I gilets gialli: la peculiarità della Francia

gilets jaunesdi Atilio A. Borón

La Germania e il Giappone hanno il dubbio onore di essere due paesi, in cui non ha mai trionfato una rivoluzione. Non a caso, sono stati anche quelli che, proprio per questo, hanno dato vita a regimi tanto ambigui come il nazismo e il militarismo fascista giapponese.

Al contrario, la storia francese è segnata da ricorrenti rivoluzioni e insurrezioni popolari. Oltre alla Grande Rivoluzione del 1789, vi sono stati scoppi rivoluzionari nel 1830, un altro molto più vigoroso nel 1848 e la gloriosa Comune di Parigi del 1871, il primo governo della classe operaia nella storia del mondo. Dopo la sua sanguinosa repressione, sembrava che la ribellione del popolo francese si fosse estinta per sempre. Ma non era così. È riapparsa nell’eroica resistenza all’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale e poi, con forza schiacciante, nel maggio 1968.

È questa l’unica cosa che rende la Francia un paese così particolare? No. Più importante di questo incessante fermento insurrezionale, che storicamente distingue gli strati popolari francesi, è che le loro lotte risuonano come nessun’altra sul palcoscenico mondiale. Karl Marx lo aveva già avvertito nel 1848 quando, osservando la rivoluzione in Francia, disse che “il canto del gallo gallico risveglierà ancora una volta l’Europa”. E la risvegliò, anche se quei sogni furono repressi nel sangue e nel fuoco.

Diamo un’occhiata alla storia: la Rivoluzione Francese tuonò in Europa e in America, con una forza fragorosa; la Comune divenne una fonte di ispirazione per il movimento operaio mondiale, i suoi insegnamenti risuonarono anche in alcuni angoli isolati dell’Asia. Il maggio francese si sarebbe riprodotto, con le logiche caratteristiche nazionali, in tutto il mondo. In altre parole: la Francia ha quella capacità unica di trasformarsi in un evento storico-universale, come amava dire Hegel. E questa è proprio l’inimitabile peculiarità dei Francesi.

La rivolta dei “gilets gialli”, che ha avuto inizio un paio di settimane fa, quando due camionisti e la proprietaria di un piccolo commercio – sconosciuti l’una agli altri e residenti in diverse zone dell’interno della Francia – hanno lanciato attraverso le reti sociali una chiamata a ritrovarsi per protestare sulle rotatorie di entrata delle loro piccole città contro l’aumento del prezzo del carburante. Alcuni giorni dopo, uno di loro aveva quasi un milione di followers sul suo account Facebook. Poi è arrivata la concentrazione del 17 novembre a Parigi e, da lì, la protesta avrebbe acquisito una dimensione fenomenale, che ha messo il governo di Macron con le spalle al muro. Ciò che i sindacati delle ferrovie non sarebbero riusciti a fare in tre mesi è stato raggiunto dai “gilets gialli” in poche settimane.

E la cosa continua, il “contagio” del virus ribelle che viene dalla Francia già si scorge oltre i suoi confini. Si è fatto strada in Belgio, in Olanda e ora in Polonia, in occasione del vertice sul clima a Katowice. In Egitto, il regime di Al Sisi ha proibito la vendita di gilets gialli in tutto il paese, come misura precauzionale, per evitare che l’esempio francese dilaghi anche da loro.

La rivolta, di cui non si conoscono gli esiti, non è solo dovuta al prezzo del carburante. Si tratta di una protesta diffusa ma generalizzata, dalla composizione sociale molto eterogenea, contro la Francia dei ricchi e nella cui variegata agenda di rivendicazioni si intravvedono i contorni di un programma non solo post- ma chiaramente anti-neo-liberista. Ma ci sono anche altri contenuti che si riferiscono a una visione del mondo più tradizionale, di una Francia bianca, cristiana e nazionalista. Questo insieme eterogeneo di rivendicazioni, espresse in maniera disorganica, racchiude molteplici aspirazioni e richieste contraddittorie, prodotto di un’insorgenza improvvisa e inattesa di attivismo spontaneista, privo di direzione politica. Questo è un problema serio, perché tutta quell’enorme energia sociale rilasciata nelle strade di Francia potrebbe sia portare a conquiste rivoluzionarie sia naufragare in una regressione reazionaria.

Tuttavia, al di là dell’incertezza riguardo al futuro corso della mobilitazione popolare e all’inevitabile complessità ideologica presente in tutti i grandi movimenti di massa spontanei, non v’è alcun dubbio che la sua sola esistenza ha minato la continuità dell’egemonia neo-liberista in Francia e la stabilità del governo di Emmanuel Macron.

E in un mondo sovrappopolato da spaventapasseri come i Trump e i Bolsonaro, i Macri e i Macron, questa è una buona notizia perché il “canto del gallo gallico” potrebbe risvegliare la ribellione addormentata – o deliberatamente anestetizzata – dei popoli all’interno e fuori dall’Europa e diventare la scintilla che accende le pianure aride in cui le politiche neo-liberiste hanno trasformato le nostre società, vittime di un olocausto sociale silenzioso ma mortale di proporzioni senza precedenti.

Non è la prima volta che i Francesi hanno svolto questo ruolo di avanguardia sulla scena universale e la loro ardente lotta potrebbe diventare, soprattutto nelle periferie dell’impero, l’innesco per un’ondata di rivolte popolari, com’è avvenuto soprattutto con la Rivoluzione Francese e il Maggio 1968 – contro un sistema – il capitalismo – e una politica – il neo-liberismo – i cui risultati nefasti sono ben noti. Non sappiamo se una cosa simile accadrà, se il temuto “contagio” si verificherà alla fine, ma gli indizi di un diffuso ripudio dei governi che arricchiscono solo i ricchi e spennano i poveri sono evidenti in tutto il mondo. Non dovremo aspettare molto, perché presto la storia detterà il suo verdetto finale.

Al di là dei suoi effetti globali, la brezza che viene dalla Francia è tempestiva e stimolante, in un momento in cui molti intellettuali e pubblicisti in America Latina, in Europa e negli Stati Uniti si sollazzano a parlare della “fine del ciclo progressista” nella Nostra America, cui presumibilmente seguirebbe l’inizio di un altro di segno conservatore, “neo-liberista”: un passaggio che prevedono solo quelli che vogliono convincere i popoli che non ci sono alternative e che è il capitalismo l’alternativa al caos, nascondendo maliziosamente che il capitalismo è il caos nella sua massima espressione.

Perciò, gli eventi della Francia offrono un bagno di sobrietà di fronte alle tante bugie che si cerca di far passare come rigorosa analisi economica o socio-politica e ci dimostrano che spesso la storia può prendere una piega inaspettata, e che quello che appariva come un ordine economico e politico immutabile e inespugnabile può crollare in meno che non canti un gallo… francese.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Il sicario giudiziario

Morodi Atilio Borón

3 novembre 2018

La prematura nomina del giudice Sergio Moro a ministro della Giustizia del Brasile verrà registrata nella storia come il caso paradigmatico, per la sua sfrontatezza al limite dell’osceno, dell’emergere di un giocatore sinistro nella democrazia dell’America Latina, perennemente sotto ricatto: il “sicario giudiziario”. A differenza dei suoi predecessori che annientavano le loro vittime fisicamente, il sicario giudiziario, come il suo collega economico di più antica data (si veda il famoso libro di John Perkins, Confessioni di un Sicario dell’Economia), le elimina con un’arma silenziosa e quasi invisibile agli occhi dei suoi contemporanei: la “legge”. Si tratta dell’uso arbitrario e distorto del diritto, consistente nel violare i principi e le procedure stabilite dal giusto processo, allo scopo di demolire – con la prigione o l’esilio – chi, per qualche ragione, costituisce una figura fastidiosa per classi dominante o l’imperialismo. In altre parole, ucciderlo politicamente.

Il sicario giudiziario incarna il processo di putrefazione della giustizia di un paese, mettendo a nudo sfacciatamente il suo carattere di classe e la sua sottomissione abietta agli ordini dei potenti. Per estensione, rivela anche il degrado della vita democratica che tollera le azioni di questi criminali. Come l’assassino prezzolato, il sicario giudiziario agisce su comando. Si tratta di un “killer” di nuovo tipo che, grazie alla sua posizione nella struttura del sistema giudiziario, può disporre a piacimento della vita e della proprietà delle sue vittime, per cui viola impunemente non solo la lettera ma anche lo spirito delle leggi, sovvertendo assiomi giuridici fondamentali (la presunzione di innocenza, per esempio) e inviando in galera senza prove evidente. E come i suoi precursori operano con la pistola e gli esplosivi, egli agisce sotto una coltre di protezione,  il che garantisce non solo che i suoi crimini restino impuniti, ma che le sue “uccisioni civili” saranno esaltate come fulgidi esempi di rispetto della legge e delle istituzioni della repubblica.

Per perpetrare i suoi crimini, deve essere protetto dalla complicità dell’intero sistema giudiziario. I giudici, i pubblici ministeri e i consigli giudiziari chiudono gli occhi di fronte al suo agire; la stampa egemonica, complice indispensabile del malfattore con le sue fake news e le sue post-verità, produce il linciaggio mediatico dei suoi avversari, facilitandone la successiva condanna, la reclusione e l’ostracismo politico. La popolarità di questo nuovo tipo di gangster giudiziario si basa sulla spettacolarità dei suoi interventi, quasi sempre provenienti dai dati e dalle piste indicate dalle agenzie di intelligence, dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e selettivamente dirette contro coloro che sono sospettati di essere nemici dell’attuale ordine sociale.

Sergio Moro era uno studente normale dei corsi di “buone pratiche”, che, per decenni, Washington ha organizzato per educare i giudici e i pubblici ministeri a una buona amministrazione della giustizia. Una cosa che ha imparato a fare è stata espellere dalla corsa un leader popolare e creare le condizioni per consentire la demolizione di una costruzione politica moderatamente riformista, ma che tuttavia ha suscitato un intenso ripudio da parte dell’impero. Questo nuovo e sfortunato attore politico ha fatto irruzione sulla scena latino-americana, non per sparare proiettili ma sentenze; non per uccidere, ma per condannare, imprigionare e stabilire una gigantesca frode elettorale, dal momento che, come si diceva in Brasile, “senza Lula, l’elezione è frode.”

E così è stato. Come ogni sicario, lavora su richiesta e riceve grandi ricompense per il suo spregevole lavoro. Nel caso in questione, la scandalosa violazione del diritto è stata compensata dal suo mandante con il Ministero della Giustizia, e da lì sicuramente organizzerà nuove cacce per la produzione di “pulizia” politica e sociale, che ha promesso l’energumeno che dal prossimo anno sarà Presidente del Brasile. Con la sua designazione, sono smascherate le mire della trama ordita per evitare, ad ogni costo, il ritorno di Lula al governo. L’emergere di questo nuovo attore ci costringe a coniare una nuova – inquietante – categoria dell’analisi politica: il sicario giudiziario, ancora più dannoso degli altri sicari. Certo, sarebbe un grave errore pensare che Moro sia una manifestazione esotica della politica brasiliana. L’uovo del serpente, all’interno del quale matura questo sinistro personaggio, si vede ormai chiaramente in Argentina, Ecuador, Bolivia e Paraguay.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Nasce un mostro

Bolsdi Atilio Borón

07ott2018.- In una maleodorante taverna dei bassifondi della Monaco del primo post-guerra un ufficiale smobilitato dell’esercito imperiale austriaco – fallito come pittore e ritrattista – cercava di guadagnarsi la vita, scommettendo con gli ubriachi del locale che non sarebbero stati capaci di colpirlo con i loro sputi da una distanza di tre metri. Se li schivava, vinceva; in caso contrario, doveva pagare. Tra l’uno e l’altro tentativo, dava voce a tremendi insulti antisemiti, malediceva bolscevichi e spartachisti e si impegnava a eliminare dalla faccia della terra zingari, omosessuali ed ebrei. Il tutto in mezzo alle grida dei clienti incontrollati riuniti lì, imbottiti di alcol e che ripetevano con scherno i suoi slogan, mentre gli lanciavano i resti della birra dai boccali e gli tiravano monete tra insulti e risate a crepapelle. Anni dopo, Adolf Hitler, perché di lui stiamo parlando, si convertirà, con queste stesse arringhe, nel leader “del popolo più colto dell’Europa”, secondo quanto  più di una volta dichiarato da Friedrich Engels. Colui che in quei momenti – gli anni 1920, ’21, ’23 – era oggetto del crudele sarcasmo tra i fedeli frequentatori della taverna resusciterà come una specie di semidio per le grandi masse del suo paese e l’incarnazione stessa dello spirito nazionale tedesco.

Fatte le debite distanze, qualcosa di simile sta accadendo con Jair Bolsonaro, che conduce comodamente i sondaggi del primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile. Le sue esternazioni reazionarie, sessiste, omofobe, fasciste e la sua difesa della tenebrosa dittatura militare brasiliana del 1964 e della tortura hanno causato una diffusa repulsione nella società. Nel migliore dei casi, veniva considerato solo come un buffone, uno zimbello nostalgico del tempo del regime, che si è abbattuto sul Brasile tra il 1964 e il 1985. Di conseguenza, per due anni il suo consenso elettorale non ha mai superato il 15 o 18 per cento.

I sondaggi delle ultime due settimane, tuttavia, mostrano una crescita spettacolare della sua candidatura. Il più recente gli attribuisce un 39% nell’intenzione di voto. Sappiamo che oggi i sondaggi dell’opinione pubblica hanno enormi margini di errore; possono anche essere operazioni mediatiche della borghesia brasiliana, pronta a installare a Brasilia chiunque impedisca il “ritorno del populismo petista” al potere. Ma sappiamo anche, come affermato da un recente articolo di Marcelo Zero che, in Brasile, la CIA e i suoi alleati locali hanno scatenato una travolgente valanga di “notizie false” e diffamatorie riguardo i candidati dell’alleanza PT, che hanno trovato terreno fertile nelle favelas e nei quartieri popolari delle grandi città di quel paese (“Tem dedo da CIA nas eleições do Brasil”, su www.brasil247.com).

Questi settori sono stati portati fuori dalla povertà estrema e resi protagonisti dalla gestione di Lula e Dilma. Ma non sono stati politicamente istruiti e la loro organizzazione territoriale o di classe non è stata favorita. Sono rimasti come masse disponibili, come avrebbero detto i sociologi degli anni ’60.

Coloro che li stanno organizzando e sensibilizzando sono le chiese evangeliche, che hanno come alleato Bolsonaro, il quale promuove un duro discorso conservatore, ipercritico verso il “disordine” causato dalla sinistra in Brasile, con le sue politiche di inclusione sociale e di genere, di rispetto della diversità e dei LGBT e di “mano morbida” contro la criminalità – la sua ossessione per i diritti umani “solo per i criminali.”

Uno dei loro metodi per conquistare le favelas alla causa della destra radicale sta nell’inviare presunti sondaggisti a chiedere se vorrebbero che il loro figlio José cambiasse nome e si chiamasse María, per esacerbare l’omofobia. La risposta è unanimemente negativa e indignata. La predicazione dell’ex-capitano si sintonizza naturalmente con quel conservatorismo popolare abilmente stimolato dalla reazione. In questo clima ideologico, le sue assurdità oltraggiose e violente, come quelle di Hitler, sedimentano come un ragionevole buon senso popolare e potrebbero catapultare un mostro come Bolsonaro al Palazzo del Planalto.

Bisogna ricordare, come dato ulteriore, che Bolsonaro ha promesso a Donald Trump di autorizzare l’installazione di una base militare americana ad Alcántara, sul promontorio strategico del Nordest brasiliano, che è il punto più vicino tra le Americhe e l’Africa, qualcosa che i governi PT hanno rifiutato. Se dovesse avere successo, sarebbe l’inizio di un incubo orribile, non solo per il Brasile ma per tutta l’America Latina.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Immigrazione: guerre e sfruttamento sradicano milioni di persone

di James Petrasmigrants

Introduzione

“L’immigrazione” è diventata la questione dominante che divide Europa e Stati Uniti, eppure la questione più importante che sta spingendo milioni a emigrare è trascurata:  le guerre.

In questo articolo, discuteremo le ragioni alla base della massificazione dell’immigrazione, concentrandoci su diverse questioni, vale a dire: (1) le guerre imperiali; (2) l’espansione delle multinazionali; (3) il declino dei movimenti contro la guerra negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale; (4) la debolezza dei movimenti sindacali e solidaristici.

Procederemo identificando i principali paesi colpiti dalle guerre statunitensi e dell’UE che hanno portato a un’immigrazione di massa, e quindi tratteremo delle potenze occidentali che costringono i rifugiati a ‘seguire’ i flussi del profitto. 

Guerre imperiali e immigrazione di massa

Le invasioni e le guerre statunitensi in Afghanistan e in Iraq hanno sradicato diversi milioni di persone, distruggendo le loro vite, famiglie, mezzi di sostentamento, alloggi e comunità e minando la sicurezza in loco. Di conseguenza, la maggior parte delle vittime ha dovuto affrontare la scelta tra la resistenza o la fuga. Milioni hanno scelto di fuggire in Occidente, poiché i paesi della NATO non bombarderebbero la loro residenza negli Stati Uniti o in Europa.

Altri che sono fuggiti nei paesi confinanti del Medio Oriente o in America Latina sono stati perseguitati, o si sono stabiliti in paesi troppo poveri per offrire loro un impiego o un’opportunità di sostentamento.

Alcuni Afghani sono fuggiti in Pakistan o in Medio Oriente, ma hanno scoperto che anche queste regioni sono state oggetto di attacchi armati da parte dell’Occidente.

Gli Iracheni sono stati devastati dalle sanzioni, dall’invasione e dall’occupazione occidentale e sono fuggiti in Europa e in misura minore negli Stati Uniti, negli stati del Golfo e in Iran. La Libia, prima dell’invasione USA-UE, era un paese “ricevente” che accettava e impiegava milioni di africani, fornendo loro la cittadinanza e un sostentamento dignitoso.

Dopo l’aggressione aereo-marittima USA-UE e l’armamento-finanziamento di bande terroristiche, centinaia di migliaia di immigrati del sub-Sahara sono stati costretti a fuggire in Europa. La maggior parte ha attraversato il Mar Mediterraneo ad ovest attraverso l’Italia e la Spagna, e si è diretta verso i ricchi paesi europei, che avevano devastato la loro vita in Libia.

Gli USA-UE hanno finanziato e armato eserciti di terroristi, che hanno assaltato il governo siriano e costretto milioni di Siriani a fuggire attraverso il confine con il Libano, la Turchia e, oltre, verso l’Europa, causando le cosiddette “crisi dell’immigrazione” e l’ascesa di partiti di destra anti-immigrazione. Ciò ha portato a divisioni all’interno dei partiti socialmente riconosciuti, quello democratico e quello conservatore, poiché settori della classe lavoratrice sono diventati anti-immigrati.

L’Europa sta raccogliendo le conseguenze della sua alleanza con l’imperialismo militarizzato degli Stati Uniti, in base alla quale gli USA sradicano milioni di persone e l’UE spende miliardi di euro per coprire il costo degli immigrati in fuga dalle guerre occidentali.

La maggior parte dei pagamenti per il benessere degli immigranti è molto al di sotto delle perdite subite in patria. I posti di lavoro, le case, le scuole e le associazioni civiche nell’UE e negli Stati Uniti sono di qualità molto inferiore e meno accoglienti di ciò che possedevano nelle loro comunità d’origine.

Imperialismo economico e immigrazione: l’America Latina

Le guerre degli Stati Uniti, l’intervento militare e lo sfruttamento economico hanno costretto milioni di persone latino-americane a emigrare negli Stati Uniti. Il Nicaragua, El Salvador, il Guatemala e l’Honduras sono stati impegnati nella lotta popolare per la giustizia socio-economica e per la democrazia politica tra il 1960 e il 2000. Sull’orlo della vittoria contro gli oligarchi terrieri e le società multinazionali, Washington ha bloccato le insorgenze popolari, spendendo miliardi di dollari, armando, addestrando, fornendo consulenza alle forze militari e paramilitari. La riforma agraria è abortita; i sindacalisti sono stati costretti all’esilio e migliaia di contadini sono fuggiti dalle predatorie campagne terroristiche.

I regimi oligarchici sostenuti dagli Stati Uniti hanno costretto milioni di lavoratori sfollati e sradicati o disoccupati e senza terra a fuggire negli Stati Uniti.

I colpi e i dittatori sostenuti dagli Stati Uniti hanno portato a 50.000 sfollati in Nicaragua, 80.000 ne El Salvador e 200.000 in Guatemala. Il presidente Obama e Hillary Clinton hanno sostenuto un colpo di stato militare in Honduras che ha rovesciato il presidente liberale Zelaya – il che ha comportato l’uccisione e il ferimento di migliaia di attivisti contadini e lavoratori dei diritti umani, e il ritorno degli squadroni della morte, con conseguente nuova ondata di immigrati negli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti hanno promosso l’accordo di libero scambio (NAFTA), portando centinaia di migliaia di agricoltori messicani alla bancarotta e in maquiladoras (fabbriche di montaggio) con bassi stipendi; altri sono stati reclutati dai cartelli della droga; ma il gruppo più numeroso è stato costretto a emigrare attraverso il Rio Grande.

Il “Piano Colombia” degli Stati Uniti, lanciato dal presidente Clinton, ha stabilito sette basi militari statunitensi in Colombia ed è costato 1 miliardo di dollari in aiuti militari tra il 2001 e il 2010.

Il Piano Colombia ha raddoppiato le dimensioni dell’esercito colombiano.

Gli Stati Uniti hanno appoggiato il presidente Alvaro Uribe, provocando l’assassinio di oltre 200.000 contadini, attivisti sindacali e operatori dei diritti umani promossi dalle narco-squadre della morte. Oltre due milioni di contadini sono fuggiti dalla campagna e sono immigrati nelle città o oltre confine.

Il capitalismo statunitense si è assicurato centinaia di migliaia di salari bassi in America Latina, tra i lavoratori agricoli e in fabbrica, quasi tutti senza assicurazione sanitaria o benefici.

L’immigrazione ha raddoppiato i profitti, minato gli affari collettivi e abbassato i salari negli Stati Uniti. “Imprenditori” senza scrupoli hanno reclutato immigrati nella droga, nella prostituzione, nel commercio di armi e nel riciclaggio di denaro.

I politici hanno sfruttato la questione dell’immigrazione per ottenere un guadagno politico, – accusando gli immigranti del declino degli standard di vita della classe lavoratrice, il che distoglie l’attenzione dalle cause vere: guerre, invasioni, squadroni della morte e saccheggi economici.

Conclusione

Dopo aver distrutto le vite dei lavoratori all’estero e rovesciato leaders progressisti come il presidente libico Gheddafi e il presidente honduregno Zelaya, milioni sono stati costretti a diventare immigrati.

L’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, la Colombia, il Messico hanno visto la fuga di milioni di persone immigranti – tutte vittime delle guerre degli Stati Uniti e dell’UE. Washington e Bruxelles hanno rimproverato le vittime e accusato gli immigrati di illegalità e condotta criminale.

L’Occidente discute dell’espulsione, dell’arresto e della prigione invece dei risarcimenti per crimini contro l’umanità e  violazioni del diritto internazionale.

In secondo luogo, l’Occidente dovrebbe istituire un fondo a lungo termine di miliardi di dollari per la ricostruzione e il recupero delle economie, dei mercati e delle infrastrutture bombardate.

La fine del movimento per la pace ha permesso a Stati Uniti e Unione Europea di lanciare e continuare guerre seriali, che hanno portato a una massiccia immigrazione – le cosiddette crisi dei rifugiati e la fuga verso l’Europa.

Esiste una connessione diretta tra la conversione dei partiti liberali e democratici in partiti pro-guerra e la fuga forzata di immigrati verso l’UE.

Il declino dei sindacati e, peggio ancora, la loro perdita di militanza ha portato alla perdita di solidarietà con le persone che vivono nel bel mezzo delle guerre imperiali.

Molti lavoratori nei paesi imperialisti hanno diretto la loro rabbia verso gli “inferiori”, gli immigrati, – piuttosto che verso gli imperialisti che hanno promosso le guerre che hanno creato il problema dell’immigrazione.

L’immigrazione, la guerra, la fine dei movimenti pacifisti e operai e dei partiti di sinistra hanno portato all’ascesa dei guerrafondai e dei neo-liberisti, che hanno preso il potere in tutto l’Occidente. La loro politica anti-immigrazione, tuttavia, ha provocato nuove contraddizioni all’interno dei regimi, tra le élite economiche e i movimenti popolari dell’UE e degli Stati Uniti. Le lotte d’élite e popolari possono andare in almeno due direzioni: verso il fascismo o la democrazia sociale compiuta.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Brasile, l’assassinio della giustizia: un golpe nel golpe?

Lula Moro

di Stella Calloni

09.04.2018

 

Sérgio Moro, il giudice che ha perseguitato Dilma e Lula, è uno dei tanti giudici o funzionari giudiziari cooptati da Washington, che di fatto adesso mantiene una specie di Scuola delle Americhe per poliziotti e giudici nel Salvador.

Può un Supremo Tribunale Federale (STF) in un paese come il Brasile funzionare ed emettere sentenze come se nulla fosse successo, dopo che almeno tre generali, uno dei quali, l’ attuale capo dell’esercito, hanno avvertito pubblicamente che se l’ex-presidente Luiz Inácio Lula da Silva non veniva incarcerato, si sarebbero visti “obbligati” a dare un colpo di stato militare?

In seguito a un tentativo di omicidio contro l’ex-presidente avvenuto la settimana passata nello stato del Paraná, il generale Luiz Gonzaga Schroeder Lessa ha detto alla stampa in maniera minacciosa che il STF avrebbe precipitato il paese nella violenza se Lula non veniva incacercato e ha minacciato un colpo di Stato, mentre il generale Paulo Chagas avvertiva: “il nostro obiettivo è evitare che si cambi la legge e che il capo di un’ organizzazione criminale, condannato a 12 anni di prigione, circoli liberamente, predicando l’odio e la lotta di classe”.

Ore prima della sessione dell’STF, il capo dell’esercito, il generale Eduardo Villas Boas, affermava che la sua forza “condivide il desiderio di tutti i cittadini perbene di non ammettere l’impunità”. Detto in maniera più diplomatica, ma íla minaccia è la stessa.

Qualsiasi magistrato semplicemente ligio alla legge, avrebbe dovuto rifiutarsi di sedere in un Tribunale che, di fronte a tale minaccia, aveva perduto tutta l’autorità. Se ci fosse giustizia, questa sessione avrebbe dovuto essere annullata.

Nell’agosto 2016, l’allora presidente Dilma Rousseff è stata destituita da un congiunto di media con la rete Globo in testa, una giustizia gestita da giudici che hanno lavorato a lungo negli Stati Uniti come Sérgio Moro, svolgendo il ruolo loro assegnato, un parlamento per lo più corrotto che ha destituito, senza prove, la presidenta. Il che ha provocato un colpo di Stato mediatico, giuridico e parlamentare.

Anche se, in realtà, questo è iniziato nel maggio 2016, quando Rousseff è stata allontanata dal suo carico ed è stato assunto come sostituto temporaneo l’allora vice-presidente Michel Temer (che è apparso in alcuni documenti come informatore del Comando Sud), il quale ha cambiato il gabinetto di governo, cosa che non poteva fare, ha adottato per decreto misure illegali, ha distrutto tutte le conquiste popolari e sovvertito seriamente la sovranità in Brasile, a cominciare dalla svendita dei grandi giacimenti petroliferi (Pre-sal), portandoli fuori dal controllo della Petrobras.

Questa compagnia, come tutte le compagnie statali, è stata vittima di spionaggio da parte degli Stati Uniti, come anche i governi di Lula e di Dilma, cosa che è stata  rivelata dalle documentate denunce dell’ex-contrattista americano Edward Snowden.

Sérgio Moro, il giudice che ha perseguitato Dilma e Lula, è uno dei tanti giudici o impiegati di tribunale cooptati da Washington, che di fatto ora dirige una specie di Scuola delle Americhe per agenti di polizia e giudiziari in El Salvador. La condanna di Lula da parte di Moro è una mostruosità legale, poiché – come nel caso di Dilma – non ci sono prove nella causa nella quale è stato condannato, il che lo rende un ostaggio politico, non solo del Brasile, ma di Washington.

Lo schema statunitense di infiltrazione delle strutture giudiziarie in America Latina è emerso come metodologia di lavoro negli anni ’90 nei piani contro-rivoluzionari e strategici per la regione, da applicare nei primi anni del XXI secolo. È quindi stato proposto un nuovo modello: le “democrazie di sicurezza nazionale”, in sostituzione delle dittature di sicurezza nazionale, che nel XX secolo trasformarono l’America Latina in un cimitero.

In realtà, sono una forma di dittature segrete per gestire i Conflitti a Bassa Intensità nel XXI secolo, a cui si è aggiunta la diffusione del Comando Sud mediante l’installazione di basi e stabilimenti militari in territori strategici dell’America Latina, per controllare direttamente la regione, nel migliore stile coloniale.

Nel caso del giudice Moro, che ha studiato legge nell’Università regionale di Maringá, questi è entrato in contatto  con gli Stati Uniti, partecipando a un programma “speciale” di istruzione di avvocati presso la Harvard Law School (Stati Uniti). Ha partecipato al Programma per Visitatori Internazionali organizzato nel 2007 dal Dipartimento di Stato, specializzato nella prevenzione e lotta al riciclaggio di denaro. In quel corso, ha condotto visite a varie agenzie statunitensi, tra cui quelle di intelligenza come la CIA e l’FBI, ed è stato istruito sull’analisi dei reati finanziari, e sui reati commessi da gruppi criminali organizzati: da quel momento è diventato un uomo al servizio di Washington.
In un articolo pubblicato in Brasil de Fato, Daniel Giovanaz ha segnalato il caso del giudice Moro, diventato un “eroe” negli Stati Uniti, dimostrando che questa accusa non corrispondeva a una “teoria della cospirazione”, come spesso viene banalizzata ogni denuncia, “perché vi sono prove sufficienti in termini di fatti e documenti.”

Nel giugno 2016, la filosofa e ricercatrice Marilena Chauí, citata da Giovanaz, ha dichiarato che Moro era stato cooptato dall’FBI per servire gli interessi degli Stati Uniti nella condotta dell’operazione Lava Jato. “Ha ricevuto un addestramento tipico come quello che l’FBI faceva durante il Maccarthismo (la politica di persecuzione anticomunista adottata dagli Stati Uniti negli anni ’50)”, afferma la filosofa brasiliana, affermando che Washington aveva un obiettivo: destabilizzare il Brasile per impadronirsi dei grandi giacimenti petroliferi, delle altre immense risorse e controllare nientemeno che la grande potenza latino-americana.”

“In questo senso, l’operazione Lava Jato è, diciamo, un preludio alla grande sinfonia della distruzione della sovranità brasiliana per il XXI secolo”, ha denunciato Chauí, la cui ipotesi è stata sostenuta da un documento di Wikileaks che è stato declassificato il 30 Ottobre 2009.

“Il nome di Sergio Moro – al di là della sua stretta relazione con gli Stati Uniti – è citato come partecipante a una conferenza offerta a Rio de Janeiro dal Progetto Bridges (Progetto Pontes), legato al Dipartimento di Stato, il cui obiettivo era di “consolidare il trattamento bilaterale ( tra Stati Uniti e Brasile) nell’applicazione della legge”.

Moro è stata la figura chiave per giustificare la “consulenza” americana nel suo paese.

Tra le conclusioni tratte da Wikileaks su quella conferenza, i responsabili del Progetto Pontes hanno sostenuto “la continua necessità di garantire la formazione di giudici federali e studenti brasiliani, per far fronte al finanziamento illecito della condotta criminale”. La strategia doveva essere “a lungo termine” e coincidere con la formazione di “task force di formazione”, che si potrebbero installare a Sao Paulo, Campo Grande o Curitiba.

Cinque anni dopo quell’atto a Rio de Janeiro, è scoppiata l’operazione Lava Jato, che ha instaurato nel paese un clima di instabilità politica molto importante per i piani degli Stati Uniti, i quali hanno iniziato a controllare, gestire e manipolare le operazioni e il caso Odebrecht.

Negli ultimi due anni, le visite di Sérgio Moro negli Stati Uniti sono diventate sempre più frequenti, ed è stato presentato in alcune conferenze come “il leader centrale nel rafforzamento dello stato di diritto in Brasile”. Che in realtà è scomparso, a partire dal colpo di stato del 2016, consolidato da questo nuovo golpismo manu militare che ha condannato Lula, il quale è innocente (non è mai stato provato il contrario).

 

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Perché UK, UE e USA si sono coalizzati contro la Russia

Russiadi James Petras

20mar2018.- Introduzione: per la maggior parte del decennio, gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Unione Europea hanno condotto una campagna volta a minare e rovesciare il governo russo e, in particolare, a estromettere il presidente Putin. Sono in gioco questioni fondamentali, compresa la possibilità reale di una guerra nucleare.

 

La più recente campagna di propaganda occidentale e una delle più virulente consiste nell’accusa lanciata dal regime britannico del Primo Ministro Theresa May. I Britannici hanno affermato che agenti segreti russi hanno cospirato per avvelenare un ex-agente doppiogiochista russo e sua figlia in Inghilterra, minacciando la sovranità e la sicurezza del popolo britannico. Nessuna prova è sinora stata presentata. Invece, il Regno Unito ha espulso diplomatici russi e invoca sanzioni più severe, per aumentare il livello di tensione. Il Regno Unito e i suoi sostenitori statunitensi ed europei si stanno muovendo verso una rottura delle relazioni e una mobilitazione di forze militari.

Alcune domande fondamentali sorgono riguardo alle origini e alla crescente intensità di quest’atteggiamento anti-russo.

Perché i regimi occidentali oggi ritengono che la Russia sia una minaccia maggiore che in passato? Credono che la Russia sia più vulnerabile alle minacce o agli attacchi occidentali? Perché i leader militari occidentali cercano di minare le difese della Russia? Le elite economiche americane credono che sia possibile provocare una crisi economica e la fine del governo del Presidente Putin? Qual è l’obiettivo strategico dei politici occidentali? Perché il regime del Regno Unito in questa fase ha preso l’iniziativa nella crociata anti-russa con l’accusa posticcia di attacchi chimici?

Il presente documento intende fornire elementi chiave per rispondere a queste domande.

Il contesto storico dell’aggressione occidentale

Parecchi fattori storici fondamentali, risalenti agli anni ’90, spiegano l’attuale ondata di ostilità occidentale nei confronti della Russia.

Prima di tutto, durante gli anni ’90, gli Stati Uniti hanno umiliato la Russia, riducendola a uno stato vassallo e imponendosi come stato unipolare.

In secondo luogo, le elite occidentali hanno saccheggiato l’economia russa, arraffando e riciclando centinaia di miliardi di dollari. Le principali banche beneficiarie sono state le banche di Wall Street e della City di Londra e i paradisi fiscali d’oltremare.

In terzo luogo, gli Stati Uniti hanno fatto ostaggio e assunto il controllo del processo elettorale russo, assicurando l’”elezione” fraudolenta di Eltsin.

In quarto luogo, l’Occidente ha umiliato le istituzioni militari e scientifiche della Russia e fatto avanzare le proprie forze armate fino ai confini della Russia.

In quinto luogo, l’Occidente ha assicurato che la Russia non era in grado di sostenere i propri alleati e i governi indipendenti in Europa, Asia, Africa e America Latina. La Russia non era in grado di supportare i propri alleati in Ucraina, a Cuba, nella Corea del Nord, in Libia, ecc.

Con il collasso del regime di Eltsin e l’elezione del presidente Putin, la Russia ha riacquistato la propria sovranità, la sua economia si è ripresa, le sue forze armate e gli istituti scientifici sono stati ricostruiti e rafforzati. La povertà è stata nettamente ridotta e i gangster capitalisti, sostenuti dall’Occidente, sono stati ridimensionati e incarcerati o sono fuggiti, principalmente nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

La storica ripresa della Russia sotto il presidente Putin e la sua graduale influenza internazionale hanno demolito la pretesa statunitense di governare il mondo unipolarmente. La ripresa e il controllo delle proprie risorse economiche da parte della Russia hanno ridotto il predominio degli Stati Uniti, in particolare il controllo dei giacimenti di petrolio e di gas.
Mentre la Russia consolidava la propria sovranità e avanzava economicamente, socialmente, politicamente e militarmente, l’Occidente aumentava la sua ostilità, nel tentativo di riportare la Russia ai secoli bui degli anni ’90.

Gli Stati Uniti hanno tentato numerosi colpi di stato, interventi militari ed elezioni fraudolente, per circondare e isolare la Russia. L’Ucraina, l’Iraq, la Siria, la Libia, lo Yemen e gli alleati russi nell’Asia centrale sono stati presi di mira. Le basi militari della NATO sono proliferate.

L’economia della Russia è stata presa di mira: sono state applicate sanzioni  contro le sue importazioni ed esportazioni. Il presidente Putin è stato oggetto di una virulenta campagna di propaganda da parte dei media occidentali. Le Ong statunitensi hanno finanziato partiti e politici dell’opposizione.

La campagna di restaurazione a firma USA-UE è fallita.

La campagna di accerchiamento è fallita.

L’Ucraina si è frammentata: gli alleati della Russia hanno preso il controllo dell’Oriente; la Crimea ha votato per l’unificazione con la Russia. La Siria si è unita alla Russia, per sconfiggere i vassalli statunitensi armati. La Russia si è indirizzata verso il commercio multilaterale, i trasporti e le reti finanziarie della Cina.

Man mano che l’intera fantasia unipolare statunitense si dissolveva, provocava un profondo risentimento, animosità e un contrattacco sistematico. La costosa e fallita guerra al terrore degli Stati Uniti è diventata una prova generale per la guerra economica e ideologica contro il Cremlino. La ripresa storica della Russia e la sconfitta della politica occidentale di restaurazione hanno intensificato la guerra ideologica ed economica.

Il complotto delle armi chimiche nel Regno Unito è stato concepito per accrescere le tensioni economiche e preparare il pubblico occidentale a un intensificato scontro militare.

La Russia non è una minaccia per l’Occidente: sta recuperando la sua sovranità per promuovere un mondo multipolare. Il presidente Putin non è un “aggressore”, ma si rifiuta di far sì che la Russia torni al vassallaggio.

Il presidente Putin è immensamente popolare in Russia e odiato dagli Stati Uniti, proprio perché è l’opposto di Eltsin: ha creato un’economia fiorente; resiste alle sanzioni e difende i confini e gli alleati della Russia.

Conclusione

Rispondendo sommariamente alle domande in apertura:

1) I regimi occidentali riconoscono che la Russia è una minaccia per il loro dominio globale; sanno che la Russia non rappresenta una minaccia d’ invasione per l’UE, il Nord America o i loro vassalli;

2) I regimi occidentali credono di poter rovesciare la Russia attraverso la guerra economica, incluse le sanzioni. In realtà, la Russia è diventata più autosufficiente e ha diversificato i suoi partner commerciali, in particolare la Cina e perfino l’Arabia Saudita e altri alleati occidentali.

La campagna di propaganda occidentale non è riuscita a mettere gli elettori russi contro Putin. Il 19 marzo 2018 la partecipazione degli elettori alle elezioni presidenziali è arrivata al 67%. Vladimir Putin ha ottenuto una maggioranza record del 77%. Il presidente Putin è politicamente più forte che mai.

La dimostrazione da parte della Russia riguardo gli avanzati sistemi di armi nucleari e di altro tipo ha avuto un notevole effetto deterrente, specialmente tra i leader militari statunitensi, chiarendo che la Russia non è vulnerabile agli attacchi.

Il Regno Unito ha tentato di integrarsi e acquisire importanza con l’UE e gli Stati Uniti, attraverso il lancio della sua cospirazione chimica anti-Russia. Il Primo Ministro May ha fallito. La Brexit costringerà il Regno Unito a rompere con l’UE.

Il presidente Trump non sostituirà l’UE come partner commerciale di riserva. Se anche l’UE e Washington possono sostenere la crociata britannica contro la Russia, loro perseguono la propria agenda commerciale, che non include il Regno Unito.

In una parola, il Regno Unito, l’UE e gli Stati Uniti si stanno coalizzando contro la Russia, per diverse ragioni storiche e contingenti. Lo sfruttamento britannico della cospirazione anti-russa è uno stratagemma temporaneo per integrarsi nella banda criminale, ma non servirà a reinvertire l’inevitabile declino globale e la disgregazione del Regno Unito.

La Russia rimarrà un potere globale. Continuerà sotto la guida del presidente Putin. Le potenze occidentali si divideranno e infastidiranno i loro vicini – poi decideranno che gli conviene accettare la situazione e lavorare all’interno di un mondo multipolare.

 

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Nel Brasile golpista tornano le esecuzioni politiche

Francoda Brasil de fato

La consigliera comunale di Rio Marielle Franco (PSOL) e l’autista Anderson Pedro Gomes sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco, la notte dello scorso mercoledì (14 marzo), nel quartiere do Estácio, al centro di Rio de Janeiro.

Marielle era appena uscita dall’iniziativa “Giovani nere che muovono la struttura” e quando stava passando davanti al Municipio, un’auto si è accostata al veicolo, ha fatto fuoco numerose volte ed è fuggita di corsa. Un’addetta alla comunicazione che era nell’auto è stata ferita ma non è grave.

La polizia di Rio de Janeiro ancora sta investigando il caso, ma lavora sull’ipotesi dell’esecuzione. Sono stati identificati per lo meno nove colpi d’arma da fuoco nella carrozzeria e nei vetri dell’auto. A partire da giovedì 15, in varie città del Brasile, si sono organizzate veglie di protesta e manifestazione per ricordare l’attivista e per esigere pronta giustizia verso esecutori e mandante dell’efferato omicidio. In poche ore, il caso di Mireille già ha conquistato il mondo e mette in luce l’attuale congiuntura politica che sta vivendo il paese.

Nata nel complesso della Maré, Marielle era impegnata  nella difesa dei diritti umani dei neri e delle nere, nonché nella denuncia del genocidio di giovani nelle favelas da parte della Polizia Militare. A febbraio, era passata a integrare la Commissione che accompagna l’intervento militare a Rio. Tre giorni prima del delitto, Marielle aveva denunciato il coinvolgimento di poliziotti nell’uccisione di giovani in città.

[Trad. dal portoghese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

NOTA AGGIUNTIVA

di Marco Nieli

Il coinvolgimento delle forze di sicurezza nell’esecuzione della Franco è stato provato lo scorso venerdì da una perizia forense che ha individuato la provenienza dei proiettili da 9 mm usati dai sicari da un lotto venduto a Brasilia nel 2016 alla Polizia Federale.

L’attivista e militante politica del PSOL era da tempo impegnata a monitorare e denunciare abusi e violenze della polizia e dell’esercito sui giovani neri delle favelas, uccisi in vere e proprie esecuzioni extra-giudiziarie o terrorizzati in raids improvvisi come nella favela Acarì lo scorso 10 marzo.  Nel Brasile di Temer, si stima che circa 155 favelados neri vengano uccisi ogni giorno e che su 100 omicidi, 71 hanno come vittime neri e mulatti. Inoltre, gli 8500 soldati, dispiegati a sostegno delle forze di polizia dal governo Temer con il decreto Garanzia delle Legge e dell’Ordine (GLO) del luglio 2017, sono indice di una crescente militarizzazione del territorio, in un paese in cui il consenso al governo golpista è ai minimi storici.

Come in ogni contesto storico-politico in cui l’egemonia in crisi viene sostituita dal dominio diretto e repressivo delle classi possidenti, l’unica opzione sul tappeto rimane la forza brutale e il gorillismo. Di fatto, l’assassinio politico sta ritornando in auge nei paesi sudamericani che hanno svoltato recentemente a destra, per via elettorale (l’Argentina di Macri) o golpista (il Brasile di Temer), come pratica repressiva del dissenso, in modi che ricordano per molti versi l’epoca del famigerato Plan Condor. In Argentina, le forze dell’ordine, mai completamente epurate dall’epoca della Dittatura (1976-1982), sono tra le più corrotte del continente. Le recenti misure adottate dal governo Macri in termini di detenzione preventiva dei sospetti e di sostanziale impunità di agenti e soldati di fronte ai manifestanti e agli attivisti/militanti sociali portano quotidianamente a episodi di tortura, maltrattamenti e perfino sparizioni/uccisioni come quella del militante pro-Mapuche Santiago Maldonado lo scorso ottobre. La spietata esecuzione di Marielle Franco a Rio porta oggi alla ribalta internazionale un’analoga situazione esistente nel Brasile golpista di M. Temer.

L’ONU, come anche il Social Forum di Bahia, hanno già preso una chiara posizione sull’esecuzione della consigliera, esigendo indagini rapide, trasparenti e giustizia certa verso mandanti ed esecutori. Chissà se le organizzazioni diritto-umanitarie alla Amnesty o alla Human Rights Watch, sempre pronte a fustigare paesi scomodi per l’Impero come il Venezuela, Cuba o la Siria, si faranno sentire stavolta, prendendo in considerazione la violazione sistematica dei diritti umani in questi paesi latino-americani, neo-alleati degli Stati Uniti. Fatto sta che, all’epoca dell’integrazione continentale promossa dal compianto Presidente del Venezuela Hugo Chávez, queste pratiche barbariche, retaggio di un’epoca che si sperava ormai passata, sebbene non del tutto inesistenti a livello locale, venivano comunque osteggiate e scoraggiate dai governi dei rispettivi paesi. La deriva attuale verso destra riporta indietro di decenni i popoli brasiliano e argentino e la reazione in termini di mobilitazione sociale e denuncia deve essere pronta ed efficace.

Chávez vive nel cuore dei popoli

Chavezdi Ángel Guerra

8 marzo 2018

da Telesur

Caracas. Sono passati cinque anni dalla scomparsa fisica di Hugo Chávez. Da allora, l’amore per il comandante e la comprensione della sua fondamentale eredità americana da parte di Venezuelani, Latino-americani e Caraibici sono più grandi che mai. Inoltre, Chávez è stato un uomo universale, solidale con le lotte popolari in tutte le parti del mondo.

Alla sua morte, Washington e una coalizione della destra internazionale stavano già sviluppando una grande offensiva contro la Rivoluzione Bolivariana e contro tutti i governi rivoluzionari e progressisti della Grande Patria. Ma da quale momento, l’assalto si è intensificato, in particolare in seguito al cambiamento di governo nella patria di Bolivar, ora oggetto a un tal grado di interferenze e di tentativi di colpi di stato, da costituire pretestuosamente il preludio a un intervento straniero. Questo progetto spudorato è stato messo in pratica a costo di imporre al popolo venezuelano la manipolazione dei media, la violenza più irrazionale, la speculazione, l’inflazione provocata intenzionalmente e la scarsità di beni. Tutto conforme ai canoni della guerra ibrida o di quarta generazione.

Le batterie delle corporazioni mediatiche si sono concentrate sul presidente Nicolás Maduro, che cercano di screditare con le calunnie più basse e volgari fin dalla sua elezione. Gli Stati Uniti e le destre, che conoscono l’importanza dei leader nei movimenti popolari e rivoluzionari, mentre attaccano Maduro, hanno lanciato una feroce caccia legale e mediatica contro leader come Lula e Cristina Fernandez de Kirchner.

Un chiaro segnale del pericolo esterno in cui si trova il Venezuela l’ha fornito la dichiarazione del XV vertice dell’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), tenuta in quel paese il 5 marzo. Fortemente segnata dalla solidarietà con il Venezuela e con un’evidente allusione alle parole del Segretario di Stato Americano, Rex Tillerson, all’Università del Texas ad Austin, punto di partenza del suo giro interventista e destabilizzante nella regione, la dichiarazione legge: “Condanniamo i tentativi di rilanciare la Dottrina Monroe e la minaccia militare e le esortazioni a un colpo di stato militare contro il governo costituzionale del Venezuela …”. Capi di Stato e di governi dell’ALBA, o i loro rappresentanti, hanno anche espresso “disaccordo con il pronunciamento di un gruppo di paesi africani, emesso il 13 febbraio 2018 a Lima, Perù, che costituisce un’interferenza negli affari interni della Repubblica Bolivariana del Venezuela”. Hanno criticato “l’esclusione della sorella Repubblica Bolivariana del Venezuela e del suo Presidente, Nicolas Maduro Moros, dall’ottavo Summit delle Americhe, perché crediamo che questo vertice deve essere un punto di incontro per tutti gli stati del continente e uno spazio in cui tutti possiamo esprimere le nostre idee, raggiungere il consenso, il dissenso e il dibattito rispettando la nostra diversità”.

Il vertice dell’ALBA ha chiesto “rispetto per gli aspetti legali dell’organizzazione del Summit delle Americhe”, ha invocato il diritto di partecipazione del Venezuela e ha annunciato che adotterà misure diplomatiche e politiche per garantirlo. “Esortiamo  – sottolinea –  la comunità internazionale ad astenersi da coercizioni di qualsiasi tipo contro l’indipendenza politica e l’integrità territoriale del Venezuela, come pratica incompatibile con i principi del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite e contraria alla Proclamazione dell’America Latina e dei Caraibi come Zona di Pace. Rifiutiamo le misure coercitive unilaterali e le sanzioni imposte contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, che influenzano la vita e lo sviluppo del nobile popolo venezuelano e il godimento dei suoi diritti”.

Parallelamente al summit ALBA, sempre qui ha avuto luogo, fino a oggi, l’incontro Siamo Tutti Venezuela. Oltre alle sessioni di lavoro, i partecipanti hanno avuto il privilegio di assistere all’emozionante cerimonia religiosa per il quinto anniversario della morte di Hugo Chávez, officiata da sciamani e ministri del culto cristiano, musulmani e afro-venezuelani. Una vera e propria lezione per atei e agnostici, da parte di chi conosce l’importanza della religiosità nell’anima popolare. Abbiamo anche potuto apprezzare un’indimenticabile spettacolo con straordinari cantanti e attori di Barinas, la terra natía di Chávez. Spontaneo e commovente, con note allegre di musica llanera. Chávez vive nel cuore del suo popolo e di tutti i popoli.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Le maggiori bugie della stampa occidentale sulla Siria

Guta.jpgdi Carlos Santa María

28feb2018

da Hispan TV

I media internazionali incolpano il Governo siriano dei bombardamenti nel Guta Orientale

Washington ha lanciato 7 menzogne  attraverso i media, al fine di ingannare l’opinione pubblica e generare odio contro Bashar al-Asad, la Russia, l’Iran e i loro alleati.

Ogni volta che l’esercito siriano sconfigge le bande terroristiche, appare una guerra mediatica transnazionale ‘sorpresa’ dalla violenza contro i civili e che chiede che il ‘massacro’ si fermi.

“È necessario mentire come un demone, senza timidezza, non solo sul momento, ma con coraggio e per sempre […] Mentite, amici miei, mentite, vi ripagherò quando arriverà il momento” (Voltaire).

È il caso del Guta Orientale, dove Al-Qaeda e l’ISIL (Daesh, in arabo) si sono trincerati da molti anni, attaccando la popolazione civile di Damasco con attentati quotidiani, che hanno portato a negoziati e alla Risoluzione 2401 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite-UNSC (24-2-2018), che ordina una tregua umanitaria con un cessate il fuoco di 30 giorni. La campagna di ‘denuncia’, attraverso la portavoce del Dipartimento di Stato, Heather Nauert, è stata integrata venerdì 24 dall’Ambasciatrice USA presso l’ONU Nikki Haley, che ha criticato il governo siriano e la Russia, ma nascondendo l’esistenza di gruppi criminali  nel Guta come Yeish Al-Islam, Al-Nusra Front, Ahrar Al-Sham, Faylaq al-Rahman e Fajr Al-Ummah. Contrariamente alle sue parole, proprio domenica 25, queste bande hanno continuato a lanciare missili su Damasco e la coalizione guidata dagli Stati Uniti ha violato la Risoluzione, attaccando case di civili nelle città di Al Shaafa e Dharat Allouni, uccidendo almeno 29 persone e ferendo decine di bambini e donne con bombardamenti. L’uso dei missili anti-carro TOW fabbricati negli Stati Uniti ha completato la giornata.

In quest’occasione, Washington ha divulgato 7 bugie attraverso i media, al fine di ingannare l’opinione pubblica e di generare odio contro Bashar al-Assad, la Russia, l’Iran e i loro alleati.

Prima: il mondo sta a guardare, mentre un altro massacro si svolge in Siria.

Ci si rammarica del fatto che nessuno si preoccupi della Siria e che, pertanto, questi massacri avvengono ogni giorno senza ostacoli, poiché Al-Asad avrebbe ordinato di distruggere scuole, aziende, case e centri medici, i cui medici ricorrono all’uso di medicinali scaduti per curare i feriti. La verità è che le nazioni sovrane sono impegnate a cercare di fermare l’intervento militare di gruppi terroristici sponsorizzati da potenze e regni arabi, in barba alle minacce dovute al presunto uso di armi chimiche da parte della Siria, quando si sa che queste armi mortali sono state consegnate ai ‘ribelli’ e alle bande di takfiri dai governi occidentali, che infrangono tutti i trattati. Lo prova il fallito attentato di domenica 25 con un’autobomba a Jobar.

 

Seconda: l’informazione internazionale fornita dai mezzi di comunicazione è libera.

Ciò significherebbe che le notizie sono fornite senza alcun coordinamento transnazionale e riflettono solo la terribile verità. Non è necessario analizzare, perché i fatti testimoniano da soli. La cosa strana è che una stessa foto nello stesso momento viene mostrata da migliaia di notiziari o pagine stampate, che continuano a ripetere un identico discorso, già preparato in anticipo per tutti quelli che sono soggetti allo stesso ordine. Vale a dire, quest’informazione pilotata lascia intravvedere la presunta libertà di mentire con impudenza, nel rendere evidente la falsità di dette affermazioni.

Terza: emozioni e sentimenti spiegano il problema.

Frasi come “la morte sta piovendo sul Guta Orientale”, dove, con l’aumento delle morti, si finisce per “gettare parti del corpo in fosse comuni”, con la paura di andare negli scantinati a causa dei bombardamenti e di morire sotto le macerie, sono argomenti ripetitivi, ‘esplicativi’ del conflitto. La verità è che, nonostante la sofferenza dell’innocente sia vera, lo sfondo della violenza non viene analizzato perché, così facendo, dovrebbero essere identificati i poteri che sostengono i gruppi terroristici come la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti (insieme ad altri ‘partner della regione’),  i quali dovrebbero essere puniti per ‘crimini di guerra’. Il loro primo ordine coerente dovrebbe essere quello di permettere a tutte le famiglie che lo richiedono di passare attraverso i corridoi umanitari.

Quarta: gli attacchi aerei colpiscono indiscriminatamente ospedali, scuole e edifici residenziali.

Ciò che viene riportato dai ‘colleghi’ non risponde alla vera domanda: dove si nascondono i terroristi e perché usano i civili per proteggersi, provocando loro atroci sofferenze? La verità è che non ci sono così tanti abitanti e un numero importante corrisponde ai takfiri, che hanno occupato quest’area per attaccare Damasco nel loro tentativo di provocare caos e massacri, su mandato delle rispettive organizzazioni. La violazione della Risoluzione 2401 conferma l’inaffidabilità delle loro dichiarazioni di sincerità. La NATO, ad esempio, non ha rispettato questa direttiva e incoraggia la Turchia a continuare la sua guerra distruttiva in Siria, anche se rifiuta lo stesso ad altri.

Quinta: i caduti sono solo civili, non terroristi.

Secondo gli ‘osservatori dei diritti umani e delle agenzie umanitarie’, più di 500 persone sono morte nel giro di pochi giorni e altre centinaia sono rimaste ferite …  cifre ‘comprovate’ dalle stesse agenzie. La verità è che per la situazione nel Guta Orientale devono rispondere coloro che sponsorizzano i criminali che sono ancora lì e che bombardano le zone residenziali di Damasco con mortai e artiglieria, uccidendo i bambini nelle scuole. Colpevoli sono coloro che si astengono dal condannare gli atti di violenza di questi gruppi, ignorando sviluppi come i negoziati di Astana e di Sochi, dove l’Iran ha sostenuto una posizione forte verso la pace, oppure il lavoro del Centro per la Riconciliazione Russo, i cui protratti negoziati sono stati interrotti dai ‘ribelli’.

Sesta: “invochiamo Dio”, perché l’ONU agisca.

Secondo questo punto di vista, il governo siriano e la Russia non hanno fatto nulla per difendere i civili e gli innocenti ribelli che abitano lì, perché ciò che interessa loro è la morte di tutti i nemici del ‘regime’ e niente di più, dal momento che sono demoni dell’inferno e bisogna vederli così. La verità è che il Ministero degli Esteri siriano ha chiesto alle Nazioni Unite di esprimere immediatamente la sua condanna di questi attacchi terroristici e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad assumere la propria responsabilità per il mantenimento della pace Internazionale e l’adozione di misure punitive contro gli sponsor stranieri di terrorismo e di crimini contro i civili siriani. La Russia ha accettato la risoluzione emessa sabato 24 febbraio, a condizione che il cessate il fuoco “non includa in alcun modo” il gruppo terroristico ISIL, il Fronte Nusra e i gruppi che collaborano con loro. È mancato un passaggio che prospettasse di andare oltre una tregua che permetteva ai gruppi ultra-violenti di nascondersi e riarmarsi,  e che affrontasse con decisione e serietà l’occupazione illegale della Siria da parte degli Stati Uniti e la loro espulsione dal territorio.

Settima: tutto ciò che dicono le nostre fonti è vero.

Di solito, esse sono i caschi bianchi (organizzazione takfira che trucca lo scenario), l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani-OSDH (guidato dai Servizi Segreti Britannici), un direttore dell’ospedale, i medici, gli analisti di fuori del paese, gli attivisti locali, patologi e becchini, veterani e attivisti anti-governativi, la stragrande maggioranza non identificata, anche se ‘assolutamente affidabili’, considerando che i gruppi ribelli che occupano l’enclave sono combattenti per la libertà ‘moderati’. La verità è che davanti a tali fonti interessate è difficile non essere sorpresi dalle poche informazioni credibili che danno e dalla mancanza di serietà, necessaria per affrontare in profondità un conflitto così serio e complesso. Ovviamente, vi sono altre menzogne di alto profilo: 1) la coalizione statunitense in Siria è legittima e il suo sostegno ai ‘moderati’ armati è a favore della pace e dell’unità in Siria; 2) il governo di Donald Trump è stato il vincitore del Fronte Al-Nusra e del Daesh; 3) la Turchia stabilirà l’ordine nel nord della Siria e sconfiggerà il terrorismo dell’ISIL-Al Qaeda; 4) questa è una guerra civile e religiosa, non causata da bande terroristiche.

Infine, il mondo dovrebbe essere avvertito che la risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha incluso risposte solide per garantire un cessate il fuoco e che gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia sono a conoscenza della provocazione di bande criminali terroristiche con armi chimiche. Se ciò accadrà, i suddetti poteri saranno responsabili di tali atrocità.

La dittatura è un’altra cosa rispetto al diritto dello Stato Siriano di difendere i suoi concittadini, combattendo contro il terrorismo e i suoi sponsor nel quadro del complotto continuato, progettato da governi interventisti per sette anni contro la nazione araba. Le migliaia di morti in Siria a causa di un’occupazione completamente immorale, rendono indispensabile il persistere nella lotta per la giustizia sociale e nel sostegno agli sforzi lodevoli dei popoli e delle nazioni per la fine del conflitto siriano. Prima o poi, è quello che avverrà.

[Trad. dal castigliano per ALBAnformazione di Marco Nieli]

 

Cina e USA: un confronto nella selezione della leadership

Xi Jinpingdi James Petras

La selezione statunitense dei leader non ha praticamente nulla a che fare con processi democratici e risultati. Risulta utile confrontarla con il processo cinese. Nella maggior parte dei casi, la selezione dei dirigenti in Cina è molto più meritocratica, basata sul rendimento e sulle effettive realizzazioni. Sia negli Stati Uniti e che in Cina, il processo manca di trasparenza.

 

La leadership economica, politica e culturale negli Stati Uniti

La scelta dei leader economici, politici e culturali statunitensi si basa su diverse
procedure non democratiche:

  1. Ereditarietà tramite legami familiari;
  2. Accesso personale al credito e al finanziamento;
  3. Patrocinio politico;
  4. Vendita e acquisto di uffici e favori lobbistici e d’elite;
  5. Legami coi media;
  6. Repressione politica e manipolazione delle procedure elettorali;
  7. Durata in cariche pubbliche e uso delle risorse statali;
  8. Nepotismo etno-religioso;
  9. Gerarchia interna di partito;
  10. Decisioni a partito chiuso (opacità);
  11. Capacità di tenere segreti.

I leader, sia nominati, che auto-nominati o selezionati attraverso il denaro, i media, le reti d’elite, trasformano nel sistema U.S.A. il processo elettorale in un retro-pensiero virtuale. I leader economici statunitensi hanno aumentato il flusso di profitti produttivi e gli investimenti verso il settore finanziario e/o esternamente all’estero verso i paradisi fiscali.

I leader politici statunitensi hanno aumentato le spese militari e le guerre, deviando fondi pubblici provenienti dai servizi sociali interni e dal welfare, diminuendo la crescita economica interna e i mercati per gli investimenti e i commerci.
I leader culturali degli Stati Uniti sono stati premiati per la difesa, la promozione e la mistificazione delle conquiste imperiali e per denigrare nazioni e leader indipendenti.

Sono stati anche premiati per promuovere il consumismo più degradante e frivolo, minando la coesione sociale e delle comunità.

La mancanza di trasparenza, nel processo di selezione negli Stati Uniti, dei leader dellemaggiori banche d’investimento, dei partiti politici, degli uffici legislativi ed esecutivi e nell’accademia sta crescendo a un ritmo allarmante e con notevoli conseguenze negative: i leader negli Stati Uniti non devono passare rigorosi esami né affrontare confronti con i loro pari per competenza nei rispettivi settori di lavoro.

I leader aziendali degli Stati Uniti non sono giudicati dai loro successi economici e politici.

Responsabilità per guerre disastrose, salvataggi corrotti delle banche, crisi finanziarie spese di assistenza sanitaria schizzate alle stelle non squalificano un candidato per posizioni di leadership. I criteri  incentrati sul risultato non costituiscono la base per la selezione dei leader di Congresso e presidenziali. I fattori decisivi che influenzano la selezione politica sono la capacità di promuovere interessi d’elite, perseguire guerre imperiali, allo scopo di gratificare le ambizioni e l’avidità di civili militaristi e mascherare la corruzione diffusa che ingrassa le ruote della speculazione.

 

Cina: consultazione, meritocrazia e risultati

I leader cinesi sono selezionati sulla base di una consultazione multi-livello, della meritocrazia e dei risultati riportati in carica. Il recente congresso del partito della Cina ha evidenziato tre aspetti di vitale importanza: la riduzione delle diseguaglianze, il contrasto al degrado ambientale e l’assistenza sanitaria.

Al contrario, le elezioni del Congresso americano dello scorso anno si sono concentrate sull’impegno a ridurre le imposte sulle società per il super-ricco, nonostante la crescente disuguaglianza sociale ed economica, la rimozione delle regole statali e federali per la protezione della popolazione e dell’ambiente da inquinanti aziendali e a ridurre i finanziamenti pubblici per l’accesso a un’assistenza sanitaria competente,
minando il benessere del cittadino ed aumentando l’aumento delle morti premature e le aspettative di vita diminuite per i poveri e la classe operaia.

L’elite politica americana è piena di negazionisti del “cambiamento climatico” e dei peggiori tipi di inquinamento.

Il Congresso americano ha speso una quantità enorme di tempo e di energia a perseguire cospirazioni di parte, al tempo stesso in cui rifiutava di affrontare la furiosa epidemia di dipendenza narcotica a prescrizione, che ha ucciso oltre 600.000 americani in 15 anni.

Il presidente Xi Jinping ha chiesto ai dirigenti cinesi di dirigere i loro sforzi per correggere lo ‘sviluppo sbilanciato e inadeguato e le crescenti esigenze del popolo di  una vita migliore’. Il presidente Xi ha sottolineato l’obiettivo di ‘ecologizzare l’economia’, menzionandolo 15 volte nel suo indirizzo al Congresso del Partito – in confronto all’unica volta nella precedente riunione del Partito (FT
17/11/17, pag. 11).

Gli investitori pubblici e privati ​​cinesi hanno risposto alle priorità fissate da Xi e gli indici di investimento sono lievitati in questi settori (FT 11/11/17, pag. 11).
Al livello superiore, la direzione si impegna in consultazioni e dibattiti tra le elites in competizione, discutendo i risultati passati e presenti nello sviluppo di politiche attuali e future.

A livello intermedio, sono determinanti verifiche ultra-competitive da parte di organi pubblici nella selezione e nella nomina dei funzionari cinesi.

Al livello superiore e medio, il livello delle prestazioni di lavoro della leadership è uno dei fattori principali nella determinazione della selezione.

I quattro decenni di spettacolare crescita economica che hanno tirato fuori dalla povertà 500 milioni di persone cinesi sono un riflesso del sistema efficace di selezione e promozione dei leader.

Mantenere la pace e l’amicizia con altri paesi per oltre quarant’anni – eccetto un breve conflitto di confine con il Vietnam nel 1979 – è stato un fattore importante che influenza la selezione della leadership.

Al contrario, nonostante molte guerre disastrose e brutali, i presidenti Clinton, Bush e
Obama sono stati rieletti in carica in un sistema di duopolio di due partiti, considerato universalmente ‘truccato’. L’effetto di queste guerre sul deterioramento dell’economia domestica statunitense non si riflette sulla selezione dei candidati o sull’esito delle elezioni presidenziali o congressuali.

La Cina ha selezionato leader che hanno evidenziato capacità e serietà nell’indagare epunire oltre un milione di funzionari e plutocrati corrotti. Gli investigatori anti-crimine  sono stati riconosciuti come leader ‘puliti e dediti al lavoro’.

Al contrario, l’amministrazione statunitense ha ripetutamente nominato i criminali di Wall Street a posizioni di alto livello nel Tesoro, nella Federal Reserve e nel FMI con risultati disastrosi per la cittadinanza, senza capacità di analisi o correzione.
Uno dei meccanismi di partito più selettivi e prestigiosi si trova nel
Dipartimento delle organizzazioni (OD) del Partito comunista cinese (FT 10/30/17, pagina 9). L’OD incontra privatamente ed esamina i candidati alla leadership sulla base di una ‘complessa combinazione di nomine, esami scritti e orali, indagini, un voto a maggioranza dei ministri. I leader, così selezionati, assumono la responsabilità collettiva – e non si posizionano in base alla ‘fuga di decisioni” (FT ibid)….

 
Conclusioni

Sia negli Stati Uniti che in Cina la selezione dei leader non si basa su elezioni o
consultazioni dei cittadini
. Tuttavia, ci sono grandi differenze nel processo e nelle procedure di selezione dei dirigenti, con conseguenti enormi differenze nei risultati.

La Cina è in gran parte una meritocrazia, con vestigia di nepotismo familiare, specialmente in riferimento ad alcune interconnesioni stato-mondo degli affari.

I risultati contano molto, e la maggior parte dei cittadini approva la leadership del partito cinese per il successo economico e socio-economico di lungo periodo della Cina.

Al contrario, nella stragrande maggioranza, i cittadini degli Stati Uniti i cittadini sono cinici e insoddisfatti con gli appuntamenti economici più importanti, a causa dei loro
documentati guasti socio-economici passati e presenti. I cittadini rivolgono la loro più grande costernazione ai leader finanziari più importanti (che considerano oligarchi corrotti), che hanno fatto entrare il nostro Paese in crisi ripetute, guerre perpetue, crescenti disuguaglianze e profonda e diffusa povertà. La perdita di
impieghi stabili e ben pagati e il deterioramento della coesione della comunità e della famiglia ha oltraggiato i cittadini, perché questi sono in netto contrasto con la pervasiva e profonda corruzione nelle alte sfere e una quasi totale impunità giudiziaria per gli alti funzionari, i politici e gli oligarchi.

La persecuzione in Cina dei leader corrotti non ha alcuna controparte negli Stati Uniti.
Le tangenti dal mondo degli affari ai politici sono legalizzate negli Stati Uniti, quando sono chiamate ‘campagna’ di finanziamento o ‘onorari per consulenza’. Basti pensare agli onorari da mezzo milione di dollari a conferenza pagati ai Clinton da parte dei finanziatori di Wall Street per i loro 30 minuti di banalità e piazzismo da illusionisti.

Nel campo della politica estera, i leader cinesi difendono il loro interesse nazionale. I leader degli Stati Uniti si inchinano spudoratamente ai lobbisti israeliani, promuovendo gli interessi di Tel Aviv.

I leader cinesi emarginano i critici in nome dell’armonia, della stabilità, della pace e della crescita.

I leader americani emarginano, imprigionano e brutalizzano gli Afro-americani, gli immigrati, gli ambientalisti e gli attivisti anti-guerra, così come i denunciatori di corrotti di Wall Street, in nome di mercati liberi e nebulosi valori democratici liberali.

La Cina, con tutti i suoi inconvenienti in termini di procedure e diritti democratici, si muove verso una società dinamica meno corrotta, meno bellicosa e più responsabile, con una leadership attentamente controllata e sviluppata.

Gli Stati Uniti si muovono verso una società più corrotta e dispotica (‘stato di polizia’) con leader inaffidabili, guerrafondai e criminali al comando.

Il divario tra promesse e risultati si sta allargando negli Stati Uniti, mentre si restringe in Cina. Il rigoroso processo di selezione meritocratica della Cina ha dimostrato una maggiore capacità di rispondere alle nuove sfide e alle necessità della maggioranza rispetto alle elezioni statunitensi, disfunzionali e corrotte, che non possono nemmeno affrontare la crisi della dipendenza causata da sovraprescrizioni non regolamentate degli oppiacei, per non parlare delle crisi ambientali del cambiamento climatico e delle mega-tempeste che devastano le comunità statunitensi.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

La politica dell’escalation militare

images

di James Petras

27set2017

Introduzione

Gli Stati Uniti hanno esplicitamente esaltato il ruolo fondamentale dei militari nella politica estera e, per estensione, in quella interna. L’ascesa dei ‘generali’ a posizioni strategiche nel regime di Trump sono evidenti, così da approfondire il loro ruolo di forza altamente autonoma che determina le agende strategiche statunitensi.

In questo documento discuteremo i vantaggi che l’elite militare sta accumulando grazie all’agenda di guerra e in base alle ragioni per cui i ‘generali’ sono stati in grado di imporre la loro definizione delle realtà internazionali. Discuteremo l’ascesa del militare sul regime civile di Trump, come conseguenza dell’incessante logoramento della sua presidenza da parte dell’opposizione politica.

Il preludio alla militarizzazione: la strategia multi-guerre di Obama e le sue conseguenze

Il ruolo centrale dei militari nel decidere la politica estera statunitense ha le sue radici nelle decisioni strategiche adottate durante la Presidenza Obama-Clinton. Diverse politiche sono state decisive nell’accumulazione di un potere militare-politico senza precedenti.

  1. Il massiccio aumento delle truppe statunitensi in Afghanistan e i loro successivi fallimenti e ritiro hanno indebolito il regime Obama-Clinton e aumentato l’animosità tra l’esercito e l’amministrazione di Obama. Come risultato dei suoi fallimenti, Obama ha squalificato il settore militare e ha indebolito l’autorità presidenziale.
  2. Il massiccio bombardamento e distruzione della Libia da parte degli Stati Uniti, il rovesciamento del governo di Gheddafi e il fallimento dell’amministrazione Obama-Clinton nell’imporre un regime fantoccio, ha sottolineato le limitazioni del potere aeronautico statunitense l’
    inefficacia dell’intervento politico-militare statunitense. La Presidenza si è impantanata nella sua politica estera nel Nord Africa e ha dimostrato la sua inettitudine militare.
  3. L’invasione della Siria da parte di mercenari e terroristi ha coinvolto gli Stati Uniti con alleati inaffidabili in una guerra perdente. Ciò ha portato ad una riduzione del bilancio militare e ha incoraggiato i Generali a vedere nel controllo diretto delle guerre d’oltremare e della politica estera l’unica garanzia delle loro posizioni.
  4. L’intervento militare statunitense in Iraq è stato solo un fattore secondario nella sconfitta dell’ISIS; i principali attori e beneficiari sono stati l’Iran e le milizie sciite alleate degli Iracheni.
  5. Il colpo di stato e la presa del potere in Ucraina architettata da Obama-Clinton ha portato al potere a Kiev una giunta militare corrotta e incompetente e ha provocato la secessione della Crimea (verso l’unione con la Russia) e dell’Ucraina orientale (alleata della Russia). I Generali sono stati messi da parte e si sono trovati legati ai cleptocrati ucraini, mentre aumentavano pericolosamente le tensioni politiche con la Russia. Il regime di Obama ha dettato sanzioni economiche contro Mosca, progettate per compensare i loro vergognosi fallimenti politico-militari.

L’eredità Obama-Clinton

L’eredità Obama-Clinton che si trova a fronteggiare Trump è stata costruita attorno a uno sgabello a tre zampe: un ordine internazionale basato sull’aggressione militare e sul confronto con la Russia; un ‘pivot to Asia’, definito come accerchiamento militare e isolamento economico della Cina – attraverso le minacce belliche e le sanzioni economiche contro la Corea del Nord; l’uso dei militari come guardie pretoriane degli accordi di libero scambio in Asia escludenti la Cina. L’eredità di Obama è costituita da un ordine internazionale basato sul capitale globalizzato e su molteplici guerre. La continuità dell’’eredità gloriosa’ di Obama inizialmente dipendeva dall’elezione di Hillary Clinton. La campagna presidenziale di Donald Trump, da parte sua, ha promesso di smantellare o drasticamente rivedere la dottrina di Obama di un ordine internazionale basato su molteplici guerre, sulla costruzione di una ‘nazione’ neo-coloniale e sul libero commercio. Un furioso Obama ha ‘informato’ (minacciato) il neo- eletto presidente Trump che avrebbe affrontato l’ostilità combinata dell’intero apparato statale, di Wall Street e dei mass media, se avesse perseguito la sua promessa elettorale di nazionalismo economico e quindi minato l’ordine globale incentrato sugli Stati Uniti. L’offerta di Trump di passare dalle sanzioni di Obama e dal confronto militare
alla riconciliazione economica con la Russia è stata contro-bilanciata da un nido di vespe di accusatori riguardo a una cospirazione elettorale Trump-Russia, oscuramente suggerendo tradimenti e istigando processi mediatici contro i suoi stretti alleati e persino i membri della sua famiglia. La fabbricazione di una trama Trump-Russia è stato solo il primo passo verso una guerra totale nei confronti del nuovo Presidente, ma è riuscita a sconvolgere il nazionalismo economico dell’agenda di Trump e i suoi sforzi per cambiare l’ordine globale di Obama.

Trump di fronte all’ordine internazionale di Obama

Durante i primi 8 mesi in carica, il Presidente Trump ha avuto a che fare senza rimedio coi licenziamenti, le dimissioni e l’umiliazione di praticamente tutti i suoi funzionari  civili, in particolare di coloro che si erano impegnati a invertire l’ordine internazionale di Obama. Trump è stato eletto per sostituire le guerre, le sanzioni e gli interventi con trattati economici vantaggiosi per la classe lavoratrice e la classe media americana. Ciò avrebbe incluso ritirare i militari dalle loro missioni a lungo termine volte alla ‘creazione di nazioni’ (occupazione) in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia e altre zone di guerra infinite individuate da Obama.

Le priorità militari di Trump

Le priorità militari di Trump dovevano concentrarsi sul rafforzamento delle frontiere domestiche e dei mercati d’oltremare. Ha cominciato chiedendo ai partner della NATO di pagare per le proprie responsabilità di difesa militare. I globalisti di Obama in entrambi i partiti politici sono stati sconvolti dal fatto che gli Stati Uniti potessero perdere il loro controllo decisivo della NATO; si sono uniti e si sono mossi immediatamente per strappare a Trump i suoi alleati economici nazionalisti e i loro programmi. Trump ha capitolato rapidamente e si è conformato all’ordine internazionale di Obama, tranne per una sola condizione – avrebbe scelto il Gabinetto per implementare il vecchio/nuovo ordine internazionale. Un Trump sconvolto ha nominato una coorte militare di Generali, guidata dal generale James Mattis (famigeratamente soprannominato ‘Mad Dog’) come Segretario alla Difesa. I Generali hanno effettivamente preso la presidenza in ostaggio. Trump ha abdicato al suo ruolo di presidente.

Il Generale Mattis: la militarizzazione dell’America

Il generale Mattis ha assunto l’eredità della militarizzazione globale e ha aggiunto le sue proprie sfumature, tra cui la ‘guerra psicologica’ integrata dalle eiaculazioni emotive di Trump su ‘Twitter’. La ‘Dottrina Mattis’ combinava minacce ad alto rischio  con provocazioni aggressive, portando gli Stati Uniti (e il mondo) all’orlo della guerra nucleare. Il generale Mattis ha adottato gli obiettivi e i campi delle operazioni, definiti dalla precedente amministrazione Obama, in quanto ha cercato di rinforzare l’ordine internazionale imperialista esistente. Le politiche della giunta si sono basate su provocazioni e minacce contro la Russia, con sanzioni economiche estese. Mattis ha gettato ancora più combustibile sui mass media americani già istericamente infiammate contro la Russia. Il generale ha promosso una strategia violenza diplomatica di bassa intensità, compreso il sequestro senza precedenti, l’invasione degli uffici diplomatici russi e l’espulsione in breve tempo di diplomatici e personale consolare. Queste minacce militari e atti di intimidazione diplomatica hanno significato che l’Amministrazione dei Generali sotto il Presidente-Fantoccio Trump si è resa pronta a rompere le relazioni diplomatiche con un potere nucleare mondiale e in effetti a spingere il mondo al confronto nucleare diretto. Quello che Mattis cerca con questi attacchi di aggressività non è niente di meno che la capitolazione da parte del governo russo per quanto riguarda vecchi obiettivi militari statunitensi – vale a dire la ripartizione della Siria (che è iniziata sotto Obama), le severe sanzioni per affamare la Corea del Nord (iniziata sotto la Clinton) e il disarmo dell’Iran (principale obiettivo di Tel Aviv), in vista del suo smembramento. La giunta Mattis che ha occupato la Casa Bianca di Trump ha aumentato le sue minacce alla Corea del Nord, che (nelle parole di Vladimir Putin) ‘preferisce mangiare erba che disarmare’. I megafoni dei mass media americani hanno rappresentato le vittime nordcoreane delle sanzioni e provocazioni statunitensi come una minaccia ‘esistenziale’ alla terraferma americana. Le sanzioni si sono intensificate. È stato intensificato il posizionamento di armi nucleari in Corea del Sud. Massicce esercitazioni militari congiunte sono state pianificate e sono in corso nell’aria, nel mare e sulla terraferma, intorno alla Corea del Nord. Mattis ha piegato il braccio ai Cinesi (principalmente burcorati legati al business e alle attività speculative) e ha assicurato il voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’aumento delle sanzioni. La Russia si è unita al coro anti-Pyongyang, guidato da Mattis, sebbene Putin abbia avvertito sull’inefficacia delle sanzioni! (Come se il Generale ‘Mad Dog‘ Mattis potesse mai accettare seriamente il consiglio di Putin, soprattutto dopo che la Russia aveva votato per le sanzioni!) Mattis ha militarizzato ulteriormente il Golfo Persico, seguendo la politica obamiana di sanzioni parziali e provocazioni belliche contro l’Iran. Quando ha lavorato per Obama, Mattis ha aumentato le spedizioni statunitensi ai terroristi siriani filo-americani e ai fantocci ucraini, assicurando che gli Stati Uniti sarebbero stati in grado di sconfiggere qualsiasi ‘accordo negoziato’.

La militarizzazione: una valutazione

Il ricorso di Trump ai ‘suoi Generali‘ dovrebbe contrastare qualsiasi attacco da parte demembri del proprio partito e dei Democratici nel Congresso riguardo la sua politica estera. La nomina di ‘Mad Dog‘ Mattis, noto russofobo e guerrafondaio, da parte di Trump, ha un po’ pacificato l’opposizione nel Congresso e sottomesso ogni ‘scoperta’ di una cospirazione elettorale tra Trump e Mosca ipotizzata dall’Investigatore Speciale Robert Mueller. Trump mantiene un ruolo come presidente nominale, adattandosi a quello che Obama lo ha avvertito essere ‘il loro ordine internazionale’ – ora diretto da una giunta militare non eletta composta da sostenitori di Obama! I Generali forniscono una parvenza di legittimità al regime di Trump (specialmente di fronte ai guerrafondai democratici di Obama e ai mass media). Tuttavia, consegnare i poteri presidenziali a ‘Mad Dog‘ Mattis e alla sua coorte comporterà un pesante prezzo. Mentre la giunta militare può proteggere il fianco a Trump nella sua politica estera, non fa
diminuire gli attacchi alla sua agenda nazionale. Inoltre, il bilancio proposto da Trump nel compromesso con i democratici ha infuriato i leader del suo partito.

In sintesi, sotto un indebolito Presidente Trump, la militarizzazione della Casa Bianca beneficia la giunta militare e allarga il suo potere. Il programma di ‘Mad Dog‘ Mattis ha avuto risultati misti, almeno nella fase iniziale: le minacce della giunta di lanciare un attacco preventivo (forse nucleare) contro il Nord Corea hanno rafforzato l’impegno di Pyongyang a sviluppare e raffinare le sue capacità balistiche missilistiche di medio raggio e l’armamentario nucleare. Il bullismo non è riuscito a intimidire il Nord Corea.

Mattis non può imporre la dottrina Clinton-Bush-Obama del disarmo di sofisticati sistemi d’arma difensiva, come in Libia e in Iraq, come preludio a un’invasione statunitense, finalizzata a un ‘ cambio di regime’. Ogni attacco USA contro il Nord Corea porterà a serie risposte di rappresaglia con costi di decine di migliaia di vite di soldati USA e uccisione o  ferimento di milioni di civili in Sud Corea e in  Giappone.

Per lo più, ‘Mad Dog’ è riuscito a intimidire gli ufficiali cinesi e russi (e i loro compagni esportatori miliardari) affinché acconsentissero a sempre più sanzioni economiche contro il Nord Corea. Mattis e i suoi alleati all’ONU e alla Casa Bianca, il lugubre Nikki Hailey e un ridimensionato Presidente Trump, possono  ringhiare  guerra – ma non possono applicare la così detta  ‘opzione militare’, senza minacciare le forze militari USA di stanza in giro per la regione Asiatico-Pacifica. L’aggressione di Mad Dog Mattis verso l’Ambasciata russa non ha indebolito praticamente la Russia, ma ha rivelato l’inutilità della dilomazia conciliante di Mosca nei confronti dei cosiddetti ‘partners’ nel regime di Trump. Il risultato finale potrebbe portare a una rottura formale dei rapporti diplomatici, il che aumenterebbe il rischio di un confronto militare e una catastrofe nucleare globale.

La giunta militare sta facendo pressione sulla Cina contro il Nord Corea allo scopo di isolare il regime al governo a Pyongyang e aumentare l’accerchiamento militare da parte USA di Pechino. Mad Dog è riuscito parzialmente a mettere la Cina contro il Nord Corea, mentre consolidava le sue sofisticate istallazioni anti-missile THADD in Sud Corea, che saranno puntate contro Pechino. Queste sono, sul breve termine, le vittorie di Mattis sugli eccessivamente accondiscendenti burocrati
cinesi.

Comunque, se Mad Dog intensifica le minacce dirette contro la Cina, Pechino può in rappresaglia scaricare decine di miliardi di dollari del debito pubblico USA, rescindere patti commerciali, seminare il caos nell’economia USA e mettere Wall Street contro il Pentagono. La strategia di Mad Dog, specialmente in Afghanistan e nel Medio Oriente,
non intimidirà l’Iran né porterà a nuovi successi militari. Essa comporta costi elevati e scarsi benefici, come Obama ha realizzato dopo quasi un decennio di sconfitte, fiaschi e perdite di miliardi di dollari.

Conclusione

La militarizzazione della politica estera USA, l’insediamento di una giunta dentro l’Amministrazione Trump, e il ricorso alla minaccia nucleare non ha cambiato l’equilibrio globale  del potere. All’interno, la Presidenza nominale di Trump si appoggia ai militaristi, come il Generale Mattis. Mattis ha rafforzato il controllo USA sugli alleati NATO, e anche ricondotto al guinzaglio cani europei sciolti, come la Svezia, affinché partecipassero alla crociata militare contro la Russia. Mattis si è avvalso della propensione dei media per i titoli bellicosi e la sua adulazione di generali a quattro stelle.

Ma, nonostante tutto,  il Nord Corea rimane indomato, perché può praticare la rappresaglia. La Russia ha migliaia di armi nucleari e rimane un contrappeso a un pianeta dominato dagli USA. La Cina detiene il debito pubblico USA e appare imperturbabile, nonostante la presenza di una Flotta USA sempre più propensa allo scontro, che attraversa il Mare della Cina del Sud. Mad Dog cattura l’attenzione dei media, con giornalisti benvestiti, dalle mani scrupulosamente ben curate, che dipendono dalle sue truci dichiarazioni. Contrattisti di guerra lo corteggiano, come mosche su di una carogna. Il Generale a Quattro Stelle ‘Mad Dog’ Mattis ha raggiunto uno status presidentiale senza vincere nessuna elezione (truccata o meno). Senza dubbio, quando scenderà dal podio, Mattis sarà il più corteggiato consigliere d’amministrazione o consulente senior per mega-compagnie militari nella storia degli USA, ricevendo favolosi compensi per mezz’ora di ‘chiacchiere-spazzatura’ e assicurandosi ricche prebende nepotistiche per le prossime tre generazioni della sua famiglia. Mad Dog può anche candidarsi alle elezioni, come Senatore o persino Presidente per qualsiasi partito. La militarizzazione della politica estera USA fornisce alcune importanti lezioni: prima di tutto, l’escalation dalle minacce alla guerra non riesce a  disarmare avversari che possiedono la capacità di rispondere. L’intimidazione via sanzioni può riuscire a imporre significative sofferenze economiche su regimi dipendenti dall’importazione del petrolio, ma non su economie preparate alla lotta, autarchiche o altamente diversificate.

Le manovre belliche di bassa intensità e multi-laterali rafforzano le alleanze guidate dagli USA, ma esse convincono pure gli oppositori ad aumentare la loro preparazione militare. Le guerre intense di livello intermedio contro avversari non-nucleari possono portare alla presa delle capitali, come in Iraq, ma l’occupante fronteggia guerre d’attrito di lungo termine, che possono minare la morale militare, provocare problemi a casa e innalzare i deficits di bilancio. Ed esse creano milioni di rifugiati.

Lo scontro militare di alta intensità comporta elevati rischi di gravi perdite di vite, alleati, territorio e montagne di detriti atomici – una vittoria di Pirro!

Insomma: minacce e intimidazione riescono solo contro avversari concilianti. La violenza non-diplomatica verbale può elevare lo spirito del bullo e di alcuni suoi alleati, ma ha poche possibilità di convincere gli avversari a capitolare. La politica USA di militarizzazione globale estende oltremodo la presenza delle forze armate USA e non ha portato a nessuna vittoria militare permanente.

Ci sono voci tra i leader militari USA, quelli non confusi dalle proprie stelle e dai loro ammiratori idioti nei media USA, che potrebbero premere per una maggiore tolleranza globale e mutuo rispetto tra le nazioni? Il Congresso USA e i media corrottisono evidentemente incapaci di valutare i disastri passati, per non parlare dell’elaborare un’effettiva risposta alle nuove realtà globali.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

In Venezuela ci sono nuovi rapporti di forza

Chavez

di James Petras – La Haine

31ago2017.- L’Assemblea Costituente, la mobilitazione militare, la mobilitazione nazionale contro l’imperialismo interventista, hanno affondato la destra.

Efraim Chury Iribarne: Stavamo osservando che la situazione attuale in Afghanistan è abbastanza complessa e che Donald Trump in qualche modo prolunga la guerra in Afghanistan. È corretto?

Sì, è sotto il comando dei suoi generali, che hanno deciso che non è il momento di lasciare il paese, perché potrebbero subire un altro impatto negativo sull’immagine di un governo debole e fallito, in particolare nei media, che cercano qualsiasi pretesto per delegittimare il Presidente Trump.

Ma in realtà le cifre che danno per giustificare l’invasione nordamericana non corrispondono alla realtà, dicono che i talebani controllano solo il 50% del paese, ma gli esperti che hanno conoscenza sul campo dicono che è più dell’80%. Gli Stati Uniti controllano solo alcune città, soprattutto Kabul, la capitale, e molto di meno il resto. E voglio menzionare un altro fattore, tra i soldati dell’esercito afghano ci sono molti oppositori. Cioè, infiltrati talebani che, di tanto in tanto, eliminano i funzionari del governo nordamericano.

E, inoltre, anche nelle città presumibilmente controllate dagli Stati Uniti, ci sono costantemente incendi, attentati e altre azioni, che indicano che nemmeno nei centri che rimangono nelle loro mani sono sicuri. Quindi, l’idea che gli Stati Uniti con un aumento di 5.000 o 10.000 unità, possano invertire la situazione è totalmente falsa. È un atto suicida, nel senso che inviano truppe impossibilitate ad agire, nel senso di recuperare l’Afghanistan per conto degli Stati Uniti.

Credo che ci sono due possibilità alternative, o devono moltiplicare il numero di truppe, intensificare il bombardamento [che già si è dimostrato non funziona], o devono ritirarsi entro un termine dato, riconoscendo che inevitabilmente non sono in grado di invertire le tendenze verso i talebani.

EChI: Il Venezuela chiede all’ONU di prendere posizione sulle minacce statunitensi. Il capo della diplomazia venezuelana ha detto: l’ONU non può rimanere con le braccia incrociate e non condannare queste azioni, lo abbiamo fatto notare al suo segretario generale. D’altra parte, il ministro venezuelano della Difesa Vladimir Padrino López, ha detto sabato scorso che il popolo del Venezuela e delle Forze Armate Nazionali sono pronti a dare tutto per difendere la patria, “è scritto nella nostra Costituzione, siamo una Repubblica indipendente e sovrana e dobbiamo comprendere l’ampio concetto di ciò che è sovranità, la capacità di uno Stato, di una nazione e del suo governo di prendere le proprie decisioni.” Come vedi la situazione da quelle parti, Petras?

JP: L’ONU non ha molto peso, perché gli Stati Uniti hanno diritto di veto, hanno un controllo efficace sugli Europei, hanno il sostegno indiretto dei paesi neo-liberisti dell’America Latina, soprattutto la destra più dura. Quindi, l’idea è buona e il Venezuela deve presentarla, ma non si aspettano molto dalle Nazioni Unite.

Invece, hanno preso misure più positive, ad esempio, l’esercizio militare lo scorso fine settimana, con più di 700 mila soldati e miliziani. È un segno di forza, una capacità di mobilitare e proteggere il paese, che potrebbe servire da avvertimento agli Stati Uniti che un’invasione sarebbe molto costosa.

E ha anche un enorme effetto sull’opposizione interna. Dobbiamo analizzare i nuovi rapporti di forze. Trump, con la dichiarazione di intervento o di minaccia di intervento, ha neutralizzato e paralizzato l’opposizione. Perché su questo tema l’opposizione non ha alcun sostegno, tanto meno nelle piazze.

In secondo luogo, la mobilitazione militare e delle milizie serve pure a ridimensionare la presenza dell’opposizione. In altre parole, l’Assemblea Costituente, la mobilitazione militare, la mobilitazione nazionale contro l’imperialismo interventista, hanno al momento modificato i rapporti di forza. Non si sente molto da parte degli avversari, né dalle roccaforti di Caracas né da nessun altro posto. La destra insorgente è paralizzata, non ha voce o presenza in questo ultimo confronto.

E pure Almagro e l’OSA. Sono rimasti emarginati dal contesto, perché nemmeno Almagro osa sollevare la testa di fronte all’interventismo sfacciato degli Stati Uniti. Quindi, possiamo dire, che, almeno questa settimana, questo mese, c’è stato un cambiamento nei rapporti di forza favorevole al Venezuela, dovuto alla sua esibizione di forza, all’appoggio popolare e alle cattive politiche di Trump, tutti fattori che hanno avuto un impatto molto positivo per il presidente Maduro.

EChI: Petras, l’altro argomento che ci interessava è l’attacco permanente di Israele alla Palestina. Come va letto da una differente angolatura?

JP: In primo luogo, potremmo dire che la visita dell’’ultra’-sionista consigliere del presidente Trump, Jared Kushner, un ebreo israeliano ortodosso fanatico, va nella direzione del sostegno a Netanyahu nell’occupare più terre palestinesi. Questo è il primo fatto che dobbiamo capire. In secondo luogo, Israele sta ampliando la demolizione di case palestinesi in ogni quartiere di quello che resta della Palestina.

In terzo luogo, dobbiamo notare che Israele si basa fortemente sull’Arabia Saudita e sulla collaborazione delle destre nel Medio Oriente. E questo indica che, in questa situazione, dove la Siria e l’Iran stanno guadagnando peso in Iraq e altrove, Israele ha perso influenza tra i governanti e i terroristi coinvolti nei paesi colpiti.

Infine, dobbiamo riconoscere che la politica nordamericana è ancora totalmente controllata dai sionisti. Se analizziamo il regime di Trump, ci sono lo stesso numero o più sionisti nei primi posti dell’economia e della politica estera, che nel regime di Obama. Gli Stati Uniti sono ostaggio dei sionisti all’estero, che funzionano come una quinta colonna.

E questo non ha avuto nessuna risonanza in altri paesi. Ad esempio, esaminiamo i quotidiani considerati progressisti in Argentina, “Pagina 12”, “La Jornada” in Messico e forse anche in “Brecha”, non esiste una discussione approfondita sul peso israeliano nei governi nordamericani e su come formulano la politica nordamericana. Parlano di interessi petroliferi, parlano di interessi militari, ma, in realtà, riguardo al Medio Oriente, non esiste nessuna osservazione che possa negare che Israele è la principale forza della politica interna ed estera degli Stati Uniti.

Dobbiamo, infine, ricordare che Israele ha un’opposizione interna. Abbiamo visto come il gruppo pro-boicottaggio e anti-insediamenti in Palestina ha guadagnato molto consenso. Ci sono anche settori importanti di studenti ebrei che hanno respinto la politica israeliana. E nonostante il fatto che abbia ancora forze preponderanti nel Congresso, nella Presidenza, l’opposizione cresce anche tra la popolazione nordamericana.

EChI: Beh, Petras, come sempre ci aspettiamo di discutere qualche altro tema su cui al momento sta lavorando.

Potremmo cominciare con il caso della scomparsa di Santiago Maldonado, che sosteneva la lotta dei Mapuche in Argentina. La sua sparizione, la cui responsabilità è dei gendarmi sta provocando una grande mobilitazione di protesta. Non solo in Argentina. Oggi, ad esempio, nella BBC hanno dato un servizio sulla sua scomparsa e una messa in discussione delle versioni ufficiali. Più di ogni altra cosa, il mondo teme che l’atto di sequestro da parte di Macri sia un passo verso la licenza di uccidere che esisteva durante la dittatura. In altre parole, le dichiarazioni del ministro della “insicurezza” Patricia Bullrich, non hanno peso. Né all’estero né all’interno. Negli Stati Uniti, tra gli specialisti dell’America Latina, c’è molta preoccupazione e hanno convocato molte persone conosciute in America Latina, respingendo la versione ufficiale.

Ritengo che il caso Maldonado potrebbe comportare un grande colpo politico contro Macri alle prossime elezioni. Vorrei estendere il mio sostegno a tutto il movimento per la ricomparsa con vita di Maldonado.

Il secondo punto che voglio menzionare sono le inondazioni in Texas, in particolare nella grande città di Houston. Tutti parlano di pioggia, uragano, inondazioni, distruzione di centinaia di miliardi di dollari, ma nessuno parla del perché le inondazioni si ripetono. È perché non c’è investimento nelle infrastrutture. Quando la pioggia cade, riempie le strade perché i sistemi di drenaggio non funzionano. È curioso, una città con grandi raffinerie di petrolio, ha tunnel per canalizzare il petrolio dappertutto, ma non ha abbastanza infrastrutture per preservare la città dalle inondazioni.

Ancora una volta, sorge il problema delle catastrofi interne, ciò che i media di qui chiamano catastrofe. Il capitalismo non mette in campo investimenti e infrastrutture per salvare le proprie fonti di ricchezza. Da quelle parti, stanno perdendo 500.000 barili all’ora a causa della paralisi delle raffinerie. Vorrei sottolinearlo di nuovo, gli Stati Uniti sono un gigante con i piedi di argilla.

Infine, vorrei menzionare un altro fatto che dobbiamo prendere in considerazione, gli Stati Uniti stanno militarizzando la polizia, la stanno dotando di armi da parte dell’Esercito, le chiamano eccedenze e nuove armi, carri armati, macchine blindate, mitragliatrici, le stanno trasferendo alla polizia locale e statale.

Originariamente, la giustificazione era la lotta contro i cartelli di droga. Poi la scusa è diventata l’anti-terrorismo. Ed ora, è la polizia che è investita dei problemi delle comunità impoverite. Cioè, la militarizzazione delle città, indipendentemente da qualsiasi problema di droga e terrorismo.

Estratto da La Haine

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

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