“Lettere dalle case chiuse”: Lina Merlin e la legge del 1958

“A 60 anni dalla Legge Merlin” Galleri@rt spazi 28/31 Galleria Principe di Napoli

di Romina Capone

La legge, il periodo storico e Lina Merlin

Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui.

20 febbraio 1958: chiusura delle case di prostituzione

Legge nr. 75 – Art.1 “È vietato l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorità italiane”.

Nota come Legge Merlin, dal nome della senatrice, promotrice firmataria, Lina Merlin, abolì la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di tolleranza e introducendo i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione.

La legge italiana in vigore fino ad allora prevedeva che venissero eseguiti controlli sanitari periodici sulle prostitute, in realtà i controlli erano sporadici e soggetti a pressioni di ogni genere da parte dei tenutari, specialmente al fine di impedire di vedersi ritirata la licenza per la gestione dell’attività.

Questo provvedimento legislativo fu il principale dell’attività politica della parlamentare socialista. Una prima versione del suo disegno di legge in materia di abolizione delle case chiuse in Italia, Lina Merlin l’aveva presentata nell’agosto del 1948 su sollecitazione di un gruppo di donne dell’Alleanza femminile internazionale in visita al Parlamento italiano e su suggerimento di Umberto Terracini, che aveva fatto la tesi di laurea sulla prostituzione. Il progetto divenne legge, dopo un lunghissimo iter parlamentare, il 20 febbraio 1958 veniva abolita la regolamentazione statale della prostituzione e si disponevano sanzioni nei confronti dello sfruttamento e del favoreggiamento della prostituzione.
Il suo primo atto parlamentare era stato quello di depositare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l’uso statale di riscuotere la tassa di esercizio.

Il Partito Socialista Italiano di allora intendeva abolire le case di tolleranza gestite dallo Stato.
La proposta di legge presentata dalla Merlin fu l’unica al riguardo. La Merlin ribadì nel dibattito parlamentare come l’articolo 3 della Costituzione italiana sancisse l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e l’articolo 32 annoverasse la salute come fondamentale diritto dell’individuo; veniva citato inoltre il secondo comma dell’articolo 41 che stabilisce come un’attività economica non possa essere svolta in modo da arrecare danno alla dignità umana.

La legge stabiliva, nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore della stessa, la chiusura delle case di tolleranza, l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e l’introduzione di una serie di reati intesi a contrastare lo sfruttamento della prostituzione altrui.

La legge, proibendo l’attività delle “case da prostituzione” puniva sia lo sfruttamento sia il favoreggiamento della prostituzione, in particolar modo “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.


La norma prescriveva anche la costituzione di un Corpo di polizia femminile, che da allora in poi si sarebbe occupata della prevenzione e della repressione dei reati contro il buon costume (sanzionati anche dalla stessa legge Merlin come “libertinaggio”) e della lotta alla delinquenza minorile.


Alla mezzanotte del 19 settembre del 1958, come primo effetto della norma, vennero chiusi oltre 560 postriboli su tutto il territorio nazionale. Molti di questi luoghi furono riconvertiti in enti di patronato per l’accoglienza e il ricovero delle ex-prostitute. Molti hanno presentato nel corso degli anni proposte di legge per l’abolizione o l’attenuazione della legge Merlin, ad esempio i Radicali Italiani, la Lega Nord, La Destra e il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute guidato da Pia Covre e Carla Corso.


Lettere dalle case chiuse: il libro

Reprint edito dalla Fondazione Anna Kuliscioff.
Copertina Albe Steiner-Edizioni Avanti, 1955.
Libro edito da Edizioni Avanti, Collana Del Gallo, 1955.
“Rileggendo le molte lettere, la maggior parte non anonime, che ricevette Lina Merlin “dalle case chiuse” si spalanca una porta sulla realtà di miseria e di desolazione morale dell’Italia del dopoguerra che coinvolgeva alcune migliaia di donne e i loro figli in una sorta di ghetto sociale da cui era assai arduo uscire. Le lettere di consenso che riceve Lina Merlin offrono, in un lessico semplice e con drammatica chiarezza, argomenti assai convincenti.

In questi scritti affiora non solo la volontà di non essere più oggetto di sfruttamento nei postriboli controllati dallo Stato, ma soprattutto la speranza di ritrovare una vita normale mettendosi alle spalle tutte le ignobili vessazioni burocratiche e le regole discriminatorie che impedivano l’esercizio dei più elementari diritti civili come il lavoro o il matrimonio con pubblici dipendenti. Ma le curatrici del libro hanno pubblicato anche lettere contrarie alla soppressione delle “case chiuse”. A parte quelle offensive o inutilmente polemiche contro la “moralista” Merlin, ve ne sono alcune che pongono questioni tutt’oggi aperte. Alcune donne rivendicano il diritto di svolgere la loro attività come una professione, altre esprimono forte preoccupazione sulle conseguenze dell’approvazione della legge in discussione e non credono che le cose possano cambiare, anzi temono un peggioramento delle loro condizioni.

Queste ultime lettere oggi devono far riflettere.

La senatrice socialista, che fin da giovane fu a fianco di Giacomo Matteotti nella lotta antifascista, subì il confino, partecipò alla Resistenza e fu eletta all’Assemblea Costituente formulando l’articolo della Costituzione che garantì la parità tra uomo e donna.


Con la sua proposta di legge, non si illudeva di abolire la prostituzione, ma voleva abolirne lo sfruttamento, a maggior ragione da parte dello Stato.


Dal 1958 tutti i governi, di qualunque colore fossero, i parlamenti e le forze politiche, hanno sempre assunto la linea della tacita tolleranza dello sfruttamento della prostituzione.


A quasi sessant’anni dall’entrata in vigore della legge, si può affermare che l’eredità del lavoro di Lina Merlin sia stata tradita. Le barriere burocratiche che imprigionavano le abitanti delle “case chiuse” sono state abbattute ma la lotta allo sfruttamento della prostituzione oggettivamente segna il passo. Naturalmente non stiamo parlando di chi sceglie liberamente di prostituirsi.


Il fenomeno del lenocinio organizzato ha cambiato aspetto, ma la realtà è spesso di gran lunga peggiore del passato. Qualche sindaco ha pensato di porre rimedio attraverso sanzioni a carico dei “clienti”. Da sola questa misura toglierebbe le persone dalla strada ma non eliminerebbe lo sfruttamento. Al di là degli aspetti culturali e ambientali serve qualcosa che produca un impatto concreto nel perseguire tutti coloro che traggono illeciti benefici dal mercato del sesso. Ma questa è una decisione politica che richiederebbe l’impiego di risorse ed energie da parte delle istituzioni, se questo obiettivo è considerato una vera priorità. Sarebbe significativo che, a partire dalle associazioni impegnate sul fronte femminile che rivendicano la centralità della questione femminile o di “genere”, si avviasse un confronto per giungere a proposte concrete. Significherebbe raccogliere il testimone di Lina Merlin per dare continuità al suo impegno politico e civile.” scrive Walter Galbusera, presidente Fondazione Anna Kuliscioff.

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