di Saïd Bouamama*
Investig’ Action.- «La nostra rivoluzione in Burkina Faso è aperta ai malesseri di tutti i popoli. Essa s’ispira anche a tutte le esperienze degli uomini, dal primo soffio dell’umanità. Noi vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo, di tutte le lotte di liberazione dei popoli del terzo mondo».
THOMAS SANKARA, “La libertà si conquista con la lotta”, Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 1984. Investig’Action offre ai suoi lettori un estratto del libro “Figures de la révolution africaine” di Saïd Bouamama, dedicato alla figura rivoluzionaria di Thomas Sankara.
All’incontro dell’OUA (Organizzazione dell’Unione Africana), nel luglio 1987, il presidente del Faso lancia davanti ai suoi stupefatti omologhi un discorso memorabile che resterà nella storia come uno dei più incisivi manifesti contro i debiti ingiusti e illegittimi:
Il debito si analizza dapprima in base alla sua origine. Le origini del debito rimontano alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato dei soldi, sono loro che ci hanno colonizzato. Sono gli stessi che hanno dato origine ai nostri Stati e alle nostre economie […].
Il debito è ancora neo-colonialismo, dove i colonialisti si sono trasformati in assistenti tecnici (in pratica, dovremmo dire «assassini tecnici»). E sono loro che ci hanno proposto delle fonti di finanziamento […]. Ci hanno presentato dei dossiers e dei prospettii finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquanta, sessanta anni e anche di più. Vale a dire che ci hanno portato a danneggiare i nostri popoli per cinquanta e più anni.
Il debito, nella sua forma attuale, è una riconquista, sapientemente organizzata, dell’Africa, affinché la sua crescita e il suo sviluppo obbedissero a dei paletti, a delle norme che ci sono totalmente straniere. Facendo in modo che ciascuno di noi diventi lo schiavo finanziario, vale a dire lo schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, la capacità di ingannare, la furberia di piazzare dei fondi da noi con l’obbligo di rimborsarli. […]
Noi non possiamo rimborsare il debito, perché non abbiamo con che pagare. Non possiamo pagare il debito, perché, al contrario, gli altri che ci devono le più grandi ricchezze non potranno mai ripagarle, sto parlando del debito del sangue […].
Quando diciamo che il debito non sarà pagato, non è affatto che noi siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. [È perché] riteniamo che non abbiamo la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero, non c’è la stessa morale».
Meno di tre mesi dopo, Thomas Sankara è assassinato. Aveva previsto questa possibilità, sottolineando ad Addis Abeba la necessità di un rifiuto collettivo del pagamento del debito, «per evitare che andiamo individualmente a farci assassinare».
E poi aveva profetizzato: «Se il Burkina Faso si rifiuta do solo di pagare il debito, io non sarò presente al prossimo congresso».
«SI PUÒ UCCIDERE UN UOMO MA NON LE SUE IDEE»
Sankara sa di cosa parla quando parla del debito. L’esperienza rivoluzionaria del Burkina è minacciata dai rimborsi di questo debito, il cui peso è diventato insopportabile, proprio quando, nello stesso tempo, l’aiuto internazionale cade al 25 % e l’aiuto bilaterale francese passa da 88 milioni a 19 milioni di dollari tra il 1982 e il 1985.
Questo quadro di costrizione conduce, dal 1983, a un rigore implacabile, che Sankara applica prima di tutto a se stesso e ai suoi collaboratori. Il presidente del Faso non dispone che di due strumenti per migliorare le condizioni materiali d’esistenza dei meno abbienti e finanziare lo sviluppo auto-gestito. Il primo è l’abbassamento delle spese di funzionamento dei servizi pubblici. Il secondo è l’esazione fiscale applicata agli unici contribuenti che hanno un reddito stabile, i salariati urbani e in particolare i funzionari. Il rialzo dell’imposizione fiscale e delle diverse tasse che si applicavano ai funzionari è costante. Giornalista specialista del Burkina Faso, Pascal Labazée, stima al 30 % l’abbassamento del potere di acquisto dei salari urbani tra il 1982 e il 1987.
Poco a poco, le contraddizioni s’esacerbano tra i funzionari e il potere. Esse sono, del resto, coltivate dall’opposizione. Il Sindacato nazionale degli insegnanti africani dell’ Alto Volta (SNEAHV), di cui parecchi dirigenti sono membri del Fronte patriottico voltaico, un’organizzazione che si oppone al CNR (Comitato Nazionale Rivoluzionario), si fa portavoce dello scontento.
L’arresto, il 12 marzo 1984, di quattro dirigenti di questo sindacato, per «complotto contro la sicurezza dello Stato», porta a lanciare la parola d’ordine dello sciopero per il 20 e il 21 marzo. All’indomani, il Ministro della Difesa annuncia via onda il licenziamento di 1380 insegnanti scioperanti. La Confederazione Sindacale Burkinabé (CSB), vicina al PAI, resta, da parte sua, più lungamente fedele al regime rivoluzionario. Ma, mostrandosi più rivendicativa a partire dal 1984, quando il PAI rompe con il CNR, essa si confronta a sua volta con la repressione. Il suo segretario generale è arrestato, l’accusa di «anarco-sindacalismo» entra nel discorso officiale e il presidente del Faso perde così uno dei suoi alleati più antichi e più importanti. Di fronte a questa grave crisi sociale, Sankara spiega così il suo dilemma:
«Bisogna fare una scelta. O cerchiamo di accontentare i funzionari – sono circa 25 000, diciamo lo 0,3 % della popolazione –, o cerchiamo di occuparci di tutti gli altri che non possono nemmeno avere una compressa di nivachina o di aspirina e che muoiono semplicemente quando sono malati».
Se si può comprendere che la priorità di Sankara vada alla seconda categoria, la questione del ritmo delle trasformazioni è più discutibile. Per valutare questo ritmo, al presidente del Faso manca uno strumento di collegamento politico permanente con i differenti settori sociali delle classi popolari. La divisione delle organizzazioni politiche di sinistra impedisce loro di giocare questa funzione politica. Sankara non lesina i suoi sforzi per farle convergere ma, come spiega nel 1984, non vuole riprodurre gli errori di altre esperienze rivoluzionarie africane:
«Potremmo, di sicuro, creare un partito subito […]. Ma non ci teniamo a calcare, a riprodurre qui ingenuamente, e in una maniera piuttosto burlesca, quello che si è potuto fare altrove. Quello che ci piacerebbe, è piuttosto di trarre profitto dalle esperienze degli altri popoli. […] Non vogliamo che essa [l’organizzazione] s’imponga in maniera dittatoriale o burocratica, come è potuto accadere altrove… Bisogna che essa sia […] l’emanazione di un desiderio popolare profondo, di un voto reale, di un’esigenza popolare».
I CdR (Comitati della Rivoluzione), dal canto loro, non possono più assicurare questa funzione politica. Sono i militari che la ereditano dall’inizio dalla segreteria generale dei CdR. Il capitano d’aviazione Pierre Ouedraogo, «uno degli amici di Sankara usciti da un circolo politico della prima ora» […], è nominato segretario generale nazionale dei CdR. Egli promuove una logica della trasformazione «dall’alto», tendendo così a cambiare queste strutture definite di «democrazia diretta» in semplici «cinghie di trasmissione». Purtroppo, i CdR sono strumentalizzati al servizio della lotta in seno del CNR.
«Così – riassume Bruno Jaffré – i CdR hanno incontestabilmente giocato un ruolo repressivo, procedendo a degli arresti arbitrari, spesso su ordine della segreteria generale dei CdR. Hanno anche participato alle differenti offensive che hanno luogo contro i sindacati e hanno servito come massa di manovra nella sorda battaglia che si davano le differenti fazioni politiche per il controllo del potere».
Gli interventi del presidente del Faso nell’aprile 1986, all’epoca del primo congresso nazionale dei CdR, sottolineano la sua inquietudine sulle numerose derive di questi organismi. Egli vi denuncia certi CdR che «divengono dei veri incubi per i dirigenti», fustiga quelli che «coltivano tutto un arsenale d’armi», utilizzando la minaccia e condanna quelli che «hanno fatto delle cose esecrabili» e che «hanno approfittato del pattugliamento per fare bottino».
In numerosi villaggi, i CdR non giocano più il ruolo previsto e i loro eletti sono sia i notabili tradizionali, sia degli uomini al loro servizio. Analizzando l’evoluzione del potere locale nei villaggi dell’Ovest burkinabé, il sociologo Alfred Schwartz conclude a favore della continuità reale, sotto l’apparenza della trasformazione, vale a dire «per una subordinazione di fatto del potere “rivoluzionario” al potere tradizionale noto».
L’ampiezza dei cambiamenti effettuati, il ritmo intensivo con il quale le riforme sono portate avanti, l’importanza della domanda sociale, i rancori che suscitano questi sconvolgimenti e l’assenza di elezioni, sempre inquietante in una democrazia che si vuole del «popolo», tendono a coagularsi, per nutrire un’opposizione diffusa che vince nella propaganda e a relegare in secondo piano i miglioramenti del resto palpabili per la grande maggioranza. Qualche mese prima del suo assassinio, Sankara sembra pertanto avere acquisito una visione più realistica della situazione. Nel suo discorso che celebra il quarto anniversario della rivoluzione, il 4 agosto 1987, invoca una pausa dalle riforme, allo scopo di «trarre lezioni e insegnamenti dalla nostra azione passata per […] impegnarci di più in una lotta di fazioni organizzate, più scientifica e più risoluta».
Sankara sembra lui stesso un po’ sorpassato dagli eventi, come riconosce con umiltà in un’intervista televisiva:
«Mi ritrovo un poco come un ciclista che affronta una salita ripida e che ha, a sinistra e a destra, due precipizi. […] Per restare me stesso, per sentirmi me stesso, sono obbligato a continuare in questa corsa…»
Queste contraddizioni interne sono attentamente considerate dai multipli avversari esterni del regime sankariste. Dallo stato del Mali, scosso dalle agitazioni studentesche nel dicembre 1985 e che scatena una nuova guerra contro il Burkina in questo periodo, a quello della Costa-d’Avorio che accoglie gli oppositori burkinabé, numerosi sono i dirigenti dei paesi limitrofi che ostacolano l’appassionato presidente del Faso. La Francia, vecchia potenza coloniale, teme, da parte sua, questo dirigente, che condanna apertamente il francese CFA come «un’arma del dominio francese» e la francofonia come «una strategia neo-colonialista» .
E che, oltre a boicottare il vertice franco-africano di Lomé (novembre 1986), non esita a criticare pubblicamente François Mitterrand. È caso risaputo, in occasione della visita ufficiale di quest’ultimo in Burkina Faso, nel novembre 1986, che Sankara critica, in uno stile offensivo che richiama il «no» di Sékou Touré a de Gaulle nel 1958, la recente visita del presidente sud-africano Pieter Botha in Francia:
«Noi non abbiamo compreso come dei banditi come [il guerillero angolese] Jonas Savimbi [e] degli assassini come [il presidente sud-africano] Pieter Botha hanno avuto il diritto di percorrere la Francia così bella e così pulita. Essi l’hanno sporcata con le loro mani e i loro piedi coperti di sangue. E tutti quelli che gli hanno permesso di realizzare questi atti ne porteranno l’intera responsabilità qui e altrove, oggi e sempre».
Certo, nessuno può ancora dire in maniera certa chi sono i mandanti dell’assassinio di Sankara, il 15 ottobre 1987, in occasione del colpo di Stato che permette a Blaise Compaoré di prendere il potere. In compenso, la questione che Sankara stesso poneva a proposito dell’assassinio del presidente mozambicano Samora Machel, deceduto nell’ottobre 1986 in un incidente d’aereo, è pertinente al suo proprio caso:
«Per sapere chi ha ucciso Samora Machel, chiediamoci chi si rallegra e chi ha interesse a che Machel fosse ucciso.» […] Non si può allora che constatare che la morte di Sankara e la politica di «rettificazione» lanciata da Compaoré hanno permesso al sistema «franco-africano», che non ha cessato di riprodursi dall’epoca delle indipendenze degli anni ‘60 […], di riprendere il controllo su di un paese che rischiava, sotto l’impulso del suo rivoluzionario capo di Stato, di portare i suoi vicini sui cammini dell’insubordinazione.
Le cause che hanno fatto emergere la rivoluzione sankarista, vale a dire l’oppressione, lo sfruttamento e l’ingiustizia, non essendo sparite, è poco probabile che i principi che Sankara ha tentato di mettere in pratica si perdano nell’oblio. «Si può uccidere un uomo ma non le sue idee», lui stesso amava ripetere.
*Estratto dal libro “Figures de la libération africaine. De Kenyatta à Sankara”, di Saïd Bouamama, Paris Zones, 2014
[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Marco Nieli]