di Atilio Borón
07ott2018.- In una maleodorante taverna dei bassifondi della Monaco del primo post-guerra un ufficiale smobilitato dell’esercito imperiale austriaco – fallito come pittore e ritrattista – cercava di guadagnarsi la vita, scommettendo con gli ubriachi del locale che non sarebbero stati capaci di colpirlo con i loro sputi da una distanza di tre metri. Se li schivava, vinceva; in caso contrario, doveva pagare. Tra l’uno e l’altro tentativo, dava voce a tremendi insulti antisemiti, malediceva bolscevichi e spartachisti e si impegnava a eliminare dalla faccia della terra zingari, omosessuali ed ebrei. Il tutto in mezzo alle grida dei clienti incontrollati riuniti lì, imbottiti di alcol e che ripetevano con scherno i suoi slogan, mentre gli lanciavano i resti della birra dai boccali e gli tiravano monete tra insulti e risate a crepapelle. Anni dopo, Adolf Hitler, perché di lui stiamo parlando, si convertirà, con queste stesse arringhe, nel leader “del popolo più colto dell’Europa”, secondo quanto più di una volta dichiarato da Friedrich Engels. Colui che in quei momenti – gli anni 1920, ’21, ’23 – era oggetto del crudele sarcasmo tra i fedeli frequentatori della taverna resusciterà come una specie di semidio per le grandi masse del suo paese e l’incarnazione stessa dello spirito nazionale tedesco.
Fatte le debite distanze, qualcosa di simile sta accadendo con Jair Bolsonaro, che conduce comodamente i sondaggi del primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile. Le sue esternazioni reazionarie, sessiste, omofobe, fasciste e la sua difesa della tenebrosa dittatura militare brasiliana del 1964 e della tortura hanno causato una diffusa repulsione nella società. Nel migliore dei casi, veniva considerato solo come un buffone, uno zimbello nostalgico del tempo del regime, che si è abbattuto sul Brasile tra il 1964 e il 1985. Di conseguenza, per due anni il suo consenso elettorale non ha mai superato il 15 o 18 per cento.
I sondaggi delle ultime due settimane, tuttavia, mostrano una crescita spettacolare della sua candidatura. Il più recente gli attribuisce un 39% nell’intenzione di voto. Sappiamo che oggi i sondaggi dell’opinione pubblica hanno enormi margini di errore; possono anche essere operazioni mediatiche della borghesia brasiliana, pronta a installare a Brasilia chiunque impedisca il “ritorno del populismo petista” al potere. Ma sappiamo anche, come affermato da un recente articolo di Marcelo Zero che, in Brasile, la CIA e i suoi alleati locali hanno scatenato una travolgente valanga di “notizie false” e diffamatorie riguardo i candidati dell’alleanza PT, che hanno trovato terreno fertile nelle favelas e nei quartieri popolari delle grandi città di quel paese (“Tem dedo da CIA nas eleições do Brasil”, su www.brasil247.com).
Questi settori sono stati portati fuori dalla povertà estrema e resi protagonisti dalla gestione di Lula e Dilma. Ma non sono stati politicamente istruiti e la loro organizzazione territoriale o di classe non è stata favorita. Sono rimasti come masse disponibili, come avrebbero detto i sociologi degli anni ’60.
Coloro che li stanno organizzando e sensibilizzando sono le chiese evangeliche, che hanno come alleato Bolsonaro, il quale promuove un duro discorso conservatore, ipercritico verso il “disordine” causato dalla sinistra in Brasile, con le sue politiche di inclusione sociale e di genere, di rispetto della diversità e dei LGBT e di “mano morbida” contro la criminalità – la sua ossessione per i diritti umani “solo per i criminali.”
Uno dei loro metodi per conquistare le favelas alla causa della destra radicale sta nell’inviare presunti sondaggisti a chiedere se vorrebbero che il loro figlio José cambiasse nome e si chiamasse María, per esacerbare l’omofobia. La risposta è unanimemente negativa e indignata. La predicazione dell’ex-capitano si sintonizza naturalmente con quel conservatorismo popolare abilmente stimolato dalla reazione. In questo clima ideologico, le sue assurdità oltraggiose e violente, come quelle di Hitler, sedimentano come un ragionevole buon senso popolare e potrebbero catapultare un mostro come Bolsonaro al Palazzo del Planalto.
Bisogna ricordare, come dato ulteriore, che Bolsonaro ha promesso a Donald Trump di autorizzare l’installazione di una base militare americana ad Alcántara, sul promontorio strategico del Nordest brasiliano, che è il punto più vicino tra le Americhe e l’Africa, qualcosa che i governi PT hanno rifiutato. Se dovesse avere successo, sarebbe l’inizio di un incubo orribile, non solo per il Brasile ma per tutta l’America Latina.
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]