di Gianmarco Pisa
La Repubblica Bolivariana del Venezuela affronta, dallo scorso mese di gennaio, una fase di ulteriore escalation del «golpe continuato» avviato dagli Stati Uniti, con il sostegno, a vario titolo, degli Stati membri dell’Unione Europea e l’attivo appoggio delle «quinte colonne» interne, vale a dire i settori più oltranzisti, violenti ed eversivi, delle opposizioni di destra e anti-chaviste, espressione dei segmenti più ricchi e reazionari della popolazione venezuelana, legati agli interessi del grande capitale nord-americano, già più volte, e a più riprese, resisi responsabili di gravi atti di sabotaggio e di violenza terroristica di strada (le ben note «guarimbas») che, negli anni, hanno provocato più di cento morti, migliaia di feriti e devastazioni, spesso ai danni, persino, di scuole, ospedali, autobus.
L’escalation del «golpe continuato»
Si tratta, come detto, della fase più acuta di un «golpe continuato» che va avanti da tempo, parte integrante di una strategia complessiva, di destabilizzazione e di rovesciamento violento del governo legittimo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, iniziato sin dalla vittoria presidenziale di Hugo Chávez (1998), condotto sin dalla costituzione del governo bolivariano (1999) e in ragione dell’orientamento in senso patriottico, socialista e antimperialista, della Rivoluzione Bolivariana, a maggior ragione all’indomani della dichiarazione, da parte dello stesso Hugo Chávez, del carattere
democratico e socialista del processo bolivariano (2005).
Non bisogna dimenticare, infatti, che già nel 2002, un golpe violento aveva cercato di rovesciare Chávez, che, anche in seguito, tentativi di attentati e «colpi di mano» sono stati portati avanti dalle forze legate all’imperialismo, e che la stessa strategia della «guerra economica» è parte di un piano complessivo, volto allo strangolamento dell’economia produttiva e alla riduzione alla fame della popolazione venezuelana, con l’obiettivo, peraltro sempre fallito, di provocarne una sollevazione contro le autorità bolivariane.
Questa strategia eversiva ha registrato una ulteriore escalation, a partire dal 2015, con la dichiarazione, da parte del presidente statunitense Barack Obama, del Venezuela Bolivariano come «minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti», accompagnata alla messa in atto, da parte del Dipartimento di Stato USA, di una aggressiva campagna politica, volta a condizionare i propri alleati nella regione e, soprattutto, gli alleati NATO in Europa, a ridurre le relazioni politiche e diplomatiche e ad interrompere i normali scambi economici e commerciali con il Venezuela, con l’obiettivo di causarne l’isolamento internazionale e di aggravare le condizioni di vita della popolazione venezuelana e l’approvvigionamento di beni di prima necessità, dai farmaci di base ai prodotti alimentari.
Successivamente, ulteriori tappe di questa stessa escalation, sotto la nuova presidenza di Donald Trump, sono state, a partire dal 2017, l’ulteriore inasprimento della guerra economica, del sabotaggio economico e del blocco finanziario ai danni del Venezuela Bolivariano, esteso dagli Stati Uniti a tutti gli alleati regionali ed atlantici, a partire dal Canada, e da diversi Paesi dell’Unione Europea, che ha comportato sempre maggiori difficoltà per il Venezuela non solo nel reperimento di beni e servizi nel mercato internazionale, ma anche nell’accesso agli ordinari canali di finanziamento sui mercati finanziari, e, a partire dal 2018, la sistematica provocazione di confine, in particolare con la Colombia e con il Brasile, dove si sono verificati incidenti di frontiera e si sono
anche registrati tentativi illegittimi, non autorizzati, di immissione nel Paese di beni e prodotti provenienti dai mercati occidentali, sotto false vesti di «aiuti umanitari», con l’obiettivo di diffondere presso l’opinione pubblica occidentale l’idea che in Venezuela sia in corso una crisi umanitaria ed il governo venezuelano si opponga alla distribuzione umanitaria. Viceversa, l’ONU ha attestato che non esiste alcuna crisi umanitaria in Venezuela e diverse agenzie internazionali hanno riconosciuto che tali sedicenti aiuti, anche per le forme con cui sono veicolati, non possono essere considerati né possono essere trattati come aiuti umanitari.
«Cambio di regime» e «paradigma umanitario»
Quello che è in corso, quindi, nel contesto del «golpe continuato» e nella strategia del «regime change», il rovesciamento di un governo legittimo, ma ostile agli interessi statunitensi nella regione, è un progetto eversivo in cui si sovrappongono tutti gli elementi che hanno caratterizzato la strategia dell’imperialismo, anche con interventi militari «sedicenti umanitari», nel corso degli ultimi trent’anni. Intanto, la guerra economica volta al sabotaggio e al blocco commerciale, con l’obiettivo di affamare la popolazione e di provocarne una sollevazione contro le autorità legittime,
innescando una spirale di caos, disordine e violenza, facilmente strumentalizzabile per attivare un intervento «umanitario» spendibile come «pacificatore» o restauratore dei «diritti umani violati da un regime tirannico contro una popolazione inerme» (come più volte accaduto, peraltro, nel corso degli ultimi anni, dalla Jugoslavia di Slobodan Milošević alla Siria di Bashar al Assad).
Quindi, la guerra mediatica, imponendo, da parte dell’imperialismo, una «agenda informativa» volta a presentare il “dittatore” di turno, di volta in volta, come responsabile di gravi violazioni dei diritti umani (anche quando violenza di strada e, persino, atti di terrorismo sono provocati dalle opposizioni anti-governative, come nel caso attuale del Venezuela, con i casi, ampiamente documentati, delle «guarimbas», delle violenze di strada e dei sabotaggi diffusi) o del peggioramento delle condizioni di vita della popolazione (anche quando è in corso, come in Venezuela, un blocco economico provocato proprio dagli USA e dai loro alleati) per “giustificarne”, presso le opinioni pubbliche, la rimozione, anche violenta o perfino militare.
Infine, l’attivazione del «paradigma umanitario», volto ad innescare il circuito, mediatico e politico, dell’intervento militare di carattere umanitario (che maschera gli interessi e le finalità di una vera e propria aggressione di natura imperialistica) e dell’attivazione, politica e sociale, di agenzie umanitarie e organizzazioni internazionali la cui agenda, mascherata da compiti sedicenti umanitari anche quando non è in corso alcuna verificabile crisi umanitaria, è in realtà interamente orientata alla destabilizzazione e al cambio violento delle autorità costituzionali, a fianco di settori dell’opposizione interna (anche in questo caso, i precedenti della Serbia e del Kosovo, dell’Ucraina e dell’Iraq sono ampiamente esemplificativi).
Non è un caso che il «paradigma umanitario» si accompagni spesso alla traccia di un vero e proprio «golpe istituzionale» in cui il ricorso a settori corrotti dell’establishment politico e la strumentalizzazione della dialettica politico-istituzionale diventano pretesto per opzioni interventiste e vere e proprie ingerenze eversive.
I «contenuti di legittimità» del processo bolivariano
L’accusa, attualmente rivolta al presidente legittimo, Nicolás Maduro, di avere «esautorato il parlamento», è destituita di fondamento, dal momento che omette di ricordare che, dopo le elezioni parlamentari del 2015, la Corte Suprema (il Tribunale Supremo di Giustizia) dichiarò nulla l’elezione di quattro deputati, tra i quali tre dell’opposizione al governo, e ciononostante la maggioranza parlamentare, in mano alla opposizione, decise di non sottostare alla deliberazione, insediando ugualmente i tre deputati, ponendosi, di conseguenza, secondo un successivo deliberato, in situazione di oltraggio alla Corte e rendendo nulle le deliberazioni parlamentari, in quanto, appunto, illegittimamente costituito. In linea con la Costituzione Bolivariana, le successive elezioni del 2017 hanno eletto anche una Assemblea Nazionale Costituente, per aggiornare la Costituzione Bolivariana, Assemblea Costituente che si pone oggi come massima espressione legislativa nel Paese.
Il Venezuela è, infatti, una repubblica presidenziale di carattere federale, costituzionalmente basata su cinque poteri indipendenti: il Potere Esecutivo (il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e svolge funzioni di Capo di Stato e di Capo di Governo), il Potere Legislativo (rappresentato dalle articolazioni parlamentari), il Potere Giudiziario (rappresentato dal Tribunale Supremo di Giustizia), il Potere Elettorale (rappresentato dal Consiglio Nazionale Elettorale) e il Potere Cittadino (composto dal Difensore del Popolo, dal Pubblico Ministero Generale e dall’organo costituzionale di Controllo Generale della Repubblica).
Secondo la Costituzione, attualmente in vigore, il Venezuela è uno «Stato democratico e sociale di diritto» (art. 2), in cui «la Costituzione e le leggi definiscono i compiti degli organi che esercitano il Potere Pubblico, ai quali devono sottostare le attività che realizzano» (art. 137), e in cui il potere di iniziativa legislativa spetta «al Potere Esecutivo Nazionale; alla Commissione Delegata e alle Commissioni Permanenti; ai componenti della Assemblea Nazionale, in numero non inferiore a tre; al Tribunale Supremo di Giustizia, quando si tratti di leggi relative all’organizzazione e ai procedimenti giudiziari; al Potere Popolare, quando si tratti di leggi relative agli organi che ne fanno parte; al Potere Elettorale, quando si tratti di leggi relative alla materia elettorale; agli elettori in numero non inferiore allo 0.1% degli iscritti nel Registro Civile ed Elettorale; al Consiglio Legislativo, quando si tratti di leggi relative agli Stati» (art. 204 della Costituzione).
La Costituzione Bolivariana in vigore è stata approvata con un referendum popolare costituzionale (15 dicembre 1999) cui hanno partecipato quasi cinque milioni di venezuelani e venezuelane, con quasi il 72% di voti a favore. Inoltre, dal 2004, il Venezuela ha adottato un sistema elettorale automatizzato e trasparente, riconosciuto da migliaia di osservatori internazionali e dal “Centro Carter”, basato su tre livelli: il suffragio elettronico, il suffragio fisico e la possibilità di controllare le procedure elettorali sia prima sia dopo il voto. Dal 2004, con tale sistema elettorale, sono state
organizzate in Venezuela ben 19 elezioni, due delle quali, tra l’altro, perse dal chavismo. Si tratta di una ulteriore verifica della falsità delle accuse al Venezuela Bolivariano di essere una “dittatura”.
Le conquiste sociali della Rivoluzione Bolivariana
Sotto il profilo politico-sociale, il Venezuela Bolivariano rappresenta, altresì, una «alternativa pratica» al paradigma neoliberista, soprattutto in relazione alla distribuzione della ricchezza prodotta per finalità di inclusione sociale e di progresso sociale. Grazie ai piani sociali delle grandi missioni bolivariane, infatti, il Venezuela è oggi il quinto paese al mondo con il più alto numero di studenti iscritti all’università in rapporto alla popolazione, con più di 2.5 milioni di iscritti (prima della Rivoluzione erano solo 785 mila).
Come risultato della Rivoluzione Bolivariana, nel 2005 l’UNESCO ha dichiarato il Venezuela «Paese libero dall’analfabetismo» e dal 2000 ha riconosciuto due nuovi (su quattro totali) patrimoni mondiali dell’umanità, beni culturali e paesaggistici di importanza universale.
Oggi, oltre l’82% della popolazione venezuelana è coperta dal Sistema Sanitario Nazionale, il Venezuela è diventato il quinto paese della regione con il maggior numero di medici, e il tasso di alfabetizzazione, nella fascia di età di riferimento 15-24 anni, è pari al 99%. Entro la fine del 2019, grazie alla Grande Missione «Vivienda Venezuela», il governo arriverà alla consegna di tre milioni di case a basso costo per i più bisognosi. Come attestato dalle Nazioni Unite, la Repubblica Bolivariana del Venezuela è stato uno dei primi Paesi a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, in particolare nella lotta per sradicare la fame e la povertà estrema, la quale è passata da un tasso del 12% prima della Rivoluzione a un tasso attuale, in Rivoluzione, del 4.5%, così come per garantire l’educazione primaria e universale.
Ancora secondo le agenzie internazionali, sempre nel Venezuela Bolivariano, il coefficiente di Gini, che misura il livello di disuguaglianza all’interno dei singoli Paesi, è pari oggi a 0.40, mentre, prima della Rivoluzione, era pari a 0.49. Secondo i dati della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi, il Venezuela e l’Uruguay hanno le migliori percentuali nel subcontinente in termini di distribuzione della ricchezza.
Inoltre, ispirata ai principi bolivariani e socialisti di inclusione sociale, unità e indipendenza dei popoli latino-americani, nonché autonomia ed autodeterminazione del proprio sviluppo economico e sociale, la Rivoluzione Bolivariana è stata e continua ad essere protagonista di una strategia di unità dei popoli latino-americani, concorrendo da protagonista alla costruzione di format e assisi regionali di ispirazione anti-imperialista, contrari quindi alla tradizionale politica interventista e alla strategia del «patio trasero» («cortile di casa») storicamente perseguita dagli Stati Uniti: basti ricordare la costituzione dell’ALBA (la Alleanza Bolivariana per le Americhe) dal 2004, l’ALBA e i TCP (i Trattati di Commercio dei Popoli) a partire dal 2005, l’UNASUR (la Unione delle Nazioni Latino-
Americane) dal 2008, la CELAC (Comunità degli Stati Latino-Americani e Caraibici) dal 2010 e, ancora, la «Petrocaribe», per lo scambio solidario a partire dalla risorsa petrolifera, a partire dal 2005.
Il «gioco del capitale» e la guerra per le risorse
La politica di solidarietà internazionale, unita alla «diplomazia di pace» del governo bolivariano, insieme con la particolare ricchezza di risorse, sia energetiche sia di biodiversità, del Venezuela sono alcune tra le ragioni principali della costante minaccia cui è sottoposto il Paese da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati. Il Venezuela ha la più grande riserva di petrolio al mondo (300 miliardi di barili); è l’ottavo Paese del pianeta con le maggiori riserve di gas naturale (1.5 trilioni di metri cubi); ha 14 miliardi di tonnellate di ferro, 7 miliardi di tonnellate di oro, 10 miliardi di tonnellate di carbone, 6 miliardi di tonnellate di bauxite; e, ancora, coltan per l’elettronica e torio per l’energia pulita; acqua ed energia idro-elettrica, biodiversità.
La strategia, con la minaccia dell’uso della violenza armata, di rovesciamento del governo legittimo in Venezuela, dettata da vari interessi economici e strategici, costituisce quindi una grave violazione e un crimine internazionale, dal momento che si pone in violento contrasto con il rispetto del principio di pari diritti e di autodeterminazione dei popoli (art. 1.2 della Carta delle Nazioni Unite); il rispetto per l’uguaglianza sovrana degli Stati (art. 2.1 della Carta); l’obbligo di ogni Stato di astenersi dalla minaccia di uso della forza e dall’uso della forza contro uno Stato (art. 2.4 della Carta); il rispetto dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica degli Stati (art. 2.4 della Carta); e la non ingerenza negli affari interni degli Stati (art. 2.7 della Carta).
Violando questi principi, gli Stati Uniti e i loro alleati regionali e occidentali mettono a repentaglio il diritto alla pace e alla sicurezza dei popoli, il diritto allo sviluppo e il pieno godimento dei diritti umani. La difesa delle autorità legittime del Venezuela Bolivariano e della pace e della sicurezza del popolo venezuelano sono quindi anche difesa dei principi della Carta delle Nazioni Unite e delle norme fondamentali del diritto e della giustizia internazionale, oltre che dei principi di pace, solidarietà e fratellanza tra i popoli del mondo.
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