(FOTO) Haiti brucia

di Roberto Vallepiano 

Vi ricordate quando ci fu il terribile terremoto che devastò Haiti?
Cuba mandò centinaia di medici, gli USA migliaia di soldati.

Ad Haiti, da diversi giorni, è in corso una vera e propria insurrezione popolare contro il corrotto governo liberista sul libro paga degli Stati Uniti. Una lotta di popolo che ha già lasciato decine di vittime sull’asfalto.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono stati gli aiuti economici e umanitari che il Venezuela di Nicolas Maduro ha inviato al martoriato popolo haitiano. Invece che essere consegnati alla popolazione sono finiti nelle tasche dei governanti filoUSA.

Ne avete sentito parlare? No, i mass media occidentali oscurano volutamente le vere rivoluzioni anticolonialiste e antimperialiste per concentrarsi ossessivamente sulle “rivolte colorate”, vere e proprie destabilizzazioni golpiste sponsorizzate dalla CIA come in Venezuela.

Emblematico anche l’assoluto silenzio da parte della sinistra boldriniana: evidentemente i neri interessano soltanto nel ruolo di vittime o di schiavi, ma se si ribellano e lottano scompaiono subito dai radar.

Ad Haiti i manifestanti sono scesi in piazza bruciando le bandiere a stelle e strisce, chiedendo aiuto e sostegno alla Russia di Putin, alla Cina, a Cuba e al Venezuela.

Il leader della lotta, Bronson, ha definito il Presidente Moise e l’ex capo di stato Martelly dei tirapiedi di Washington: “Vogliamo sancire la definitiva rottura con gli USA, non ne possiamo più dell’occupazione americana”.
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La Cina sempre più vicina

di Pino Cabras*

Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio mi perdonerà se gli racconto già alcuni pezzi della trama del grande film cinese che vedrà nella sua visita ufficiale a Chengdu, nel cuore del Sichuan, il prossimo 20 settembre. Di Maio resterà fortemente colpito, come chiunque visiti per la prima volta questa smisurata megalopoli. E proverà stupore per la dimensione titanica dell’immenso spazio urbano ridisegnato con un’impressionante accelerazione della storia, così come per la fitta rete di grandi autostrade su più livelli, percorse da grosse auto di marche tedesche, giapponesi e cinesi, in corsa fra migliaia di altissimi edifici, grattacieli e insediamenti, che si slanciano verso il cielo grigio e umido in un’area piatta e urbanizzata grande quanto l’intera Campania.

Se il boom italiano degli anni sessanta conserva ancora oggi l’inerzia di quello slancio che lasciava stupefatto un paese agricolo che in poco tempo diventava industriale, qui siamo di fronte a un salto cento volte più travolgente ed energico, in grado di colmare i secoli in un decennio, in una città passata in poco tempo da 5 a 17 milioni di abitanti. La prima linea della metropolitana di Chengdu è stata inaugurata nel 2010, oggi siamo già all’inaugurazione della quinta linea, e nel 2030 la rete della metro servirà con decine di linee una città di oltre 25 milioni di abitanti. Chengdu sarà lo snodo centrale della Belt and Road Initiative (BRI), la nuova Via della Seta che integrerà lo spazio eurasiatico e coinvolgerà la maggior parte della popolazione mondiale. 

Su invito delle autorità cinesi ho partecipato con una delegazione di politici, imprenditori, diplomatici e ricercatori di tutta Europa a un intensissimo programma di dieci giorni tra Pechino e Chengdu. Un vortice di incontri e visite presso istituzioni, imprese innovative, scuole di partito, agenzie internazionali, mirante a stabilire relazioni solide fra la Cina e le personalità che in Europa vogliono comprendere e partecipare al grande impulso della BRI. Gli interlocutori che ho trovato in Cina stanno passando al setaccio ogni novità di ciascun paese europeo e perciò manifestano molta attenzione nei confronti del Movimento Cinque Stelle e del governo da esso guidato. Questo interesse mi ha aperto molte porte presso gente concreta e desiderosa di capire.

A Pechino ho visitato la fabbrica della Beijing Electric Vehicle (BJEV), i concorrenti della più famosa e americana Tesla nella produzione di veicoli elettrici. Ne hanno già prodotto 250mila e puntano a essere leader mondiali del nuovo mercato. Un dirigente BJEV si lascia scappare una battuta: «La Tesla è un costoso giocattolino per ricchi, noi siamo i fornitori di auto elettriche per le masse a prezzi popolari». Con il corrispettivo di 16mila euro, un cittadino della classe media cinese può portarsi a casa una berlina con un’autonomia di quasi 500 km a ogni carica, mentre crescono le infrastrutture che diffondono in mezza Cina i punti di rifornimento dedicati ai veicoli elettrici. Ed è ormai pronto a entrare in produzione un nuovo sistema che è l’uovo di Colombo rispetto ai tempi lunghi delle ricariche, ossia il cambio di batteria presso i punti di rifornimento: anziché aspettare ore per ricaricare, togli la batteria (ormai più piccola, compatta ed estraibile) quando è scarica e la sostituisci ogni volta con una già ricaricata. Solo il tempo ci dirà se davvero milioni di persone passeranno all’auto elettrica, e se questo sia il modello giusto di mobilità. Intanto gli investimenti accelerano e il settore automobilistico cinese nel suo insieme è trainante. In Italia in molti santificano i dirigenti Fiat, ma la storia ci ha già detto che non si sono mai accorti del risveglio dello sterminato mercato cinese. Dovremo tutti essere migliori dei dirigenti Fiat, per i tanti campi dell’economia che non sono irrimediabilmente perduti. L’attimo è ora.

Racconterò a parte delle altre imprese ad alta tecnologia che ho visitato a Pechino e nel Sichuan, dei parchi scientifici, delle migliaia di ingegneri che hanno regalato alla optoelettronica cinese la leadership per gli schermi ad altissima definizione, e così via. Mi concentro ora su un dato più politico di questa missione.

Ho fatto da portavoce dell’intera delegazione nella serata finale del programma, dove ho pronunciato un discorso durante l’incontro ufficiale con il vicepresidente e responsabile delle Finanze del Sichuan, Ouyang Zehua, e altri dirigenti di questa regione di 91 milioni di abitanti, vasta quanto la Francia. Ouyang è un signore molto dinamico dallo sguardo ironico e curioso che sprizza ottimismo e pragmatismo da tutti i pori, mentre snocciola i risultati economici, e ne ha ben donde: il tasso di crescita del PIL del Sichuan nel 2018 è dell’8,2% in un anno, in aggiunta a una lunga serie storica di dati formidabili. L’orgoglio del dirigente cinese si combina con una cosa molto italiana: la passione per il cibo, la sua varietà, il suo legame con la cultura e il territorio. Il Sichuan è probabilmente l’area del pianeta che condivide di più con l’Italia una precisa caratteristica, ossia la ricchezza dell’assortimento di tradizioni culinarie, con infinite varianti subregionali spesso raffinatissime. Ora che il Sichuan ha ben motivate ambizioni da “ombelico del mondo”, combina questa sua millenaria tradizione gastronomica con un’apertura schietta e curiosa verso altre tradizioni. Il vino è ormai sempre più presente a tavola, e anche i formaggi e altri prodotti agroalimentari europei. Perciò prendete nota e siateci! Non siate come gli Agnelli e i loro manager sempre sopravvalutati! Un ottimo punto di partenza è la Western China International Fair di Chengdu che apre il 20 settembre 2018. Di Maio rappresenterà un’Italia in veste di paese ospite d’onore.

I pianificatori della nuova megalopoli, che abbiamo incontrato presso un parco scientifico dove tutto viene programmato come se il videogame Simcity prendesse davvero corpo, ci mostrano con grande orgoglio il gigantesco plastico della Chengdu del 2034. Non ragionano come i palazzinari a corto raggio nostrani, anche se non credo siano meno spregiudicati. Mentre oggi lo sviluppo asimmetrico di Chengdu sembra concentrarsi in mille mostruose lingue di cemento che turbano minacciosamente qualsiasi senso della misura urbanistica da noi conosciuta, per il futuro – un futuro immediato – la cura per la dismisura è un’ulteriore dismisura. Cioè un colossale rimodellamento e ri-bilanciamento dei poli di sviluppo, un investimento-monstre su “scala cinese” in tecnologie verdi, energie rinnovabili, opere idrauliche di rinaturalizzazione del paesaggio. Nel gioco Simcity puoi cambiare il paesaggio con la tempistica degli umani, ma puoi divertirti a usare il “God Mode”, la “modalità di Dio”, e mettere fiumi e laghi dove non c’erano e farlo in tempi rapidissimi. Ed ecco che nella Chengdu reale le aree dedicate a parchi avranno ciascuna dimensioni paragonabili a una grande città italiana, con specchi d’acqua estesi e insenature suggestive.

Il nuovo cuore di Chengdu sarà una città nella città, tutta da sviluppare, il nuovo distretto di Tianfu.

Si tratta di una città-parco dove si concentreranno le attività commerciali e scientifiche legate alle nuove rotte eurasiatiche. Sarà tutto costruito entro sette anni, avrà una superficie di circa 600 kmq (superiore a quella di Roma entro il Grande Raccordo Anulare), i grattacieli più alti della Cina occidentale e dieci linee di metropolitana distinte dalle altre decine di linee del resto della città di Chengdu, un’enorme stazione ferroviaria che collegherà Chengdu a mezzo mondo, incluse le nuove linee superveloci. Ricordiamo che molte città cinesi si collegheranno entro pochi anni con treni a levitazione che viaggeranno a velocità vicine ai mille km/h.

Chengdu ha già un aeroporto da 45 milioni di passeggeri l’anno. Nel 2020 inaugureranno un secondo aeroporto internazionale da sei piste con altri 90 milioni di passeggeri l’anno. Il Sichuan diventerà la meta di un turismo d’affari che non si limiterà a vedere il parco dei panda (a proposito, sono bellissimi!). Sarà anche la base di partenza di una ormai vasta classe media pronta a girare quell’Europa che saprà accoglierla. Non dimentichiamo che a un’ora e mezzo da Chengdu c’è un’altra megalopoli ultramoderna, Chongqing, con i suoi 30 milioni di abitanti, anche loro parte di una “affluent society” pronta a viaggiare e già in pieno respiro internazionale. 

Quanti giornalisti e politici italiani si curano di raccontare queste città, dal peso demografico e industriale così cospicuo? Davvero pochi. È davvero così difficile raccontare un mondo così importante per il futuro nostro e dei nostri figli e smarrirlo invece come una traccia muta e indecifrabile? Non è un tantino squilibrata un’informazione che della Cina sa restituire ai cittadini solo il luogo comune dell’involtino primavera (mai visto in tutto il viaggio) o dei negozi di chincaglierie a poco prezzo? È come se di un grande palazzo sontuoso, fresco di lavori e ricco di tesori, si volesse vedere solo lo sgabuzzino delle scope. Troppi giornali italiani sanno vedere solo i bugigattoli della Storia, e infatti puzzano di muffa.

Sino a poco tempo fa, persino agli occhi di chi in Europa prendeva le decisioni che contano, Chengdu e altre grandi realtà cinesi erano solo dei luoghi remoti, un puntino ignoto sulla cartina dell’Asia. Ma oggi Chengdu e il Sichuan influenzeranno in modo diretto il lavoro di chi in Europa fa le leggi, programma le decisioni economiche e fa impresa, qualsiasi settore voglia considerare. 

Solo una parte è pronta a questa nuova realtà, mentre dobbiamo esserlo tutti. 

Ad esempio, vogliamo regalare alla Polonia il ruolo di principale terminale europeo della BRI, accontentandoci delle diramazioni secondarie? Oppure dobbiamo guardare all’Africa, dove la Cina ha innescato un altro gigantesco processo economico? Cioè guardare alla nostra geografia, alla nostra profondità strategica, a dove si collocano la penisola iberica, la Sardegna, la penisola italiana, la Sicilia. 

Ho chiesto dunque ai dirigenti cinesi se i terminali delle Vie della Seta fossero una pianificazione ormai conclusa, o se fossero aperti ad altre iniziative. 

«Naturalmente siamo aperti – mi risponde Ouyang – e penso anche che tra gli investimenti in Africa e quelli in Europa ci debba essere una cerniera». Il che corrisponderebbe a chiudere il cerchio. Colgo l’occasione per parlargli – come avevo già fatto con altri dirigenti cinesi – del grande valore pratico e simbolico che avrebbe una rapida ricostruzione congiunta del ponte di Genova con i campioni cinesi delle infrastrutture, una goccia rispetto al mare di cose che si possono fare, ma una goccia importante. Ouyang coglie la portata della proposta, e mi rivela che la prossima settimana ci sarà proprio a Chengdu un concerto dell’orchestra di Genova in memoria delle vittime, nel bellissimo auditorium da poco inaugurato. La cosa mi sorprende e mi fa piacere, forse avevo visto giusto. 

Facciamo in modo che le buone idee si diffondano, come le emozioni della musica.

* Parlamentare portavoce M5S 

La visita di Maduro in Cina

di Rete “CaracasChiAma”

#Venezuela Il presidente Maduro, ha sottolineato il successo della sua visita ufficiale in Cina, dove sono stati firmati 28 accordi nel settore petrolifero, economico e sociale.

 
“Abbiamo firmato impegni finanziari per la crescita della produzione di petrolio, della produzione di oro e per investimenti in oltre 500 progetti di sviluppo in Venezuela”, ha affermato.
 
Durante il suo soggiorno, il Capo dello Stato ha avuto una serie di incontri politici e diplomatici con le più alte autorità del gigante asiatico.

“Abbiamo avuto 3 ore e mezza di lavoro continuo con il presidente Xi Jingping, aprendo una nuova era nel rapporto tra i due paesi”, ha sottolineato.
 
Ha anche ricordato che venerdì ha tenuto riunioni di lavoro con il presidente dell’Assemblea popolare nazionale cinese, Li Zhanshu e con il primo ministro Ly Keqiang per valutare gli accordi che sono stati raggiunti.
 
Ha ribadito che il programma di ripresa economica, crescita e prosperità è iniziato con successo ed è stato sostenuto dal management cinese, dal presidente Xi Jinping e dalle istituzioni bancarie e di cooperazione internazionale.
 
“Questa visita rilancia il rapporto tra Cina e Venezuela in un momento chiave, stimola fortemente il processo di crescita dei 16 motori produttivi del programma di governo venezuelano e dà anche grande stabilità a tutto ciò che ha a che fare con il processo di produzione petrolifera”, ha detto.

Cina e USA: un confronto nella selezione della leadership

Xi Jinpingdi James Petras

La selezione statunitense dei leader non ha praticamente nulla a che fare con processi democratici e risultati. Risulta utile confrontarla con il processo cinese. Nella maggior parte dei casi, la selezione dei dirigenti in Cina è molto più meritocratica, basata sul rendimento e sulle effettive realizzazioni. Sia negli Stati Uniti e che in Cina, il processo manca di trasparenza.

 

La leadership economica, politica e culturale negli Stati Uniti

La scelta dei leader economici, politici e culturali statunitensi si basa su diverse
procedure non democratiche:

  1. Ereditarietà tramite legami familiari;
  2. Accesso personale al credito e al finanziamento;
  3. Patrocinio politico;
  4. Vendita e acquisto di uffici e favori lobbistici e d’elite;
  5. Legami coi media;
  6. Repressione politica e manipolazione delle procedure elettorali;
  7. Durata in cariche pubbliche e uso delle risorse statali;
  8. Nepotismo etno-religioso;
  9. Gerarchia interna di partito;
  10. Decisioni a partito chiuso (opacità);
  11. Capacità di tenere segreti.

I leader, sia nominati, che auto-nominati o selezionati attraverso il denaro, i media, le reti d’elite, trasformano nel sistema U.S.A. il processo elettorale in un retro-pensiero virtuale. I leader economici statunitensi hanno aumentato il flusso di profitti produttivi e gli investimenti verso il settore finanziario e/o esternamente all’estero verso i paradisi fiscali.

I leader politici statunitensi hanno aumentato le spese militari e le guerre, deviando fondi pubblici provenienti dai servizi sociali interni e dal welfare, diminuendo la crescita economica interna e i mercati per gli investimenti e i commerci.
I leader culturali degli Stati Uniti sono stati premiati per la difesa, la promozione e la mistificazione delle conquiste imperiali e per denigrare nazioni e leader indipendenti.

Sono stati anche premiati per promuovere il consumismo più degradante e frivolo, minando la coesione sociale e delle comunità.

La mancanza di trasparenza, nel processo di selezione negli Stati Uniti, dei leader dellemaggiori banche d’investimento, dei partiti politici, degli uffici legislativi ed esecutivi e nell’accademia sta crescendo a un ritmo allarmante e con notevoli conseguenze negative: i leader negli Stati Uniti non devono passare rigorosi esami né affrontare confronti con i loro pari per competenza nei rispettivi settori di lavoro.

I leader aziendali degli Stati Uniti non sono giudicati dai loro successi economici e politici.

Responsabilità per guerre disastrose, salvataggi corrotti delle banche, crisi finanziarie spese di assistenza sanitaria schizzate alle stelle non squalificano un candidato per posizioni di leadership. I criteri  incentrati sul risultato non costituiscono la base per la selezione dei leader di Congresso e presidenziali. I fattori decisivi che influenzano la selezione politica sono la capacità di promuovere interessi d’elite, perseguire guerre imperiali, allo scopo di gratificare le ambizioni e l’avidità di civili militaristi e mascherare la corruzione diffusa che ingrassa le ruote della speculazione.

 

Cina: consultazione, meritocrazia e risultati

I leader cinesi sono selezionati sulla base di una consultazione multi-livello, della meritocrazia e dei risultati riportati in carica. Il recente congresso del partito della Cina ha evidenziato tre aspetti di vitale importanza: la riduzione delle diseguaglianze, il contrasto al degrado ambientale e l’assistenza sanitaria.

Al contrario, le elezioni del Congresso americano dello scorso anno si sono concentrate sull’impegno a ridurre le imposte sulle società per il super-ricco, nonostante la crescente disuguaglianza sociale ed economica, la rimozione delle regole statali e federali per la protezione della popolazione e dell’ambiente da inquinanti aziendali e a ridurre i finanziamenti pubblici per l’accesso a un’assistenza sanitaria competente,
minando il benessere del cittadino ed aumentando l’aumento delle morti premature e le aspettative di vita diminuite per i poveri e la classe operaia.

L’elite politica americana è piena di negazionisti del “cambiamento climatico” e dei peggiori tipi di inquinamento.

Il Congresso americano ha speso una quantità enorme di tempo e di energia a perseguire cospirazioni di parte, al tempo stesso in cui rifiutava di affrontare la furiosa epidemia di dipendenza narcotica a prescrizione, che ha ucciso oltre 600.000 americani in 15 anni.

Il presidente Xi Jinping ha chiesto ai dirigenti cinesi di dirigere i loro sforzi per correggere lo ‘sviluppo sbilanciato e inadeguato e le crescenti esigenze del popolo di  una vita migliore’. Il presidente Xi ha sottolineato l’obiettivo di ‘ecologizzare l’economia’, menzionandolo 15 volte nel suo indirizzo al Congresso del Partito – in confronto all’unica volta nella precedente riunione del Partito (FT
17/11/17, pag. 11).

Gli investitori pubblici e privati ​​cinesi hanno risposto alle priorità fissate da Xi e gli indici di investimento sono lievitati in questi settori (FT 11/11/17, pag. 11).
Al livello superiore, la direzione si impegna in consultazioni e dibattiti tra le elites in competizione, discutendo i risultati passati e presenti nello sviluppo di politiche attuali e future.

A livello intermedio, sono determinanti verifiche ultra-competitive da parte di organi pubblici nella selezione e nella nomina dei funzionari cinesi.

Al livello superiore e medio, il livello delle prestazioni di lavoro della leadership è uno dei fattori principali nella determinazione della selezione.

I quattro decenni di spettacolare crescita economica che hanno tirato fuori dalla povertà 500 milioni di persone cinesi sono un riflesso del sistema efficace di selezione e promozione dei leader.

Mantenere la pace e l’amicizia con altri paesi per oltre quarant’anni – eccetto un breve conflitto di confine con il Vietnam nel 1979 – è stato un fattore importante che influenza la selezione della leadership.

Al contrario, nonostante molte guerre disastrose e brutali, i presidenti Clinton, Bush e
Obama sono stati rieletti in carica in un sistema di duopolio di due partiti, considerato universalmente ‘truccato’. L’effetto di queste guerre sul deterioramento dell’economia domestica statunitense non si riflette sulla selezione dei candidati o sull’esito delle elezioni presidenziali o congressuali.

La Cina ha selezionato leader che hanno evidenziato capacità e serietà nell’indagare epunire oltre un milione di funzionari e plutocrati corrotti. Gli investigatori anti-crimine  sono stati riconosciuti come leader ‘puliti e dediti al lavoro’.

Al contrario, l’amministrazione statunitense ha ripetutamente nominato i criminali di Wall Street a posizioni di alto livello nel Tesoro, nella Federal Reserve e nel FMI con risultati disastrosi per la cittadinanza, senza capacità di analisi o correzione.
Uno dei meccanismi di partito più selettivi e prestigiosi si trova nel
Dipartimento delle organizzazioni (OD) del Partito comunista cinese (FT 10/30/17, pagina 9). L’OD incontra privatamente ed esamina i candidati alla leadership sulla base di una ‘complessa combinazione di nomine, esami scritti e orali, indagini, un voto a maggioranza dei ministri. I leader, così selezionati, assumono la responsabilità collettiva – e non si posizionano in base alla ‘fuga di decisioni” (FT ibid)….

 
Conclusioni

Sia negli Stati Uniti che in Cina la selezione dei leader non si basa su elezioni o
consultazioni dei cittadini
. Tuttavia, ci sono grandi differenze nel processo e nelle procedure di selezione dei dirigenti, con conseguenti enormi differenze nei risultati.

La Cina è in gran parte una meritocrazia, con vestigia di nepotismo familiare, specialmente in riferimento ad alcune interconnesioni stato-mondo degli affari.

I risultati contano molto, e la maggior parte dei cittadini approva la leadership del partito cinese per il successo economico e socio-economico di lungo periodo della Cina.

Al contrario, nella stragrande maggioranza, i cittadini degli Stati Uniti i cittadini sono cinici e insoddisfatti con gli appuntamenti economici più importanti, a causa dei loro
documentati guasti socio-economici passati e presenti. I cittadini rivolgono la loro più grande costernazione ai leader finanziari più importanti (che considerano oligarchi corrotti), che hanno fatto entrare il nostro Paese in crisi ripetute, guerre perpetue, crescenti disuguaglianze e profonda e diffusa povertà. La perdita di
impieghi stabili e ben pagati e il deterioramento della coesione della comunità e della famiglia ha oltraggiato i cittadini, perché questi sono in netto contrasto con la pervasiva e profonda corruzione nelle alte sfere e una quasi totale impunità giudiziaria per gli alti funzionari, i politici e gli oligarchi.

La persecuzione in Cina dei leader corrotti non ha alcuna controparte negli Stati Uniti.
Le tangenti dal mondo degli affari ai politici sono legalizzate negli Stati Uniti, quando sono chiamate ‘campagna’ di finanziamento o ‘onorari per consulenza’. Basti pensare agli onorari da mezzo milione di dollari a conferenza pagati ai Clinton da parte dei finanziatori di Wall Street per i loro 30 minuti di banalità e piazzismo da illusionisti.

Nel campo della politica estera, i leader cinesi difendono il loro interesse nazionale. I leader degli Stati Uniti si inchinano spudoratamente ai lobbisti israeliani, promuovendo gli interessi di Tel Aviv.

I leader cinesi emarginano i critici in nome dell’armonia, della stabilità, della pace e della crescita.

I leader americani emarginano, imprigionano e brutalizzano gli Afro-americani, gli immigrati, gli ambientalisti e gli attivisti anti-guerra, così come i denunciatori di corrotti di Wall Street, in nome di mercati liberi e nebulosi valori democratici liberali.

La Cina, con tutti i suoi inconvenienti in termini di procedure e diritti democratici, si muove verso una società dinamica meno corrotta, meno bellicosa e più responsabile, con una leadership attentamente controllata e sviluppata.

Gli Stati Uniti si muovono verso una società più corrotta e dispotica (‘stato di polizia’) con leader inaffidabili, guerrafondai e criminali al comando.

Il divario tra promesse e risultati si sta allargando negli Stati Uniti, mentre si restringe in Cina. Il rigoroso processo di selezione meritocratica della Cina ha dimostrato una maggiore capacità di rispondere alle nuove sfide e alle necessità della maggioranza rispetto alle elezioni statunitensi, disfunzionali e corrotte, che non possono nemmeno affrontare la crisi della dipendenza causata da sovraprescrizioni non regolamentate degli oppiacei, per non parlare delle crisi ambientali del cambiamento climatico e delle mega-tempeste che devastano le comunità statunitensi.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Provocazione USA e Corea del Nord: un pretesto per la guerra con la Cina

Trumpdi James Petras

24apr2017.- La costruzione dell’Impero degli Stati Uniti su scala mondiale è iniziata durante e subito dopo la seconda guerra mondiale. Washington è intervenuta direttamente nella guerra civile cinese (fornendo armi all’esercito di Chiang Kai Shek, mentre l’Esercito Rosso combatteva i Giapponesi), ha sostenuto la guerra di ri-colonizzazione della Francia contro il Viet Minh in Indocina e ha installato regimi fantoccio collaborazionisti dell’Impero giapponese in Corea del Sud, Taiwan e Giappone.

Sebbene la costruzione dell’impero si sia svolta con avanzate e retrocessi, progressi e sconfitte, l’obiettivo strategico è rimasto lo stesso: impedire la creazione di governi indipendenti comunisti o secolari-nazionalisti e imporre regimi vassali conformi agli interessi statunitensi.

Le guerre sanguinose e i colpi di stato (‘cambiamenti di regime’) sono stati le armi a disposizione. I regimi coloniali europei sconfitti sono stati sostituiti e incorporati come alleati subordinati degli U.S.A.

Laddove possibile, Washington si basava su eserciti di mercenari formati, attrezzati e diretti da ‘consiglieri’ statunitensi, per far avanzare le conquiste imperiali. Se necessario, di solito se il regime dei clienti e le truppe vasalle non erano in grado di sconfiggere un esercito popolare armato, le forze armate statunitensi intervenivano direttamente.

Gli strateghi imperiali cercavano di intervenire e brutalmente conquistare la nazione bersaglio. Quando non riuscivano a raggiungere il loro obiettivo “massimo”, lavoravano in trincea con una politica di assedio per tagliare i legami tra centri rivoluzionari e movimenti vicini. Dove i paesi hanno resistito con successo alle conquiste armate, i costruttori dell’impero hanno imposto sanzioni e blocchi economici, per erodere la base economica dei governi popolari.

Gli imperi, come i saggi romani riconoscevano da tempo, non vengono costruiti in un giorno, in settimane o in mesi. Tregue e  accordi sono firmati e rotti quando conviene, perché i disegni imperiali rimangono fondamentali.

Gli imperi sono costruiti promuovendo fratture interne tra avversari e colpi di stato nei paesi limitrofi. Soprattutto, consistono di una rete mondiale di avamposti militari, agenti clandestini e alleanze regionali ai confini dei governi indipendenti, per ridurre le potenze militari emergenti.

In seguito a guerre vittoriose, i centri imperiali dominano la produzione e i mercati, le risorse e il lavoro. Tuttavia, nel tempo, le sfide inevitabilmente emergono, da parte dei regimi dipendenti come anche da quelli indipendenti. Rivali e concorrenti hanno guadagnano mercati e una maggiore capacità militare. Mentre alcuni stati vassalli hanno sacrificato la sovranità politico-militare necessaria allo sviluppo economico indipendente, altri si sono spinti verso l’indipendenza politica. 

Contraddizioni precoci e tardive dell’espansione dell’imperialismo

Le dinamiche degli stati e dei sistemi imperiali contengono contraddizioni, che costantemente sfidano e modificano i contorni dell’impero.

Gli Stati Uniti hanno dedicato enormi risorse per mantenere la supremazia militare sui vassalli, ma hanno subito un forte calo nella loro quota di mercato mondiale, in particolare con l’ascesa veloce di nuovi produttori economici.

La concorrenza economica ha costretto i centri imperiali a rimettere a fuoco le loro economie – la ‘rendita’ (finanza e speculazione) ha spostato i profitti dal commercio e dalla produzione. Le industrie imperiali si sono trasferite all’estero in cerca di lavoro a basso costo. La finanza, le assicurazioni, l’immobiliare, le comunicazioni, l’industria militare e della sicurezza sono giunti a dominare l’economia domestica. Un ciclo vizioso è stato creato: con l’erosione della sua base produttiva, l’Impero ha ulteriormente aumentato la sua dipendenza dal capitale militare e finanziario e dall’importazione di beni di consumo a basso costo.

Subito dopo la seconda guerra mondiale, Washington ha provato la sua forza militare attraverso l’intervento. A causa dell’immensa resistenza popolare e della vicinanza dell’URSS, e poi della RPC, la costruzione dell’Impero nell’Asia post-coloniale è stata contenuta o sconfitta militarmente. Le forze U.S.A. hanno temporaneamente conosciuto uno scacco matto in Corea dopo aver ucciso milioni di persone. La loro sconfitta in Cina ha portato alla fuga dei “nazionalisti” sull’isola provinciale di Taiwan. La sostenuta resistenza popolare e il sostegno materiale delle superpotenze socialiste hanno portato al loro ritiro dall’Indo-Cina. In risposta, gli U.S.A. hanno fatto ricorso a sanzioni economiche per soffocare i governi rivoluzionari.

La crescita dell’ideologia unipolare

Con il crescente potere dei concorrenti economici esteri e la sua crescente dipendenza dall’intervento militare diretto, l’Impero degli Stati Uniti ha approfittato della disintegrazione interna dell’URSS e dell’abbraccio cinese del “capitalismo di stato” nei primi anni ’90 e ’80. Gli U.S.A. si sono espansi nella regione baltica, nell’Europa orientale e centrale e nei Balcani – con la divisione forzata della Jugoslavia. Gli strateghi imperiali hanno immaginato ‘un impero unipolare’ – uno stato imperiale senza rivali. I costruttori dell’Impero erano liberi di invadere, occupare e saccheggiare stati indipendenti in qualsiasi continente – anche di bombardare una capitale europea, Belgrado, con impunità totale. Sono state lanciate molteplici guerre contro gli ‘avversari’ designati, che non disponevano di forti alleati globali.

I paesi dell’Asia meridionale, del Medio Oriente e del Nord Africa sono stati presi mira per la distruzione. Il Sud America era sotto il controllo di regimi neo-liberistici. L’ex-URSS è stata saccheggiata e disarmata dai vassalli imperiali. La Russia è stata governata da gangster-cleptocrati alleati ai piantoni degli Stati Uniti. La Cina è stata vista come nient’altro che un laboratorio di schiavi che doveva produrre beni di consumo di massa a basso costo per gli Americani e generare grandi profitti per le multinazionali americane e i rivenditori come Walmart.

Ma, a differenza dell’Impero Romano, gli anni Novanta non sarebbero stati il preludio di un impero statunitense invincibile di lunga durata. Dal momento che gli ‘unipolaristi’ stavano perseguendo diverse guerre di conquista costose e distruttive e non potevano contare sulla crescita dei satelliti con economie industriali emergenti per i propri profitti, la potenza globale statunitense è risultata erosa.

La sconfitta dell’unipolarismo: il 21mo secolo

Dieci anni dopo essere entrati nel XXI secolo, la visione imperiale di un invincibile impero unipolare si andava già sbriciolando. L’accumulazione ‘primitiva’ della Cina ha portato a un’accumulazione domestica avanzata a favore del popolo e dello stato cinesi. La potenza della Cina si è estesa all’estero attraverso investimenti, scambi e acquisizioni.

La Cina ha sostituito gli Stati Uniti come principale partner commerciale in Asia e più grande importatore di materie prime provenienti dall’America Latina e dall’Africa. La Cina è diventata il principale produttore ed esportatore di beni di consumo in Nord America e nell’UE.

Il primo decennio del XXI secolo ha visto il rovesciamento o la sconfitta degli stati vassali statunitensi in tutta l’America Latina (Argentina, Bolivia, Venezuela, Ecuador e Brasile) e l’emergere di regimi agro-minerari indipendenti, pronti a costituire patti commerciali regionali. Si è trattato di un periodo di crescente domanda globale per le loro risorse naturali e le loro materie prime, proprio quando gli Stati Uniti si stavano de-industrializzando e in mezzo a costose e disastrose guerre in Medio Oriente.

A differenza della crescente indipendenza dell’America Latina, l’UE ha approfondito la sua partecipazione militare alle brutali guerre d’oltremare guidate dagli Stati Uniti, espandendo il ‘mandato’ della NATO. Bruxelles ha seguito la politica unipolare che assedia sistematicamente la Russia e indebolisce la sua indipendenza attraverso severe sanzioni. L’espansione esteriore dell’UE (finanziata con una crescente austerità nazionale) ha accentuato le crepe interne, portando al malcontento popolare. Il Regno Unito ha votato a favore di un referendum per separarsi dall’UE.

I disastri domestici del regime vassallo statunitense in Russia, sotto Boris Yeltsin durante gli anni ’90, hanno spinto gli elettori a scegliere un nazionalista, Vladimir Putin. Il governo del presidente Vladimir Putin ha intrapreso un programma per riconquistare la sovranità russa e la sua posizione di potere globale, contrastando l’intervento interno statunitense e rigettando l’accerchiamento esterno della NATO.

Gli unipolaristi hanno continuato a lanciare molteplici guerre di conquista in Medio Oriente, nel Nord Africa e nell’Asia meridionale, che sono costate migliaia di miliardi di dollari e hanno portato alla perdita dei mercati globali e della competitività. Mentre gli eserciti dell’Impero si espandevano a livello mondiale, l’economia domestica (la ‘Repubblica’) entrava in recessione. Gli Stati Uniti si sono impantanati nella recessione e in una crescente povertà. La politica unipolare ha creato una crescente economia mondiale multipolare, mentre rigidamente imponeva le proprie priorità militari.

L’Impero colpisce indietro: l’opzione nucleare


Il secondo decennio del ventunesimo secolo ha inaugurato la scomparsa dell’unipolarità, provocando lo sgomento di molti ‘esperti’ e la rimozione cieca dei suoi architetti politici. L’aumento di un’economia mondiale multipolare ha intensificato il disperato tentativo imperiale di ripristinare l’unipolarità con i mezzi militari, manovrati da militaristi incapaci di adeguare o (anche solo) valutare le proprie politiche. Sotto il regime del presidente americano, ‘il primo nero’ Obama, eletto con la promessa di ‘tenere a freno’ i militari, gli strateghi imperiali hanno intensificato il perseguimento di (almeno) sette, nuove e prolungate guerre. Per i responsabili politici e i propagandisti dei media ufficiali statunitensi ed europei, queste sono state guerre imperiali vincenti, accompagnate da premature dichiarazioni di vittoria in Somalia, in Iraq e in Afghanistan. Questa trionfale illusione di successo ha portato la nuova Amministrazione a lanciare nuove guerre in Ucraina, Libia, Siria e Yemen.


Siccome la nuova ondata di guerre e colpi di stato (‘cambiamenti di regime’) per imporre l’unipolarità è fallita, politiche militaristiche ancora più spinte hanno sostituito le strategie economiche per il dominio globale. I militaristi unipolaristi, che dirigono l’apparato statale permanente, continuano a sacrificare mercati e investimenti, con totale impunità rispetto alle conseguenze disastrose dei loro fallimenti sull’economia domestica. 

Un breve rilancio dell’unipolarismo in America Latina

Colpi di stato e scalate al potere hanno rovesciato i governi indipendenti in Argentina, Brasile, Paraguay, Honduras e hanno minacciato i governi progressisti in Bolivia, Venezuela e Ecuador. Tuttavia, il ‘roll-back’ pro-imperiale in America Latina non era politicamente né economicamente sostenibile e minaccia di minare qualsiasi ripristino del dominio unipolare statunitense nella regione.

Gli Stati Uniti non hanno fornito alcun aiuto economico o un accesso più ampio ai mercati, per premiare e sostenere i regimi clientelari appena acquisiti. Il nuovo vassallo dell’Argentina, Mauricio Macri, ha trasferito miliardi di dollari ai rapaci banchieri di Wall Street e ha consentito l’accesso alle basi militari e alle risorse redditizie, senza ricevere in cambio immissioni di capitale da investimento. Infatti, le politiche servili del presidente Macri hanno creato maggiore disoccupazione e una compressione del livello di vita, portando al malcontento popolare di massa. Il ‘nuovo ragazzo’ dell’impero unipolare, (insediato) nel suo feudo di Buenos Aires, rischia una crisi precoce.

Allo stesso modo, la corruzione diffusa, una profonda depressione economica e livelli di disoccupazione a doppia cifra senza precedenti in Brasile minacciano il regime vassallo illecito di Michel Temer con una crisi permanente e un conflitto di classe crescente.

Successo a breve termine in Medio Oriente

Il lancio unipolare revanchista di una nuova ondata di guerre in Medio Oriente e in Africa del Nord ha conosciuto un effimero successo con il potere devastante dei bombardamenti aerei e navali statunitensi e NATO. Quindi è crollato in mezzo alla distruzione grottesca e al caos, inondando l’Europa con milioni di rifugiati.

Potenti rigurgiti di resistenza all’invasione statunitense dell’Iraq e dell’Afghanistan hanno accelerato il ritorno verso un mondo multipolare. Gli insorti islamici hanno costretto gli Stati Uniti in guarnigioni fortificate e hanno preso il controllo della campagna e circondato le città in Afghanistan; Iraq, Siria, Yemen, Somalia e Libia hanno messo in fuga i regimi e i mercenari sostenuti dagli Stati Uniti.

Gli unipolaristi e lo stato permanente: ri-compattamento e attacco

Di fronte ai propri fallimenti, gli unipolaristi si sono raggruppati e hanno attuato la strategia militare più pericolosa mai provata: l’accumulo di capacità ‘nucleare’ di primo livello per la Cina e la Russia.


Messo in piedi dai mandatari politici del Dipartimento di Stato americano, il governo dell’Ucraina è stato sussunto dai vassalli statunitensi, che hanno portato alla rottura in corso in quel paese. Per paura dei neo-fascisti e dei russofobi, i cittadini della Crimea hanno votato per ricongiungersi alla Russia. Le maggioranze etniche russe nella regione del Donbass dell’Ucraina sono entrate in guerra con Kiev, con migliaia di persone uccise e milioni di persone in fuga dalle loro case per rifugiarsi in Russia. Gli unipolaristi di Washington hanno finanziato e diretto il colpo di Kiev, realizzato da cleptocrati, fascisti e teppisti di strada, immuni come sempre dalle conseguenze.

Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno aumentando il numero di truppe di combattimento in Afghanistan, Iraq e Siria, per sostenere i loro alleati e inaffidabili mercenari.

Ciò che è fondamentale per comprendere l’ascesa e il declino del potere imperiale e le dichiarazioni unipolari euforiche degli anni ’90 (soprattutto durante il tramonto del sanguinoso regno del Presidente Clinton), è che le iniziative militari e politiche in nessun momento sono state sostenute da parte di blocchi di potere economico.

Gli Stati Uniti hanno sconfitto e conseguentemente occupato l’Iraq, ma hanno sistematicamente distrutto la società civile e l’ economia irachena, creando terreno fertile per la massiccia pulizia etnica, le ondate dei rifugiati e la successiva rivolta islamica, che ha attraversato vasti territori. Infatti, le deliberate politiche statunitensi in Iraq e altrove hanno creato la crisi dei rifugiati, che sta travolgendo l’Europa.

Una situazione simile sta avvenendo durante i primi due decenni di questo secolo: le vittorie militari hanno installato inetti leader impopolari sostenuti dall’impero. Gli unipolaristi si affidano sempre più alle realtà tribali più retrograde, agli estremisti islamici, ai clienti esteri e ai mercenari pagati. L’attacco intenzionale condotto dagli Stati Uniti verso quelle persone capaci di dirigere le nazioni multiculturali moderne come l’Iraq, la Libia, la Siria e l’Ucraina è una caricatura dei famosi attacchi di Pol Pot contro le classi educate della Cambogia. Naturalmente, gli Stati Uniti hanno prodigato i loro sforzi speciali verso l’uccisione degli insegnanti di scuola, quando hanno addestrato e finanziato i mujahedin in Afghanistan negli anni ’80.

La seconda debolezza, che ha portato al crollo dell’illusione unipolare, è stata la loro incapacità di ripensare le loro ipotesi e di riorientare e riequilibrare il loro paradigma strategico militarista di fronte all’incredibile confusione globale che hanno creato.

Ostinatamente si sono rifiutati di lavorare per promuovere elites economiche educate nei paesi conquistati. A tal fine, sarebbe stato necessario mantenere un sistema socio-economico e di sicurezza intatto nei paesi che avevano sistematicamente fatto a pezzi. Avrebbe significato rigettare il proprio paradigma di guerra totale, di resa incondizionata e di nuda e brutale occupazione militare, per consentire lo sviluppo di utili alleati economici, anziché imporre regimi vassalli malleabili ma grottescamente corrotti.


Il vasto apparato di esercito-polizia-intelligence, profondamente radicato, fortemente finanziato, che conta numerosi milioni, ha formato uno stato imperiale parallelo che comanda sul regime civile eletto all’interno degli Stati Uniti.

Il cosiddetto ‘stato profondo’, in realtà, è uno stato di dominio gestito dagli unipolaristi. Non è un’’entità senza volto’: ha un’identità di classe, ideologica ed economica.

Nonostante il grave costo dovuto alla perdita di una serie di guerre catastrofiche e dei furti multi-miliardari di dollari da parte dei regimi vassalli cleptocratici, gli unipolaristi sono rimasti impuniti, addirittura aumentando i loro sforzi per mettere a segno una conquista o riportare una vittoria militare temporanea.


Diciamolo apertamente e chiaramente: gli unipolaristi ora sono impegnati a incolpare dei loro terribili fallimenti militari e politici la Russia e la Cina. Ecco perché cercano, direttamente e indirettamente, di indebolire gli ‘alleati all’estero’ e, in particolare, Russia e Cina. Infatti, la loro campagna selvaggia volta ad ‘accusare i Russi’ dell’elezione del presidente Trump riflette la loro profonda ostilità verso la Russia e il disprezzo per i lavoratori e gli elettori di classe media inferiore (l’‘urna dei deplorabili’), che hanno votato per Trump. L’incapacità di questa elite di esaminare i propri fallimenti e l’incapacità del sistema politico di rimuovere questi disastrosi politicanti costituiscono una grave minaccia per il futuro del mondo.

Gli unipolaristi: la fabbricazione di pretesti per la guerra mondiale 

Mentre lo Stato unipolare ha subìto prevedibili sconfitte militari, prolungate guerre e la dipendenza da regimi civili instabili, gli ideologi continuano a dare la colpa alla ‘Russia e alla Cina come causa di tutte le loro sconfitte militari’.

La monomania degli unipolaristi si è trasformata in una provocatoria costruzione su vasta scala fatta di missili nucleari per l’offesa in Europa e in Asia, il che ha aumentato il rischio di una guerra nucleare con l’ingaggio in un letale ‘gioco del pollo’.

I fisici nucleari veterani del Bollettino degli Scienziati Atomici hanno pubblicato un’importante descrizione dei piani di guerra degli unipolaristi. Hanno reso noto che ‘il programma nucleare attuale e in corso ha implementato nuove tecnologie rivoluzionarie, che aumentano notevolmente la capacità di targeting dell’arsenale balistico USA. Queste nuove tecnologie aumentano il potere di sterminio totale delle forze missilistiche statunitensi di tre volte.’ Questo è esattamente ciò che un osservatore oggettivo si aspetterebbe da uno stato unipolare statunitense armato nuclearmente, che prevede di lanciare una guerra disarmando la Cina e la Russia con un primo colpo a ‘sorpresa’.

Lo stato unipolare ha individuato parecchi paesi come pretesti per lanciare una guerra. Il governo degli Stati Uniti ha installato provocatorie basi missilistiche nei paesi baltici e in Polonia. Questi sono regimi scelti per la loro voglia di violare i confini o lo spazio aereo della Russia e insanamente disposti a provocare l’inevitabile reazione militare a catena sulle proprie popolazioni. Altri siti per grandi basi militari statunitensi e l’espansione della NATO includono i Balcani, in particolare le ex province jugoslave del Kosovo e del Montenegro. Questi sono stati etno-fascisti e mafiosi in bancarotta e potenziali micce per i conflitti provocati dalla NATO, che potrebbero portare a un primo colpo degli Stati Uniti. Ciò spiega perché i più rabidi militaristi del Senato americano stanno spingendo per l’integrazione del Kosovo e del Montenegro nella NATO.

La Siria è il luogo dove gli unipolaristi stanno creando un pretesto per la guerra nucleare. Lo Stato americano ha inviato più ‘forze speciali’ in aree fortemente conflittuali, per sostenere i loro alleati mercenari. Ciò significa che le truppe statunitensi opereranno d’ora in avanti (illegalmente) faccia a faccia con l’esercito siriano, sostenuto dal sostegno aereo militare russo (legale). Gli Stati Uniti intendono conquistare Raqqa, controllata dall’ISIS nella Siria settentrionale come propria base di operazioni, con l’intenzione di negare al governo siriano la sua vittoria sui terroristi jihadisti. La probabilità di ‘incidenti’ armati tra gli Stati Uniti e la Russia in Siria sta crescendo con l’entusiasta applauso degli unipolaristi statunitensi.

Gli Stati Uniti hanno finanziato e promosso i combattenti curdi mentre recuperano il territorio siriano dai terroristi jihadisti, soprattutto nei territori lungo il confine turco. Ciò sta portando a un inevitabile conflitto tra la Turchia e i curdi appoggiati dagli U.S.A..

Un altro sito probabile per la guerra ampliata è l’Ucraina. Dopo aver preso il potere a Kiev, i clepto-fascisti hanno lanciato una guerra di fuoco e un blocco economico contro i Russi-Ucraini bilingui della regione del Donbass. Gli attacchi da parte della giunta di Kiev, innumerevoli massacri di civili (tra cui la bruciatura di decine di manifestanti di lingua russa a Odessa) e il sabotaggio delle spedizioni russe di aiuto umanitario via mare potrebbero provocare ritorsioni dalla Russia e portare a un intervento militare statunitense attraverso il Mar Nero contro la Crimea.

Il luogo più probabile per iniziare la III guerra mondiale è la penisola coreana. Gli unipolaristi e i loro alleati nell’apparato statale hanno sistematicamente costruito le condizioni per scatenare una guerra con la Cina, usando il pretesto del programma di difesa armata  nordcoreano.

L’apparato statale degli unipolaristi ha riunito i suoi alleati al Congresso e nei mass-media per montare l’isteria pubblica. Il Congresso e l’amministrazione del presidente Trump hanno presentato il programma missilistico nordcoreano come una ‘minaccia per gli Stati Uniti’. Ciò ha permesso allo stato unipolarista di attuare una strategia militare offensiva per contrastare questa falsa ‘minaccia’.

L’elite ha scartato tutti i precedenti negoziati diplomatici e accordi con la Corea del Nord per prepararsi alla guerra – in ultima analisi diretta verso la Cina. Questo perché la Cina è il più dinamico e più efficace concorrente economico globale per il dominio del mondo da parte degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno ‘sofferto’ una sconfitta pacifica, ma umiliante, per mano di un potere asiatico  emergente. L’economia cinese è cresciuta più di tre volte più velocemente degli Stati Uniti negli ultimi due decenni. E la banca per lo sviluppo delle infrastrutture della Cina ha attirato numerosi partecipanti regionali e europei, dopo che un accordo commerciale molto promosso dagli Stati Uniti in Asia, promosso dall’amministrazione Obama, è fallito. Negli ultimi dieci anni, mentre gli stipendi e i salari sono ristagnati o regrediti negli Stati Uniti e nell’UE, si sono triplicati in Cina.

La crescita economica della Cina è destinata a superare gli Stati Uniti nel prossimo futuro, se la tendenza continua. Ciò comporterà inevitabilmente che la Cina sostituirà gli Stati Uniti come il potere economico più dinamico del mondo… fatto salvo un attacco nucleare dagli Stati Uniti. Non c’è da meravigliarsi che la Cina sia imbarcata in un programma per modernizzare i suoi sistemi missilistici difensivi e la sicurezza delle frontiere e della sicurezza marittima. Mentre gli unipolaristi si preparano alla ‘decisione finale’ di attaccare la Cina, stanno sistematicamente installando la loro capacità di attacco missilistico più avanzato in Corea del Sud, con il pretesto di contrastare il regime di Pyongyang. Per aggravare le tensioni, l’Alto Comando degli Stati Uniti ha iniziato dei cyber-attacchi contro il programma missilistico della Corea del Nord. Ha organizzato imponenti esercizi militari con Seoul, che hanno spinto l’esercito nordcoreano a ‘provare’ quattro dei suoi missili balistici a medio raggio nel Mare del Giappone. Washington ha ignorato gli sforzi del governo cinese per calmare la situazione e persuadere i Nordcoreani a resistere alle provocazioni statunitensi ai suoi confini e anche a ridimensionare il loro programma di armi nucleari. La macchina di propaganda della guerra statunitense afferma che la risposta nervosa di Pyongyang agli esercizi militari provocatori di Washington (soprannominati ‘Foal Eagle’) sul confine della Corea del Nord sono sia una ‘minaccia’ contro la Corea del Sud e ‘la prova della follia dei suoi leader’. In definitiva, Washington intende colpire la Cina. Ha installato il suo (mal definito) Sistema di Difesa Terminale di Estrema Altitudine (THAAD) in Corea del Sud. Un sistema di sorveglianza e attacco offensivo progettato per puntare le principali città cinesi e completare l’assedio marittimo della Cina e della Russia da parte degli U.S.A.. Utilizzando la Corea del Nord come pretesto, il THAAD è stato installato in Corea del Sud, con la capacità di raggiungere il cuore cinese in pochi minuti. La sua gamma copre oltre 3.000 chilometri di massa terrestre della Cina. I missili THAAD diretti sono progettati appositamente per identificare e distruggere la capacità missilistica difensiva della Cina. Con l’installazione THADD in Corea del Sud, l’Estremo Oriente della Russia è ora circondata dai missili offensivi statunitensi per completare l’accumulo in Occidente. Con l’istallazione del THADD in Sud Corea, l’Estremo Oriente della Russia è adesso accerchiato dai missili d’attacco U.S.A., a integrazione del complesso militare in Occidente. Gli strateghi unipolaristi sono alleati al governo giapponese sempre più militaristico – uno sviluppo estremamente allarmante per i Coreani e i Cinesi, data la storia della brutalità giapponese nella regione. Il Ministro della Difesa giapponese ha proposto di acquisire la capacità di uno ‘colpo preventivo’, una replica imperiale della sua invasione e schiavizzazione della Corea e della Manciuria. Il Giappone punta verso la Corea del Nord, ma realmente mira alla Cina.

Il regime profondamente corrotto e ciecamente sottomesso della Corea del Sud ha immediatamente accettato il sistema USA / THADD sul loro territorio. Washington ha trovato il docile ‘profondo stato’ sud-coreano disposto a sacrificare i suoi legami economici cruciali con Pechino: la Cina è il principale partner commerciale della Corea del Sud. Come conseguenza del suo ruolo di piattaforma per la futura aggressione statunitense contro la Cina, la Corea del Sud ha subito perdite nei commerci, negli investimenti e nell’occupazione. Anche se un nuovo governo della Corea del Sud dovesse invertire questa politica, gli Stati Uniti non sposteranno l’installazione THAAD. La Cina, da parte sua, ha tagliato in gran parte i suoi legami economici e di investimento con alcuni dei più grandi conglomerati della Corea del Sud. Il turismo, gli scambi culturali e accademici, gli accordi commerciali e, soprattutto, la maggior parte delle esportazioni industriali sud-coreane rischiano di arrestarsi.Nel bel mezzo di un grande scandalo politico che coinvolge il presidente coreano (che   affronta l’impeachment e l’arresto), l’alleanza militare americano-giapponese ha brutalmente coinvolto lo sprovveduto popolo sud-coreano in un attacco militare offensivo contro la Cina. Nel processo, Seoul rischia le sue relazioni economiche pacifiche con la Cina. I Sud-coreani sono in gran parte ‘a favore della pace’, ma si trovano sulle frontiere di una potenziale guerra nucleare.

La risposta della Cina alla minaccia di Washington è un massiccio accumulo della propria capacità di difesa missilistica. I Cinesi ora affermano di avere la capacità di abbattere rapidamente le basi THAAD in Corea del Sud se costretti dagli Stati Uniti. La Cina sta riorganizzando le sue fabbriche per compensare la perdita delle importazioni industriali sud-coreane.

Conclusione

L’ascesa e la caduta dell’America unipolare non ha destituito l’apparato statale permanente, dal momento che esso continua a perseguire le sue fallimentari strategie.

Al contrario, gli unipolaristi stanno accelerando la loro spinta per la conquista militare globale puntando la Russia e la Cina, che essi insistono sono la causa delle loro guerre perdenti e del declino economico mondiale. Vivono delle loro delusioni di una ‘era dell’oro’ degli anni ’90, quando George Bush Sr. poteva devastare l’Iraq e Bill Clinton poteva bombardare le città della Jugoslavia con impunità.

Sono finiti i giorni in cui gli unipolaristi potevano scompaginare l’URSS, finanziare violenti regimi ex-sovietici di rottura in Asia e nel Caucaso e gestire elezioni fraudolente per propri i clienti ubriachi in Russia.

I disastri delle politiche statunitensi e il loro declino economico interno hanno dato luogo a rapidi e profondi cambiamenti nei rapporti di potere negli ultimi due decenni, rompendo ogni illusione di un unipolare ‘secolo americano’.
L’unipolarismo resta l’ideologia dell’apparato permanente di sicurezza statale e delle sue elite a Washington. Credono che il matrimonio del militarismo all’estero e il controllo finanziario a casa permetteranno loro di riconquistare il loro perduto unipolare ‘Giardino dell’Eden’.

La Cina e la Russia sono i protagonisti essenziali di un mondo multipolare. La dinamica della necessità e la propria crescita economica li ha spinti ad alimentare con successo stati e mercati alternativi e indipendenti.

Questa evidente, irreversibile realtà ha spinto gli unipolaristi alla mania di prepararsi a una guerra nucleare mondiale! I pretesti sono infiniti ed assurdi; gli obiettivi sono chiari e globali; i mezzi militari offensivi distruttivi sono disponibili; ma lo sono anche le formidabili capacità di difesa e di rappresaglia della Cina e della Russia.
L’illusione dello stato unipolare di ‘vincere una guerra nucleare mondiale’ presenta agli Americani la sfida critica di resistere o di cedere a un impero insanamente pericoloso in declino, disposto a lanciare una guerra distruttiva globale.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

 

 

Risvolti geopolitici di un conflitto internazionale

Risvolti geopolitici di un conflitto internazionale: dentro la questione siriana

di Federico La Mattina – articolo tratto dal blog dell’Istituto Mediterraneo Studi Internazionali

Il conflitto siriano va contestualizzato all’interno della ‘guerra fredda’ per l’egemonia nel Golfo Persico (di fondamentale importanza geopolitica e geoenergetica) che vede opposte due potenze regionali con i loro alleati: Arabia Saudita e Iran. Tale conflitto pochi mesi dopo lo scoppio della rivolta ha subito un processo di internazionalizzazione: vi sono coinvolte le principali potenze regionali e mondiali e in Siria si sono riversati migliaia di miliziani jihadisti provenienti da decine di paesi diversi (attualmente l’autoproclamato califfato controlla una parte consistente del paese). L’incipit di un editoriale di “Limes” del 2013 fa proprio riferimento al fatto che in Siria «si combatte la prima guerra mondiale locale»[i] con il rischio che si possa trasformare in una «guerra mondiale mediorientale». Per tale ragione è impossibile analizzare il conflitto siriano e i risvolti geopolitici dell’ultimo periodo senza contestualizzarli all’interno delle complesse dinamiche mediorientali.

L’Arabia Saudita, interessata ad estendere la propria influenza politica e religiosa nella regione, punta a frantumare l’asse che unisce Iran, Siria, Hezbollah nel sud del Libano e il governo sciita irakeno; per tale ragione, congiuntamente con le altre monarchie del Golfo, ha sostenuto attivamente gruppi jihadisti per rovesciare il regime di Assad. La Turchia, vaneggiando ambizioni neo-ottomane, ha favorito indiscriminatamente l’ingresso di combattenti stranieri attraverso il confine turco-siriano. Le potenze occidentali – USA e Francia in testa –  hanno supportato i loro alleati regionali (è infatti noto, come ha puntualizzato lo stesso Kissinger, il legame spesso sottinteso che unisce Washington, Arabia Saudita e Israele[ii]), favorendo la destabilizzazione e la disintegrazione della Siria.

L’Arabia Saudita ha unito la storica alleanza con gli USA (basata sullo scambio petrolio/sicurezza) alla volontà di imporsi come leader del mondo islamico facendosi ‘garante’ manu miltari dello status quo nella regione, impegnandosi a frenare possibili contagi della cosiddetta “primavera araba” nella Penisola Arabica[iii]. In Bahrein (paese a maggioranza sciita) nel 2011 ha silenziato la nascitura ‘primavera’ mandando propri carri armati, timorosa di rivolgimenti politici ai propri confini; ha sostenuto nel 2013 il golpe in Egitto e ha recentemente assunto il ruolo guida della coalizione sunnita contro i ribelli Houthi (vicini all’Iran) in Yemen. Mentre in Siria e in Yemen ha agito in accordo con il Qatar (senza nascondere una certa rivalità[iv]), in Egitto e Libia le strade delle due petromonarchie si sono separate.

La formazione del cosiddetto califfato dell’IS è quindi diretta conseguenza del caos prodotto dalla guerra in Iraq (che ha incrementato lo scontro tra sunniti e sciiti) e del supporto più o meno diretto alla variegata galassia internazionale dei “ribelli”, finalizzato al rovesciamento del governo siriano (che ha visto unite in modalità differenti petromonarchie e potenze occidentali). Adesso l’IS, sfuggito di mano ai propri sponsor del Golfo, va sempre più configurandosi come un attore regionale potenzialmente destabilizzante a cui diversi gruppi si affiliano.

Gli Stati Uniti hanno preferito de facto una situazione di stallo senza vincitori né vinti nel conflitto che vede l’epicentro nel “Syraq”, piuttosto che favorire una vittoria schiacciante di una delle parti (più di due) in lotta. Una vittoria di Assad sarebbe innanzitutto una vittoria di Iran ed Hezbollah, acerrimi nemici dei principali alleati americani in Medio Oriente: sauditi e israeliani, già imbronciati per l’accordo sul nucleare iraniano. I molto blandi bombardamenti della coalizione a guida statunitense hanno infatti avuto al massimo il risultato di contenere l’IS, nulla di più.

Un filo rosso lega la crisi mediorientale a quella ucraina: il ritorno della Russia nello scenario internazionale avvenuto con la fermezza diplomatica mostrata da Putin nel conflitto siriano. Gli equilibri globali stanno mutando notevolmente: la straordinaria crescita della potenza cinese, la rinascita di una Russia rialzatasi dall’umiliazione subita negli anni di Eltsin (la storica francese Hélène Carrère d’Encausse ha parlato a tale proposito di «ritorno della potenza»[v]) e in generale l’ascesa dei Brics stanno configurando un assetto globale multipolare in cui l’egemonia statunitense è in fase declinante. In Medio Oriente la Russia si sta caratterizzando sempre più come un attore esterno di primo piano, capace di intessere relazioni diplomatiche costruttive con diversi Stati della regione e di incunearsi con un pragmatico realismo dove gli Stati Uniti perdono egemonia. L’Iran ha mostrato pieno supporto ai raid “anti-Isis” della Russia e il governo  irakeno, evidentemente deluso dall’inconcludente coalizione a guida americana, si è mostrato anch’esso favorevole all’azione russa. Lo stesso Egitto di al-Sisi si sta destreggiando tra l’alleanza con l’Arabia Saudita e il riavvicinamento con Mosca; il ministro degli esteri egiziano ha infatti espresso il proprio supporto all’operazione militare del Cremlino. D’altra parte l’Egitto di al-Sisi vede nella fratellanza musulmana il principale nemico interno e questa politica si rispecchia anche negli scenari libico (dove ha forti interessi egemonici) e siriano.

L’attivismo diplomatico e il recente intervento militare della Russia nella questione siriana non si spiegano soltanto con la volontà di mantenere i residui dell’influenza sovietica nell’area mediterranea e mediorientale ma anche (soprattutto) con motivazioni strettamente legate all’unità della Federazione. La Russia teme un Medio Oriente caotico in cui organizzazioni jihadiste impazzano in territori ormai privi di statualità alle porte del Caucaso (in Siria affluiscono molti miliziani ceceni e il jihadismo di ritorno è un grave pericolo anche per la Russia).

Il Medio Oriente è un’area in deflagrazione in cui mire geopolitiche si uniscono a contrapposizioni politiche, settarie, tribali e territoriali. Le questioni geopolitiche e geoenergetiche prevalgono sul pur influente discorso settario (si pensi all’importanza strategica degli stretti di Hormuz e di Bab el-Mandeb). «Il conflitto attualmente in corso è tanto religioso quanto geopolitico» scrive Kissinger che ovviamente auspica un nuovo ordine regionale a guida americana[vi].

Quale sarà il ruolo degli Stati Uniti in Medio Oriente nel futuro? Gli USA hanno adottato un atteggiamento altalenante e contraddittorio nel corso delle cosiddette “primavere arabe” messo bene in luce da Roberto Iannuzzi in “Geopolitica del collasso”. Iannuzzi puntualizza correttamente come il Medio Oriente continuerà ad essere la fonte petrolifera principale del pianeta, affermando che l’atteggiamento contradditorio di Washington è «il risultato di un declino dell’influenza americana e della sua minore capacità di plasmare gli eventi» e che tale declino è una conseguenza sia «della crisi economica in cui versa l’America, sia dell’esito disastroso delle guerre dell’era Bush in Iraq e Afghanistan»[vii].

Dopo la conclusione della parentesi eltsiniana e di ciò che essa rappresentava sia in politica interna che in politica estera, una Russia nuovamente attiva nello scenario mediorientale ha colmato i vuoti lasciati dalla superpotenza statunitense. Dai recenti eventi siriani emerge una conferma del riavvicinamento tra Russia ed Egitto, un rinsaldamento dell’intesa (non priva di competizione per l’influenza nella regione) russo-iraniana e un allontanamento con la Turchia, che certamente non vede di buon occhio l’agenda mediorientale di Mosca. Al solido asse Mosca-Damasco-Teheran si aggiungono quindi inaspettate nuove buone relazioni con Egitto e Iraq. E’ bene sottolineare che Russia e Iran non hanno mai escluso una transizione politica (che escluda i gruppi terroristici) in Siria con il consenso di Assad. Il punto fondamentale, come fa notare Alberto Negri, è il mantenimento delle strutture militari e di intelligence[viii], necessarie a garantire stabilità al paese che altrimenti rischierebbe di scivolare in una riedizione dello scenario libico. Anche la Cina (in modo maggiormente defilato) sostiene la Russia, con cui ha rafforzato una partnership non troppo stabile ma certamente inedita e in via di consolidamento. Immutate restano le velleitarie ma ugualmente distruttive ambizioni neocoloniali dei franco-britannici, evidentemente non sazi del disastro libico ad essi largamente imputabile.

Il mutamento degli equilibri in Medio Oriente e le implicazioni che ne derivano a livello globale rappresentano i primi ‘smottamenti’ post-unipolari di un mondo in via di cambiamento.

Benvenuti nel ventunesimo secolo.

Note

[i] Vedi La perla di Lawrence, in «Limes, rivista italiana di geopolitica», 2/2013.

[ii] H. Kissinger, Ordine Mondiale, Milano, Mondadori, 2015, p. 134.

[iii] Per una sintetica storia del regno saudita si veda F. Petroni, Alla radice delle ossessioni arabo-saudite, in «Limes, rivista italiana di geopolitica», 9/2014.

[iv] Cfr. R. Soubrouillard, Il Qatar rientra nei ranghi, in «Limes, rivista italiana di geopolitica», 9/2013.

[v] H. Carrère d’Encausse, La Russia tra due mondi, Roma, Salerno editrice, 2011, p. 10.

[vi] H. Kissinger, Ordine Mondiale , op. cit. p. 145.

[vii] R. Iannuzzi, Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale, Roma, Castelvecchi, 2014, p. 264.

[viii] A. Negri, L’Iran potrebbe liquidare Assad, ma non gli alauiti, «Istituto per gli studi di politica internazionale», 06/10/2015.

Brics e Sco: un’altra comunità internazionale è possibile

brics_sco_leadersda Marx21.it

Pochi giorni dopo la pubblicazione del documento sulla nuova strategia militare da parte del Dipartimento di Stato statunitense, nel quale il mondo viene diviso in un fronte del bene – quello guidato da Washington a “sostegno delle istituzioni e delle procedure stabilite per la prevenzione dei conflitti, il rispetto della sovranità e la promozione dei diritti umani” – contrapposto a quello del male – quello trainato da Cina e Russia con alle spalle “canaglie” come Iran e Corea del Nord –  ecco che ad Ufa (Russia), proprio questo fronte, abitualmente espulso da una “comunità internazionale” variabilmente rinchiusa tra i confini della Nato e alleati di turno, ha posto nuove basi, politiche, economiche e finanziarie, sulle quali fondare una possibile liberazione da una soffocante, benché scricchiolante, cappa unipolare.

Nella città russa –  si sono ritrovati i capi di Stato dei Paesi facenti parti del gruppo Brics e della Shanghai Cooperation Organisation, entità, nuclei di una possibile e futura cooperante comunità internazionale di segno multipolare, che vedono in cabina di regia proprio Mosca e Pechino, e che esprimono con chiarezza l’esigenza sempre più diffusa di chiudere la parentesi di un sistema economico (con persistente ricatto militare) che ha limitato lo sviluppo di una parte del Mondo e incapace di riformare le istituzioni finanziarie (su tutte il Fondo monetario internazionale) in linea con l’emergere di nuovi equilibri internazionali.

I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) rappresentano oggi quasi il 20% del commercio globale, il 13% di quelli dei servizi e il 45% della produzione agricola mondiale, mentre il Pil dei cinque è passato dai 10 trilioni di dollari del 2001 ai 32.000 miliardi del 2014.

La scelta di Ufa, capitale del Bashkortostan, come capitale momentanea di quella che possiamo definire “l’Altra comunità internazionale” potrebbe anche essere carica di significati simbolici: si trova a ridosso degli Urali, ai confini della Russia europea a sottolineare la necessità di dialogo tra Occidente e Oriente (e in questo il ruolo centrale di Mosca) e nel 1941 aveva ospitato il governo  della repubblica sovietica di Ucraina in fuga a seguito dell’aggressione della Germania nazista.  Non agiscono proprio ora in Ucraina, in seguito al golpe del 2014, movimenti dichiaratamente legati al passato collaborazionismo nazista? Non è forse in atto – fortunatamente ridimensionato dalla resistenza politico e militare della popolazione russa dell’est ucraino – un’aggressione militare dai risvolti genocidi?

Uno dei punti della dichiarazione sottoscritta al termine del vertice Brics è proprio dedicata al 70° anniversario della fine della seconda guerra mondiale, in omaggio “a tutti coloro che hanno combattuto contro il fascismo e il militarismo e a favore della libertà dei popoli” e in opposizione “ai tentativi di rivedere i risultati della seconda guerra mondiale”. Non è troppo difficile leggere tra le righe una larga condivisione delle preoccupazioni di Mosca e di Pechino che vedono distendersi, la prima, un progetto di aggressione ai propri confini che non disdegna l’utilizzo di manovalanza nazistoide, la seconda, il ritorno del militarismo nipponico, seppur imbrigliato (per ora) nel trattato di sicurezza con gli Stati Uniti.

Non c’è solo questo: la dichiarazione di Ufa contiene una sorta di “principi fondamentali” di quella che possiamo definire la “Carta costituzionale” di una futura comunità internazionale multilaterale e cooperante. Ci sono la critica all’adozione di “doppi standard” nel riferimento ai principi e alle norme del diritto internazionale (chiaro riferimento all’unilateralismo Usa e occidentale); la condanna degli “interventi militari unilaterali e delle sanzioni economiche in violazione del diritto internazionale” e l’invito ad interpretare la sicurezza come “bene indivisibile” di contro ad una sorta di appropriazione privata da parte della potenza egemone; il rispetto “dell’integrità, della sovranità e dell’unità” della Siria (mentre a Washington si pensa alla sua riduzione a confederazione su basi etniche in sostanza fuori dal controllo di Damasco), l’invito ad una soluzione diplomatica ed inclusiva della crisi insieme alla condanna netta di “ogni forma di supporto e finanziamento ai gruppi di terroristi” che da anni insanguinano il Paese; la centralità dell’economia pubblica e dell’azione dello Stato nel sostegno dello sviluppo (esiste un “diritto allo sviluppo economico”) nei Paesi del sud del mondo e il sostegno allo sviluppo dei diritti umani con un approccio complessivo – e non “politicizzato” – che pone sullo stesso piano quelli civili, sociali, economici e culturali. Un riconoscimento implicito, per esempio, alla portata storica della lotta contro la povertà condotta dalla Cina popolare che, proprio mentre riconosce il diritto alla vita, ed alla sicurezza sociale, a milioni di persone, viene accusata di violazione dei diritti umani (a proposito di “politicizzazione” degli stessi!).

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L’alleanza cino-russa nel presente e nel futuro

accordo-cina-russia-gasdi Manuel Yepe – marx21.it

Poco dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, i popoli hanno iniziato ad avvertire – nonostante l’implacabile campagna di discredito che Washington dispiegava allora contro Mosca, convinta di avere l’esclusiva del segreto della bomba atomica – che l’Unione Sovietica era il concorrente capace di frenare le ambizioni di dominio globale degli Stati Uniti.

Di quel mondo bipolare contrassegnato da due sistemi differenziati da ideologie contrapposte – uno che rispondeva agli interessi di chi possedeva la maggior parte delle ricchezze materiali frutto dello sfruttamento della grande maggioranza degli abitanti del pianeta; l’altro espressione delle aspirazioni di giustizia di queste masse sfruttate impegnate nella lotta per rendersi indipendenti dal giogo coloniale ed emanciparsi dallo sfruttamento imperialista – derivano le principali contraddizioni del mondo contemporaneo.

L’Unione Sovietica, l’unica grande potenza dove prevaleva la seconda ideologia, scontava però un enorme ritardo economico, militare e tecnologico rispetto agli altri paesi e aveva dovuto certamente pagare il prezzo maggiore per sconfiggere la Germania fascista.
Noi sostenitori del socialismo e della pace in tutto il mondo sognavamo allora che l’avvicinamento della Russia e della Cina avrebbe rappresentato la risposta appropriata per avanzare sulla via tracciata dalla sconfitta del nazismo verso un futuro di collaborazione tra le nazioni.

La tenacia con cui la Cina aveva affrontato l’esercito giapponese dal 1931 con l’invasione della Manciuria fino al 1945, fece si che l’Unione Sovietica non dovesse lottare su due fronti contro il fascismo. L’invasione giapponese provocò la morte di 35 milioni di cinesi e causò alla Cina distruzioni con danni economici calcolati in 600 mila milioni di dollari.

La celebrazione a Mosca lo scorso 9 maggio del 70° anniversario della Vittoria dell’Esercito Sovietico sulla Germania nazista e la comparsa di nuove alleanze internazionali che si sono manifestate, o perlomeno prospettate, in occasione della grandiosa commemorazione promettono cambi epocali nella struttura politica del mondo in questo XXI secolo.

Di fatto, è stata il segno della fine di un’era dominata da un’unica superpotenza mondiale, gli Stati Uniti, la cui incapacità all’assolvimento della responsabilità assunta al termine della Guerra Fredda, è stata ampiamente dimostrata e ha condotto alla prospettiva di una configurazione globale multipolare come necessità imperativa.

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Si intensificano le relazioni commerciali sino-bielorusse

di Danilo Della Valle

A margine della grande parata per il 70° anno della vittoria sul Nazismo, una delegazione del governo della Repubblica Popolare Cinese, con al capo il Presidente Xi Jinping, ha raggiunto la città di Minsk per prender parte al forum economico interregionale bielorusso-cinese. Il forum, organizzato dal Ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese, dal ministero dell’Economia della Repubblica di Bielorussia e dalla Camera di Commercio bielorussa, ha visto la partecipazione di circa 500 persone di cui 300 rappresentanti dalla Cina.

Durante il meeting sono state consegnate le certificazioni per la partenza del progetto sino-bielorusso del Parco Industriale “The Great Stone”. Alla cerimonia di consegna delle certificazioni hanno partecipato, il 12 Maggio, il Presidente Bielorusso Alexander Lukashenko e il Presidente Cinese Xi Jinping. I due leaders dopo aver assistito alla presentazione del progetto e ad una breve descrizione dei progetti di investimento hanno firmato il piano di sviluppo del “the Great Stone”. Il parco è un ente territoriale di circa 91,5 mq. Km con uno statuto giuridico speciale con l’obiettivo di favorire gli investimenti. Si trova nel quartiere Smolevichy, regione di Minsk, nella distanza di 25 km dalla Capitale. I lavori di partenza per la costruzione delle infrastrutture del Parco, sotto la guida di un team sino-bielorusso, sono già partiti secondo le date prefissate. Si prevede che nei primi mesi del 2017 il Great Stone possa già esser operativo.

Qualsiasi azienda, indipendentemente dal paese di origine del capitale può agire come un residente del parco industriale “the Great Stone”. Il Governo Bielorusso ha quindi creato un clima favorevole agli investimenti per i residenti del parco industriale, fornendo benefici senza precedenti sul modello di alcune “zone libere” già presenti nelle economie Cinesi e Sud Americane. Il progetto si sviluppa nel quadro della cooperazione intergovernativa tra Cina e Bielorussia e dei pertinenti accordi intergovernativi sottoscritti. Il progetto si basa sull’esperienza di Cina e Singapore nella creazione e sviluppo di zone economiche complesse: il “Great Stone” è modellato sulla base del progetto di successo del Cina-Singapore Suzhou Industrial Park (PRC). Oltre alla presentazione del Parco Industriale, durante il forum Sino-Bielorusso sono stati siglati 25 accordi per un totale di 3,5 miliardi di dollari. I documenti includono gli accordi di amicizia e cooperazione tra le città di Gomel e Harbin, la creazione di relazioni tra Grodno e Lunnan, Polotsk e Mudanjiang. Inoltre sono stati firmati accordi di cooperazione anche tra le regioni di Brest (Brest Oblast) e la provincia di Hubei e tra il Municipio di Minsk e il Governo del Popolo di Pechino. Durante il forum è stato anche siglato un importante accordo di “currency swap bilaterali” tra la Banca Nazionale della Repubblica di Belarus (NBRB) e la Banca popolare di Cina.

Il documento è stato firmato con il fine di promuovere gli scambi commerciali e la cooperazione economica tra la Bielorussia e la Repubblica popolare cinese. L’accordo prevede la fornitura di fondi in moneta nazionale delle parti per la somma totale di BR16 trilioni e RMB7 milioni. Il documento è valido per tre anni e può essere prorogata su mutuo consenso delle parti.

“Il currency swap nell’ambito dell’accordo sottoscritto intende promuovere l’uso delle monete nazionali nel commercio e attività di investimento tra le società della Bielorussia e Cina” hanno dichiarato dalla Banca Centrale di Bielorussia. A termine del forum anche il Presidente Lukashenko ha rilasciato dichiarazioni che lasciano trasparire una certa soddisfazione: “Si è pianificato di creare le condizioni per scambi turistici, formativi e culturali – ha dichiarato Lukashenko. Inoltre – ha aggiunto il presidente bielorusso a margine dell’incontro – anche la cooperazione interregionale della Cina con la Bielorussia riceverà un ulteriore stimolo”.

La firma del pacchetto di accordi, secondo quanto affermato da Lukashenko, diventa il più grande investimento straniero in Bielorussia e darà un impulso molto forte alla cooperazione in diversi ambiti, dal settore dell’edilizia, a quello delle infrastrutture, ma anche in tema di cooperazione interbancaria, con interventi nel settore degli investimenti e del credito.

La Cina rossa sempre più “verde”

resizedi Diego Angelo Bertozzi – lantidiplomatico.it

Greenpeace e Energydesk China: nei primi quattro mesi del 2015 l’uso del carbone è sceso dell’8% e l’emissione di CO2 del 5%

Passi da gigante: è questo il giudizio che può essere dato alla lotta ingaggiata dalla Repubblica popolare cinese contro l’inquinamento, rappresentato nello specifico dall’emissione di anidride carbonica. Secondo le analisi sulla produzione di energia condotte da Greenpeace e Energydesk China, nel gigante asiatico «l’uso del carbone continua a calare precipitosamente» e con esso, quindi, l’emissione nell’atmosfera di CO2. I dati dell’analisi mostrano che nei primi quattro mesi del 2015, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, l’uso del carbone nella prima economia del mondo è sceso dell’8% e l’emissione di CO2 del 5%. Sempre rispetto al primo quadrimestre del 2014, la produzione di carbone ha segnato un calo di oltre il 6%.

Dati che sono il risultato della volontà del governo cinese di rivolgersi sempre più a fonti di energia rinnovabili e meno inquinanti. Mentre la produzione globale di energia è aumentata dell’1% nel mese di aprile (445 miliardi di kWh), quella di energia termica, quasi totalmente derivata dal carbone, ha segnato un calo di circa il 3%.

Per rendere l’idea dei risultati conseguiti, basta sottolineare che la riduzione delle emissioni di anidride carbonica nei primi quattro mesi del 2015 è pari a quella emessa dalla Gran Bretagna nello stesso periodo, e la riduzione dell’uso di carbone è pari a quattro volte il consumo totale sempre della Gran Bretagna.

Xi Jinping: «Cina e Russia difenderanno la pace nel mondo»

resizeda lantidiplomatico.it

«La Cina si oppone a qualsiasi tentativo di negare, distorcere e riscrivere la storia della seconda guerra mondiale»

La Cina sostiene la Russia nella sua lotta contro i tentativi di falsificare la storia della seconda guerra mondiale e, insieme con Mosca «difenderà la pace e promuoverà lo sviluppo nel mondo», si legge nella dichiarazione del presidente della Cina, Xi Jinping.

«I popoli di Cina e Russia sono pronti con tutta la fermezza e gli sforzi, insieme con tutti i paesi pacifici, ad opporsi a qualsiasi tentativo di negare, distorcere e riscrivere la storia della seconda guerra mondiale», ha detto il presidente cinese Xi Jinping in una dichiarazione pubblicata da ‘Rossiyskaya Gazeta’ .

Il presidente ha ricordato che «la Russia è stato il campo di battaglia principale della Seconda guerra mondiale in Europa e ha perso 27 milioni di persone per la pace e la giustizia nel mondo», mentre in Asia è stata la Cina. «Il popolo cinese prima che qualcuno si alzò per combattere i giapponesi ha subito enormi sacrifici e perdite, come la Russia», si legge nel documento.

Allo stesso tempo, Jinping ha detto che «il popolo russo e il popolo cinese difenderanno fianco a fianco la pace nel mondo e promuoveranno lo sviluppo e il progresso di tutta l’umanità». 

Prodi: «L’Italia non sa approfittare della Nuova Via della Seta»

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In un’audizione alla Commissione Esteri, come riporta il Messaggero, Romano Prodi ha analizzato la situazione dello scacchiere mediterraneo. «L’azione bellica in Libia non è solo inappropriata e dannosa, ma del tutto impossibile e irrealistica», ha detto l’ex premier ai senatori. Secondo Prodi inoltre «le guerre non si vincono con i droni e gli aeroplani, ma nel caso con tanti scarponi».

L’ex premier ha sottolineato che «il Mediterraneo è stato abbandonato da Usa e Russia» e che l’Europa stenta a trovare sue linee di azione politica se non quelle di tipo assistenziale. A suo dire, l’unico modo per risolvere il dramma libico è quello di portare tutte le tribù intorno ad un tavolo.

Prodi si è detto colpito dalla decisione della Gran Bretagna (seguita da Italia, Francia e Germania) di entrare a far parte della Banca asiatica per gli investimenti, fortemente voluta dalla Cina e ha ribadito che l’Italia potrebbe svolgere una ruolo strategico molto importante non solo sul fronte dell’immigrazione ma anche su quello economico.

«Sta nascendo una nuova via della seta nel senso che la Cina è interessata ad aumentare i propri flussi commerciali che passano per il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez ma l’Italia non sembra saperne approfittare. Mentre segnali più interessanti sono venuti dalla Grecia che se ha venduto mezzo porto del Pireo ai cinesi sembra comunque decisa ad attrarre su di sè parte di questo flusso».

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