di Luiz Alberto Moniz Bandeira – http://www.funag.gov.br
Quello che a continuazione si vuole presentare è un breve capitolo tratto dal volume Geopolitica e Politica Exterior. Estados Unidos, Brasil e America do Sul, Brasilia, Fundação Alexandre de Gusmão, 2009 del cattedratico ed esperto di politica estera brasiliana, Luis Alberto Moniz Bandeira.
Il volume di Moniz Bandeira veicola un messaggio ben chiaro per tutti popoli del Terzo Mondo e, in particolare, per quello latinoamericano: il processo di globalizzazione capitalista sta portando a compimento un’azione di trasformazione dei paesi sottosviluppati, cioè li sta riducendo a semplici segmenti del mercato internazionale; a livello endogeno controllato dalle grandi multinazionali e, a livello esogeno, dai centri del potere mondiale. Ciò ha provocato l’aggravarsi dell’asimmetria Nord-Sud che colpisce internamente a molti di loro, i quali sono caratterizzati da profonde differenze tra i settori agiati della popolazione e quelli più poveri; squilibri che generano conflitti sociali insanabili e incontrollabili forme di terrorismo. Se i paesi latinoamericani non mostreranno la volontà di rendere concreta una visione condivisa del mondo per essere più autonomi nel XXI secolo, saranno sottoposti all’arbitrio di un unico paese (USA). Il loro successo dipenderà dai singoli partecipanti, i quali devono tenere nella dovuta considerazione il fatto di agire in conformità a un consenso e a una partecipazione d’interesse regionale con proposte e progetti che siano vantaggiosi a tutti i paesi che conformano la regione. Questo si potrà avverare solo se si procede a un’analisi obiettiva delle grandi tendenze geopolitiche che in questo momento si possono osservare nel mondo.
La lotta per un mondo migliore deve partire dalla premessa che tutti gli uomini hanno lo stesso diritto al cibo, alla salute e all’educazione. Il semplice fatto di disattendere questo compito impellente equivarrebbe a che i paesi del subcontinente corrano il rischio di trasformarsi in segmenti del mercato internazionale, indipendentemente se oggi si scorge da più parti la tendenza di un multilateralismo mondiale. L’unica forma che hanno i latinoamericani di conservare la propria sovranità passa attraverso l’integrazione continentale che, insieme alla necessità di costruire un’identità e una cittadinanza latinoamericana, consenta di sviluppare uno spazio che irrobustisca la sovranità e l’indipendenza degli Stati che la configurano. Gli Stati che compongono quest’area potranno in questa maniera affrontare i problemi irrisolti della povertà, l’esclusione e l’ineguaglianza, in modo da consolidare l’unità di tutta l’America latina e Caraibi e così contribuire alla costruzione di un mondo multipolare ed equo.
Vincenzo Paglione
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Importanza Geopolitica del Sudamerica
La Seconda guerra mondiale rese visibile l’importanza geopolitica del Sudamerica nella strategia degli Stati Uniti, i quali dovevano assicurarsi non solo le fonti di materia prima – ferro, manganese e altri minerali indispensabili per la loro industria bellica – ma anche mantenere la sicurezza della retroguardia e quella dell’Atlantico meridionale. Il Brasile forniva agli Stati Uniti prodotti agricoli, caucciù, manganese, ferro e altri minerali strategici. Tuttavia la posizione che il Brasile occupava nel subcontinente si rivestiva di un’importanza geopolitica ancora maggiore, dovuto all’immenso spazio territoriale e alle risorse che possiede, oltre al fatto di confinare con tutti i paesi della regione (tranne il Cile e l’Ecuador). Esso occupa, per di più, gran parte del litorale dell’Atlantico del Sud e si colloca di fronte all’Africa occidentale. Gli Stati Uniti paventavano che le forze tedesche che si trovavano nelle coste del Senegal potessero avanzare in direzione delle Americhe, attraversando lo stretto Natal-Dakar, occupando l’arcipelago di Fernando Noronha fino a conquistare l’estremità “Nordestina” che comprende il Rio Grande do Norte, Paraíba, Pernambuco e Alagoas. Da lì la pressione esercitata sul Brasile affinché consentisse l’installazione di basi navali e aeree nelle principali città litoranee del Nordest, dove gli aerei della IV Flotta americana, insediata a Recife, eseguirono voli giornalieri attraverso il Cinturone dell’Atlantico Sud (Estremità Nordestina – isola dell’Ascenção – Africa) con la missione di pattugliare l’oceano, tra le basi di Natal e Ascenção. In quell’occasione gli aerei erano alla ricerca di sottomarini dell’Asse e, in particolare, di navi che rompevano il blocco mediante il trasporto di materia prima strategica dall’Asia per sostenere lo sforzo bellico della Germania.
L’estremità Nordestina dista solo 3.000 chilometri dal punto più occidentale dell’Africa francese e lì passano importanti rotte di traffico marittimo procedente dal Golfo persico e dall’Estremo Oriente con destinazione verso i porti ubicati al Nord dell’America del Sud, Caraibi e America settentrionale. La base aerea di Paranamirim-Natal, ceduta agli USA insieme alla base di Belém do Pará, rese possibile la costruzione di un ponte aereo, strategicamente fondamentale per il rifornimento delle truppe inglesi che combattevano nel nord dell’Africa e in Medio Oriente. Il quale, più tardi, servì anche per l’invasione dell’Europa, attraverso l’Italia, compreso l’appoggio alle operazioni militari in Estremo Oriente. Il pattugliamento aereo del Cinturone dell’Atlantico Sud, tra Recife e Ascensão, fu rafforzato da quattro gruppi-lavoro e aerei Liberators, navi della IV Flotta degli Stai Uniti, insediata a Recife, i quali affondarono diversi sottomarini di 1,200 t (U-848, U-849 e U-177), così come le navi rompi blocco – Esemberg, Karin, Wesserland, Rio Grande e Burgenland – navi che trasportavano merci dall’Oriente verso la Germania.
Dalla vittoria della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno cercato di consolidare la loro supremazia economica, politica, militare e culturale conquistata con la sconfitta tedesca e assoggettando l’Inghilterra, la Francia e gli altri paesi dell’Europa Occidentale. Anche se a parole condannavano le politiche che facevano riferimento alle sfere d’influenza e di equilibrio del potere, scommettendo sull’avvento di un’era di pace poggiata nella sicurezza collettiva dell’ONU, gli Stai Uniti non hanno mai rinunciato alla loro egemonia sull’America latina. Così come fecero nel 1919, attraverso il Patto della Lega delle Nazioni, sono stati molto solerti a evitare che l’ONU potesse esercitare direttamente qualsiasi influenza sulle questioni dell’Emisfero Occidentale. L’articolo 52 della Carta di San Francisco legittimò ulteriormente “l’esistenza di accordi od organismi regionali capaci di trattare su argomenti riguardanti la conservazione della pace e della sicurezza internazionali”.
In questa maniera, attraverso l’art. 52 della Carta di San Francisco, gli Stai Uniti riconfermarono la dottrina Monroe, assegnandosi il diritto di trattare unilateralmente i casi che eventualmente dovessero sorgere in America Latina, senza essere sottoposti a un eventuale veto da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Nel 1947 celebrarono insieme agli altri paesi della regione il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR), più noto come Trattato di Rio de Janeiro, il quale considera qualsiasi attacco al territorio di uno Stato americano come un attacco a tutti gli altri. Allo stesso tempo essi si compromettevano di risolvere le dispute amichevolmente prima di far ricorso all’ONU. Perciò con questo trattato si era demarcata la zona di sicurezza dell’emisfero tra il polo nord e l’estremo sud della Patagonia. L’anno successivo (1948), la 9° Conferenza Interamericana a Bogotà, diede nuovamente vita all’Unione Panamericana, sotto il nome di Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Ancora una volta con il proposito di escludere l’America Latina dall’immediata giurisdizione dell’ONU.
Zona strategica
La politica estera degli Stati Uniti ha solitamente mirato a promuovere gli interessi privati specifici[i] e quelli imprenditoriali, esercitando maggiore enfasi nel promuovere i mercati aperti, la libera iniziativa e il benvenuto agli investimenti stranieri. Obiettivi generalmente presentati come d’interesse per l’umanità[ii]. Persino la sua strategia globale da sempre è stata determinata dagli interessi e dalle necessità del proprio processo produttivo e da quello sociale. Ad esempio, l’assicurarsi le fonti di materiale strategico tali come i campi di petrolio del Venezuela, le miniere di stagno della Bolivia, le miniere del rame del Cile, ecc., presenti nell’America del Sud e mantenere aperte le linee di accesso, le vie di comunicazione e di trasporto nell’Atlantico Sud e nei Caraibi.[iii] L’ambasciatore Samuel Pinheiro Guimarães nella sua importante opera Quinhentos anos de periferia (Cinquecento anni di periferia), ha reso evidente che l’America Latina, al contrario di quanto molti immaginano, “è, di fatto, la zona strategica più importante per gli Stati Uniti”.[iv] Tuttavia all’interno dell’America Latina, configurata dai paesi collocati al di sotto dal Rio Grande o Rio Bravo del Nord, l’America del Sud costituisce la regione che presenta la maggiore importanza geopolitica nella strategia degli Stati Uniti, dovuto al suo enorme potenziale economico e politico. Sono dodici paesi inseriti all’interno di uno spazio contiguo di 17 milioni di chilometri quadrati, il doppio degli Stati Uniti (9.631.418 km2). Con una popolazione, nel 2007, di approssimativamente 400 milioni di abitanti, anche questa superiore a quella degli Stati Uniti (303,8 milioni), rappresentando all’incirca il 67% di tutto il cosiddetto territorio dell’America Latina e il 6% della popolazione mondiale con un’integrazione linguistica omogenea, poiché la stragrande maggioranza parla portoghese o spagnolo, lingue che sono in sintonia tra di loro. Inoltre l’America del Sud possiede grandi riserve d’acqua dolce e biodiversità, enormi ricchezze per quanto concerne le risorse minerali ed energetiche – petrolio e gas, pesca, agricoltura e allevamento -. L’integrazione attraverso il Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay) con i paesi della Comunità Andina (CAN), Cile e Venezuela[v], consente la creazione di una massa economica che si può calcolare, secondo dati del 2007, in più di US$ 3 mila miliardi, cioè maggiore di quella della Germania (US$ 2,8 mila miliardi), calcolata sulla base della parità di potere d’acquisto.
L’importanza geopolitica dell’America del Sud nella strategia degli Stati Uniti per il mantenimento dell’egemonia globale è, in larga misura e intrinsecamente, vincolata alla sua dimensione economica e commerciale. Per questa ragione il presidente George W. H. Bush dichiarò il 27 giugno 1990 The Enterprise of the Americas Initiative (EAI), con il fine di istituire una zona di libero scambio da Anchorage, in Alaska, fino alla Terra del Fuoco. Il presidente William J. Clinton (1993-2001), che l’ha succeduto, ravvivò l’idea e presentò la proposta, unilateralmente, agli altri capi di Stato, nel Summit delle Americhe, svoltosi a Miami, tra il 9 e l’11 dicembre 1994, sotto il nome di Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA). Questa proposta d’integrazione economica regionale celava, però, obiettivi politici concernenti la sicurezza continentale, da raggiungere attraverso l’irrobustimento delle istituzioni democratiche e la lotta contro il narcotraffico e il terrorismo. Minacce, queste ultime, che hanno sostituito la sovversione e il comunismo nell’agenda militare degli Stati Uniti, dopo lo smantellamento del Blocco Socialista e dell’Unione Sovietica. Il colonnello (ritirato) Joseph R. Núñez, dell’Esercito degli Stati Uniti, ha evidenziato in uno studio pubblicato dal Strategic Studies Institute, dell’U.S. Army War College, che “with current concerns about the Free Trade Area of the Americasand the strength of democratic regimes, along with the growing needfor homeland—even hemispheric—security, it is most important that we eriously consider new ways to respond to our strategic situation”.[vi]
In realtà quello che gli Stati Uniti pretendevano con la creazione dell’ALCA, così come con quella dell’APEC (Asia-Pacif Economic Cooperation) e l’avvio di più di duecento accordi commerciali, tra i quali quello dell’Uruguay Round, era la costruzione di una rete di accordi internazionali con lo scopo di plasmare il sistema economico mondiale e farlo funzionare a proprio beneficio. Gli Stati Uniti sarebbero assurti come il maggior centro dinamico dell’economia mondiale del XXI secolo. La stessa segretaria di Stato, Madeleine K. Albright, in quell’occasione dichiarò che: “(…) We must continue shaping a global economic system that works for America”.[vii] E l’ambasciatrice Charlene
Barshefsky, nella sua investitura di capo dell”United States Trade Representative (USTR), si fece sostenitrice dell’approvazione del fast track, nell’ambito dell’House of Representatives, argomentando che il principio sottostante della politica commerciale dell’amministrazione del presidente Clinton era quello “to support U.S. prosperity, U.S. jobs and the health of the U.S. companies”[viii].
Secondo quanto dichiarato dall’ambasciatore Samuel Pinheiro Guimarães, l’ALCA formava parte della strategia per il mantenimento dell’egemonia economica e politica degli Stati Uniti sull’America meridionale giacché, al di là delle considerazioni su una tradizionale area del libero commercio, l’ALCA, se fosse stata introdotta, avrebbe coinvolto impegni internazionali nelle differenti aree del commercio su beni e servizi, investimenti diretti, acquisti statali, patenti industriali, norme tecniche e, quasi certamente, medio ambiente e legislazione del lavoro[ix]. Il suo principale scopo si fondava sulla realizzazione di un insieme di regole che avrebbero incorporato i paesi dell’America meridionale, in particolar modo il Brasile, nello spazio economico (e nel sistema politico) degli Stati Uniti, in forma asimmetrica e subordinata. In termini pratici ciò avrebbe limitato la loro capacità di formulare ed eseguire delle proprie politiche economiche per attrarre e disciplinare gli investimenti stranieri, ampliare la capacità industriale presente sul territorio, stimolare la creazione e l’integrazione delle catene produttive, promuovere l’effettivo trasferimento di tecnologia e l’irrobustimento del capitale nazionale[x]. La proposta sulla formazione di una Zona di Libero Scambio delle Americhe (ALCA), come il versante economico della strategia globale degli Stati Uniti per conservare l’egemonia nell’emisfero, si è coniugata con l’attuazione delle misure neoliberali deliberate dal Consenso di Washington (consenso tra il Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti). Queste organizzazioni sostengono la privatizzazione delle aziende statali, la deregolamentazione dell’economia e la liberalizzazione unilaterale del commercio estero. Lo Stato, pertanto, è tenuto a ritirarsi dall’economia, sia come imprenditore sia come regolatore delle transazioni domestiche e internazionali, assoggettandola alle forze del mercato. La disposizione del Consenso di Washington è stata quella di ridurre il ruolo dello Stato, ridurlo al minimo, creare uno Stato – minimo, il che significa in termini di globalizzazione, impedire la sovranità nazionale dei paesi dell’America meridionale (ma anche quella dei paesi degli altri continenti), con la conseguente consegna di tutto il potere economico alle corporazioni transnazionali, la maggior parte delle quali sono americane. Queste corporazioni si sono impadronite delle aziende statali, messe all’asta dai singoli governi sotto il segno della privatizzazione, il che ha significato nella maggior parte dei casi, la loro alienazione.
Quello che si è preteso di fare è stato dischiudere il mercato latinoamericano o, nello specifico, il mercato sudamericano, alla concorrenza, consegnando alle corporazioni transnazionali e ai loro investitori e banchieri la libertà di spostare capitali, beni, impianti industriali, profitti e tecnologie, senza che i governi nazionali frapponessero degli ostacoli. Nell’ambito di questa cornice economica, i paesi dell’America meridionale dovevano abdicare alla loro sovranità, disarmandosi militarmente e accettando l’alienazione del potere giudiziario nazionale, le cui funzioni si sarebbero trasferite a una commissione internazionale d’arbitraggio con la facoltà di giudicare qualsiasi controversia tra lo Stato nazionale e le megaimprese multinazionali degli Stati Uniti. Con l’entrata dell’ALCA queste aziende avrebbero acquisito un potere superiore a quello degli Stati nazionali, seguendo la scia dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI), in fase di negoziato, ma non ancora concluso[xi], nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCDE). Lo scopo di quest’operazione era di stabilire norme multilaterali per la regolamentazione, liberalizzazione e protezione degli investimenti stranieri e impedire qualsiasi intervento da parte dello Stato sulle utilità finanziarie di proprietà delle persone fisiche o giuridiche straniere che sono presenti in un determinato paese.
Tuttavia verso la fine degli anni novanta del secolo scorso, dopo aver applicato le misure neoliberali preconizzate dal Consenso di Washington, il generale Charles E. Wilhelm, comandante in capo del Southern Commannd degli Stati Uniti (USSOUTHCOM), riconobbe che, nel suo settore di pertinenza, l’America del Sud “democracy and free market reforms are not delivering tangible results to the people” e le nazioni presenti in quella regione si trovavano in una condizione economicamente peggiore di quella anteriore alla restaurazione democratica “Can democracy survive without an economic system that produces adequate subsistence and services for the majority of its citizens?”[xii].
Anche Henry Kissinger nella sua opera Does America Need a Foreign Policy, confessò che “neither globalization nor democracy has brought stability to the Andes”[xiii]. Ugualmente la Bolivia, durante i 15 anni nei quali il paese si presentò al mondo come esempio del modello neoliberale (dal 1985 al 2000), il deterioramento delle condizioni di vita della popolazione si era incrementato a dismisura e attinse soprattutto i contadini, portando alla miseria più dell’80% della popolazione rurale. E, durante l’inaugurazione di un seminario, quando si lanciò la proposta di una Strategia Boliviana per la Riduzione della Povertà (EBRP), lo stesso presidente Hugo Banzer si rammaricò del fatto che nemmeno la stabilità economica avrebbe contribuito a diminuire gli indici di povertà in cui viveva la popolazione. Nell’anno 2000 era costituito da più della metà della popolazione boliviana (63%), in modo particolare quella di origine indigena. La questione agraria, che la rivoluzione del 1952 cercò di rendere più equa, mediante la ripartizione dei latifondi e la distribuzione delle terre per i lavoratori rurali, diventò nuovamente una grave fattore di tensioni con conseguente irruzione di conflitti sociali[xiv].
La debacle economica e finanziaria dell’Argentina che non ebbe altra scelta se non quella di applicare il default con conseguente sospensione dei pagamenti del debito estero nel bel mezzo di un’acuta crisi politica e sociale, rese evidente il carattere perverso del modello neoliberale. Il professore nordamericano, Paul Krugman, non si sbagliava quando commentava in un suo articolo apparso sul New York Times, nel quale scriveva che “il fallimento catastrofico” (catastrophic failure) delle politiche economiche imposte a quel paese con il timbro “made in Washington”, rappresenta un altrettanto disastro della politica estera degli Stati Uniti, così come il più grande rovescio per la proposta dell’ALCA[xv]. I negoziati per l’introduzione dell’ALCA, il cui obiettivo era l’effettiva applicazione della Dottrina Monroe all’economia e al commercio della regione, non giunsero, nei fatti, a nessun risultato, dovuto all’opposizione da parte del Mercosur. Il Brasile e l’Argentina in testa, rifiutarono, inter alia, le pretese avanzate dagli Stati Uniti sugli investimenti e i servizi, così come altre regole relative alle patenti, rafforzando quelle già esistenti nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Rigettarono, inoltre, l’apertura del mercato degli acquisti statali, il che avrebbe impedito allo Stato, il maggiore consumatore di beni capitali, di impiegarli a beneficio delle aziende nazionali e di quelle straniere insediate nel paese[xvi].
[Trad. dal portoghese per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]
NOTE:
[i] Lars Schoultz, Beneath the United States. A History of. U.S. Policy Toward Latin America, 1998, p. 373.
[ii] Ibid., p. 10.
[iii] Jan K. Black, Sentinels of Empire – The United States and Latin American Militarism, New York, Greenwoodpress, 1986, p. 10.
[iv] Samuel Guimarães Pinheiro, Quinhentos anos de periferia, Porto Alegre – Rio de Janeiro, Editora da Universidade/UFRGS – Editora Contraponto, 1999, p. 99.
[v] Il presente volume fu elaborato da Moniz Bandeira quando il Venezuela, insieme all’Argentina, non era ancora membro a pieno titolo dell’organizzazione (ne entrerà a formar parte il 31 luglio 2012) e quando il Paraguay non era stato ancora sospeso dalla stessa [N.d.T.]
[vi] Colonnello Joseph R. Núñez, A 21st Century Security Architecture For The Americas: Multilateral Cooperation, Liberal Peace, And Soft Power, agosto 2002, in http://www.strategicstudiesinstitute.army.mil/pubs/display.cfm?pubID=15
[vii] Secretary of State-Designate Madeleine K. Albright. Prepared statement before the Senate Foreign Relations Committee, as released by the Office of the Spokesman, Department of State, Washington, D.D., January 8, 1997. http://www.secretary.state.gov/statements/970108a.html
[viii] Barshefsky statement before House Trade Panel 3/18, U.S. Information and Texts, N° 011, March 20, 1997, p. 42.
[ix] Samuel Pinheiro Guimarães. “ALCA para principiantes”; “Como será a ALCA”, manoscritti.
[x] Ibidem.
[xi] Questo progetto di Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI), iniziò a essere negoziato, in totale segreto, dai paesi dell’OCDE, nel 1995. Ma una volta diventato pubblico, i negoziati furono sospesi intorno alla fine del 1998, dovuto all’insorgere di problematiche economiche e alla severa opposizione che subì.
[xii] Statement of General Charles E. Wilhelm, commander-in-chief, U.S. Southern Command, Before the Senate Caucus on International Narcotics Control, March 23, 2000.
[xiii] Henry Kissinger, Does America Need a Foreign Policy. Toward a Diplomacy for 21st Century, New York, Simon & Schuster, 2001, p. 136.
[xiv] Si veda Luiz Alberto Moniz Bandeira, Brasil, Argentina e Estados Unidos – Conflito e integração na América do Sul (Da Tríplice Aliança ao Mercosul), Rio de Janeiro, Editora Revan, 2ª. ed., 2003, pp. 554-555.
[xv] Paul Krugman – “Crying with Argentina”, in The New York Times, NY, 1.1.2002.
[xvi] Samuel Pinheiro Guimarães, Desafios brasileiros na Era dos Gigantes, Rio de Janeiro, Contraponto Editora, 2006, p. 282.
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