Estratti del discorso pronunciato dall’ambasciatore Julián Isaías Rodríguez Díaz durante la celebrazione del giorno della “Resistencia Indígena”, Parigi, Ottobre, 2012
Per gli usurpatori della memoria gli ignoranti non fanno la storia, «la ricevono già fatta». Per loro, la dignità non è nulla di più che una catena di atti insensati e di mala fede. Colombo credette di essere arrivato in Oriente passando dalla porta di dietro, credette di essere arrivato in India. Colombo credette che Haiti fosse il Giappone e che Cuba fosse la Cina e nonostante questo si dice che «siamo stati scoperti»; che «l’America fosse stata scoperta». Sembrava che volessero condannarci ad una identità distinta dalla nostra; negarci il diritto di essere noi stessi; mutilare la nostra propria identità.
Fortunatamente Eduardo Galeano, che ci racconta questi eventi, si è trovato davanti questo manifesto assurdo ed incosciente della «storia ufficiale» affermando che ciò che davvero è accaduto è «un’altra scoperta»: l’America ha scoperto il capitalismo.
[…] Citando nuovamente Galeano non ci sono dubbi che hanno preteso e pretendono di cancellarci l’anima. Praticare «l’altricidio»; assimilarci o liquidarci. Con la sua sottile ironia Galeano scrive: «definirono selvaggi i nostri indios e su questo non si sono sbagliati; sono stati così sciocchi da non chiedere il visto, né una lettera di invito, né la quantità di euro al giorno, né il certificato di buona condotta, nemmeno il permesso di lavoro, né a Colombo, né a Cabral, né a Cortés, né a Pizarro; nemmeno ai pellegrini del May flower».
[…] Permettetemi di incominciare con i nomi d’America. Avete mai sentito parlare di Ibero America? Non vi pare che questo nome ha molto di spoliazione coloniale? Non c’è in questo nome un razzismo feroce? E America latina? Non stiamo cadendo di nuovo in una forma eurocentrica di designare il nostro continente? Non si lascia con questo paio di parole una porzione importante, importantissima, fuori dal nostro continente, una buona porzione della nostra popolazione? Dei nostri tambores, delle nostre cerimonie e dei nostri riti africani? Non stiam oforse espellendo dalla nostra identità i Chiluba, i Nkrumah, i Kenyatta, i Nyerere e i Mandela? Non stiamo forse cancellando un pezzo, un frammento, una parte della nostra tanto importante identità africana?
L’indipendenza della nostra America aborigena è ancora incompleta. Non si è ancora definitivamente raggiunta. Su di lei si è scritto molto, sotto diversi aspetti e con differenti interpretazioni. La vera storia di tale indipendenza è stata distorta da parte di coloro che ci hanno colonizzato e da parte di coloro che ancora pretendono di colonizzarci. Devo affermare, in primo luogo, che la visione dei nostri popoli origiari in nulla si identifica con la lettura della «storia ufficiale» e, in secondo luogo devo dire che a questa vecchia storia, raccontata e scritta da colonizzatori, mancano i capitoli che oggi stanno scrivendo i popoli americani e i nuovi processi sociali del nostro continente.
La nostra prima dimostrazione di indipendenza del Venezuela, è stata il 19 aprile 1810. La nostra prima dimostrazione di indipendenza è stata quella di tutti gli americani, la bella, coerente, immutabile, forte e tenace «resistenza indigena», la resistenza dei nostri aborigeni e schiavi all’idea di progresso, portata in Europa durante e dopo la conquista. Questa idea di «progresso» ha distrutto, non solo gli esseri umani, ma la terra e l’acqua, i climi e le foreste, le montagne, i fiumi e i venti. La barbarie contro i nostri aborigeni ha prodotto uno dei più grandi olocausti dell’era moderna.
Alcuni definiscono il contatto della Spagna con noi come «un incontro di due culture». Che incontro di due culture! Può essere chiamato «meeting» un’invasione coloniale? Quelle di ieri, di oggi e di sempre? Questo «gioco» non è semplicemente il più grande genocidio commesso dall’Europa. La distruzione di antiche civiltà, che avevano scoperto il numero zero, mille anni prima che i matematici europei, che avevano calcolato l’età dell’universo, almeno 1500 anni prima che gli astronomi di questo tempo in cui viviamo, che conoscevano il buon senso e un senso di comunità, senza scopo di lucro, di proprietà o di proprietà privata. Questo è uno dei saccheggi più atroci e spietati della storia dell’umanità. Questa civiltà disfatta, demolita, lacerata, aveva scoperto che l’uomo è il tempo e che «per essere santi», il tempo non ha prezzo e non si può compare né vendere.
Nella «storia ufficiale» questa nobile resistenza indigena è stata cancellata, distrutta, rimossa quasi completamente. La conquista e la colonizzazione erano, per l’Europa, presumibilmente pacifiche dove i diritti umani sono rispettati e dove ci ripetono continuamente che la colonizzazione è stata «accettata pacificamente» affinché con i loro crimini «ci suicidassimo tranquillamente, con calma e in pace».
È fondamentale far notare la «resistenza indigena», perché è di innegabile, inconfutabile e indiscutibile utilità, capire con la conoscenza, la consapevolezza e la saggezza dei processi sociali in atto in Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Brasile, Argentina, Cuba e Venezuela esistenti, solo facendo riferimento ad alcuni paesi. Questi processi significano semplicemente continuare la «resistenza indigena» con altri mezzi e in altri momenti. Un profeta Maya che ha parlato con gli dei, gli dissero così: «si libereranno le mani, i piedi e la faccia del mondo, ma quando si libererà la bocca non ci sarà un solo orecchio che non ascolterà».
Le rivoluzioni americane hanno oggi come proposito riscattare questa parte della storia censurata. In questo senso, l’idea è di andare oltre l’«indipendenza politica» che è stata ottenuta contro la Spagna nel corso del XVII secolo. Ascoltateci, vi racconteremo la vera storia.
L’Europa ha gareggiato per trovare i percorsi più diretti per raggiungere l’Asia. Ha trovato prima l’Africa e poi l’America. Per l’Europa, l’America era un continente sconosciuto, un pianeta sconosciuto che era al di là dove il mondo finisce. In quel pianeta ha trovato oro, argento, stagno e tutti i tipi di minerali. I nostri aborigeni avevano reso fertili i deserti e le catene montuose. Ma gli stranieri sono venuti e hanno deciso di coltivare la terra con un sistema che l’ha violentata e ha spremuto gli uomini. Hanno cercato lo sfruttamento della manodopera a basso costo, il lavoro degli schiavi, ancora oggi, con la tecnologia moderna ed enormi latifondi sacrifica la natura e le persone.
Inizialmente, a quel tempo sono stati utilizzati per fare ciò i nativi americani, ma sono riusciti a fuggire. Non tutti sono riusciti a fuggire a tempo e molti di loro sono stati decimati dalle malattie portate dall’Europa. Hanno fallito con gli aborigeni e ricorsero agli europei delle classi più basse del continente, operai e contadini con i quali stipularono accordi di servitù. Questi «schiavi bianchi» anch’essi fuggiti si ribellarono contro i conquistatori. Alla fine utilizzarono gli africani. Come si vede, non erano stati gli africani i primi schiavi. La storia ufficiale mente ad affermarlo o non lo racconta obiettivamente. In effetti, non vi è alcuna reale correlazione tra «schiavitù» e l’Africa, la «negritudine» e la sottomissione. Il termine schiavo deriva da «slavo», quelle prime popolazioni bianche durante il sesto e il settimo secolo furono sottomesse e ridotte a sudditanza dagli europei stessi.
La cosiddetta «scoperta delle Indie Occidentali» non fu altro che la salvezza di quei rimanenti resti del feudalesimo in Europa. La cosa migliore da fare per cercare di evitare la scomparsa del feudalesimo europeo come modo di produzione. L’America poi è servita a questa missione, o meglio a questa duplice missione. Ha servito l’idea di «progresso mercantile pre-capitalista», mentre, con le spade e le croci, è stata utilizzata per salvaguardare i rapporti di servitù affinché non scomparissero completamente nella storia d’Europa.
Questo non lo racconta la storia ufficiale. Nel frattempo, cosa stava accadendo nell’America aborigena? Tre grandi civiltà avevano costruito un mosaico di nazioni avanzate con un’altra idea di «progresso» e «civiltà». Alcune delle città erano più grandi e più spettacolari di quelle europee. Gli Aztechi, Maya e Incas, il loro modo di vivere e la forte organizzazione civica, mostrano all’Europa invasora i notevoli progressi nel campo della giustizia sociale, della giustizia politica e della eguaglianza economica. Il denominatore comune di queste tre civiltà era una società equa dove si poteva distinguere il «vivere bene», questo è ora conosciuto come comfort. La purezza delle loro tradizioni e della vita, radicalmente comunitarie non gli permetteva di competere individualisticamente. Per loro «vivere bene» significava agire come una comunità e quindi vivere con ciò che si crede, vivere con quello che si sente e vivere in armonia con la natura e in reciprocità con essa.
Questa filosofia si oppone all’«American way of life» della società capitalistica, uno sviluppo che disprezza la vita e adora gli oggetti. Secondo la logica che definiscono «vivere meglio». Sai cosa vuol dire vivere meglio? È una concezione lineare del «progresso capitalista» che intercorre tra la produzione e l’accumulo di ricchezza illimitata, costringendoci per tutto il tempo a competere, per avere di più, per gareggiare gli uni con gli altri, per cercare di essere migliori del nostro vicino e sottoporci ad un costante stato di dover passare l’eternità sopra gli altri esseri umani, senza nessun tipo di etica come se le persone valessero meno delle cose. In tale sistema sono perdonati il crimine e la tortura, ma non i reati contro il patrimonio.
[…] Il continente «scoperto» è stato considerato «terra di nessuno», il che significava che l’indigeno non aveva diritto alla terra, alla sovranità e all’autodeterminazione. Le fondamenta di questo approccio si trovano nei sistemi di valori sviluppati durante il Medio Evo, per quanto riguarda razza e religione. […] Finito il bottino, i re europei sono diventati gli unici ad avere diritti sulla terra. Ma non solo sulla terra, ma soprattutto ciò che esiste su questa terra, gli animali, le foreste, città, cultura, arte, bellezza, natura e, naturalmente, gli esseri umani. La proprietà della terra è diventata una grazia, alla mercé del re e non un diritto della comunità.
[…] Repressi e quasi estinti, gli aborigeni si rifugiarono nelle loro comunità e, in silenzio, elaborarono «la loro straordinaria cultura della resistenza». E lì, dove appaiono tra gli altri dispositivi ingegnosi, il sincretismo e la cultura mariana, intese entrambi a nascondere artificiosamente nelle chiese il «diritto alla resistenza e alla ribellione». Questa cultura della «resistenza», è stata alla base del fatto che in molte occasioni l’americano creolo, bianco o meticcio, non si sentisse del tutto europea e desiderasse quindi sbarazzarsi di loro. […] Inoltre, i nostri liberatori, la stragrande maggioranza sono stati formati in Europa, si sono abbeverati dell’Illuminismo francese e non del Popol Vuh.
Dalla matrice ideologica di quest’ordine non completamente americano nascono le limitazioni della nostra debole emancipazione politica. Noi ci siamo liberati, come ha detto Miranda, politicamente, ma non mentalmente. Siamo diventati indipendenti dalle città europee, ma rimaniamo fedeli al pensiero eurocentrico e dagli imperi.
Se guardiamo ai nostri processi di indipendenza troviamo questi fatti:
a) Lo Stato nazionale conquistato è stato essenzialmente europeo e non finito.
b) Il modello fiscale dominatore ha rappresentato più le oligarchie che le classi popolari.
c) non si è risolto, con l’indipendenza la contraddizione tra l’idea americana di «progresso» e l’idea di progresso eurocentrico.
d) è rimasta intatta la cultura della resistenza, ciò che noi chiamiamo in questo documento «Resistenza Indigena».
e) l’emancipazione ha soddisfatto poche richieste popolari e ha favorito i privilegi della elite creola.
f) sono rimaste immutate le pratiche «nazionaliste» che hanno fatto tanto danno all’integrazione americana.
g) La concezione razzista europea non è affatto scomparsa e non è stata per nulla presa in considerazione il meticciato e il multiculturalismo.
[…] Cosa sarebbe accaduto, se l’indipendenza avesse seguito una sua logica culturale, naturale, nuestro-americana, e non quella ereditata dall’Europa o dal vitello d’oro degli americani? Aggiornando il nostro processo di pensiero potremmo chiederci che cosa sarebbe accaduto se avessimo permesso lo sviluppo del nostro modello di società con i suoi errori e successi? Con la sua originalità? Con il nostro “inventiamo o sbagliamo” di Simón Rodríguez? Nessun golpe in Cile, in Honduras e in Paraguay! Solo per citare i più recenti. Senza campagne mediatiche destabilizzanti. Nessuna guerra di quarta generazione. Senza ingerenze filo-imperialiste o imperialiste. Cosa accadrebbe se…? Cosa ne pensate, amici amici, cosa accadrebbe? Cosa pensate che accadrebbe? Che cosa potrebbe accadere se ci lasciassero sfogare la resistenza indigena dei nostri aborigeni? Che è lì da 500 anni? Con la sua storia di vita! Affrontando le oligarchie, la sottomissione, il razzismo e l’imperialismo! Non pensate che potrebbe emergere con mezzo secolo di ritardo l’autentico nuestro-americano? Forse che non ci lasceranno costruire la nostra propria società comunitaria? Il nostro socialismo? Siamo condannati a un capitalismo che, anche in crisi, ha neoliberismo in abbondanza per riportarci al periodo coloniale?
Ma questa è un’altra storia. […] Siamo disposti, con il consenso dell’imperialismo o meno a costruire il nostro progetto di solidarietà sociale, complementarietà, giustizia, eguaglianza, senza esclusione, in pace, con la libertà, la sovranità e perfino con le elezioni. Non chiederemo il permesso questa volta. Noi costruiremo… e su questa strada stiamo andando…!
Per continuare questi passi faremo dei nostri Stati la patria di tutte le nostre culture. Daremo spazio alla multiculturalità per creare una nuova cultura. La storia ufficiale, questa storia tradizionale americana, è passata sulla testa degli antecedenti “non bianchi” dei nostri slanci rivoluzionari e del suo significato culturale profondo e trascendente. Basta!
L’Indipendenza, a cui hanno aspirato i nostri aborigeni, non consiste nella mera espulsione del conquistatore. Volevano, e ancora vogliono, la propria “resistenza”, con o senza sincretismo. Vogliono i loro santi neri: Shango, Santa Barbara, Oschún e tutta la legione di nuovi dèi di cui parla Eduardo Galeano. Vogliono capire, non solo i conflitti di oggi, ma anche quelli che a causa dell’arrivo degli europei sono stati aggravati dal capitalismo, dal fascismo, dalla globalizzazione, dal mondialismo, dal neoliberismo e dall’imperialismo, con le loro teorie incomprensibili attraverso le quali il colonialismo si ricostruisce, si mimetizza ed impunemente si riproduce. […]
[Si ringrazia Maylyn Lopez per la segnalazione; Trad. dal castigliano di Ciro Brescia]
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