di Vincenzo Paglione
Questo 6 settembre si sono celebrati in Venezuela i 200 anni della Lettera in risposta ad un gentiluomo di Jamaica da parte di un americano meridionale, più conosciuta da tutti i venezuelani e i latinoamericani come Carta de Jamaica. Questa lunga lettera, che in realtà è un vero e proprio saggio politico, la scrisse un giovane Simón Bolívar spinto dalla necessità di controbattere la propaganda avversaria alla rivoluzione antispagnola che egli voleva innescare. Bolívar non era un profeta, ma un uomo che aveva compreso il momento storico mondiale e del movimento dei popoli nel passaggio da un’epoca a un’altra. Circa duecento anni più tardi un altro uomo, Hugo Chávez, comprese il momento storico che stava vivendo il popolo venezuelano e latinoamericano.
Di seguito si propone la traduzione di un breve commento alla Carta de Jamaica che il Comandante scrisse nell’introduzione del libro, Hugo Chávez presenta Simón Bolívar. La revolución Bolivariana, Madrid, Akal, 2011, pp. 9-10.
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Il più importante di tutti [gli scritti] di Simón Bolívar è la cosiddetta Carta de Jamaica. Se il Libertador è nato nel 1805 [giuramento sul Monte Sacro], possiamo affermare che il progetto bolivariano d’integrazione è cominciato in Giamaica nel 1815. Fu in quel luogo dove la visione geopolitica unitaria di Bolívar emerse e il suo progetto – continentale, antimperialista, repubblicano, ugualitario e libertario, per il quale lotto negli anni a venire – acquisì tutta la sua forza. La lungimiranza della sua analisi è impressionante, soprattutto se pensiamo che egli aveva trentadue anni. Bolívar esegue una diagnosi di quasi tutti i paesi dell’America, dal Messico fino a Buenos Aires. «Diamo un’occhiata e osserveremo una lotta simultanea nell’immensa estensione di questo emisfero», scrive. «Tutto il Nuovo Mondo non è commosso e armato per la sua difesa?» In seguito volge lo sguardo al passato; confronta la situazione dell’America con quella degli altri popoli e osserva la passività in cui si trova sommerso il continente prigioniero da molto tempo dal dominio spagnolo. Ciò lo esaspera oltremodo: «È uno scandalo e una violazione dei diritti umani pretendere che un popolo tanto beneficiato dalla natura, tanto esteso, ricco e popolato, perduri nella passività».
Inoltre in questo testo Bolívar si dichiara antimonarchico:
Non approvo l’istituzione di monarchie americane. Queste sono le mie ragioni. L’interesse di una repubblica ben concepita si circoscrive nella sfera della sua conservazione, prosperità e gloria. Poiché la libertà rifugge dall’impero, appunto perché è l’opposto, nessuno stimolo spinge i repubblicani a estendere i confini della loro nazione, a scapito dei propri mezzi […]
E arriva persino a dichiarare:
Perché uno Stato troppo esteso di per se stesso per i territori dipendenti alla fine decade e trasforma la sua libertà in tirannia; indebolisce i principi che devono conservarla e ricorre infine al dispotismo. Il segno distintivo delle piccole repubbliche è la stabilità nel tempo; quello delle grandi è vario, ma sempre incline all’impero.
Possiamo osservare che Bolívar era un antimperialista, il primo nella storia delle Americhe.
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]