(VIDEO) La solidarietà con il Venezuela bolivariano parte dal Chikù di Scampia

di Romina Capone

Il 13 aprile del 2002 il comandante Chávez fu vittima di un colpo di stato da parte delle forze fasciste venezuelane. L’attacco fallì. Hugo Chávez fu liberato dal popolo bolivariano. Diciassette anni dopo a Scampia, periferia Nord di Napoli, la resistenza continua. L’anniversario organizzato dall’Associazione “Resistenza” e il Partito dei Carc-Napoli Nord come spunto di riflessione in un luogo simbolo dell’unione tra i popoli: il Chikù di Scampia.

 

«Quanto sta accadendo in Venezuela rappresenta appieno la situazione mondiale. In tutto il mondo si respira un’aria di fermento dagli esiti più disparati. In Italia è in corso una fase di resistenza spontanea da parte delle masse popolari con il rifiuto di un governo delle larghe intese, pur non essendoci un forte movimento comunista» afferma Marco Coppola militante del P-Carc e continua «In francia i Gilet Gialli sono l’espressione di tensione per contrastare la realtà. In Belgio e in Spagna i focolai sono accesi. L’Italia, un paese dove il governo è pieno di contraddizioni interne sin dagli albori della sua costituzione, vede il ruolo fondamentale delle masse popolari. La nostra solidarietà con il Venezuela significa rompere i rapporti con quei paesi imperialisti. La nostra solidarietà è il grande contributo alla causa della rivoluzione bolivariana».

La popolazione italiana compie piccole rivoluzioni ogni giorno e Scampia ne è un esempio.

Il Chikù, ristorante italo-balcanico, laboratorio e cucina oltre che del corpo anche della mente, non è stato scelto a caso come location per la realizzazione di questo incontro volto inoltre a contribuire alle spese processuali a carico di Rosalba Romano, la giornalista della redazione di Vigilanza Democratica sotto processo a Milano.

Chikù nasce dalla fusione di due progetti:

– La Kumpania è un’impresa sociale nata nel 2013 per valorizzare la passione per la cucina di un gruppo di donne che hanno fatto del loro talento, una professione con l’obiettivo di offrire un servizio “genuino e responsabile” attraverso un percorso di emancipazione.

-L’associazione “Chi rom e… chi no” è nata nel 2002 a partire dalla creazione di relazioni significative tra le comunità rom e italiana del quartiere Scampia e della città, attraverso interventi culturali e pedagogici, lavorando nella periferia intesa come luogo di sperimentazione e condivisione di buone pratiche.

Il massimo esempio di integrazione di unione e solidarietà tra i popoli – spiega la fondatrice Barbara Pierro – . Un faro di speranza per gli abitanti di Scampia, una periferia che conta sessanta mila abitanti. Una periferia che si rimette in gioco per ritornare al centro della società, per il cambiamento.

img_2573Molte sono state le dirette e gli interventi telefonici da Caracas durante la serata. Presente anche il Consolato della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli; Anika Persiani rappresentante Esteri dei circoli bolivariani dello Stato Carabobo ci ha raccontato cosa è realmente accaduto a Caracas durante il lungo blackout dei giorni scorsi: «Attraverso la mancanza dell’energia elettrica vogliono sabotare il presidente Maduro e generare il panico tra la popolazione sperando che scoppino guerre civili. Ovviamente chi ha sofferto per la mancanza di corrente è stata la popolazione più povera; loro, i veri sostenitori del presidente Nicolás Maduro. Nelle zone ricche del Paese la corrente non è mai mancata; essi sono provvisti di potenti generatori ad uso privato di energia elettrica» continua Anika Persiani «ma i venezuelani sono forti e coraggiosi. Non hanno ceduto a questo sabotaggio, a questa trappola psicologica. Abbiamo vissuto con estrema tranquillità questi momenti: abbiamo comprato candele per illuminare le nostre case. Abbiamo acceso falò in giardino; abbiamo cucinato all’aperto tutti insieme. Nei quartieri abbiamo grigliato la carne e consumato insieme tutto il cibo restante, a causa dai congelatori ormai fuori uso. I cittadini venezuelani resistono e lottano contro l’egemonia degli Stati Uniti d’America i quali stanno facendo il possibile per piegarci al loro volere. Per sottometterci. Riflettiamo: l’aeroporto internazionale di Caracas Simón Bolívar è il primo dell’America meridionale. Possiede La Guaira, uno dei due porti principali di tutto il Mar dei Caraibi, secondo è quello di Cuba. Il vicino Canale di Panama collega gli oceani. Perché gli Stati Uniti inviano gli aiuti umanitari destinati al Venezuela in terra colombiana invece che utilizzare container su nave la quale con 12 ore di navigazione arriva diretto a Caracas via mare? Due parole: casus belli. Gli Stati Uniti vogliono annullare il voto di sei milioni di venezuelani, stanno provando ad instaurate un governo parallelo riconosciuto oltreoceano. Ci stanno minacciando di ucciderci con una guerra civile, ci stanno imponendo una persona autoproclamatasi presidente del Venezuela. Paghiamo un numero di sanzioni politiche e finanziarie. Non possiamo comprarci le medicine. Ci hanno confiscato un grande numero di risorse. Siamo preparati ad un’eventuale invasione da parte delle forze militari statunitensi che vorranno violare la sovranità nel nostro paese. Il popolo venezuelano non vuole che una forza straniera invada le nostre città distruggendo le nostre case, le nostre università, i nostri ospedali, le nostre vite».
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(VIDEO) Il senatore cileno Navarro: «L’Enel avvelena la comunità di Coronel»

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2543.jpgdi Romina Capone

Napoli, 12apr2019.- Mercurio, arsenico, piombo, nichel e altri metalli pesanti contaminano la comunità di Coronel. La centrale termoelettirica Endesa Bocamina di proprietà del gruppo Enel, alimentata a carbone, intossica gli abitanti inquinando l’aria, la terra e le acque del sud del Cile. A denunciare quanto sta accadendo è il senatore cileno Alejandro Navarro Brain il quale è accompagnato in Italia da Juana Hernandez (rappresentante delle famiglie vittime dell’inquinamento) e dal dottor Fredy Jelvez per incontrare l’amministratore delegato della multinazionale. La centrale termoelettrica è situata a soli dieci metri dal centro abitato e a cento metri da un edificio scolastico. Le analisi cliniche di sangue e urine hanno riscontrato che 17 alunni, 5 docenti e 2 genitori sono stati contaminati da metalli pesanti. Risulta elevato il numero di tumori e malattie neurologiche geneticamente trasmissibili. La popolazione è affetta da allergie croniche a seguito dell’inalazione dei fumi di scarico. Inquinata è anche l’acqua apportando ingenti danni alla loro economia che si basa in parte sulla pesca. I terreni sono incoltivabili.

 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2537.jpg«La centrale di proprietà italiana emette quotidianamente tonnellate di materiale tossico. Quando sono arrivato a Napoli mi hanno raccontato la triste realtà della Terra dei Fuochi. Capisco bene cosa vuol dire vivere in un territorio inquinato e contaminato. Stiamo sostenendo una dura lotta affinché vengano rispettati i diritti dell’ambiente e della salute. La causa contro in gigante Enel, portata in tribunale, l’abbiamo vinta una volta. Il giudice ha emanato, a 13 dirigenti dell’Enel, il divieto di lasciare il Paese» afferma Navarro e continua «Il nostro unico aiuto giunge dalle famiglie vittime dell’avvelenamento. Sono le mamme dei 17 alunni che lottano per avere giustizia. Solo grazie a loro abbiamo raccolto innumerevoli denunce. La mobilitazione popolare ci è di grande sostegno. Sarà una dura lotta contro la grande multinazionale capitalista che inizialmente chiedeva 138 dollari americani ogni megawatt/h ma siamo riusciti a far abbassare la cifra fino a 38 dollari MW/h. Inoltre l’azienda, dietro ricatto, non permette ai propri dipendenti di poter fare causa alcuna fino all’anno 2052. Ci ritroviamo in Cile a dover affrontare e risolvere un grave problema causato da una multinazionale italiana. Dopo aver appreso l’emergenza di Bagnoli, Acerra e tutta l’area della terra dei fuochi, ci siamo resi conto che la situazione ambientale è decisamente molto peggio della nostra. La politica deve responsabilizzarsi di fronte a questi disastri ambientali. Così come deve farlo il governo, i comuni e i cittadini. Se i politici non mettono in agenda il tema della salute ambientale e dell’uomo allora bisogna togliere di mezzo questi politici. Mi sento in colpa nei confronti delle nuove generazioni. La lotta per la vita è la prima lotta da vincere». Inoltre, il Senatore Navarro ha anche fatto riferimento allo scandaloso caso di Assange, un chiaro esempio oggi di prigioniero politico, per spiegare come funzione il sistema odierno di oppressione: «Vedete che chi come Assange mette a disposizione dei cittadini, gratuitamente, le informazioni delle grandi imprese multinazionali e di chi le comanda politicamente, viene perseguito ed arrestato, mentre chi invece consegna, dietro pagamento, le informazioni dei cittadini a quelle stesse grandi multinazionali, viene indicato ad esempio come uomo dell’anno», un lampante esempio di come funziona il mondo alla rovescia, per dirla con Eduardo Galeano.  

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2539.jpgJuana Hernandez è la testimonianza diretta di quello che sta accadendo a Coronel: «Il servizio medico statale ci ha comunicato che un quarto dei bambini della scuola di cui io sono la preside sono malati. Sono affetti da allergie croniche permanenti. Da leucemia. Da cancro e da tumori mai visti prima. Hanno un elevato deficit di apprendimento» continua il suo racconto «il tema energetico ossia la corrente elettrica è senza dubbio indispensabile per poter vivere. Ma gli effetti collaterali nessuno li ha considerati. Lo stato cileno, il quale non si sente responsabile di quanto sta accadendo, ha deciso che il nostro vicino di casa doveva essere un mostro gigante che sbuffa cenere e carbone in una discarica a cielo aperto nel centro storico del paese. Noi ora ne stiamo pagando le conseguenze. Vogliamo che l’Enel ci dia ascolto. Il loro denaro non è quello che ci interessa. La comunità di Coronel ha bisogno di salute, di poter vivere in un ambiente libero dall’inquinamento. Vogliamo ricominciare a sognare insieme ai nostri figli su ciò che sarà il loro futuro ad oggi incerto».

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è img_2533.jpgDenunciare il danno ambientale è l’unica strada da intraprendere per il diritto alla salute dei popoli. Tramandare alle nuove generazioni l’importanza della qualità dell’ambiente, dei beni culturali per la salvaguardia dell’intero pianeta Terra spiega Maria Teresa Iervolino attivista politica, docente del liceo scientifico Labriola i cui studenti erano presenti all’incontro tenutosi a Palazzo San Giacomo.

«Ci siamo sentiti in dovere di ospitare a Napoli il senatore Navarro perché sono troppe le assonanze tra l’Italia e il Cile» sostiene Elena Coccia consigliera della città Metropolitana di Napoli e presidente della commissione cultura del Comune di Napoli affiancata da Laura Marmorale Assessore ai Diritti di cittadinanza ed alla Coesione sociale – relazioni internazionali, solidarietà popolare e cooperazione decentrata, da Ciro Borriello Assessore al verde urbano e allo sport, da Raffaele Del Giudice Assessore all’ambiente, da Amarilis Gutiérrez Graffe politologa ed esperta delle Relazioni internazionali, da Tommaso Sodano politico, agronomo e attivista per i diritti ambientali e da Gianmarco Pisa dei Corpi Civili di Pace.

“Se volete il lavoro dovete tenervi l’inquinamento” rimbomba in tutto l’universo questo slogan dai caratteri imperialisti. Rimbomba nella testa delle vittime dell’Italsider, nella testa delle vittime del termovalorizzatore di Acerra, rimbomba nella testa delle vittime all’Isochimica di Avellino, sul Formicoso dell’Irpinia. Rimbomba fino al sud del Cile, dove la centrale dell’Enel eroga energia per il Cile del Nord, dove di tutto lo stabilimento solamente quaranta operai sono cileni; il resto proviene dall’Italia. Sembra un film già visto con i sottotitoli in lingua italiana. L’Ilva di Taranto in Puglia, o l’Isochimica in Calabria, giusto per fare un esempio, tutte funzionali all’economia del nord Italia a dimostrazione che il liberismo non solo distrugge se stesso ma distrugge anche la Terra.


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Venezuela e Italia: A Napoli l’incontro di due popoli da 163 anni

di Romina Capone

Sono trascorsi esattamente centosessantatré anni da quando per la prima volta si aprirono le porte del Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli. Un numero che lascia spazio a profonde riflessioni storiche. Sono passate più di sette generazioni le quali hanno visto diverse trasformazioni politiche sia in Venezuela sia in Italia, dove Napoli da sempre è stata il baricentro dei cambiamenti.

Il popolo napoletano e quello latinoamericano: i due Sud. Ma c’è un volto in particolare che esprime la grandezza del Consolato venezuelano e il magistrale lavoro svolto sul territorio negli ultimi anni; è quello di Amarilis Gutiérrez Graffe: ad oggi Console Generale de Primera della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli. Senza di lei i rapporti di solidarietà internazionalista non sarebbero stati gli stessi. Nel corso del suo mandato alla guida del Consolato, durato circa quattro anni, Amarilis Gutiérrez Graffe ha costruito un collettivo di lavoro interno, e ha radunato, accorpato ed unito un collettivo di appoggio costituito da tutte quelle vastissime realtà popolari presenti ed attive nella Città Metropolitana di Napoli.

«Unità, passione. Voglia di resistere. Sono questi gli insegnamenti che ci tramanda il popolo venezuelano. Napoli e l’Italia intera è molto vicina alla questione venezuelana per le ragioni storiche che accomunano i nostri popoli. Sappiamo cosa significa vivere momenti difficili. Non ho mai sopportato le interferenze di governi stranieri verso una nazione. Sostengo l’autonomia dei popoli: il popolo decide e scrive le sorti del proprio destino. Bisogna lottare contro il sistema che ci rende infelici; contro le manipolazioni mediatiche. I popoli si devono unire e non dividere. Servono ponti di cultura, accoglienza e solidarietà e se è necessario realizzare un modello economico alternativo. Napoli farà la sua parte per stare vicino ai popoli che soffrono per aiutarli a costruire un futuro migliore». Così il Sindaco Luigi de Magistris nel corso della cerimonia per celebrare l’anniversario della fondazione del Consolato venezuelano a Napoli alla presenza dell’Ambasciatore Julián Isaías Rodríguez Díaz presso la sala Rari della Biblioteca Nazionale di Napoli nel Palazzo Reale di Piazza del Plebiscito.

Lo spessore di un paese si rispecchia, agli occhi dei popoli, nella classe politica e nei loro rappresentanti all’estero. Il testimone dunque ora passa nelle mani di Esquía Alejandra Rubin de Celis Nuñez, designata nuova Console Generale del Venezuela nella sede di Napoli.

Encendida crítica del nieto de Allende por Venezuela

por Pablo Sepúlveda Allende
politika.cl

Este domingo en el periódico mexicano La Jornada apareció una columna escrita por Pablo Sepúlveda Allende, nieto del expresidente Salvador Allende, en la cual levanta una sólida defensa del gobierno de Nicolás Maduro, repudia las presiones e injerencias de Estados Unidos y los gobiernos sudamericanos y repasa al Frente Amplio y a sus líderes por su alineamiento con las derechas latinoamericanas.

¿No son, acaso, exactamente los mismos poderes fácticos que desestabilizaron y provocaron el golpe de Estado contra Allende, los que han estado permanentemente desestabilizando y asediando a la Venezuela bolivariana?

Por eso resulta insultante la falta de ética, y la doble moral de figuras políticas visibles que aún se atreven a llamarse representantes de los ideales de izquierda –como, sólo por nombrar algunos, el presidente Pedro Sánchez, la senadora Isabel Allende, la ex candidata presidencial Beatriz Sánchez y sus falderos Giorgio Jackson y Gabriel Boric–, quienes reproducen exactamente el mismo discurso de la derecha mundial para criminalizar a la revolución bolivariana, pero son incapaces de señalar con vehemencia –como sí suelen hacerlo contra el venezolano– al gobierno de Estados Unidos como autor de los peores crímenes contra la humanidad en los pasados 70 años. Sólo en lo que va del siglo XXI sus intervenciones militares en Afganistán, Irak, Libia y Siria han dejado millones de muertos, millones de refugiados, países devastados e inmersos en el caos.

¿Es analfabetismo político? ¿Confusión ideológica? ¿Cobardía política? ¿Doble moral? ¿O es el oportunismo, lo que no les permite alzar su voz para denunciar y rechazar la anunciada intervención militar en Venezuela por Estados Unidos?

Existe un escenario prebélico muy claro en Venezuela y lo único que se les ocurre declarar en medios y redes sociales es que Maduro es un dictador, que viola de los derechos humanos, que hay una persecución política a quien opina diferente, etcétera. Todas ellas, gigantescas falacias del mismo tamaño de las corporaciones mediáticas que las fabrican. Poco o nada dicen sobre el sociópata Trump y la camarilla de criminales de guerra que lo rodea.

Con el mayor de los cinismos, vienen a decir que Venezuela o Nicaragua dañan a la izquierda ¡Vaya desfachatez! ¿Con que autoridad, a estas alturas, se autoproclaman de izquierda? Daño le hace a la noble lucha y al genuino ideal de izquierda la indefinición, la desideologización, el no asumirse anticapitalista, antineoliberal, el decir que el imperialismo es un concepto trasnochado, que con todo su poderío económico y militar sigue pretendiendo quitar y poner gobiernos afines a sus intereses, a punta de sangre y fuego, sin disimulo ni pudor alguno.

Daño le hacen a la izquierda si ya no luchan y si no se atreven a alzar su voz contra las terribles injusticias que son producto de ese sistema de despojo permanente.

Si ya no creen verdaderamente en la alternativa socialista para trascender este sistema criminal e inmoral, es mejor que no se llamen de izquierda.

Con todos los errores y problemas que pueda haber, ustedes no tienen autoridad moral para señalar a Venezuela, a Nicaragua o a Cuba como dictaduras que como política violan los derechos humanos. Sean consecuentes y leales a los anhelos de justicia de las mayorías. Groso daño hace a la política y a la izquierda, criticar irresponsablemente a los procesos políticos que deciden ser soberanos y que les toca, nada más y nada menos que enfrentar a los poderes fácticos de la plutocracia mundial.

Hoy por hoy, en Venezuela está en curso un golpe de Estado que pretende abrirle las puertas a una intervención militar. En esta ocasión, el gobierno estadunidense no está detrás –como sí lo estuvo solapadamente aquél fatídico 11 de septiembre de 1973–, hoy está adelante del golpe, anunciándolo, violando toda norma del derecho internacional y la Carta de la Naciones Unidas.

Recordemos que la excusa que hasta el día de hoy utiliza la derecha chilena para justificar el golpe de Estado es la honda crisis que atravesaba el país (palabras del propio tirano). Sabemos que esa crisis fue, en gran medida, provocada por la asfixia económica que decretó Nixon. Hoy, en Venezuela, la crisis económica es también, en gran medida, provocada por los poderes económicos nacionales y trasnacionales. Esa crisis, a la que convenientemente quieren catalogar de crisis humanitaria, es la excusa para justificar lo injustificable: la intervención militar.

Tal vez sea mucho pedir que apoyen abiertamente a la revolución bolivariana, pero si dicen ser demócratas, humanistas y de izquierda, sí me atrevo a exigirles que, en este momento histórico, no titubeen en tomar posición del lado correcto de la historia, del lado del respeto a la soberanía y la autodeterminación del pueblo venezolano y de todos los pueblos del mundo, del lado del respeto al derecho internacional, del lado de la paz. Debemos tener la audacia y el coraje de luchar decididamente contra los intentos injerencistas y golpistas, sin ambigüedades ni medias tintas. Es nuestro deber. El momento histórico lo exige. Están a tiempo de rectificar. La historia los juzgará.

Pablo Sepúlveda Allende: nieto de Salvador Allende; médico, coordinador del capítulo venezolano de la Red en Defensa de la Humanidad.

Brigada Internacionalista Che Guevara en defensa de la Revolución Bolivariana

por minci.gob.ve

Jóvenes del mundo, unidos en la Brigada Internacionalista Che Guevara, sellaron su compromiso con la defensa de la Revolución Bolivariana, tras rendir tributo al Padre de la Patria Simón Bolívar.

Los jóvenes revolucionarios asistieron al Panteón Nacional, en Caracas, donde colocaron una ofrenda floral ante el sarcófago que guarda los restos del Libertador. El acto solemne forma arte de las actividades programadas en la visita que realiazan los delegados y delegadas a la nación sudamericana.

Acompañaron la ceremonia el viceministro de Relaciones Exteriores para América del Norte, Carlos Ron, y el director de Organismos Internacionales del Ministerio del Poder Popular para Relaciones Exteriores, Rander Peña, en representación del Estado venezolano.

A partir del intercambio de experiencias y trabajo voluntario entre diversos movimientos sociales del mundo y de la República Bolivariana de Venezuela, se conformó la Brigada Internacionalista, de carácter solidario y militante, Che Guevara, en solidaridad con la Revolución Bolivariana.

Cerca de 200 jóvenes militantes del mundo (América del Norte, Centroamérica, El Caribe, América del Sur, África Sub-sahariana, Región Árabe, Asia y Europa), participan del encuentro con el pueblo venezolano en sus luchas cotidianas, tanto en lo rural como en lo urbano, adentrándose en lo que es la construcción del Poder Popular y la vía comunal al Socialismo.

Asimismo, la brigada internacional comparte actividades con actores políticos, principalmente jóvenes, en funciones de gobierno, así como con distintas organizaciones juveniles con presencia a escala nacional, desde el sábado 16 hasta el viernes 22 de febrero, como antesala a la Asamblea Internacional de los Pueblos, que se llevará a cabo del 24 al 27 de febrero de 2019.

Tomando en cuenta que en Venezuela se ha pretendido consumar un golpe de Estado contra el Gobierno constitucional del Presidente Nicolás Maduro, a través de una estrategia de guerra prolongada de cuarta generación, un bloqueo económico y financiero que genera desabastecimiento de alimentos, medicinas y demás bienes y productos esenciales, los delegados internacionales se plantean entre sus objetivos generar una plataforma en solidaridad con la Revolución Bolivariana, a escala mundial.

A través de esta plataforma se sostiene una articulación política y comunicacional permanente, generando herramientas para el manejo eficaz de la información, así como la planificación y ejecución de acciones específicas, en defensa del derecho a la autodeterminación de los pueblos, contrarrestando con esto, el avance de la hegemonía imperialista.

De la misma manera, aspiran conocer desde el territorio la realidad venezolana para desmitificar lo que realmente sucede en Venezuela, desmontando así, las falsas matrices informativas, consecuencia de la manipulación mediática internacional. Además, buscarán contribuir sustancialmente en la preparación de las y los brigadistas, para lo que será la participación de la Juventud en la Asamblea Internacional de los Pueblos.

¿Qué es una Brigada Internacionalista?
Las Brigadas surgen debido a la necesidad de construcción de una identidad internacionalista que trascienda las naciones. Se organizan en la década de 1930 en la Unión Soviética y en plena guerra civil española.

Desde entonces, las luchas planetarias por la liberación de la humanidad han estado marcadas por la presencia y el trabajo activo de Brigadistas en todo el planeta. Estas Brigadas militan en países donde haya mayor necesidad de solidaridad, trabajo voluntario y articulación política entre organizaciones populares y gobiernos progresistas.

Chavistamente hablando

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Risultati immagini per Marcha Chavista Maduro por Carola Chavez
 
Cuando el gobierno de George W. Bush acusó a Saddam Hussein de ser un dictador tan malvado que tenía armas de destrucción masiva, dejó bien claro que estas acusaciones no eran contra del pueblo iraquí, por el contrario, eran para protegerlo de la malvada dictadura que hacía de sus vidas un infierno. Entonces, los opositores a Saddam recorrían el mundo, buscando apoyo de la “comunidad internacional” para que, por favorcito, los ayudaran a derrocar al tirano porque ellos no tenían ni la fuerza ni las pelotas para tumbarlo por sus propios medios.
 
Cuando en 2003 los EEUU invadió Iraq, lo hizo, ya saben, porque Saddam era malo y tenía armas de destrucción masiva. Desde la Casa Blanca, George W. felicitaba al pueblo iraquí por haber recuperado su libertad, mientras los mataba a bombazos. A todas estas, voceros de la oposición iraquí, instalados en Londres, declaraban a los grandes medios su satisfacción porque su país, por fin, conocía la libertad.
 
Ya sabemos cómo sigue la historia. Ya sabemos qué pasó con el pueblo iraquí. Hundidos en una guerra sin final a la vista, pero eso no es contra ellos, ya saben, es contra el malvado de Saddam y esas armas de destrucción masiva que tenía… “Bueno, que no tenía, que nos equivocamos”, dijo Tony Blair; “que cualquiera se equivoca”, dijo José María Aznar; “que sí, que nos dieron informes falsos”, dijo Obama porque Bush no estaba ya ahí para lavarse las manos. Los que no han dicho ni pío fueron aquellos opositores que facilitaron la invasión, aquellos que sirvieron de títeres para confirmar cada mentira inventada para justificar el saqueo de su propio país… tan habladores que eran y no han dicho ni pío…
 
Antes de Iraq fue con Afganistan, pobre país tomado por talibanes trogloditas que obligaban a sus mujeres a llevar burkas, nos contaba el Departamento de Estado, y lo confirmaba en perfecto inglés británico un señor que decía ser afgano. Tampoco era nada contra el pueblo, sino contra los talibanes que lo oprimían. Ahora, además del problema de llevar burkas a juro, las afganas tienen que lidiar con una guerra que no se acaba.
 
Lo mismo hicieron con Libia. Aquel montón de expedientes, aquel chorro de declaraciones, aquella “profunda preocupación” por la democracia, por la libertad del pueblo libio. Vimos a los títeres de turno, dirigentes de oposición que hablaban en nombre del pueblo que iban a masacrar. Y otra vez las bombas, esta vez llamabas “humanitarias” como diciendo “Les pegamos porque los queremos”
También sabemos qué pasó con Libia. ¿Me pregunto dónde están aquellos voceros opositores?
 
Y luego Siria, donde se le enreda el yoyo a la OTAN, porque Rusia… Y en medio de todo Ucrania para cercar a ese hijo de Putin, y estamos profundamente preocupados por la democracia Rusa -dicen desde los EEUU- y que quede claro que esto tampoco en contra el pueblo… Pero Putin es mucho Putin y hay que andarse con cuidado…
 
Y Venezuela, la mina de los mil tesoros, sigue sin entrar por el aro. Torres de expedientes acusando al gobierno de terrorista, primero, de narco terrorista después, de amenaza inusual y extraordinaria para los intereses de los Estados Unidos pero que quede claro: todo esto no es contra el pueblo venezolano, sino que es por su bien, dice cada vocero gringo que abre la boca, y lo repite cada vocero de la oposición con la boca llena de dólares, con sus hijos a salvo en Miami y un green card en el bolsillo.
 
Si desde el norte dicen que el gobierno es terrorista, salen todos de gira internacional a reforzar las palabras de sus amos. Si dicen que ahora es narcotraficante, salen de gira otra vez, a lambucear afuera el apoyo que no consiguen en su propio país.
 
Esta semana, el cuento gringo es que, según el Departamento del tesoro -y sin presentar ni una prueba, por cierto-, Tareck El Aissami, nuestro vice presidente, es narcotraficante. ¡Una pelusa! Y agrega, como siempre, el secretario del tesoro que “esto no es contra el pueblo de Venezuela”.
 
Ese mismo día, en el Congreso colombiano, Julio Borges, declaró, con una sincronía asombrosa, que Venezuela es un narco estado y es una amenaza para Colombia y el resto de América Latina. y pide acciones internacionales contra su país. Y Luís Florido se apresuró a poner lo suyo diciendo que Tareck tiene que “separarse del cargo, si no teme someterse a investigaciones de las autoridades internacionales”. Esto es que cada vez que los gringos quieran cambiarnos el vice presidente, o cualquier ministro, o incluso el presidente, solo tienen que montar otro expediente de esos y ¡zuas! Florido, excitadísimo, advierte además, que estas acusaciones pueden derivar en un bloqueo financiero contra nuestro país, pero esto no es contra el pueblo, sino contra Tareck que no quiere renunciar e irse a vivir a la cárcel Guantánamo. Freddy Guevara, fue más allá y le dijo al Presidente Maduro: “Si usted permite que un vicepresidente de la República acusado de narcotráfico esté a un paso de la presidencia de la República, el responsable de traición a la patria será usted”. Mira tú, según Guevara, si el Presidente de Venezuela se niega a ser un títere del gobierno gringo y no hace lo que éste le manda, entonces es un traidor a la Patria, mire usted. Y, casualmente de gira en Washington, no podía faltar Lilian Tintori quien, con su cara de princesa Disney monjil transfigurada de violenta excitación, reclamó al mismísimo Donald Trump, más que palabras, acciones contundentes contra Venezuela.
 
Yo les dijo una cosa: en los Estados Unidos, si algún político gringo hiciera contra su gobierno, contra su país, lo que Borges y su combo hacen aquí, serían acusados de traición a la Patria por atentar contra la seguridad nacional y esto allá implica hasta la pena de muerte. Aquí, en esta “cruel dictadura que persigue a la disidencia y coarta la libertad de expresión”, a lo máximo que llegamos es a llamarlos vende patrias y, para colmo, ellos se ofenden.

Lucha por el alma de Venezuela se ha convertido en una guerra mediática

Risultati immagini per golpe mediaticopor Shannon Ebrahim – Editor Internacional – Prensa Independiente

 

Venezuela se está convirtiendo en una prueba de fuego para la capacidad de Occidente de llevar a cabo con éxito el cambio de régimen sin tener una intervención militar completa. El presidente Trump no está tan interesado en cometer grandes cantidades de tropas para organizar una intervención militar como lo hicieron en Irak, pero está decidido a perseguir el cambio de régimen por otros medios. Para aquellos que piensan que Juan Guaidó es el demócrata definitivo que está esperando entre bastidores para liberar a los venezolanos de los grilletes de la revolución bolivariana, deberían pensar de nuevo. Guaidó ha sido preparado para tomar el poder en Venezuela durante más de una década por los halcones en el sistema político de los Estados Unidos. Guaidó estudió en 2007 en la Universidad George Washington y se graduó de economista neoliberal.

 

Tres años después, en noviembre de 2010, Guaidó asistió a un curso de capacitación secreto en México sobre cómo derrocar al presidente Hugo Chávez. El entrenamiento fue proporcionado por Otpor, que se convirtió en un modelo de resistencia serbio que logró derrocar a Slobodan Milosevic. El modelo de Otpor (significa resistencia) se ha utilizado para entrenar a la oposición en muchos países, especialmente en Europa del Este para derrocar a los gobiernos en las revoluciones de varios colores. Guaidó no fue el primer venezolano capacitado en tácticas de Otpor, ya que cinco líderes estudiantiles de Venezuela ya habían sido llevados a Belgrado en 2005 para recibir capacitación del Centro para la Acción No Violenta Aplicada (CANVAS). Esto fue financiado por la ONG estadounidense, National Endowment for Democracy, que se sabe que promueve los esfuerzos de cambio de régimen en varios países. CANVAS se ha convertido en un instituto de capacitación para exportar revoluciones, y se dice que modelos como Otpor también reciben fondos de la USAID y la CIA.

Guaidó procedió a unirse a un grupo de extrema derecha en Venezuela que lanzó campañas de desestabilización que incluían la violencia callejera. También se convirtió en una figura de nivel medio en la asamblea nacional, trabajando hasta convertirse en un diputado alternativo después de nueve años. En 2014, Guaidó aprovechó mucho lo que había aprendido en su entrenamiento, apoyando los intentos de derrocar a Chávez a través de violentas manifestaciones callejeras con barricadas conocidas como Guarimbas. En 2017, su grupo supuestamente estuvo involucrado en la destrucción de la infraestructura pública y el asesinato de partidarios del gobierno. Para diciembre de 2018, Guaidó viajó a los Estados Unidos, Colombia y Brasil para coordinar los planes de manifestaciones masivas que se realizarán fuera de la inauguración presidencial de Maduro en enero de este año.

 

Fue un plan perfectamente coreografiado, con el secretario de Estado de EE. UU., Mike Pompeo, reuniéndose con Guaidó el 10 de enero, y luego respaldarlo públicamente para asumir el cargo de presidente de Venezuela. Según varios informes noticiosos, antes de enero de este año solo uno de cada cinco venezolanos había oído hablar de Guaido, que tiene 35 años. Pero eso no ha impedido que los medios estadounidenses lo consideren la respuesta a los problemas de Venezuela. Como no ha sido probado, el New York Times lo ha llamado “líder creíble”, Bloomberg ha dicho que “restaurará la democracia” y el Wall Street Journal lo ha calificado como un “líder democrático”.

La lucha por el alma de Venezuela se ha convertido en una guerra mediática, que en su mayor parte ha sido ganada por los medios occidentales que aceptan sin críticas la narrativa oficial promocionada por sus administraciones conservadoras. Esa narrativa es la más articulada por Trump, quien ha llamado a Venezuela un eje clave en la “Troika de la Tiranía”, que incluye en su mente a Cuba y Nicaragua. Está claro a quién seguirá Estados Unidos si logran derrocar al gobierno en Venezuela e instalar un títere estadounidense. Hasta la fecha, los esfuerzos de Estados Unidos para sacar a Maduro de manera encubierta han fracasado. Hubo la Operación Constitución que intentó capturarlo en el palacio presidencial, la Operación Armagedón que intentó asesinarlo en un desfile militar, y un tercer intento de asesinarlo usando un avión no tripulado.

La estrategia más reciente es tratar de forzar a través de un envío masivo de ayuda humanitaria que Maduro ha bloqueado hasta ahora, y posiblemente podría establecer el pretexto para la intervención militar sobre una “base humanitaria”. Se ha informado que Estados Unidos podría estar considerando enviar 5,000 soldados a la vecina Colombia. Incluso esta semana, cuando se le preguntó a Trump si enviaría tropas a Colombia, su respuesta fue “verás”. Pero si EE. UU. piensa que una intervención militar será un paseo, es probable que estén subestimando la determinación de los militares venezolanos de luchar por la defensa y la soberanía de su país. El equilibrio de fuerzas en el ejército no apoya el cambio de régimen hacia la oposición.

Las consecuencias de una opción militar de EE. UU. podrían llevar a un importante derramamiento de sangre, razón por la cual Sudáfrica está utilizando todas las palancas que tiene en el Consejo de Seguridad de la ONU para defender una solución política y un diálogo.

 

Acelerar el colapso

por Pasqualina Curcio

Al mismo estilo del “hacer chillar la economía” de Allende, el vocero del gobierno de Trump, William Brownfield, dijo: “Si vamos a sancionar a PDVSA, ello tendrá un impacto en el pueblo entero, en el ciudadano común y corriente. El contra argumento es que el pueblo sufre tanto por la falta de alimentación, seguridad, medicinas, salud pública, que en este momento quizás la mayor resolución sería acelerar el colapso aunque ello produzca un periodo de sufrimiento de meses o quizás años”. Se refería al pueblo venezolano.

Ante descarada confesión de las partes debería, desde hace rato, reposar en la Corte Penal Internacional la denuncia de Venezuela contra el gobierno de los EEUU. Y tal como sugirió Alfred de Zayas, experto independiente sobre la promoción de un orden internacional democrático y equitativo de la ONU, debería solicitarse a los Estados Partes en el Estatuto de Roma “reconocer los crímenes geopolíticos, entre éstos las medidas coercitivas unilaterales y las manipulaciones monetarias que inducen hiperinflación, como crímenes de lesa humanidad”.

El impacto de las medidas coercitivas unilaterales asciende a US$ 34000 millones de pérdidas. Incluye la cancelación unilateral de cuentas bancarias, el encarecimiento de los créditos internacionales por la manipulación del riesgo financiero del país, trabas en los organismos multilaterales, bloqueo de activos financieros, caso CITGO, incremento del costo de operaciones por fletes y triangulación para la adquisición de bienes.

Sumémosle US$ 95000 millones de pérdidas por la caída de la producción nacional desde el 2016 hasta el 2018 consecuencia del ataque a la moneda. La manipulación en más de 3.500.000.000% del bolívar es la causa del 40% de la disminución del PIB.

Estos US$ 129000 millones de pérdidas que han generado las acciones criminales de EEUU equivalen para nosotros los venezolanos a la producción de todo un año, o a 30 años de abastecimiento de alimentos y medicamentos, o a 10 años de atención hospitalaria y ambulatoria, o a 6 años de importación de insumos para la producción y bienes de consumo final, o a la deuda externa que debemos pagar en 20 años.

Esos números tienen rostros, el de los niños, niñas, hombres y mujeres venezolanos. Es un pueblo entero. Pero, un detalle, ese pueblo es bolivariano y su fuerza armada también.

¡Aceleremos nosotros la denuncia formal!

Guaidó, la fine di tutti i tuoi sogni

Nessuna descrizione della foto disponibile.di Carola Chávez

Ho visto le tue foto su Facebook, felicissima, lì nella strada di Las Mercedes, dove facevamo festa quando eravamo bambine, ricordi? Ti ho visto con il tuo nuovo berretto tricolore, con il tuo bel taglio di capelli, con i tuoi orecchini e le tue collane, con i tuoi bei vestiti. Sei sempre così civettuola, così ben curata, con il tuo buon gusto. Non ho visto i tuoi figli, suppongo che siano rimasti a casa della nonna.

Immagino che sia stato meglio: i bambini, silenziosi, sicuri e ben curati. Perché facciamo tutto per i bambini, vero? È per questo che sei uscita quel sabato, “per lottare per il loro futuro. E ti sei fermata lì per ascoltare il tuo nuovo leader, con attenzione, e quando ha chiesto – perché il mondo sappia – se vi spaventasse una guerra civile, tu, per il futuro dei tuoi figli, hai gridato con determinazione che “Nooooo!” che non avevi paura, come non hai paura di un’invasione dei Marines; tutto ciò che è necessario per liberarsi da quei chavisti, anche se tra quei chavisti ci sono i tuoi cugini e tuo padre.

Una guerra civile, che emozione! Voi credete che questa guerra, che dite di non temere, inizierà lontano dalla Caracas orientale, nel quartiere “23 de Enero”, mai nella zona Est della città, perché ci sono strade chiuse con posti di blocco e i loro vigilanti sottopagati impediranno alla violenza, che la guerra comporta, di raggiungere le vostre strade tranquille.

Voi credete che la scuola dei vostri figli continuerà a seguire felicemente i bambini, i quali, lontano dal terrore e dalla morte, continueranno le loro lezioni di inglese.

Che la tua vita rimarrà immutata e ancora meglio, libera.

Che la vostra attività crescerà perché non c’è niente di meglio per l’economia familiare di una guerra a meno che il vostro negozio non sia di pompe funebri. Niente è più bello di un massacro tra vicini, familiari e amici, io ti uccido, tu mi uccidi, e quelle profonde ferite che non guariscono mai più. La cosa importante è liberarsi del chavismo.

Vi conosco, conosco le vostre aspirazioni, il valore che date a quelle cose che chiamate “qualità della vita”, la vostra carriera, la vostra preziosa casa, la vostra sicurezza, il vostro futuro e quello dei vostri figli. Conosco anche la follia che ti cattura ogni volta che i tuoi capi organizzano una guarimba.

E perché ti amo, perché amo i tuoi figli, devo dirti, anche se invano, quella guerra civile che Guaidó vuole, che tu dici di non temere, sarebbe la fine di tutti i tuoi sogni, il futuro dei tuoi figli, la tua casa perduta, la tua vita persa nella fuga. Perché ti amo, voglio che tu capisca che nella guerra civile che vuoi non ci sono weekend, neanche per i bambini, nella tranquillità di Puerto Azul.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Romina Capone]

 

“Lettere dalle case chiuse”: Lina Merlin e la legge del 1958

“A 60 anni dalla Legge Merlin” Galleri@rt spazi 28/31 Galleria Principe di Napoli

di Romina Capone

La legge, il periodo storico e Lina Merlin

Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui.

20 febbraio 1958: chiusura delle case di prostituzione

Legge nr. 75 – Art.1 “È vietato l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorità italiane”.

Nota come Legge Merlin, dal nome della senatrice, promotrice firmataria, Lina Merlin, abolì la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di tolleranza e introducendo i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione.

La legge italiana in vigore fino ad allora prevedeva che venissero eseguiti controlli sanitari periodici sulle prostitute, in realtà i controlli erano sporadici e soggetti a pressioni di ogni genere da parte dei tenutari, specialmente al fine di impedire di vedersi ritirata la licenza per la gestione dell’attività.

Questo provvedimento legislativo fu il principale dell’attività politica della parlamentare socialista. Una prima versione del suo disegno di legge in materia di abolizione delle case chiuse in Italia, Lina Merlin l’aveva presentata nell’agosto del 1948 su sollecitazione di un gruppo di donne dell’Alleanza femminile internazionale in visita al Parlamento italiano e su suggerimento di Umberto Terracini, che aveva fatto la tesi di laurea sulla prostituzione. Il progetto divenne legge, dopo un lunghissimo iter parlamentare, il 20 febbraio 1958 veniva abolita la regolamentazione statale della prostituzione e si disponevano sanzioni nei confronti dello sfruttamento e del favoreggiamento della prostituzione.
Il suo primo atto parlamentare era stato quello di depositare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l’uso statale di riscuotere la tassa di esercizio.

Il Partito Socialista Italiano di allora intendeva abolire le case di tolleranza gestite dallo Stato.
La proposta di legge presentata dalla Merlin fu l’unica al riguardo. La Merlin ribadì nel dibattito parlamentare come l’articolo 3 della Costituzione italiana sancisse l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e l’articolo 32 annoverasse la salute come fondamentale diritto dell’individuo; veniva citato inoltre il secondo comma dell’articolo 41 che stabilisce come un’attività economica non possa essere svolta in modo da arrecare danno alla dignità umana.

La legge stabiliva, nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore della stessa, la chiusura delle case di tolleranza, l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e l’introduzione di una serie di reati intesi a contrastare lo sfruttamento della prostituzione altrui.

La legge, proibendo l’attività delle “case da prostituzione” puniva sia lo sfruttamento sia il favoreggiamento della prostituzione, in particolar modo “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.


La norma prescriveva anche la costituzione di un Corpo di polizia femminile, che da allora in poi si sarebbe occupata della prevenzione e della repressione dei reati contro il buon costume (sanzionati anche dalla stessa legge Merlin come “libertinaggio”) e della lotta alla delinquenza minorile.


Alla mezzanotte del 19 settembre del 1958, come primo effetto della norma, vennero chiusi oltre 560 postriboli su tutto il territorio nazionale. Molti di questi luoghi furono riconvertiti in enti di patronato per l’accoglienza e il ricovero delle ex-prostitute. Molti hanno presentato nel corso degli anni proposte di legge per l’abolizione o l’attenuazione della legge Merlin, ad esempio i Radicali Italiani, la Lega Nord, La Destra e il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute guidato da Pia Covre e Carla Corso.


Lettere dalle case chiuse: il libro

Reprint edito dalla Fondazione Anna Kuliscioff.
Copertina Albe Steiner-Edizioni Avanti, 1955.
Libro edito da Edizioni Avanti, Collana Del Gallo, 1955.
“Rileggendo le molte lettere, la maggior parte non anonime, che ricevette Lina Merlin “dalle case chiuse” si spalanca una porta sulla realtà di miseria e di desolazione morale dell’Italia del dopoguerra che coinvolgeva alcune migliaia di donne e i loro figli in una sorta di ghetto sociale da cui era assai arduo uscire. Le lettere di consenso che riceve Lina Merlin offrono, in un lessico semplice e con drammatica chiarezza, argomenti assai convincenti.

In questi scritti affiora non solo la volontà di non essere più oggetto di sfruttamento nei postriboli controllati dallo Stato, ma soprattutto la speranza di ritrovare una vita normale mettendosi alle spalle tutte le ignobili vessazioni burocratiche e le regole discriminatorie che impedivano l’esercizio dei più elementari diritti civili come il lavoro o il matrimonio con pubblici dipendenti. Ma le curatrici del libro hanno pubblicato anche lettere contrarie alla soppressione delle “case chiuse”. A parte quelle offensive o inutilmente polemiche contro la “moralista” Merlin, ve ne sono alcune che pongono questioni tutt’oggi aperte. Alcune donne rivendicano il diritto di svolgere la loro attività come una professione, altre esprimono forte preoccupazione sulle conseguenze dell’approvazione della legge in discussione e non credono che le cose possano cambiare, anzi temono un peggioramento delle loro condizioni.

Queste ultime lettere oggi devono far riflettere.

La senatrice socialista, che fin da giovane fu a fianco di Giacomo Matteotti nella lotta antifascista, subì il confino, partecipò alla Resistenza e fu eletta all’Assemblea Costituente formulando l’articolo della Costituzione che garantì la parità tra uomo e donna.


Con la sua proposta di legge, non si illudeva di abolire la prostituzione, ma voleva abolirne lo sfruttamento, a maggior ragione da parte dello Stato.


Dal 1958 tutti i governi, di qualunque colore fossero, i parlamenti e le forze politiche, hanno sempre assunto la linea della tacita tolleranza dello sfruttamento della prostituzione.


A quasi sessant’anni dall’entrata in vigore della legge, si può affermare che l’eredità del lavoro di Lina Merlin sia stata tradita. Le barriere burocratiche che imprigionavano le abitanti delle “case chiuse” sono state abbattute ma la lotta allo sfruttamento della prostituzione oggettivamente segna il passo. Naturalmente non stiamo parlando di chi sceglie liberamente di prostituirsi.


Il fenomeno del lenocinio organizzato ha cambiato aspetto, ma la realtà è spesso di gran lunga peggiore del passato. Qualche sindaco ha pensato di porre rimedio attraverso sanzioni a carico dei “clienti”. Da sola questa misura toglierebbe le persone dalla strada ma non eliminerebbe lo sfruttamento. Al di là degli aspetti culturali e ambientali serve qualcosa che produca un impatto concreto nel perseguire tutti coloro che traggono illeciti benefici dal mercato del sesso. Ma questa è una decisione politica che richiederebbe l’impiego di risorse ed energie da parte delle istituzioni, se questo obiettivo è considerato una vera priorità. Sarebbe significativo che, a partire dalle associazioni impegnate sul fronte femminile che rivendicano la centralità della questione femminile o di “genere”, si avviasse un confronto per giungere a proposte concrete. Significherebbe raccogliere il testimone di Lina Merlin per dare continuità al suo impegno politico e civile.” scrive Walter Galbusera, presidente Fondazione Anna Kuliscioff.

Se vuoi ricevere l’opuscolo di approfondimento scrivici nei commenti il tuo indirizzo mail e ti invieremo il file .Pdf

Exigimos respeto a la autonomía y autodeterminación de los pueblos

por José Ramírez

Costa Rica ha sido por largos años un pueblo respetuoso y pacífico, libre de acciones  militares, respetuoso de la autonomía y la autodeterminación de los pueblos del mundo, así nos queremos mantener.

Hechos acaecidos recientemente nos ponen en estado de alerta y preocupación.

Primero: Que Estados Unidos se encuentra en un juego geopolítico peligroso para la  paz de la región Latinoamericana y Caribeña en contra de la República Bolivariana de Venezuela.

Segundo: Que el presidente en ejercicio Carlos Alvarado Quezada  ha utilizado su investidura para seguir el juego a Estados Unidos, sin consultar a su pueblo y sin observar si se están violentando los tratados internacionales y principio de neutralidad, poniendo  en riesgo la democracia costarricense.

Tercero: Que en ese peligroso juego se ha estado permitiendo el ingreso de personas no deseables y peligrosas a suelo costarricense a vista y paciencia de las autoridades y representantes de gobierno, como es el caso de Lorent Saleh quien fue expulsado por el Ex presidente colombiano Juan Manuel Santos por  organizar actos terroristas contra el pueblo venezolano en territorio colombiano.

Cuarto: Que muchos ciudadanos costarricenses no están de acuerdo con la aceptación del  poder ejecutivo costarricense, de aceptar a un ciudadano venezolano de apellido Guaidó que se autonombro como presiden te espurio  sin legitimidad alguna, violentando así todas las normas del derecho internacional, los Convenios de Viena, los valores costarricenses, la carta de la Organización de las naciones Unidas,  nuestra propia institucionalidad.

Quinto: Por lo tanto exigimos como pueblo soberano que somos:

-Al presidente Carlos Alvarado que deje de estar sirviendo al juego injerencista de  la administración Trump y de los intereses hegemónicos de los Estados Unidos

– Que la presidencia, cuerpo diplomático, parlamento de la República, cumplan con su trabajo respetando la autonomía y autodeterminación de los pueblos del mundo, la no injerencia en los asuntos internos de los países, que se respete el principio de neutralidad y que se promueva la paz de la región como siempre ha sido el actuar del pueblo costarricense.

– Que el poder ejecutivo  la cancillería, y autoridades competentes, detengan el ingreso de personas peligrosas al país como es el caso  del sujeto Lorent Saleh.

-Que se solicite la salida inmediata  Lorent Saleh y de otros delincuentes y criminales de guerra requeridos por las leyes internacionales

Exigimos también el retiro inmediato de Costa Rica del “ Grupo de Lima”

Exigimos de la misma manera la renuncia del actual ministro de relaciones exteriores Manuel Ventura

Los abajo firmantes nos unimos a este llamado y advertimos que de no tomarse las acciones que correspondan al derecho internacional e institucionalidad costarricenses además de  los principios de autodeterminación, no intervencionismo y paz, hacemos responsables al gobierno de Carlos Alvarado Quesada del derramamiento de sangre que se podría ocasionar en la república Bolivariana de Venezuela y la región latinoamericana y del caribe.

change.org

San José Febrero 2019

 

Guaidó, el fin de todos tus sueños

Immagine correlatapor Carola Chávez

Vi tus fotos en Facebook, contentísima, allí en la principal de Las Mercedes, donde rumbeábamos cuando éramos chamas ¿te acuerdas?. Te vi con tu gorra tricolor nuevecita, con tu corte de pelo precioso, con tus zarcillos y tus collares, con tu ropa linda. Tú siempre tan coqueta, tan bien arreglada, con tu buen gusto. No vi a tus niños, supongo que se quedaron en casa de la Yaya.

Supongo que así era mejor: los chamos tranquilos, seguros y bien cuidados. Porque todo lo hacemos por los chamos ¿no?. Por eso saliste ese sábado, “a luchar por su futuro”. Y te paraste ahí a escuchar a tu nuevo líder, atentamente, y cuando él les preguntó -para que lo supiera el mundo- si les daba miedo una guerra civil, tú, por el futuro de tus hijos, gritaste decidida que ¡Nooooo! que no te daba miedo, como no te da miedo una invasión de los marines; lo que sea necesario para salir de los chavistas esos, aunque entre esos chavistas estén tus primos, tu papá.

Una guerra civil ¡qué emocionante!. Supongo que te imaginas que esa guerra, a la que no temes, sucedería lejos del este de Caracas, digamos, en el 23 de enero, nunca en el este de Este, porque ahí tienen calles cerradas con garitas de vigilancia y sus vigilantes subpagados van a evitar que la violencia que supone una guerra llegue a tu plácida calle. Supongo que crees que el colegio de tus chamos seguiría atendiendo a los niños felizmente, que lejos del terror y la muerte, tus niños seguirían sus clases de inglés. Que tu vida seguiría intacta y hasta mejor, tú sabes, en libertad.

Que tu negocio florecería porque no hay nada mejor para la economía familiar que una guerra ¡Lástima que tu negocio no sea funerario!. Nada más hermoso que una matazón entre vecinos, familiares y amigos, o te mato o me matas y aquellas heridas profundas que no se curan más nunca. Lo importante es salir del chavismo.

Te conozco, conozco tus aspiraciones, el valor que le das a esas cosas que llamas “calidad de vida”, tu carrera, tu casa preciosa, tu seguridad, tu futuro y el de tus hijos. Conozco también la locura que te atrapa cada vez que tus líderes te inventan una guarimba. Y porque te quiero, porque quiero a tus niños, debo decirte, aunque sea en vano, que esa guerra civil que quiere Guaidog, esa que dices no temerle, sería el fin de todos tus sueños, del futuro de tus niños, tu casa perdida, tu vida abandonada en la huída. Porque te quiero, quiero que entiendas que en la guerra civil que deseas tampoco hay fines de semana, para los niños, en la tranquilidad de Puerto Azul.

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