano; hace 60 años explotaron las bombas atómicas, como sabemos, en Hiroshima y en Nagasaki. Recordamos con pesar aquellos días, y rendimos tributo a las víctimas de aquellos actos terroristas genocidas, rendimos tributo al dolor y condenamos aquellos actos; los señalamos como uno de los actos de terrorismo más grande que recuerde la historia. Hoy 60 años después, así como en aquellos pueblos explotaron aquellas bombas atómicas para la muerte, hoy, aquí, en el valle de Caracas está explotando una bomba atómica para la vida: la juventud del mundo està aquí!”.

Estas son las palabras del comandante Hugo Chávez en la inauguración del 16° Festival Mundial de la Juventud y los Estudiantes, desde el Patio de Honor de la Academia Militar, Fuerte Tiuna, el 8 de agosto del 2005.

Hoy, hace 70 años de aquel acto de terrorismo genocida que mencionaba hace 10 años el Comandante Chávez, en estos mismos días, otra “bomba atómica para la vida” está explotando: la Misión “Milagro Negro”, legado politico y revolucionario que Chávez dejò en las manos de todos los auténticos revolucionarios de cada rincón y esquina revolucionaria del planeta. El legado es muy claro: salvar a la humanidad y el mundo de las guerras y el hambre, de las enfermedades y la pobreza; a través de proyectos médico-sociales como la Misión Milagro. Ahora bien, intentamos analizar e investigar bien dicha misión, que fue creada por la obra genial del Fidel Castro y Hugo Chávez en el 2004.

La Misiòn Milagro: moral y luces hacia el derecho pleno y absoluto al “Buen Vivir”

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La Misiòn Milagro es un programa médico que nació por iniciativa de los gobiernos revolucionarios de la Republica de Cuba y de la Republica Bolivariana de Venezuela. El proyecto se destaca por su grande e importante contenido social y humanitario, en el cual no hay ninguna distinción social, de raza, religiòn, politica o de edad entres los pacientes. Las operaciones se realizan en las condiciones objetivas que se encuentran en el país donde los médicos trabajan, siempre en forma gratuita, están curando muchas enfermedades oftalmológicas presentes en aquellos ciudadanos del “sur” del mundo.

Desde el 11 agosto del 2004, dìa en el cual se brindò atención médica a las primeras cincuenta personas en América Latina, Cuba ha declarado una verdadera batalla para sembrar la vida y sus médicos desde aquel entonces están trabajando duro para curar las enfermedades visuales de más de seis millones de ciudadanos latinoamericanos que hasta aquella fecha nunca fueron atendidos en las clínicas médicas de América Latina y el Caribe, en la mayoría casi todas privadas, , en las cuales los pueblos humildes de “Nuestra América” ni siquiera pueden acceder. Dicha Misión médica cubana, se recuerda como el Conveño de Sandino, donde los médicos y los trabajadores de la salud cubanos, a través del utilizo de la tecnologia y los instrumentos oftalmológicos más modernos, crearon las condiciones para poder atender cada año a más de un millón de pacientes. Hay que subrayar que todo esto se realizó también con el auspicio de la Alternativa Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA-TCP).

Hoy, hace 10 años, según dijo la periodista italiana Marinella Correggia: “En la Operación Milagro participan 165 instituciones cubanas. Dispone ya, de una red de 49 centros oftalmológicos con 82 puestos para cirugía en 14 países de la America Latina y Caribe. Hay Misiones de la Operación Milagro en Venezuela, Bolivia, Costa Rica, Ecuador, Haití, Honduras, Panamà, Guatemala, Saint Vincent y Granadina, Guyana, Paraguay, Granada, Nicaragua y Uruguay”.

El primer paciente operado en la Misión Milagro es Samuel, un niño venezolano que fue operado en Cuba de una catarata congénita y que “desde hace diez años nublaba su frágil mundo infantil”. El vivía con sus padres y sus hermanos y según la maravillosa interpretación narrativa de Katiuska Blanco, Alina Perera y Alberto Nuñez en su proprio libro “Voces del milagro” que se publicò en el 2004 por la Casa Editorial Abril de la ciudad de La Habana: “El, no podía montar bicicleta ni mirar largo rato la televisión, tampoco hacer lecturas prolongadas, escribir, dibujar, o colorear con soltura; no le permitían jugar metra, ni pelota, ni estar mucho tiempo fuera de la casa, ni alejarse solo. Nunca había podido definir con nitidez los rostros de su mamá, sus cincos hermanos y su papà, quien también fue atendido en Cuba luego de más de 30 años de sombras. Cuando les retiraron las vendas, fue la primera vez que se vieron y se conocieron en su vida.

Su mamá vivia antes en Tacagua, un lugar más difícil que este de Antìmano 2, el cerro que recuerda a una reina, a una diosa Aragua, y es de los más excluidos de la ciudad de Caracas. Tras complicarse una intervención quirúrgica anterior, realizada con ayuda económica de unas religiosas del Hogar del Junquillo, Eucaris no había podido soñar con el intento de volver a operar a su hijo Samuel González. El médico cubano de la Misión Barrio Adentro les abrió el camino para el viaje a la luz”.

Cabe destacar que, finalmente, Samuel, después de la atención médica que le brindaron en forma gratuita en Cuba, puede ver “a los lejos, los àrboles y las casitas del cerro cercano”, puede acariciar “sus dos perros” y conversar con los demás sobre la “pelota, sobre sus deseos de aprender, de estudiar, que ahora podrán cumplirse por la vista recuperada y las oportunidades de las misiones”.

Su mamá quiere agradecerle a Chávez y a Fidel:

“Cuando nos dijeron que íbamos para Cuba me emocioné, yo no hallaba qué hacer, porque dejar cuatro niños para curar uno, es una decisión difícil, fue una decisión muy fuerte para mí. Como soy una persona de tan bajos recursos, le doy gracias a Fidel y a Chávez por la oportunidad de operar e mi hijo Samuel, y a Chávez le digo: que Dios te bendiga, que Dios te multiplique por todo el bien que le estàs haciendo a los pobres, porque es el primer Presidente que se preocupa en verdad por los pobres (…)”.

Una Misión Milagro Negro en Africa es un deber moral para todos los revolucionarios.

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La Organización Mundial por la Salud (OMS, por su sigla en inglés), recientemente ha destacado que en el medio de la población total que vive en Africa, el 15% son ciegos, el 8,3% son ipovedentes. Estos datos nos obligan a hacer algunas reflexiones y consideraciones sobre las misiones que los países a capitalismo más avanzado, como es la Italia, deberían desarrollar en su propria agenda politica. Sin embargo, lo que se plantea por parte de los países o instituciones como Italia, EE.UU y la Union Europea es la más completa indiferencia e incapacidad en el querer resolver de verdad dichos problemas. Lo que vemos es que a pesar de los recursos económicos que tienen dichos países e instituciones, se prefiere utilizar sus propias finanzas en proyectos tecnológico-militares, con el intento de implementar la injerencia y el saqueo de las tierras y los pueblos de nuestra Madre Africa, cuando estos recursos podrían ser invertidos en proyectos médicos para sembrar la luz a los millones de “Samuel” en Africa.

Finalmente, no es el caso de los Gobiernos revolucionarios de los países miembros del’ALBA-TCP y en lo especifico del gobierno cubano y venezolano, faros en la lucha por la vida en América Latina y en Africa. Cuba y Venezuela, a través del proyecto “Misión Milagro”, están brindando atención médica y bienestar a millones de personas en toda América Latina, en el Caribe y también en otros rincones del planeta. Hoy en dia, vemos como centenares de Brigadas Médicas Cubanas están brindando la màs alta y auténtica atención medica en muchas regiones de Africa. Así es el caso de las Brigadas Médicas Cubanas que batallaron en la Sierra Leon contra el Ebola, derrocándolo definitivamente, a pesar del silencio “asordante” de la mayoría de los medios de información mundial, subalternos a la guerra mediàtica y psicològica llevada adelante por parte de EE.UU y con la intención de manipular y avellanes la opinión publica internacional contra los Países miembros del’ALBA-TCP y en lo especìfico contra Cuba Venezuela, Ecuador y Bolivia.

Ahora bien, el trabajo heròico de los médicos y los trabajadores de la salud cubanos en Sierra Leon no es algo de nuevo; pues, nace por medio de una politica desarrollada hace mucho tiempo y que a pesar del sabotaje mediàtico, ningún periodista al servicio del imperio puede ocultar. Estas misiones médicas que estan presentes en muchos países y regiones de todo nuestro planeta deberían recibir el Premio Nobel por la Paz.

“En octubre 2006, el gobierno de la Habana envió 2000 profesionales sanitarios en Pakistán, instalando 30 hospitales de campo que asistieron a màs de 1,5 millones de personas, luego del terremoto ocurrido en el país asiático. Luego del terremoto en Indonesia del 27 de mayo 2006, Cuba envió 135 médicos y una delegación que ayudó a 1000 pacientes al día en la Isla de Java, quedándose por un total de ocho meses. En diciembre 2007, Cuba celebró el alcanzar un millón de pacientes de la América Latina, Caribe y África que han recuperado o mejorado la vista gracias a la Operación Milagro, constituyendo un hecho único en la historia de la humanidad, gracias a la colaboración de los gobiernos revolucionarios de Cuba y Venezuela. El 20 de noviembre 2008, Cuba y Angola hicieron un acuerdo para la formación de oftalmólogos del país Africano bajo la instrucción de especialistas cubanos en el ámbito de la Operación Milagro”, según escribió Marinella Correggia.

La Misiòn Milagro, tiene como objetivo prestar atención médica a más de 50 millones de personas en todo el continente africano. Esta misión es un deber histórico y moral que todos los verdaderos revolucionarios que luchan por un mundo de paz con justicia social y que deben cumplir para sanar la deuda histórica debido a la acumulación originaria que el capitalismo europeo ha implementado a través de la explotación de los recursos naturales y humanos en Africa.

Por eso la necesidad urgente de activar un proyecto politico, médico y social, en el marco de las nuevas triangulaciones y de la cooperación y amistad entres los pueblos de los países miembros del ALBA-TCP, de los movimientos sociales en Italia y los pueblos trabajadores de nuestra Madre Africa, y con el objetivo de que estos últimos sean los que màs se puedan beneficiar de dicho proyecto. Así que, enhorabuena, el deber principal que nos espera como pueblo trabajador italiano, como movimientos sociales, es de ponernos “rodilla en tierra”, como diría nuestro Comandante Eterno Hugo Chavez, al servicio de estas misiones, que van hacia la construcción de un nuevo òrden mundial en el cual la paz, la justicia y la igualdad social sean las leyes de nuestro futuro, y donde la explotación del hombre sobre el hombre y la naturaleza sean borradas completamente de las relaciones sociales, políticas, económicas y financiaras del mundo.

Por eso, finalmente, ANROS Italia, a través de su presidente, Emilio Lambiase; con el auspicio politico y moral de la Embajada de la Republica Boivariana del Venezuela, y de su Embajador, el Dr. Julian Isaias Rodriguez Diaz y su Consejero Politico, el Dr. Alfredo Viloria; a través del auspicio del Consulado General de la Republica Bolivariana del Venezuela en Napoles y su Cònsul General, la Dra. Amarilys Gutierrez Graffe, han entregado al Primer Presidente Obrero de Nuestra América, el compañero Nicolas Maduro, el proyecto sobre la Misiòn “Milagro Negro”.

Cabe destacar, sin duda alguna, que dicho proyecto tiene su proprio antecedente en la visita que el compañero Presidente Nicolas Maduro diò en la Santa Sede, cuando en el pasado 17 de junio del 2013 fue recibido por el Papa Francisco y allá propuso a Bergoglio de hacerse parte de dicha misión.

Desde aquel entonces el proyecto se ha desarrollado a través del trabajo de muchas compañeras y compañeros del movimiento de solidaridad italiano que respalda con mucho esmero a la Revolución Bolivariana del Venezuela y el proyecto bolivariano y martiano de una Patria Grande latinoamericana. Todo esto también gracias, al buen trabajo presente en el centro y sur de Italia, gracias a la unidad dialéctica que se puso en marcha entre dichos movimientos populares y la diplomacia del pueblo llevada adelante por los dignos representantes de las instituciones diplomáticas presentes en Roma y en Nápoles, y que fueron capaces de construir un fuerte y heterogéneo bloque de fuerzas progresistas y revolucionarias, que por medio de proyectos de cooperación y de amistad entres los pueblos están dando una lección histórica y politica sobre lo que debería ser el internacionalismo; según como lo explican también Fidel, el Che y Chávez.

62769-logonuevoanros 08.45.49Objetivo común, a través de la proyección de la Misión Milagro en Africa es intentar acelerar las fuerzas progresivas hacia la construcción de un Nuevo Orden Mundial, multipolar, multicultural, multicéntrico y multilateral, basado sobre el socialismo del siglo XXI, del que el comandante Chávez habló y que los pueblos de Nuestra América definen como “nuestros socialismos”, destacando, así, la importancia de construir un nuevo orden mundial fuera de cada forma de dogmatismo.

Entres los propulsores de dicho proyecto en Italia, cabe mencionar la figura del Prof. Francesco Scelzo, Presidente del Movimento Apostòlico Ciegos (M.A.C.), que ha aceptado de partecipar en forma orgànica a este proyecto y de llevarle toda la experiencia desarrollada en Africa, en más de 40 años de trabajo social y asistencial entre las poblaciones africanas.

Allerta che cammina… la Missione Miracolo in Africa

 Unknowndi Alessandro Pagani (ANROS Italia)

“Sessant’anni fa, proprio in questi stessi giorni, in queste stesse ore, si consumò l’atto terrorista più grande della storia. Un vero e proprio genocidio commesso dall’imperialismo nordamericano; Sessant’anni fa esplodevano le bombe atomiche nelle città di Hiroshima e Nagasaki. Rammentiamo con tristezza siffatti eventi e rendiamo tributo alle vittime di quegli atti terroristi di carattere squisitamente genocida; rendiamo omaggio al dolore, e segnaliamoli come le azioni terroristiche più grandi che ricordi la storia. Oggi, a distanza di Sessant’anni, come allora in mezzo a quei popoli quivi summenzionati furono fatte esplodere quelle bombe atomiche per seminare la morte; Oggi, dove siamo riuniti, nella Valle di Caracas, sta esplodendo una bomba atomica per la vita: la Gioventù del mondo è qui presente!”

Queste sono le parole del comandante Hugo Chávez  durante la cerimonia di apertura del Sedicesimo Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti che si svolse a Caracas dal 8 al 12 agosto del 2005.

Oggi a distanza di Settant’anni anni da quell’atto terrorista che ricordava solo dieci anni fa il comandante Chavez, un’altra “bomba per la vita” è in procinto di esplodere: la Missione “Milagro Negro”, testamento politico e rivoluzionario che Chávez ha lasciato nelle mani di tutti i sinceri rivoluzionari di tutto il pianeta. Il testamento è chiaro: salvare i’umanità dalle guerre e dalla fame, dalle malattie e dalla miseria, attraverso progetti medico-sociali come la Misiòn Milagro. Ma andiamo per ordine e cerchiamo di comprendere con più precisione di cosa tratta questa missione, nata nel 2004 dall’idea di Fidel Castro e Hugo Chávez.

La Missione Miracolo: morale e luce verso il pieno diritto a vivere dignitosamente

 

 MisiónMilagroLa “Missione Miracolo”, è un’iniziativa congiunta dei governi rivoluzionari della Repubblica di Cuba e della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Trattasi di una campagna con un grande contenuto sociale e umanitario, che non fa nessuna discriminazione di carattere sociale, razziale, religioso, politico o di età tra i pazienti. Le operazioni che sono effettuate nelle condizioni oggettive presenti nei paesi dove si agisce – tutte realizzate in forma gratuita – stanno curando non poche malattie oftalmologhe presenti in quei cittadini del “sud” del mondo.

Dal 11 agosto del 2004, giorno nel quale ebbero inizio le prime cinquanta operazioni, Cuba ha lanciato una vera è propria battaglia per la vita per salvaguardare e far tornare la vista in Dieci anni a non meno di Sei milioni di malati latinoamericani che non potevano essere curati nelle cliniche mediche – quasi tutte private – che popolano l’America Latina e i Caraibi, e che sono considerate “zona rossa” per gli umili e i dannati della terra. Siffatta operazione medica cubana, è ricordata come il Convegno di Sandino, là dove medici e lavoratori della salute cubani, attraverso l’utilizzo della tecnologia e dei più avanzati e moderni strumenti oftalmologici, sono riusciti a creare le condizioni per operare ogni anno a circa 1 milione di pazienti. Tutto questo all’interno dell’Alternativa Bolivariana per i popoli di Nostra America (ALBA-TCP).

Oggi, a distanza di oltre Dieci anni, come afferma la giornalista italiana Marinella Correggia: “Nella Missione Miracolo partecipano 165 istituzioni cubane”. Inoltre, la Missione Milagro, “dispone di una rete di 49 centri oftalmologici con 82 postazioni chirurgiche in 14 paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Ci sono missioni miracolo in Venezuela, Bolivia, Costa Rica, Ecuador, Haiti, Honduras, Panama, Guatemala, Saint Vincent e Granadine; Guyana, Paraguay, Granada, Nicaragua e Uruguay”.

Il primo paziente della Missione Milagro, un giovane adolescente venezuelano di nome Samuel, fu operato l’11 agosto del 2004. Samuel viveva nel Cerro Antimano, nel municipio Libertador a Caracas assieme a sua madre, suo padre e ai suoi quattro fratelli. Non c’è narrazione migliore di quella di Katiuska Blanco, Alina Perera e Alberto Nuñez nel loro libro “Voces del Milagro”, pubblicato dalla casa editrice Abril dell’Avana nel 2004 per descrivere la poesia e l’amore alla vita che si evince da tali politiche medico-sociali portate avanti dai governi rivoluzionari di Cuba e Venezuela.

“La vita nel Cerro trascorre come quella di una lumaca, che entra ed esce lentamente dal proprio guscio, trascinandosi su e giù per quelle vecchie e squattrinate scalinate di quell’umile vicinato. Il viale principale si congiunge con una stradina e l’altra. Infondo a questo labirinto di strade e vicoli arriviamo davanti alla casa di Samuel, il primo bimbo venezuelano operato a Cuba di cataratta congenita e che da oltre dieci anni gli offuscava il suo fragile mondo infantile. Non poteva andare in bicicletta, ne guardare la televisione; non poteva leggere, scrivere o disegnare; non poteva giocare a baseball, a calcio e nemmeno restare per un tempo prolungato fuori di casa; non poteva andarsene in giro per conto proprio. In vita sua, non era mai riuscito a vedere con nitidezza il viso di sua madre, dei suoi fratelli e di suo padre, che fu anch’esso curato a Cuba dopo trent’anni di cecità. Una volta portate a termine le operazioni, fu la prima volta che questi riuscirono vedersi in faccia.

Sua madre viveva in Tacagua, un quartiere assai più complicato di Antimano 2 nel quale ora vivono. Il Cerro, che ricorda a una dea Aragua, è uno dei quartieri più difficili presenti nella città di Caracas. In seguito alla complicazione di un’operazione chirurgica precedente, realizzata con l’aiuto economico di una religiosa del Hogar del Junquito, Eucaris, la madre di Samuel, non aveva rinunciato al sogno di operare di nuovo a suo figlio Samuel Gonzalez. Fu proprio, il medico cubano della Missione Barrio Adentro presente in quel quartiere che gli aprì la strada per il viaggio verso la luce (…).

Oggi, in seguito all’operazione, Samuel può finalmente entrare e uscire di casa senza l’aiuto di nessuno. Può apprezzare la bellezza di un albero o di un animale. Può accarezzare ai suoi due cagnolini. Può giocare come tutti gli altri bambini a baseball o a calcio. Non esistono più ostacoli tra lui e i suoi sogni di studiare, che ora potranno realizzarsi senza nessun problema(…).

Sua madre vuole ringraziare a Chávez e a Fidel: “Quando ci dissero che saremmo partiti per Cuba non riuscii a trattenere la mia emozione da quanto ero contenta. Nel contempo, ero assai preoccupata di dover lasciare soli gli altri miei quattro figli per poterne curare uno. Si trattò di una decisione assai difficile. Dato che sono una persona umile e con poche risorse, devo ringraziare a Fidel e a Chávez per avermi concesso l’opportunità di operare a mio figlio Samuel e a Chávez gli dico: che dio ti benedica, che Dio ti moltiplichi per tutto il bene che stai facendo ai poveri, perché sei il primo Presidente che si preoccupa davvero per i poveri”

 

Una Missione Milagro Negro in Africa è un dovere morale

 

 145427311-1e1dd3e4-3b3b-4160-9039-736e11b51962L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), ha riconosciuto recentemente che in Africa su una popolazione totale di 805 milioni di abitanti il 15% sono ciechi, l’8,3% sono Ipovedenti. Questi dati obbligano tutti noi a riflettere su quello che dovrebbe essere la missione di non pochi paesi a capitalismo avanzato come l’Italia in Africa. Invece ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi è la più completa ottusità e indifferenza da parte del nostro paese che, evidentemente, preferisce spendere i propri soldi in tecnologia militare e in politiche d’ingerenza, atte allo sfruttamento del continente africano, piuttosto che attivarsi in politiche sociali e in missioni mediche per seminare la luce e l’amore alla vita a milioni di “Samuel” in tutta l’Africa.

Questo non è, però, il caso dei governi rivoluzionari dei paesi membri dell’ALBA-TCP e nella fattispecie del governo cubano e venezuelano, vere e proprie avanguardie nella lotta per la vita; non solo in America Latina ma anche nella nostra Madre Africa. Cuba e Venezuela con il progetto “Missione Miracolo”, stanno dando attenzione medica e benessere a milioni di persone in tutta l’America Latina, nei Caraibi e non solo. Oggi vediamo come non poche centinaia di Brigate Mediche cubane stanno distribuendo attenzione medica in molte regioni del continente africano. Questo è il caso delle brigate mediche cubane presenti in Sierra Leone e che hanno sconfitto l’ebola nel silenzio “assordante” di quei mezzi di comunicazione allineati alla guerra mediatica e psicologica portata avanti dagli Stati Uniti contro i paesi membri dell’ALBA-TCP e nella fattispecie contro Cuba, Venezuela, Ecuador e Bolivia.

Ora, l’eroica attività dei medici e lavoratori della salute cubani in Sierra Leone non è un caso isolato, giacché nasce da una politica che viene da lontano e che nessun mezzo di comunicazione può nascondere. Missioni mediche che sono presenti in moltissime regioni del pianeta e che dovrebbero ricevere il premio nobel per la pace

Nell’ottobre 2005, il governo dell’Avana inviò 2000 professionisti sanitari in Pakistan, installando Trenta ospedali da campo che assistettero più di 1,5 milioni di persone, in seguito al terremoto avvenuto nel paese asiatico. In seguito al terremoto in Indonesia del 27 maggio 2006, Cuba inviò 135 medici e una delegazione che assistette 1000 pazienti al giorni nell’isola di java, fermandosi per un totale di otto mesi. Nel dicembre 2007, Cuba celebrò il raggiungimento di un milione di pazienti dall’America Latina, Caribe e Africa che hanno recuperato o migliorato la vista grazie all’ Operazione Milagro, essendo un fatto unico nella storia dell’umanità, grazie alla collaborazione dei governi rivoluzionari di Cuba e Venezuela. Il 20 novembre 2008, Cuba e Angola si accordarono per la formazione di oftalmologi del paese africano sotto l’istruzione di specialisti cubani nel segno dell’ Operazione Milagro”, scrive Marinella Correggia.

La Missione Milagro Negro, ha come obiettivo di prestare attenzione medica a quegli oltre cinquanta milioni di persone che in tutto il continente sono considerati disabili visivi. Un dovere storico e morale per tutti i sinceri rivoluzionari che lottano per un mondo basato sulla pace con giustizia sociale e che patiscono ancora oggi l’accumulazione originale del capitale e lo sfruttamento realizzato dall’Europa in tutto il continente africano in questi ultimi Cinquecento anni.

Per questo la necessità urgente che si metta in piedi un progetto politico di carattere medico-sociale  che ponga in essere nuove triangolazioni nell’ambito della cooperazione e amicizia tra i popoli dell’ALBA-TCP, dell’Italia e dell’Africa; là dove questi ultimi devono essere quelli che devono ottenere il maggior beneficio dalla missione. Nostro compito come popolo lavoratore italiano, come attivisti sociali e sinceri rivoluzionari e quello di metterci al servizio di questa missione, che va verso la costruzione di un mondo dove la giustizia sociale sia la legge del futuro e dove lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura sia solo un brutto retaggio del passato.

Per questo che ANROS Italia, attraverso il presidente Emilio Lambiase; attraverso il patrocinio politico e morale dell’Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela, nella persona del proprio Ambasciatore, il dott. Julian Isaias Rodriguez Diaz e del proprio Consigliere Politico, il dott. Alfredo Viloria; del Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli, nella persona della Console Generale, la dott.ssa Amarilys Gutierrez Graffe, hanno consegnato al Primo Presidente operaio di Nostra America, il compagno Nicolas Maduro, la bozza del progetto della Missione “Milagro Negro”. Trattasi di un progetto che in realtà ha avuto già un precedente, se pensiamo al primo incontro che avvenne il 17 giugno del 2013 tra Maduro e il Papa Francesco, nel quale il governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela aveva proposto alla Santa Sede, di unirsi ai popoli della Patria Grande in siffatta Missione.

Il progetto da allora ha preso forma, attraverso il lavoro di non poche compagne e compagni del movimento di solidarietà e di appoggio alla Rivoluzione Bolivariana del Venezuela e che nel progetto bolivariano e martiano di una Patria Grande latinoamericana, vedono il cammino luminoso verso la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare, multilaterale, multiculturale e multicentrico basato sul socialismo del XXI secolo, quello stesso socialismo che ebbe a definire il Comandante Eterno Hugo Chávez e che i popoli di Nostra America chiamano “nuestro socialismos” sottolineando come la costruzione di un mondo migliore deve essere libero da ogni dogma.

Una nota speciale va fatta anche al lavoro che in questi anni è stato realizzato nel Centro e nel Sud della penisola italiana, là dove l’unità dialettica tra movimenti, forze popolari e la Diplomazia del Popolo realizzata dai degni rappresentanti delle istituzioni diplomatiche e del popolo venezuelano presenti a Roma e a Napoli hanno reso possibile la costruzione di un forte blocco di forze progressiste che attraverso progetti di cooperazione e di amicizia tra i popoli stanno dando una lezione storica e politica su quello che dovrebbe essere l’internazionalismo; secondo le stesse parole di Fidel, il Che e Chavez.

A questi si è aggiunto il piacevole e importante contributo del M.A.C., Movimento Apostolico Ciechi che nella persone del proprio presidente, il prof. Francesco Scelzo, si sono impegnati a collaborare organicamente nel progetto, investendoci tutta la loro esperienza sviluppata in oltre 40 anni di lavoro sociale e assistenza in Africa.

I movimenti di protesta USA contro la guerra in Vietnam

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di Alessandro Pagani

Gli anni della protesta contro la guerra in Vietnam furono quelli con la maggiore divisione interna negli Stati Uniti dai tempi della guerra civile. Un importante settore della popolazione si mobilitava per chiedere l’immediato ritiro di tutte le truppe di occupazione statunitensi dall’Indocina.

Iniziata da pochi giovani studenti delle principali università, la protesta crebbe parallelamente all’estendersi delle violenze perpetrate dai marines e dalla CIA ai danni della popolazione civile in Vietnam. Nonostante l’eterogeneità tra i vari settori del movimento e la repressione condotta dal governo mediante l’impiego della forza militare, il movimento contro la guerra riuscì a rappresentare un importante fattore di indebolimento della politica imperialista nordamericana.

1. I semi della protesta contro la guerra in Vietnam

Per individuare l’origine del movimento è necessario fare un passo indietro agli anni Cinquanta, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale. La società statunitense era caratterizzata da un clima conservatore, maccartista, base e sostegno della politica da guerra fredda.

Sul piano esterno, con la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si tramutarono nel centro propulsore del terrorismo capitalista internazionale, sentendosi nel diritto di svolgere il ruolo di gendarme del mondo, contro il cosiddetto “pericolo rosso”. Mentre i dividenti miliardari delle grandi multinazionali statunitensi assicurarono un patto sociale di carattere neo-corporativo nel quale le burocrazie dei principali sindacati statunitensi, assieme ad altri settori della cosiddetta società civile, costituirono un’alleanza col blocco sociale al potere. Tutto ciò pose fine a quasi un secolo di lotte sindacali, permettendo l’estendersi del consenso nell’opinione pubblica statunitense, intorno alla politica interna ed estera.

La spesa pubblica degli Stati Uniti crebbe spropositatamente, fomentando la produzione per fini bellici. L’intervento del settore militare non risparmiò nemmeno la ricerca scientifica: l’influenza del Pentagono e della CIA su settori come la chimica e la biologia fu totale.

Rappresentativa del clima di quegli anni fu la condanna a morte dei coniugi Rosenberg.

Ciò che si consolidò durante tutto il decennio degli anni Cinquanta fu l’alienazione delle persone dal complesso sistema dei rapporti sociali; il cittadino statunitense fu portato a elaborare i propri pensieri meccanicamente e a comportarsi come un individuo avulso dall’insieme della società, il cui unico orizzonte e rifugio era diventato l’alveo della famiglia bianca di classe media, considerata la cellula fondamentale del sistema nordamericano. Venne parallelamente implementata una vera e propria operazione di ingegneria sociale: la creazione di quartieri dove furono ghettizzati interi settori appartenenti alle classi sociali subalterne, soprattutto delle minoranze afroamericane, ispaniche e cinesi.

Tale situazione divenne insostenibile per la comunità nera, che iniziò a organizzare le proprie rivendicazioni a partire dalla questione dei diritti civili, per giungere a una critica complessiva del sistema socio-economico.

Questa esperienza di lotta sensibilizzò notevolmente le coscienze delle giovani generazioni degli anni Sessanta. Nello specifico ciò avvenne tra gli studenti delle università, che compresero il significato politico delle contestazioni afroamericane e l’importanza di appoggiarne le rivendicazioni.

E’ in questo contesto che va individuata l’accumulazione delle forze che si misero in moto per protestare contro la guerra in Vietnam.

Agli albori degli anni Settanta la lotta degli afroamericani contro il razzismo e la segregazione secolare era abbastanza matura da permettere a Martin Luther King di dare battaglia contro la violenza di classe perpetuata dagli Stati Uniti sui propri cittadini.

King, forse, non seppe dirigere il movimento di protesta come in tanti avrebbero voluto, ma con il suo attivismo politico riuscì a favorire e accompagnare il risveglio della comunità nera da quella “atmosfera di novocaina”, vale a dire da quel senso di rassegnazione e passività in cui era imprigionata (Cleaver, 1969). La più grande mobilitazione afroamericana avvenne in quel lontano e retrogrado Sud degli Stati Uniti in cui la violenza e la repressione fascistoide e xenofoba da parte del Ku Klux Clan (gruppo di mercenari razzisti al soldo del capitale agrario meridionale) sembravano condannare la comunità nera a un sistema di oppressione senza via d’uscita (Marine, 1971).

Nello stesso tempo si costituirono diverse organizzazioni di solidarietà in seno ai giovani bianchi, tra le quali vi era l’NSM (Movimento Studentesco del Nord) fondato nel 1962, che vide militare nelle sue file studenti come Abbie Hoffman, il quale divenne uno dei leader durante le proteste contro la guerra in Vietnam.

Nel biennio 1963-64 le rivendicazioni all’interno della stessa comunità afroamericana si elevarono sensibilmente.

All’inizio degli anni Sessanta cominciarono a conquistare grande risonanza i discorsi e i proclami rivoluzionari di Malcom X, che fu assassinato nel 1965 nel quadro della repressione militare e poliziesca di cui furono sistematicamente oggetto i movimenti d’avanguardia negli Stati Uniti.

Nell’estate del 1964 ci furono le proteste di Watts, il ghetto nero di Los Angeles (Canot, 1970).

Questa radicalizzazione da parte della gioventù è da considerarsi come un momento chiave per la lettura del movimento di protesta negli Stati Uniti, e per l’emergere di una serie di nuove leve rivoluzionarie come Eldrige Cleaver, Bobby Seale, Huey P. Newton e Rap Brown.

2. Formazione e consolidazione della protesta.

I semi della protesta contro la guerra in Vietnam, che vanno collocati a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, cominciarono a far germogliare i propri fiori.

I movimenti studenteschi furono i protagonisti della prima fase della protesta contro la guerra.

L’SDS (Studenti per una Società Democratica) nacque negli anni Sessanta dopo essersi allontanata dalla vecchia organizzazione studentesca, la SLID (Lega Studentesca per una Democrazia Industriale), che dal 1921 aveva raggruppato vari settori di socialisti e progressisti nelle università del paese.

Nel 1962, l’SDS si riunì a Port Huron, Michigan, e pubblicò una dichiarazione d’intenti che avrà una profonda ripercussione sul movimento giovanile studentesco di allora. In questa dichiarazione si proclamava la ricerca di una “democrazia partecipativa e diretta”, che avrebbe dovuto ampliare gli elementi democratici a tutti i livelli della società. Ispirata agli scritti di Herbert Marcuse e Wright Mills, la Dichiarazione di Port Huron si convertì in uno dei manifesti più letti e discussi della “Nuova Sinistra”. L’SDS divenne una delle maggiori organizzazioni durante i primi anni di protesta contro la guerra (Harwey, 1966).

Nel 1964, l’amministrazione universitaria di Berkeley proibì una serie di conferenze e sit-in pubblici organizzati dagli studenti in solidarietà con la lotta degli afroamericani, definendoli come politically incorrect per l’immagine dell’università. La decisione dell’amministrazione universitaria fu la goccia che fece traboccare il vaso. Gli studenti cominciarono ad adottare le tattiche già utilizzate dagli afroamericani nel Sud. A causa del susseguirsi di arresti indiscriminati (oltre 800 studenti), sorse il “Free Speech Movement” (Movimento per la Libertà di Espressione), guidato da Mario Savio. I successi ottenuti rafforzarono l’intero movimento studentesco.

Il 17 aprile, l’SDS convocò la prima giornata di protesta contro l’intervento imperialista in Vietnam, con la partecipazione di oltre 20.000 persone a Washington. La manifestazione fu un momento di grande rilevanza politica, dato che per la prima volta un’organizzazione studentesca aveva potuto riunire soggetti politici differenti, sulla base del totale disprezzo nei confronti della guerra e del saccheggio promossi dal governo.

Anche la musica veniva intrinsecamente legata alla protesta. Cantanti come Bob Dylan e Phil Ochs si convertirono in portavoce della sensibilità più profonde della protesta contro la guerra.

Nell’agosto del 1965 si riunì a Washington l’assemblea degli “uomini senza rappresentanza”, in commemorazione del Ventesimo anniversario della catastrofe nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Parteciparono non pochi gruppi formati da nativi americani, indipendentisti portoricani, rappresentanti del Catholic Worker, donne della WSP e leaders dell’SDS. Dalla plenaria nacque il NCCEWV (Comitato Nazionale per porre fine alla guerra in Vietnam), che contava su una trentina di organizzazioni.

Proprio in quei giorni aumentava in maniera drammatica l’aggressione contro il Vietnam: in gennaio il numero di truppe statunitensi su suolo vietnamita era arrivato a 50.000 effettivi; alla fine dell’anno solare era cresciuto a 200.000. Nell’ottobre del 1965 il NCCEWV indisse la sua prima giornata nazionale di protesta contro la “sporca guerra”: 25.000 persone marciarono nella città di New York, 10.000 a Berkeley, mentre in tutto il paese parteciparono all’incirca 100.000 persone.

Poco a poco la resistenza comunista vietnamita trovò numerosi simpatizzanti in seno alla gioventù statunitense. La figura di Ho Chi Minh, per i giovani che partecipavano contro la guerra in Vietnam, venne elevata a livello di eroe.

L’altro importante settore della società nordamericana, che con lo svilupparsi degli eventi ebbe un ruolo di grande rilevanza nella protesta contro la guerra, fu il movimento afroamericano. Nel 1964, mentre da un lato il pacifismo di King raggiungeva il suo culmine con l’ottenimento del premio Nobel per la Pace, si cominciava a sentire all’interno stesso del suo movimento il rumoreggiare di un processo di radicalizzazione.

La rivolta popolare di Watts fece riflettere moltissimi giovani bianchi sull’importanza di aprire gli occhi e di prendere posizione contro il proprio governo.

Nel 1966 a Oakland, California, Huey P. Newton e Bobby Seale formarono il Blacks Panthers Party for self-defense (il Partito delle Pantere Nere per l’auto difesa), che cercavano di fomentare un processo rivoluzionario attraverso il lavoro sociale nei ghetti delle grandi metropoli statunitensi ed educando la propria comunità all’autodifesa dal terrorismo di Stato. Il Partito delle Pantere Nere criticò aspramente la strategia politica di altre organizzazioni nere. Nello specifico non condivideva la politica di esclusione di tutti quegli studenti bianchi della classe media nordamericana che da anni si opponevano alla guerra e si esprimevano in solidarietà alla comunità afroamericana. Le Pantere Nere si unirono alle proteste contro la guerra, esplicitando altresì l’alleanza con il movimento studentesco (Seale, 1971). La reale volontà da parte dei settori rivoluzionari del movimento afroamericano di unire le proprie forze con il movimento studentesco bianco si scontrava con le politiche fino allora espresse in numerosi suoi discorsi dallo stesso King. Il reverendo King considerava ancora che gli afroamericani avrebbero dovuto concentrare i propri sforzi nella lotta contro la discriminazione razziale e che la protesta contro la guerra in Vietnam avrebbe sviato le forze del movimento su questioni non fondamentali per la propria lotta. Riteneva assai importante, per gli interessi della comunità nera, mantenere e dove fosse possibile ampliare, l’alleanza con i dirigenti del Partito Democratico, in particolare con i presidenti John F. Kennedy e Lyndon Johnson, Per non rischiare di compromettere le sue relazioni, King trattò in questa fase di mantenersi passivo rispetto alla tematica della guerra.

D’altro canto, durante gli ultimi mesi del 1966 e i primi mesi del 1967 sorgevano, intorno a King, nuove voci che cercavano di persuaderlo nel cambiare linea politica e d’intraprendere un’azione più diretta contro il governo. Tra questi va segnalato il giovane Jesse Jackson.

King, influenzato positivamente dalle tesi politiche espresse da Jackson, lanciò una nuova linea di aperta condanna contro la guerra in Vietnam, contro il sistema capitalista e di ricerca di unità con la classe operaia statunitense. Ciò portò da una parte alla rottura con il presidente Johnson e a un avvicinamento ai radicali; dall’altra, al materializzarsi di un’esplicita critica al riformismo e all’attendismo (liberal) di quegli anni (Naso, 1993).

Il campione del mondo dei pesi massimi Mohamed Ali fu spogliato del suo titolo per essersi negato a prestare il servizio militare, dichiarando: “laggiù inviano musi neri a uccidere musi gialli, affinché dei bianchi possano appropriarsi della terra che vogliono rubare ai rossi” e infine disse: “nessun Vietcong mi ha mai chiamato sporco negro”.

Non pochi gruppi che si opponevano alla guerra in Vietnam si conformarono in ogni angolo degli Stati Uniti.

Los Chicanos, capeggiati da Cesar Chavez, avevano cominciato nel 1965 a organizzare gli operai agrari dell’industria fruttifera californiana. Così come gli afroamericani, inizialmente, anche Los Chicanos iniziarono a lottare per ottenere riforme settoriali, ma col passare del tempo compresero che i risultati delle loro rivendicazioni sarebbero stati effimeri qualora non fossero passati a una lotta politica contro il sistema economico capitalista.

Dalle Università ai quartieri popolari, dal profondo Sud fino a Washington D.C., il carattere popolare della protesta, che gli statunitensi chiamavano gross-roots. come se fosse un torrente in piena, rafforzava la protesta. Alla fine del 1967 il movimento di protesta contro la guerra in Vietnam sembrava ormai consolidato.

3. La fase più acuta

L’anno 1968 fu quello con il più alto grado di conflitto e cominciò con l’intensificarsi della guerra imperialista in Vietnam. In quell’anno la presenza statunitense arrivò a mezzo milione di soldati. Nonostante la stampa embedded statunitense cercasse di nascondere i crimini commessi dalle proprie truppe, una parte dell’opinione pubblica statunitense si rese conto del vero volto della guerra.

il 4 aprile del 1968, durante un comizio a Memphis, anche Martin Luther King fu assassinato da un sicario. La reazione di fronte a questo ulteriore atto di terrorismo di Stato fece esplodere i quartieri popolari delle maggiori città statunitensi. L’omicidio di King non fu il gesto isolato di qualche razzista, ma una fase dell’operazione militare di repressione del dissenso politico sistematicamente condotta in quegli anni.

Il Convegno del Partito Democratico di agosto a Chicago si convertì nel centro di vastissime e imponenti attività di lotta. Tutti i principali gruppi di protesta erano presenti: le Pantere Nere marciarono per le strade, i giovani dell’SDS, occuparono con le loro tende il Lincoln Park. All’imbrunire del giorno il sindaco di Chicago, Richard Daley, ordinò alla polizia di “ripulire l’immondezzaio che occupa abusivamente le strade di Chicago”.

Le proteste di Chicago vennero schiacciate.

Alle presidenziali dello stesso anno si impose il falco repubblicano Richard Nixon, che cavalcava un becero nazionalismo sintetizzato dal suo slogan sulla “pace con onore”, che implicitamente accusava gli oppositori alla guerra di voler svendere la dignità nazionale, con la complicità del Partito Democratico.

I settori di opposizione alla guerra in Vietnam si resero conto di cosa in realtà significasse per Nixon la cosiddetta “pace con onore”, e come questa comportasse nient’altro che una nuova strategia di guerra, per mezzo dell’intensificarsi dei bombardamenti con armi chimiche sul Vietnam e di operazioni militari sotto false flag (falsa bandiera) nel Laos e in Cambogia; dove gruppi di mercenari assoldati e addestrati dalla CIA, compivano azioni paramilitari contro la popolazione civile trattando di farne ricadere la responsabilità sui Vietcong.

Parallelamente continuarono a crescere le azioni repressive del governo, che attraverso ondate di arresti e omicidi, portarono alla fine del 1969 alla disarticolazione delle principali organizzazioni di opposizione alla guerra, compreso il Partito delle Pantere Nere, considerato all’epoca la maggiore minaccia per la sicurezza nazionale.

In quegli stessi mesi si resero pubbliche le foto del terribile massacro perpetrato dai marines ai danni di anziani, donne e bambini nel piccolo villaggio vietnamita di My Lai.

Si decise di convocare una grande giornata nazionale di protesta contro la guerra per il 15 ottobre, denominata Vietnam Moratorium Day.

La manifestazione ebbe un risultato sorprendente: nonostante l’indebolimento organizzativo oltre 600.000 persone in tutti gli Stati Uniti risposero positivamente scendendo in strada.

Alla fine di aprile del 1970 una serie di manifestazioni contro l’invasione militare della Cambogia si svolsero in moltissime università statunitensi. Nell’università del Kent State, Ohio, quattro studenti furono assassinati per mano della Guardia Nazionale. Non pochi furono gli scontri e le rivolte in quasi tutte le università degli Stati Uniti. Oltre 500 università – per ordine della Casa Bianca – furono chiuse, mentre circa 20 furono occupate militarmente dalla Guardia Nazionale. Il 9 maggio, centinaia di migliaia di lavoratori e studenti s’incontrarono a Washington, sotto la Casa Bianca, per denunciare la criminalizzazione del movimento studentesco.

Nel 1970, di fronte al prolungarsi della guerra, alla diffusione del malcontento interno e alle sempre maggiori capacità militari della Resistenza vietnamita, i senatori contrari al proseguimento della guerra ottennero la revoca dei poteri illimitati di cui aveva goduto il Presidente a partire dalla Risoluzione del Golfo di Tonchino.

4. L’ultimo periodo

La fase successiva del movimento si caratterizza per la divisione interna tra i settori sopravvissuti alla campagna militare e giudiziaria condotta ininterrottamente contro di esso e per la sua progressiva riduzione entro vie più istituzionali. La repressione aveva colpito in modo particolarmente pesante le avanguardie del movimento e all’inizio del 1971 divenne chiaro che l’esito positivo delle grandi proteste del 1970 non era sufficiente a unificarlo. Si formarono due principali correnti. La NPAC (Coalizione Nazionale d’Azione per la Pace), che chiedeva il ritiro immediato dei marines dal Vietnam e rifiutava l’appoggio al Partito Democratico, e il PCPJ (Coalizione Popolare per la Pace e la Giustizia), che proponeva di fissare una data per il ritiro delle truppe e prediligeva una propria partecipazione attiva al processo elettorale. La disputa tra il NPAC e il PCPJ si acutizzò quando il senatore McGovern annunciò la sua candidatura per le elezioni presidenziali del novembre 1972. Il PCPJ sostenne apertamente la campagna presidenziale nei campus universitari, mentre la NPAC criticò aspramente la scelta, considerando fosse destinata a indebolire l’azione di opposizione alla guerra in Vietnam. L’aspro confronto tra la NPAC e il PCPJ contribuì a deteriorare ulteriormente il movimento.

Nel gennaio del 1972 Richard Nixon annunciò un’iniziativa consistente nel ritiro graduale di tutte le truppe statunitensi, In questa maniera ripresentò furbescamente la sua cosiddetta “pace con onore”, negoziata e graduale.

Se da una parte la proposta di Nixon rifletteva il delinearsi della vittoria vietnamita attraverso la Guerra del popolo del Generale Vo Nguyen Giap, dall’altra la mossa del presidente degli Stati Uniti sembrava indirizzata a “strappare dalle mani” di MoGovern la bandiera della pace. La tattica gattopardesca attuata da Nixon era chiara: già non si trattava più della dicotomia tra guerra e pace, ma piuttosto tra una “pace negoziata” e una “pace immediata”.

La sconfitta del candidato del Partito Democratico si abbatté sul movimento di protesta contro la guerra, poiché in molti avevano riposto tutte le loro speranze nella vittoria di McGovern.

Alla fine del 1972, l’aviazione nordamericana realizzò i bombardamenti su Hainoi e Haiphong. Questa volta le manifestazioni di protesta non ebbero la forza del passato. L’obiettivo del movimento non andava ormai oltre l’ottenimento della pace e le attese si concentravano solo sui dialoghi di Parigi.

il 27 gennaio del 1973, Kissinger per gli Stati Uniti e Le Duc Tho, a nome della Repubblica Democratica del Vietnam, firmarono l’accordo che prevedeva il ritiro delle truppe USA e la legittimazione del governo rivoluzionario del Fronte di Liberazione Nazionale del Sud Vietnam. In violazione degli accordi di Parigi gli Stati Uniti non cessarono il proprio coinvolgimento e la guerra proseguì tra l’esercito sudvietnamita sostenuto dagli Stati Uniti e le forze popolari del Sud e del Nord Vietnam.

Il movimento di protesta negli Stati Uniti produsse ancora solo le manifestazioni volte a ottenere l’amnistia per gli oltre cinquecentomila giovani nordamericani che rifiutavano di trasformarsi in carne da cannone per gli imperialisti. Obiettivo che venne conseguito alcuni anni dopo con l’amministrazione Carter.

Angela Davis aveva insistito sull’importanza di sviluppare un grande e forte movimento di opinione contro il capitalismo. Ma il movimento non aveva le energie interne per fare complessivamente un salto di qualità politico. Non è stato in grado durante il suo percorso di realizzare gli obiettivi dei suoi migliori e più lungimiranti esponenti, forgiando una vera e propria opposizione di classe. Tuttavia la protesta contro la guerra creò, pur nella parabola, notevoli problemi alle varie amministrazioni statunitensi, che dovettero elevare gli omicidi selettivi e il terrorismo di Stato al rango di comune prassi.

Governo e apparato bellico nordamericano non poterono contare in modo continuativo su quell’egemonia interna che gli aveva assicurato la libertà di manovra per gettarsi nell’avventura bellica indocinese. E non hanno potuto evitare che i guerriglieri vietcong liberassero completamente Saigon il 30 aprile 1975: la “sporca guerra” terminava definitivamente con l’immagine dei resti del regime sudvietnamita che fuggivano in elicottero dal tetto dell’ambasciata statunitense.

*(Scheda storica tratta dal libro di Phan Thi Quyen, Vivere come lui. Nguyen Van Troi, simbolo della lotta di liberazione del Vietnam, Zambon Editore, 2014).

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BIBLIOGRAFIA:

ALOISI Massimo, La guerra chimica. Imperialismo ed ecologia, Bertani Editore, Verona, 1972.
BACHARAN Nichole , Histoire de noirs américains au XX siècle, Editions Complexe, Bruxelles, 1994.
CANOT Robert , L’estate di Watts, Rizzoli Editore, Milano, 1970.
CLEAVER Eldridge, Anima in ghiaccio, Rizzoli, Milano, 1969,
GLABER Martin (a cura di Bruno Cartosio), Classe operaia, imperialismo e rivoluzione negli USA, Musolini Editore, Torino, 1976.
HAL Drapel, La rivolta di Berkeley, Einaudi, Torino, 1966.
HARWEY Pekar, Studenti contro il potere: la storia del SDS, il movimento studentesco protagonista del ’68 americano, Alet Edizioni, Padova, 2008.
JAMES C. L, Baron H.M,, Gutman H.G. (a cura di Cartosio Bruno), Da schiavo a proletario. Tre saggi sull’evoluzione storica del proletariato nero negli Stati Uniti, Musolini Editore, Torino, 1973
MARINE Gene, Black Panthers. Storia delle Pantere Nere, Rizzoli, Milano, 1971.
MEEREPOL Robert, Quando il governo decise di assassinare mio padre e mia madre. Il figlio di Ethel e Julius Rosenberg racconta, Zambon Editore, 2007.
NASO Paolo, L’altro Martin Luther King, Claudiana Editrice, Torino, 1993.
SEALE Bobby, Cogliere l’occasione. La storia del Black Panthers Party e di Huey P. Newton, Einaudi Editore, Torino, 1971.

Alleanza del Pacifico e TPP: prospettive per l’America Latina

AlleanzaPacifico

di Alessandro Pagani – Cubadebate

Prima di cominciare ad analizzare la politica estera degli Stati Uniti del Nord America attraverso l’Alleanza del Pacifico e l’Accordo Transpacifico (TPP), è necessario analizzare la ratio con la quale gli USA, si sono inseriti all’interno della cosiddetta globalizzazione finanziaria con la pretesa di dirigerla. Sia Fukuyama con i suoi discorsi altisonanti di “esportazione della democrazia”, sia Huntington con la definizione fuorviante di “scontro tra civiltà”, non solo si sono fatti portavoce di concetti astratti o poco idonei per comprendere il mondo nel suo divenire, ma rappresentano anche un ostacolo al dialogo pacifico per la pace e l’amicizia tra i popoli.

Influenzati da siffatte concezioni, gli Stati Uniti si ritrovano, oggi, senza una strategia idonea ai nuovi tempi. Se da una parte cercano, infatti, di difendere, la loro posizione egemonica; d’altro canto, è anche vero che questi non hanno un piano credibile per diffondere il proprio ordine mondiale, giacché il sistema economico e finanziario capitalista è giunto ormai all’estremo. Pertanto – secondo non pochi analisti e opinionisti – l’unica opzione che la Roma americana (secondo le categorie utilizzate allora dallo stesso José Marti per definire gli Stati Uniti), ha ancora a portata di mano, per recuperare il proprio dominio imperialista, sembra proprio che sia una guerra di tipo convenzionale. Ciò nonostante, l’idea di impantanarsi in un’altra guerra di lunga durata (in un nuovo Vietnam, per intenderci), assieme all’alto costo che questo provocherebbe, sono alcune delle ragioni per le quali gli Stati Uniti non si sono tuttora gettati in un intervento diretto e hanno preferito, invece, di provocare conflitti di tipo micro – regionali, dove a farne da padroni sono quegli squadroni paramilitari o quei governi allineati ai loro interessi. Il principale problema che Washington ha da risolvere è che gli Stati Uniti non sanno cosa realmente potrebbe avvenire qualora si lanciassero in un conflitto armato e, nello specifico, contro chi dovrebbero utilizzare tutto il loro potenziale tecnologico e militare? Contro i Russi o i Cinesi? o contro entrambi?

Ora, se è vero che gli strateghi militari del Pentagono sono una banda di criminali e terroristi che meriterebbero di essere trascinati di fronte alla Corte Penale Internazionale dell’AJA, d’altra parte, è altresì vero che costoro sono consapevoli che la Federazione Russa o la Repubblica Popolare cinese non sono affatto l’Irak, l’Afganistan o la Libia e che, pertanto, nell’epoca delle “guerre senza limiti”, una guerra ad alta intensità rappresenterebbe una scelta disastrosa per gli obiettivi di dominio imperialista del capitale. Portare il mondo ai limiti di una catastrofe nucleare, dissolverebbero in pochi secondi i profitti che si nascondono dietro a tutte le guerre di carattere imperialista che scoppiano e che – come ebbe a dire Lenin – sono orchestrate con il fine di saccheggiare le risorse naturali del Paese che è aggredito; ovvero, per distruggere e ricostruire le infrastrutture con i capitali delle proprie imprese transnazionali. Insomma, una guerra termonucleare disintegrerebbe sia le risorse naturali e umane in pochi secondi, e il capitale non può permettersi questo, giacché il principale interesse non è di estinguere la specie umana (anche se talvolta sembra questa sia la loro tendenza predominante), bensì di sfruttarla, attraverso quello che Marx definì – correttamente – come “lavoro astratto”.

Cosicché il Pentagono, di fronte a tale scenario, ha attuato la dottrina militare della guerra di “Quarta Generazione”; vale a dire, di una catena di guerre di tipo micro – regionale (vedi: Afganistan, Irak, Siria, Ucraina), e mai una guerra simmetrica, che provocherebbe senz’altro un intervento diretto di altre potenze militari come la Russia e Cina. Sicché, vediamo come la mancanza di una strategia bellica ben definita da parte degli USA – assieme al fatto di aver perso la leadership come prima economia del mondo: la Cina ha superato gli Stati Uniti da parecchio tempo – abbia messo in serio pericolo la sopravvivenza degli interessi nazionali statunitensi che sono, principalmente, quelli delle multinazionali transnazionali, della finanza, dell’industria tecnologica – militare e delle lobbie che decidono la politica interna ed estera di Washington.

In questo senso va letto, da una parte, il colpo di Stato in Ucraina, dove gli Stati Uniti hanno sostenuto militarmente ed economicamente alle bande paramilitari neofasciste di “Settore Destro”; e dall’altra parte, la politica aggressiva portata avanti dagli stessi in tutto l’Emisfero Occidentale, contro i Paesi membri dell’ALBA-TCP, in generale, e Cuba, Venezuela ed Ecuador, nella fattispecie. Ed ecco che, proprio per queste ragioni, vediamo come gli Stati Uniti sono sempre più propensi a svolgere il loro sguardo anche in quello che hanno sempre considerato come il loro “giardino di casa”: l’America Latina e i Caraibi. Questo per molteplici ragioni, tra queste vi è il fatto che l’America Latina rappresenta geograficamente il confine tra centro e periferia dell’Impero e che è assai ricca di tutte quelle risorse naturali utili ad alimentare quella stessa industria bellica statunitense che abbiamo menzionato.

Ora, questa politica imperialista si pone in essere quando vediamo come, per esempio, l’aquila fascista del Nord cerca di spezzare la consolidazione di alleanze strategicamente importanti per la realizzazione del sogno bolivariano e martiano di una Patria Grande in quella che José Martì ebbe a definire come “Nuestra América”; vale a dire: la creazione di una Confederazione di Repubbliche sovrane e indipendenti dagli Stati Uniti del Nord America. In questo senso, va analizzato lo sforzo degli USA di scardinare le nuove triangolazioni che si sono concretate all’interno di blocchi regionali tra i “Sud” del mondo; ovvero: la creazione di organismi internazionali come l’ALBA-TCP, l’UNASUR, la CELAC, i BRICS e il G77+la Cina. Ergo: per contrarrestare suddette istituzioni, Washington ha creato parallelamente altre organizzazioni micro – regionali come l’Alleanza del Pacifico tra Messico, Colombia, Perù e Chile e l’Accordo del Transpacifico nel sud est asiatico.

Per comprendere a fondo la politica degli Stati Uniti nella regione “Asia – Pacifico” e, quindi, anche in America Latina e nei Caraibi, è importante soffermarci ad analizzare il concetto di “sguardo verso il Pacifico”, o se preferiamo, “verso il Sud” e che vanno interpretati attraverso la genesi storico e politica delle relazioni interamericane; là dove risulta evidente un’evoluzione perversa e inquietante dei rapporti stessi. Ebbene, quando analizziamo la formazione degli Stati Uniti del Nord America, va ricordato che essi hanno sempre rivolto i loro interessi – il loro “sguardo” – in direzione del Pacifico (Asia) e verso il Sud (America Latina). Una volta portato a termine il processo di “conquista del grande Ovest” – attraverso il genocidio delle popolazioni ancestrali nordamericane – e di saccheggio e occupazione di oltre metà del territorio messicano (California, Nuovo Messico, Colorado, Nevada, Texas, Florida, sono territorio messicani!), cominciarono a proiettarsi verso il Pacifico, mettendo in piedi una proiezione geopolitica e strategica che andava oltre il Pacifico: verso l’Asia. Insomma, se concentriamo le nostre ricerche verso la storia delle Relazioni Internazionali, dalla Dottrina Monroe fino al crollo dell’URSS, dagli anni Novanta del secolo passato fino a oggi; se analizziamo siffatte relazioni, vediamo come taluni progetti che sono stati sviluppati dopo la “fine” della guerra fredda, allorché si parlava già del ruolo da protagonista che in pochi anni avrebbe svolto la Cina, l’India e il Giappone nel campo delle relazioni commerciali, e quindi di come, concretamente, l’Asia e il Pacifico avrebbero rappresentato nei sogni imperialisti dei neo conservatori negli Stati Uniti, il “Nuovo Continente” dove l’aquila del Nord avrebbe dovuto svolgere il proprio sguardo, comprenderemo non poco l’insieme della politica estera della Casa Bianca di oggi.

Ed ecco che, proprio per questa ragione, gli USA hanno fabbricato a livello mediatico -fomentando la guerra psicologica come arma di tipo non convenzionale – i “Nuovi Nemici” della cosiddetta “democrazia” a stelle strisce e che sono rappresentati da quei Paesi che possono creare nuove geometrie (o triangolazioni) all’interno delle relazioni internazionali e, nello specifico, nell’asse Sud – Sud all’interno del “continente” Asia – Pacifico (America Latina, Cina e Russia). Trattasi, invero, di una “rivoluzione passiva” (secondo le categorie utilizzate da Antonio Gramsci), o se si preferisce, di una “controrivoluzione conservatrice” che gli Stati Uniti del Nord America stanno cercando di portare avanti a scapito del progetto di unità e integrazione latinoamericana e caraibica oggi in pieno sviluppo in tutto l’Emisfero Occidentale. Orbene, da quando è sorta suddetta Alleanza del Pacifico e svolgendo le nostre attenzioni agli attori che fanno parte di siffatta alleanza, è difficile non accorgersi che quattro dei Paesi membri sono rappresentati da Governi che avevano già firmato in precedenza accordi bilaterali di tipo economico e militare con Washington.

Nel campo economico, tutti avevano firmato il Trattato di Libero Commercio – il TLC – con gli Stati Uniti. A livello militare, questi avevano concordato di rinunciare alla propria giurisdizione territoriale in nome della cosiddetta (e mai attuata!) “guerra al narcotraffico”. Stiamo parlando – ovviamente – del Messico di Felipe Calderon, della Colombia, nel momento stesso che si era prodotto un “cambio” dovuto alle elezioni presidenziali tra Alvaro Uribe e Manuel Santos; quest’ultimo aveva firmato non pochi accordi di grande interesse per gli USA nel campo strategico – militare. Molti di questi accordi si consolidarono ancor di più in seguito al Vertice delle Americhe che si realizzò in Colombia nel 2011. Nel caso del Perù, nonostante il “cambio” di governo, e rammentando che l’iniziativa inizialmente fu di Alan Garcia, il Governo di Olanda Humala non fece nulla per invertire tale politica; anzi, la incrementò dandogli una parvenza legale e istituzionale.

Anche in Cile con la vittoria della cosiddetta destra “moderata” cilena di Piñera al potere, furono firmati non solo taluni accordi militari, ma anche il già noto TLC con gli Stati Uniti. Scopo di tale politica statunitense – attraverso questi accordi raggiunti – era quella di porre le basi per un’ Alleanza del Pacifico come parte di un “nuovo” progetto di Egemonia Corazzata di Coercizione (secondo la definizione utilizzata da Antonio Gramsci), attuo a dividere e dominare l’Emisfero Occidentale, e per sfiancare – infine – gli sforzi di integrazione e unità latinoamericana; di costruzione di nuovi paradigmi verso la costruzione di un Nuovo Ordine Mondiale multipolare, multicentrico, multiculturale, che oggi sono all’ordine del giorno nelle discussioni dei movimenti sociali, dei governi e dei paesi che conformano istituzioni come l’ALBA-TCP, la UNASUR e la CELAC. Come se questo non bastasse, Barack Obama ha accettato di farsi portatore per quegli interessi nazionali quivi summenzionati; cioè, di portare a compimento la missione di costituire il Trattato del Trans Pacifico (TTP), là dove – guarda caso – i referenti latinoamericani sono gli stessi che già fanno parte dell’Alleanza del Pacifico.

Mentre i Paesi asiatici soci degli Usa sono il Giappone, l’Indonesia e le Filippine. Invero, quando cerchiamo di analizzare in profondità la strategia militare degli Stati Uniti nell’Emisfero Occidentale, rappresentata dal “Gruppo di Santa Fe”, vediamo come questa si basi sul presupposto che le Forze Armate Nordamericane devono concentrarsi nell’area dell’ Asia – Pacifico”, attraverso il pretesto di appoggiare e proteggere i propri soci in quello che loro definiscono come “sicurezza degli interessi nazionali” in America Latina e nei Caraibi contro il narcotraffico.

Ciò nondimeno, ciò che in realtà gli Stati Uniti vogliono, non è debellare il traffico di droga, bensì di impossessarsi di quelle risorse naturali imprescindibili per il sostegno effettivo di tutto il loro macchinario economico – militare, che abbiamo già analizzato prima. Ora, non c’è dubbio che questi elementi assai preoccupanti, fanno pensare che quando vediamo che attraverso la guerra mediatica e psicologica si cerca di creare un nemico che, secondo la congiuntura può essere la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, la Rivoluzione Cubana o la Rivoluzione Cittadina in Ecuador, dietro vi è senz’altro una controffensiva imperialista e fascista per sgretolare e – infine – distruggere progetti come l’ALBA-TCP, la UNASUR e la CELAC; vale a dire: la libera e giusta emancipazione dei popoli dal giogo imperialista.

In questo senso, vanno interpretate quelle politiche sempre più aggressive contro il Venezuela del Primo Presidente Operaio di “Nuestra América”, Nicolas Maduro e contro la Rivoluzione Cittadina in Ecuador; il blocco genocida contro Cuba socialista, la “Colombianizzazione” del Messico; il “golpe istituzionale” in Paraguay; la questione dei cosiddetti “fondos buitres” in Argentina e il colpo di Stato fascista in Honduras; il ritorno in auge della Quinta Flotta degli Stati Uniti e l’aumento della presenza militare statunitense in America Latina, attraverso la creazione di nuove basi militari nordamericane in Colombia e nella Triple Frontera tra Uruguay, Argentina e Paraguay; il subdolo tentativo (scartato dal Congresso e dalla Corte Suprema colombiana) di far entrare questo Paese nella NATO, rappresentano dei precedenti assai gravi e preoccupanti in una regione dichiarata da UNASUR come territorio di pace. Sicché nel mezzo di una crisi strutturale (e non congiunturale!) del sistema finanziario capitalista, dovuto principalmente dalla cosiddetta caduta (tendenziale) della tassa di profitto – che Marx spiega con precisione nel Capitale -, la Casa Bianca sta cercando di porre in essere una ristrutturazione delle proprie priorità geopolitiche verso “l’area Asia – Pacifico”, passando, finanche, per l’assoggettamento di quello che costoro definiscono, ancora, come il proprio “patio trasero”: l’America Latina e i Caraibi.

Le ragioni sono semplici, e se non basta quanto detto fino a ora – a rischio di essere ridondanti – è necessario sottolineare ancora che gli Stati Uniti abbisognano per alimentare il proprio sistema economico, finanziario e militare di dominio a livello mondiale dell’America Latina; là dove, la presenza di non poche risorse strategiche (minerali, acqua dolce, biodiversità e petrolio) rappresentano il sostegno di quello che molti analisti e opinionisti amano definire come “complesso tecnologico e militare nordamericano”.

Ora, se dinanzi a tutto questo aggiungiamo l’importanza che la regione riveste a livello mondiale; se pensiamo che in America Latina siano presenti gli unici transiti e scali tra l’Atlantico e il Pacifico; se pensiamo che la Cina e la Russia stanno invertendo tutte le proprie energie nella realizzazione di un Grande Canale Interoceanico tra l’Atlantico e il Pacifico, come nella costruzione di un importante scalo industriale – marittimo nel porto de L’Avana (Cuba), comprendiamo, allora, l’ansia degli Stati Uniti di scardinare queste nuove triangolazioni tra i Paesi membri dell’ALBA-TCP la Russia e la Cina stessa attraverso l’incremento della guerra a bassa intensità in Venezuela.

D’altro canto, è altresì chiaro, pertanto, l’importanza da parte dei popoli lavoratori latinoamericani – se vogliono raggiungere il sogno bolivariano e martiano di una Patria Grande latinoamericana, verso la seconda e definitiva indipendenza, il loro impegno rivoluzionario deve passare attraverso il consolidamento di queste nuove relazioni internazionali, sulla base del rafforzamento dell’integrazione e dell’unità latinoamericana, che solo può avvenire attraverso una rottura rivoluzionaria del sistema capitalista e delle sue principali categorie – come la “legge del valore” nelle relazioni commerciali internazionali – verso un sistema basato sulla pace con giustizia sociale, su l’amicizia, la solidarietà e la cooperazione tra i popoli di tutto il mondo; primo passo per la costruzione dei “Nuestros socialismos” in America Latina e in tutto il mondo.

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