Gli Stati Uniti: la polarizzazione e la polveriera

US flagdi James Petras

27lug2016.- La polarizzazione ha trovato un modo di esprimersi nelle manifestazioni di massa di piazza, nel voto di rifiuto e negli attacchi violenti

 

Introduzione

L’ordine costituzionale degli Stati Uniti – come si configura oggi – sulla base di forti contrasti, deve confrontarsi con una profonda crisi di legittimità. Gli Stati Uniti d’America sono divisi tra: 1) Uno Stato poliziesco-giudiziario-presidenziale, profondamente concentrato sulla lotta contro la società civile organizzata in comunità di Afro-americani, Ispanici e di lavoratori precarizzati; 2) una polizia federale, una giustizia, un dipartimento di Stato e un ufficio di presidenza, tutti corrotti, che si contrappongono a un sistema costituzionale e legale sostenuto da una vasta maggioranza di cittadini e: 3) un sistema di elezioni presidenziali manipolato contro il consenso e l’approvazione della maggioranza degli elettori.

La divisione della società americana è molto più grande di quello che indicano le “opinioni” raccolte nei sondaggi nelle e misurazioni.

La polarizzazione ha trovato un modo di esprimersi in manifestazioni di massa di piazza, nei voti di rifiuto e negli attacchi violenti. Tutti segnali che vanno in direzione di una rivolta di portata nazionale? I funzionari pubblici descrivono la situazione come “una polveriera sul punto di esplodere.”

 

Il bazar delle facce storte

La classe dirigente fa finta di controllare la polarizzazione. Il presidente Obama si impiglia in una sterile retorica, che non impressiona nessuno.

La corruzione, l’inganno e il tradimento nei luoghi alti sono così dilaganti, che la complicità condivisa è diventata un segno di appartenenza. I cittadini più attivi negano la legittimità di tutti i politici e li rifiutano, considerando che sono “tutti corrotti”.

Il sistema elettorale è un gigante bazar di sorrisi distorti, scandalose idiozie e promesse non mantenute e svuotate prima ancora di essere formulate.

Se i tribunali, il processo elettorale e lo stato di polizia agiscono come un triunvirato, cui non può accedere la stragrande maggioranza della cittadinanza americana, la gente fa ricorso ad altre procedure e ad altre voci per sfidare la tirannia delle élites e cambiare la situazione.

                                                                          

La polveriera è all’interno degli Stati Uniti d’America

Il pubblico americano ha subíto due decenni di calo del tenore di vita e di instabilità, mentre l’élite ha accumulato un´immensa concentrazione di ricchezza, privilegi e potere. L’attesa passiva e la pazienza si stanno esaurendo; le promesse di miglioramenti futuri cadono nel vuoto e le idiozie sorridenti sono ricevute con la faccia cupa.

Il primo segnale che la “polveriera era sul punto di esplodere” è iniziato con un petardo ad alto volume. La gioventù che continua a sperare ha intrapreso una svolta, sostenendo un ‘social-democratico’ a casa propria e un ‘patriota nazionalista’ della porta accanto. I petardi si sono accesi, hanno fatto cilecca e sono morti! Giurando di riportare i suoi seguaci nel recinto democratico, Sanders si è sciolto nell’abbraccio carnale della ‘regina del caos’, il candidato di decenni di inganno e disillusione. Nel frattempo, i patrioti lavoratori, seguaci di Trump, sono diventati portieri dei banchieri, venditori porta a porta di Bibbie e venditori ambulanti repubblicani.

La farsa elettorale non è riuscita a bagnare la polvere da sparo. Ci sono troppi fuochi accesi in tutto il territorio e troppi piromani che vogliono accendere la miccia.

 

 Smascherati i falsi profeti di giustizia

 A differenza della ‘esplosione’ elettorale, che produceva scintille tra il rancore degli elettori, le comunità nere e ispaniche non hanno seguito le parole d’ordine dei truffatori politici, dei giudici e dei capi della polizia. Essi non hanno ascoltato i falsi profeti politici. In numero sempre più significativo, sono usciti in strada a combattere.

Nel corso degli ultimi otto anni, il presidente Obama ha devastato i quartieri e le scuole nere, sguinzagliando le super-militarizzate forze della polizia statale, lodando i funzionari e gli agenti di polizia neri, coinvolti nelle operazioni volte a terrorizzare le comunità nere. In nessun modo appare sorprendente che la sempre più acuta polarizzazione sociale si è diffusa e approfondita nelle townships nere. Stiamo tornando indietro agli anni sessanta e settanta, quando la violenza razziale aveva origine dallo Studio Ovale del Presidente e scorreva a valle verso i tribunali e la polizia, con conseguente violenza reciproca che andava dal basso verso l’alto, fino all’élite.

 

Accendere la miccia

La rivolta è iniziata con gli afro-americani e si estende tra i latino-americani e, inoltre, tra i bianchi le cui condizioni di vita stanno peggiorando. La crescente rivolta dei lavoratori bianchi contro la cleptocratica dinastia dei Clinton si è ampliata, per fondersi con la rivolta popolare contro la ‘fiammata’ del rinnegato pseudo-socialista Bernie e del resto dei miliardari, proprietari del sistema politico. La ribellione politica sta attraversando il centro degli Stati Uniti.

La maggioranza degli americani si è polarizzata, perché è stata loro negata la stabilità essenziale nella vita di tutti i giorni. Manca loro il livello di vita perduta e vedono davanti a sé un futuro cupo e inaccettabile, soprattutto per i loro bambini.

La ribellione negli Stati Uniti ha diversi fattori scatenanti: l´economia plutocratica, un sistema elettorale cleptocratico e uno stato di polizia disumanizzante.

Il sistema elettorale, basato sul furto, ha fatto sì che il maggior numero di voci ostili attraversassero le differenze razziali  e penetrassero profondamente nelle divisioni di classe.

La polarizzazione, indotta dalla militarizzazione della polizia, è più immediata ed esplosiva. È quella che, molto probabilmente, si tradurrà in azione diretta.

La classe lavoratrice bianca – in caduta economica libera – è il più grande gruppo ribelle, ma è stato il più lento nello sviluppo della coscienza e dell’organizzazione di classe. Eppure, è il settore sociale con il maggior potenziale nel far cadere il sistema.

I ribelli elettorali disincantati (seguaci di Bernie) sono molti e rapidi nell’agire, ma sono anche i più facilmente ingannati da ciarlatani e truffatori politici.

 

Conclusione

 La confluenza di militanti neri, attivisti contro l´astensione e lavoratori bianchi impoveriti è solo l’inizio della grande rivolta. Eppure, essi ‘non si riconoscono’ nella vita quotidiana, sul lavoro, nel quartiere o nella lingua, anche se condividono una profonda ostilità nei confronti dello Stato di polizia, la cui missione è proteggere l’élite politica ed economica.

In quali circostanze potrebbero unirsi? Al momento, non vi è alcuna organizzazione capace di unire tutte queste forze, con tutto il loro dinamismo e la loro capacità critica.

Le organizzazioni a base comunitaria hanno una visione strategica limitata e non riescono a superare il loro  localismo.

Alcuni partiti politici alternativi e alcune personalità hanno promesso di aderire, sebbene siano coinvolti in politiche elettoralistiche aliene all’azione diretta, anche se hanno a che fare con la polizia, i tribunali o col sistema economico.

Potrebbe sorgere un ‘leader carismatico’ e costruire ponti tra i diversi settori; ad un certo punto, alcuni lavoratori bianchi impoveriti o militanti neri o attivisti senza rappresentanza unirsi intorno a un tale leader. Ma a meno che il leader sia sostenuto da un´organizzazione potente e guidata dagli attivisti delle comunità, la minaccia di tradimento rimane una possibilità reale.

Viviamo in un tempo, in cui il sistema esistente è marcio e cadente e cresce la disaffezione delle masse. Tuttavia, è anche un momento in cui le ‘alternative’ sembrano lontane e rarefatte. Ciò che è perfettamente chiaro è che il solo degrado e crollo non sono sufficienti a causare una massiccia rivolta popolare e a costruire una società giusta.

 

Articolo originale, in: http://petras.lahaine.org/?p=2093 – traduzione dall’inglese per Rebelion di Riba Carlos García

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Il golpe di Erdoğan: purgare i critici interni, conquistare alleati esterni

Erdogandi James Petras

23lug2016-“Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha preparato un elenco di obiettivi per l’arresto, ancor prima che il colpo di stato (sic!) fosse lanciato”, funzionario della Commissione Europea sulla Turchia (FT 2016/07/19).

 

Introduzione

Il colpo di stato in Turchia è stato a comando. Un gruppo di ufficiali militari e funzionari di polizia sono stati istigati a prendere il potere da operatori di alto livello dell’intelligence del regime di Erdoğan. Essi sono stati autorizzati a far cadere alcune bombe, occupare ponti ed edifici, prima che fossero circondati, assediati e arrestati in base a una lista di proscrizione preparata prima ancora del cosiddetto colpo di stato. In mezzo a questo colpo di stato falso, un Erdoğan in ‘vacanza’ vola a Istanbul illeso, naturalmente, perché il suo luogo di villeggiatura è stato bombardato, dopo che lo aveva lasciato. Sequestra i mass-media, denuncia il colpo di stato, scuote le masse musulmane e mette in piedi una purga di massa della società turca, concentrandosi sul servizio civile, gli insegnanti e gli amministratori, i militari, i tribunali e i giudici. Di fato, ogni istituzione capace di azione indipendente o reputata critica di Erdoğan viene chiusa. Dopo una settimana, oltre 60.000 persone erano state epurate.

Perché Erdoğan ha fatto ricorso a un colpo di stato? Perché Erdoğan ha epurato la società turca? Quali politiche seguiranno alla presa di potere di Erdoğan?

 

Preludio al colpo di stato

Negli ultimi 5 anni, Erdoğan ha subito una serie di fallimenti e sconfitte politiche, economiche e diplomatiche, che hanno seriamente minato le sue ambizioni dittatoriali e territoriali. La sua forza aerea ha abbattuto un aereo militare russo, che operava all’interno del territorio siriano. Le immagini di mercenari jihadisti turchi che uccidevano un pilota russo mentre cercava la salvezza paracadutandosi, come anche di un membro della squadra di soccorso russa, hanno portato il governo russo a bloccare la  pluri-miliardaria industria del turismo russo in Turchia e a annullare redditizie trattative di affari. Ha rotto le relazioni con Israele, che ha rescisso un conveniente contratto per il petrolio e il gas offshore. Il suo sostegno all´ISIS e ad altri gruppi mercenari violenti salafiti, che operano in Iraq e in Siria ha provocato una rottura con la Siria e l’Iran. Il suo successivo tentativo di sconfessare i legami della Turchia con l´ISIS ha portato a una serie di orribili attentati terroristici da parte delle cellule jihadiste impiantate nel paese. La posizione diplomatica della Turchia in Egitto si è deteriorata, in quanto che Erdoğan ha cercato di mantenere i suoi legami con la Fratellanza Musulmana, dopo che era stata estromessa dal potere da un colpo di stato militare egiziano sponsorizzato dagli Stati Uniti.

Sul fronte interno, Erdoğan si è alienato l’élite militare kemalista secolare e quella civile politico-economico attraverso prove inventate ed epurazioni dei media. La pesante repressione di Erdoğan contro i manifestanti liberali e di sinistra sulle questioni ambientali ha aumentato la preoccupazione occidentale. La sua gestione brutale delle proteste dei lavoratori, a seguito del disastro della miniera di carbone di Soma nel 2014, in cui oltre 300 operai sono stati uccisi, lo ha reso più isolato.

La guerra di Erdoğan contro i movimenti indipendentisti curdi in Turchia, Iraq e, in particolare, in Siria, dove questi erano alleati degli Stati Uniti contro i jihadisti terroristi dell´ISIS, ha aumentato i disordini interni e l’isolamento internazionale.

Al fine di consolidare il suo potere esecutivo, Erdoğan si era prima alleato con le vaste reti di Gulenisti-islamici in Turchia, al fine di scavare il terreno sotto ai piedi dei kemalisti e poi si è messo a eliminare i suoi ex-alleati.

Di fronte a nemici e avversari a casa e all’estero, Erdoğan ha messo una duplice strategia per migliorare le sue alleanze all’estero, in particolare i suoi legami con la Russia e Israele, mentre lanciava una guerra totale contro i critici interni.

 

Il golpe pre-fabbricato e la Purga permanente

Gli agenti dei servizi segreti di Erdoğan all’interno del comando militare hanno incoraggiato o addirittura instigato i suoi critici nello Stato Maggiore, che erano stufi dei suoi pasticci e delle sue politiche disastrose, a montare un colpo di stato. Hanno dato spazio suficiente ai militari ribelli e risorse per fornire loro una parvenza di autorità, pur mantenendo il controllo strategico dell’aviazione e delle principali truppe di terra. Possono avere finto simpatia per il prematuro lancio di una rivolta … destinata alla sconfitta. Una volta che le unità ribelli pesantemente infiltrate si sono mosse, l’intera operazione Erdoğan si è attivata. I coscritti sfortunati hanno pensato che erano stati chiamati per delle esercitazioni militari, per poi ritrovarsi circondati, arrestati e persino linciati. I dissidenti sono stati isolati, i loro movimenti paralizzati, i loro leaders resi inoffensivi. I lealisti di Erdoğan all’interno dell´Air Force turca hanno portato in volo il presidente trionfante all´aeroporto internazionale di Istanbul, ‘liberato’ tra le acclamazioni dei suoi adoranti sostenitori civili.

Erdoğan ha immediatamente decretato un´epurazione di massa – in nome della patria. Un vero e proprio colpo di stato aveva effettivamente avuto luogo – la presa di potere totale di Erdoğan. L’intero sistema politico, militare, giudiziario e di polizia è stato epurato del personale entro poche ore. Ci sono stati oltre 20.000 arresti, percosse e sparizioni. Ci sono state richieste di reintrodurre la pena di morte.

La presa del potere di Erdoğan ha bloccato le attività chiave dei Gulenisti negli Stati Uniti ed eliminato i funzionari indipendenti della Corte Suprema e i funzionari repubblicani laici. Il Presidente ha avuto le mani libere per ricostruire un intero apparato civile, governativo e militare con i suoi fedelissimi. Il suo controllo dei media e delle istituzioni educative è diventato totale.

 

Il governo sotto Erdoğan

Il colpo di stato preventivo di Erdoğan, la purga e la presa del potere si tradurrà in uno stato monolitico, che Erdoğan forgerà nella sua versione a lungo ricercata di un regime islamista. Il nuovo regime ha annunciato lo ‘stato di emergenza’, il che pone tutti i Turchi sotto la stretta conformità con le politiche di Erdoğan.

Il “Nuovo Ordine” di Erdoğan lancerà operazioni su larga scala contro i Curdi, senza alcun rispetto per i confini nazionali siriani o iracheni. Erdoğan garantirà il rispetto dei decreti islamici, progettati per imporre il conformismo. Egli riuscirà a imporre un regime dittatoriale ‘presidenziale’. E il Parlamento, se necessario, verrà by-passato; il suo mandato ‘elettorale’ sarà assicurato.

Nel periodo immediatamente successivo, le detenzioni di massa rafforzeranno lo stato – e i generali di Erdoğan, le autorità religiose alleate e i teppisti di strada chiameranno alle armi.

Scatenare la forza e la violenza contro i suoi nemici interni, tuttavia, può portare a controversie interne tra i nuovi predatori intorno al bottino della vittoria. L’élite economica può accettare il Nuovo Ordine, ma solo se e quando Erdoğan attenuerà i suoi attacchi retorici contro gli Stati Uniti e l’Unione Europea.

Erdoğan deve ancora sviluppare una strategia sulla sostituzione dei professionisti epurati (‘Gulenisti’) all’interno dell’economia civile e della pubblica amministrazione – in particolare le scuole e la magistratura. I capovolgimenti impetuosi della sua politica sconsiderata di scontro con la Russia, la Siria, Israele, l´Iran,  l´Iraq e i Curdi sono suscettibili di generare nuovi livelli di malcontento, soprattutto tra i suoi attuali comandanti militari.

Il Nuovo Ordine di Erdoğan nasce dalla rottura della società civile e delle alleanze di lungo termine. Egli può rimanere al potere ad Ankara, ma sarà visto più come un delinquente politico locale che un partner tra le grandi potenze regionali.

Gli alleati esterni di Erdoğan sfrutteranno il suo isolamento e la sua megalomania radicale per stringere alleanze lucrative. Israele premerà per contratti favorevoli di gas e petrolio; la Russia insisterà perché Erdoğan abbandoni i suoi alleati dell´ISIS. Gli Stati Uniti domanderanno di cessare gli attacchi contro i Curdi. L’UE utilizzerà la purga in corso e la re-introduzione della pena di morte per dichiarare finalmente la Turchia inadatta a entrare nell’Unione Europea. I banchieri e gli investitori stranieri attenderanno che Erdoğan fermi la sua furia nei confronti del settore finanziario e  cominci a ‘fare sul serio’ riguardo all’economia.

Il sogno di Erdoğan di governare a vita  un califfato islamico neo-ottomano, sostenuto da folle di strada, pretoriani e compari capitalisti rende la Turchia instabile e indisciplinata. I militari lealisti di Erdoğan hanno le loro rivalità e ambizioni. Ora che Erdoğan ha stabilito la sua ‘strada militare al potere’, ha stabilito un chiaro precedente per gli altri ‘Erdoğan’ a intraprendere la stessa strada.

Nel breve periodo, Erdoğan ha bisogno di riavviare l’economia, stabilizzare il sistema politico e stabilire una parvenza di ordine internazionale.

Erdogan non può e probabilmente non prolungherà le tensioni con gli Stati Uniti per la vicenda Gulen. Gulen rimarrà in Pennsylvania, come carta della CIA per un ‘cambio di regime’. Nel frattempo, ha eliminato la maggior parte degli agenti gulenisti in grado di lavorare con gli Stati Uniti come una quinta colonna. La questione adesso è se ritornerà al suo ruolo come partner di ‘valore’ acquisito della NATO, o se lancerà una guerra intensificata contro i Curdi, alleati strategici degli Stati Uniti?

I legami di Erdoğan con la Russia sono precari. Non c’è alcuna ragione perché i Russi si fidino di lui. Egli ha fallito in qualche modo, preso tra la necessità di una riconciliazione con la Russia e il desiderio di continuare la sua guerra per procura contro il governo della Siria.

Alla fine, Erdoğan potrebbe essersi assicurato il potere e avere intrapreso una vasta epurazione interna dei suoi nemici, ma ha perso la guerra regionale, mentre subisce le conseguenze di milioni di rifugiati di guerra e di uma minaccia terroristica jihadista profondamente radicata in Turchia.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Nariño, FARC-EP: «Putin, Assad y los kurdos únicos combatiendo ISIS»

Por Alexandra Nariño, integrante de la Delegación de Paz de las FARC-EP

¿Qué tienen Vladimir Putin, Hugo Chávez, Fidel Castro, Kim Jong-un, Evo Morales y Bashar al-Assad en común? Si tenemos que creerle a la prensa occidental, son todos hombres irracionales, mentirosos y hasta ridículos, la mayoría con rasgos anti-democráticos, dictatoriales. Entre más desalineados sean de las directrices neoliberales dictadas por el FMI y el Banco Mundial, más despreciables. O al menos es el mensaje que les llega diariamente a millones de personas quienes creen estar informadas a través de las grandes agencias de noticias.

Luego de leer varios artículos que denunciaban las malintencionadas y astutas jugadas políticas y militares de Vladimir Putin en el mundo, él logró despertar mi curiosidad cuando lo vi hablando en el setenta aniversario de la ONU. Solo pude ver la última parte; no sé si lo que me llamó la atención fuera alguna frase suya, la mirada o el tono de su voz. Lo cierto es que busqué la intervención completa en internet y descubrí que el discurso de Putin tiene algo de lo que carecen personajes como por ejemplo Obama, Merkel o Rutte: coherencia.

Sin disertaciones pomposas y vacías sobre “freedom and democracy”, expuso de forma sencilla una posición democrática, pluralista y respetuosa de la soberanía de otras naciones. Además,  ofreció a los presentes y al planeta una explicación sensata de la situación en el Norte de África y el Medio Oriente, así como un análisis de la correlación de poderes geoestratégicos en el mundo de hoy.

Con una elocuente diplomacia, el presidente ruso dejó al desnudo algunas verdades que ya todos sabían, pero nadie en el mundo político se había atrevido a pronunciar con tanta vehemencia: que las fuerzas gubernamentales de Assad y las milicias kurdas son las únicas fuerzas que realmente combaten a los terroristas en Siria; que los grupos extremistas se nutren – entre otros – de soldados iraquíes quienes quedaron en la calle después de la invasión en el 2003, de Libios cuyo Estado fue destruido luego del 2011 y también, más recientemente, de la oposición “moderada” en Siria, apoyada por el Occidente, que les entrega armas y entrenamiento, luego del cual muchos se desertan y se unen al Estado Islámico.

Sin nombrar a nadie en específico, calificó de hipócrita e irresponsable el hacer declaraciones sobre la amenaza del terrorismo y al mismo tiempo hacerse el de la vista gorda cuando de su financiación a través de narcotráfico, tráfico ilegal de petróleo y de armas se trate. Así mismo – sin referencias específicas – juzgó como irresponsable el manipular grupos extremistas para lograr sus propios objetivos políticos, y creer que de alguna manera se buscará la forma de deshacerse de ellos más adelante.  

También hubo espacio para la reflexión y la autocrítica: “…recordamos ejemplos de nuestro pasado soviético, cuando la Unión Soviética exportó experimentos sociales, presionando por cambios en otros países por razones ideológicas. Esto muchas veces tuvo consecuencias trágicas y produjo degradación en vez de progreso”.

No quisiera ser acusada de devota de Putin; lo único que puedo afirmar es que, así nos pinten a las FARC-EP como narcotraficantes sin ideales, así mostraran a Hugo Chávez como un charlatán sin seriedad, así quieran despojar de todo humanismo a Bashar al-Assad, ser desalineado en un mundo en el que lo políticamente correcto parece ser promocionar políticas neoliberales, xenofóbicas y excluyentes, es un mérito en sí.

Venezuela: dalla fuga dei cervelli all’asilo politico

venezueladi Alfredo A. Torrealba – http://www.aporrea.org

Qui di seguito si presenta un breve riassunto composto di dieci idee generali concernenti l’evoluzione del significato di “Fuga dei Cervelli” in Venezuela. Il documento è stato sviluppato in questo modo, poiché negli ultimi anni “l’informazione tascabile”, ovvero succinta, è diventata più popolare “di quella approfondita”.

  1. Originariamente il termine “Fuga dei Cervelli” sorse in Messico agli inizi del XX secolo. In quell’occasione si faceva riferimento al fatto che la manodopera qualificata delle istituzioni dell’America Latina lasciava il posto di lavoro per farsi assumere nelle ditte private. Alcuni politici e pensatori messicani si resero conto di questa tendenza, interpretandola come un allontanamento dettato da fattori quali i bassi salari o dai benefici se confrontati con quelli che offriva il settore privato. Quest’ultimo, infatti, perseguiva degli obiettivi di produzione e profitto ben precisi per sentire l’esigenza di annoverare tra le sue fila a figure di professionisti che svolgessero le diverse mansioni negli ambiti industriale, commerciale tecnologico e amministrativo.
  2. Il termine “Fuga dei Cervelli” giunse in Venezuela (fino a dove si è potuto appurare) agli inizi del decennio degli anni ’20 dello scorso secolo quando un gruppo di politici e pensatori fece notare la loro inquietudine sui giornali e i libri dell’epoca, riguardante la scarsità di manodopera giovane e qualificata nella regione centrale del paese. La maggior parte di questi giovani emigrava a Caracas, la capitale del paese, alla ricerca di migliori opportunità come conseguenza dei negoziati che si erano aperti con l’avvento del “boom” petrolifero. Inoltre in quegli anni e allo stesso modo che in Messico, la “Fuga dei Cervelli” colpiva ampi settori dell’amministrazione pubblica, ma con la differenza che questa non convergeva necessariamente solo verso il settore privato, ma vedeva coinvolto anche l’esercito venezuelano.
  3. Dal 1967 la “Fuga dei Cervelli” fu riscoperta dalla comunità accademica nordamericana come un vero e proprio problema, definendola “Brain drain”. Da allora questo tema è diventato d’attualità negli scenari politici e nei mezzi di comunicazione di tutta l’America Latina, poiché viene descritto come un processo d’emigrazione che coinvolge professionisti e scienziati con titolo universitario che si sposta verso altri paesi, principalmente spinti dalla mancanza di opportunità di sviluppo nei settori della ricerca, per motivi economici o per conflitti politici nel loro paese di origine e che, in genere, si caratterizza come senza ritorno. Nonostante questo processo è maggiormente presente nei paesi in via di sviluppo, in molti casi si manifesta nei paesi industrialmente sviluppati, dovuto a fattori come differenze salariali o impositive.
  4. Dal 1971 la “Fuga dei Cervelli” in Venezuela si associa con l’idea che sempre con maggiore frequenza gli studenti venezuelani e i professionisti neolaureati se ne vanno altrove per cercare un futuro migliore. Questa tendenza si è mantenuta fino agli inizi degli anni ottanta quando la parità di cambio tra bolívar e dollaro rese possibile a un’ampia fascia di venezuelani di spostarsi principalmente verso l’America del Nord e l’Europa. Tuttavia anche se molti venezuelani decisero di andare a un altro paese con i propri mezzi, in questo periodo la principale rampa di lancio erano le istituzioni del governo venezuelano. L’espansione delle ambasciate e dei consolati, lo sviluppo di PDVSA e di alcune banche nazionali rese possibile a molte famiglie venezuelane di stabilirsi all’estero con un certo successo, fino a che nel 1983 sopraggiunse la svalutazione del bolívar, segnando la fine dell’era del “Venezuela Saudita”.
  5. Dal 1987 la “Fuga dei Cervelli” diventa una questione di classe. L’elevato costo dei biglietti di viaggio, il soggiorno all’estero, così come le nuove imposizioni politiche contro gli emigranti adottate dai governi dell’Europa e dell’America settentrionale, rese difficile alla classe media alta e bassa venezuelana di raggiungere l’obiettivo di uscire o rimanere all’estero. Perciò le famiglie con grandi risorse economiche erano le uniche che potevano finanziare i propri familiari all’estero. Contemporaneamente in quest’epoca in tutta l’America Latina fa presa il paradigma che studiare e vivere all’estero era sinonimo di successo, progresso e qualità della vita.
  6. Dal 1990 fino al 2010 il numero di venezuelani deportati in tutto il mondo è in progressivo aumento. Impossibilitati di provvedere al proprio sostentamento all’estero, sono respinti per diversi motivi: droga, prostituzione (maschile e femminile), furti, evasione fiscale, truffe, irregolarità, così come per aver incappato nel commercio di matrimoni combinati in Europa e in America del Nord, ecc.
  7. Dal 1993 e fino al 2010 un cospicuo numero di venezuelani residenti all’estero per sopravvivere inizia a lavorare nel settore dei servizi, svolgendo lavori a bassa remunerazione. Parrucchieri, spazzini, benzinai, cassieri, venditori, ecc., sono le attività più comuni dei nostri “talenti” per evitare le deportazioni.
  8. Tra il 1998 e il 2001 quasi il 91% dei venezuelani emigrati nel decennio degli anni settanta, ottanta e novanta era tornati in Venezuela perché deportati, per altre ragioni o emigrati in un altro paese. In questo stesso periodo lo Stato venezuelano smette di essere il principale trampolino dei venezuelani. Organizzazioni internazionali, ditte private e università a livello mondiale iniziano a pubblicare su Internet le loro offerte, offrendo o domandando servizi e lavori ai latinoamericani. Condizione che non è stata sprecata da alcuni soggetti delle classi alte, medie o medio basse del Venezuela. In questa maniera, a partire del 2001, sempre più venezuelani cominciano a interessarsi a cercare fortuna all’estero con l’appoggio dei servizi offerti da Internet.
  9. Parallelamente, nel 2003, si avvia una forte emigrazione di venezuelani all’estero per ragioni politiche e con lo sviluppo del mercato dell’asilo e del rifugio politico a livello internazionale. Da quella data alcune “Organizzazioni Non Governative” (ONG) in America Latina, iniziano a offrire i loro servizi per consentire agli emigranti di poter viaggiare agli Stati Uniti o in Europa, in qualità di rifugiati o richiedenti asilo. Ad esempio, gruppi politici avversi al governo venezuelano si avvalsero del Colpo di Stato del 2002 figurando come perseguitati politici al cospetto di alcuni paesi europei e dell’America del Nord. Questi paesi concessero l’asilo politico o lo status di rifugiato a centinaia di venezuelani i quali, a loro volta, percepivano aiuti statali o governativi che oscillavano tra gli 800 e i 5.000 dollari mensili, senza obbligo di lavoro o dichiarazione dei redditi. Con questo meccanismo ne hanno beneficiati anche i loro familiari più stretti. Dato che questo sostentamento si percepiva con la qualifica del “richiedente asilo o rifugiato politico” e grazie alle facilità amministrative del paese che concedeva questi diritti, numerosi venezuelani in alcuni di questi paesi diedero vita a delle ONG con l’obiettivo di aiutare a emigrare ad altri venezuelani come se fossero dei perseguitati politici. Per raggiungere questo scopo, le ONG offrivano svariati servizi: la pubblicazione retribuita di false notizie nella stampa nazionale, dossier politici, false denunce non dichiarate, avvocati, ecc. In questo modo i beneficiati che non avevano mai avuto un percorso politico riuscivano a emigrare e ottenere lo status di richiedente asilo o di rifugiato politico. Questa condizione giuridica gli consentiva se non altro di avere diritto di vivere per otto mesi in uno di questi paesi, percependo un salario minimo e, poi, di ottenere un lavoro, oppure sussistere con quanto offerto da alcune ONG caritative.
  10. Tra il 2010 e il 2013 i dati del CNE annunciavano che circa 45 mila venezuelani erano legalmente registrati nei consolati del Venezuela a livello mondiale. Ciò consentiva loro non solo di esercitare il diritto al voto, ma potevano anche dar prova di essere “legali” in quel paese. Parallelamente, per difetto, gli altri 750 mila venezuelani che vivevano all’estero (la cifra dei venezuelani all’estero non ha mai superato i 900 mila) si trovavano in qualità di turisti o in condizioni d’illegalità nel paese ospitante. Altri si segnalavano come richiedente asilo o rifugiato, con residenza temporanea, sposati, o con un rapporto apolitico nei confronti del governo venezuelano in vista di ottenere una nuova cittadinanza. In questo stesso periodo si calcola che 121 milioni di dollari sono entrati in Venezuela a titolo di rimessa familiare, il che significa che pressappoco 45 mila venezuelani inviavano denaro alle loro famiglie in Venezuela. Una cifra molto di sotto i 21 miliardi di dollari che ogni anno riceve il Messico per le stesse ragioni. Infine nel 2012 l’incremento delle deportazioni di giovani e donne venezuelane per prostituzione raggiunse cifre record in Europa, America Centrale e Sudamerica. In modo particolare in Spagna, dove la prostituzione online dei nostri “talenti” viene denominata “scorts”.

Per finire, la “Fuga dei Cervelli” in Venezuela è una realtà che non dovrebbe destare tanto allarme, giacché giudicando gli indici di deportazioni, inevitabilmente, la stragrande maggioranza dei venezuelani dovrà tornare a casa controvoglia.

 

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]

 

Da Napoli a Firenze: Potere Popolare connesso in azione

FOTO BELLISSIMA DE MAGISTRIS A FIRENZEdi Fed Toscana del P-CARC

Giovedì 21 luglio, presso il presidio permanente promosso dall’assemblea dei comitati contro le nocività della piana fiorentina, si è tenuta l’iniziativa dal titolo “Devastazione dei territori, grande opere inutili e dannose”. Il presidio è in un campo a Sesto Fiorentino, sotto il raccordo autostradale e l’assemblea si tiene dopo cena, dalle 21.30 in poi. Siamo dall’altra parte del pianeta rispetto alla Firenze di Duomo, Palazzo Vecchio, Uffizi, Ponte Vecchio, Palazzo Pitti e delle mille altre cose che rendono la città splendida celebre nel mondo, e che hanno dato corpo a quello che è stato chiamato Rinascimento. È qui in questo campo, qui alle Case Passerini, dove Renzi vuole fare convergere la spazzatura della città e bruciarla, qui al buio, che quattrocento persone vengono per discutere di politica e sentono rinascere qualcosa di nuovo, qualcosa di “incredibile e bellissimo”, dice in un suo commento un compagno del Centro Sociale ex-OPG, l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli.

I compagni del Centro Sociale ex-OPG di Napoli sono ospiti dell’iniziativa insieme a Luigi de Magistris, sindaco di Napoli. Gli organizzatori li hanno invitati con l’obiettivo di promuovere lo scambio dell’esperienza di auto organizzazione e dei rapporti con le Amministrazioni locali.

Con questo resoconto riportiamo e commentiamo tra i temi emersi nel dibattito quelli utili per la ricerca della strada che porta al socialismo, l’unica soluzione definitiva al marasma della società attuale. La nostra è ricerca di scienziati, rigorosa come il metodo scientifico richiede, ma animata dalla stessa passione del compagno dell’ex OPG così entusiasta di scoprire il nuovo in questo campo, di notte, sotto il raccordo dell’autostrada. Grazie a questa nostra ricerca diventeremo sempre più capaci di capire e fare capire cosa significa fare dell’Italia un nuovo paese socialista. È una cosa semplice da capire: in tantissimi lo hanno capito prima di noi, tanti partigiani che hanno combattuto e vinto il nazifascismo, ad esempio, e dirigenti come Gramsci, ma agli uni e agli altri, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è stata “tolta la parola”. Di rivoluzione non s’è più parlato, almeno fino a oggi. Oggi torniamo a parlare di cose semplici, comprensibili da tutti, di una “semplicità che è difficile a farsi”, come dice Brecht nella sua poesia in lode al comunismo, ma la faremo, perché il comunismo lo fanno le masse popolari e, come diceva Mao Tse tung nella favola su Yu Gong dei monti del Nord della Cina, la forza delle masse popolari è enorme e spiana le montagne.

Il dibattito: parla l’esponente dei comitati locali

Inizia a parlare un esponente dell’assemblea dei comitati contro le nocività. Il suo intervento è importante perché mostra come il futuro della piana fiorentina è legato alle scelte politiche di chi governa. Dice che intorno all’ampliamento dell’aeroporto (altra iniziativa di devastazione del territorio in progetto) e alla costruzione dell’inceneritore di Case Passerini si gioca 1 miliardo di euro dei gruppi economici che direttamente finanziano Renzi e il suo governo. Dice che non è un caso che Renzi alle ultime elezioni amministrative, nonostante si giocasse le città più importanti d’Italia, ha chiuso la campagna elettorale a Sesto Fiorentino. E ha perso, aggiungiamo noi, e la batosta è stata pesante, tenuto conto di una cosa importante assai, come ricorda il compagno napoletano dell’ex OPG nel suo resoconto commentato, che Sesto è una roccaforte da settant’anni delle stesse forze politiche, quelle che negli anni Cinquanta dello scorso secolo presero la testa del PCI che aveva guidato la Resistenza contro il nazifascismo e lo corrosero lentamente, fino alla morte e alla putrefazione di cui il partito di Renzi è espressione ultima.

Il compagno quindi ha l’intelligenza di legare immediatamente lo sorti del territorio fiorentino con quello dell’intero Paese, di legare il particolare al generale, direbbe chi si occupa della questione per analizzarla scientificamente. Il terreno qui in Toscana è ottimo per questa analisi: i vertici della Repubblica Pontificia (per ora) si sono affidati a un coagulo di esponenti che fondano la loro forza, e hanno le loro radici in Toscana. Stiamo parlando della famiglia Boschi e quella di Renzi, del loro legame con Verdini e dell’intreccio tra interesse bancario e potere politico che contraddistingue il loro percorso. Ma il legame che conta e di cui vogliamo parlare qui non è quello tra Firenze e Roma, ma quello tra Firenze e Napoli. L’aspetto principale è la volontà dell’assemblea dei comitati contro le nocività di raccogliere dalle esperienze di avanguardia della penisola come quella napoletana processi di costruzione di una nuova governabilità per i territori. È giusto: studiamo con attenzione le mosse di chi devasta il paese e chi lo abita, ma non perdiamo tutto il tempo nella denuncia di quanto è perfido questo e quello. Dedichiamo la massima parte del nostro tempo al pensare la ricostruzione, e a iniziare l’opera.

Il compagno dice quindi che l’iniziativa serve a confrontarsi con altre realtà auto organizzate e che il confronto è anche con un’amministrazione come quella di Napoli, che ha scelto di stare dalla parte dei cittadini. Manifesta esplicitamente la volontà dei comitati di imparare a costruire la loro soluzione, il loro governo. Bisogna innanzitutto resistere agli attacchi della borghesia.

La borghesia è stata una classe rivoluzionaria, ricordiamolo. È nata in città come Firenze, nelle sue decine di borghi, (le sue zone portano ancora quei nomi antichi: Borgo S. Lorenzo, Borgo S. Frediano, ecc.) e qui è stata protagonista di quel Rinascimento sul piano economico, politico e culturale, almeno fino a che la spinta propulsiva è stata schiacciata dal Papato, e dai suoi funzionari, come il gesuita Bellarmino che processò Galileo Galilei. Da Firenze e dalla penisola la rivoluzione borghese si spostò quindi altrove, in Inghilterra, nelle Fiandre, e poi nell’America del nord, dove non c’era nobiltà feudale da togliere di mezzo, e in Francia, dove la nobiltà di mezzo fu tolta. Quella rivoluzione però si è esaurita da un secolo e mezzo. La classe borghese è diventata da allora reazionaria e tra le altre cose non solo ha smesso di combattere contro le forze feudali residue, ma ci si è alleata per contrastare il movimento comunista e il movimento delle masse popolari. Al di là delle ciance di Bergoglio, noi diciamo che di fatto lui e Renzi sono uniti. Avete mai sentito Bergoglio o qualcuno dei suoi funzionari criticare Renzi? Anzi, hanno appoggiato il suo Jobs Act. Bergoglio ha scritto una enciclica sulla difesa dell’ambiente: perché lui non interviene sull’inceneritore di Case Passerini, o perché non lo fanno i suoi funzionari sul territorio?

La borghesia deve essere spazzata via. Ci sono tutte le condizioni per fare a meno di questa classe. Lo sviluppo delle forze produttive è tale da poter fare a meno di loro: possiamo produrre il necessario per tutte le esigenze materiali e spirituali della popolazione del paese, lavorare senza questi padroni, studiare senza i professori da loro stipendiati per riempirci la testa di cose superflue o false. Quello che oggi deve svilupparsi è la consapevolezza della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari di poter essere classe dirigente. Questo è il quello che c’è da fare e l’iniziativa del 21 luglio è preziosa come embrione del processo, germe di slancio, consapevolezza e forza per tutte le organizzazioni operaie e popolari, per ogni lavoratore, studente, disoccupato che era presente, per ogni donna e uomo, per piccoli e grandi d’età, autoctoni e immigrati.

Parla de Magistris

Luigi de Magistris apre l’intervento esortando tutti i presenti a credere nel cambiamento, a non mollare. Dice che Napoli e Sesto Fiorentino hanno avuto qualcosa in comune nella campagna elettorale, e cioè l’attenzione particolare di Renzi, che è andato ben quattro volte a Napoli durante la campagna elettorale e l’ha chiusa a Sesto Fiorentino.

Il sindaco di Napoli sta portando in giro per l’Italia l’esperienza di riscossa della sua città. Negli ultimi cinque anni Napoli ha avuto a che fare con quattro governi nazionali diversi ma uguali nella sostanza, perché tutti avevano l’unica finalità di togliere l’autonomia del territorio. Luigi de Magistris è stato alla guida della città nella lotta che si è chiusa con una vittoria su ciascuno di quei quattro governi. La particolarità della sua esperienza e di quella della città di Napoli è che stanno compiendo una rivoluzione governando, dice, e fare la rivoluzione governando è molto più difficile.

La difficoltà, aggiungiamo noi, sta proprio nel fatto che le masse popolari devono imparare a fare una cosa che, nei paesi imperialisti come il nostro, non hanno mai fatto: devono imparare a governare, e imparare a farlo sperimentando, imparare facendolo, via via acquisendo determinazione e la fiducia che l’unico futuro possibile è il socialismo.

Abbiamo detto sopra che il socialismo è semplice da spiegare. È governo e autogoverno delle masse popolari in campo politico, economico, sociale e culturale. Consiste infatti

  1. nel potere in mano alle masse popolari organizzate e in primo luogo alla classe operaia organizzata attorno al suo partito comunista che ha il compito principale di reprimere i tentativi di rivincita della borghesia imperialista e del clero e di promuovere l’universale partecipazione delle masse popolari alle attività da cui le classi dominanti le hanno sempre escluse,

  2. nella sostituzione dell’azienda creata e gestita dal capitalista per aumentare il suo capitale con l’unità produttiva costruita e gestita dai lavoratori organizzati che lavora secondo un piano pubblicamente deciso per produrre tutti e solo i beni e i servizi necessari alla vita dignitosa della popolazione e ai rapporti di solidarietà, di collaborazione e di scambio con gli altri paesi,

  3. nella partecipazione crescente di tutta la popolazione alla gestione, alla direzione e alla progettazione della vita sociale e al resto delle attività propriamente umane.

La costruzione del Governo delle organizzazioni operaie e popolari è l’obiettivo immediato che dobbiamo porci perché è la strada più rapida per arrivare al socialismo, e quella con cui meglio affronteremo una classe che a fronte della nostra avanzata non esiterà a fare ricorso a ogni crimine, come ha mostrato di saper fare con il massacro delle masse popolari del paese durante la Resistenza.

Luigi de Magistris nel suo intervento fa un altro passaggio di importanza fondamentale: dice che la legalità formale se lede gli interessi delle masse popolari va violata. Se il governo centrale vuole privatizzare, svendere, commissariare e fare gli interessi dei poteri forti le amministrazioni locali devono disobbedire. Ecco qui una radice del nuovo che entusiasma il compagno dell’OPG e si espande nei quattrocento che sono qui con lui alle Case Passerini dell’Osmannoro. Ci si avvia su una delle vie che il P-CARC e la carovana del (nuovo)PCI di cui è parte hanno individuato nella loro esplorazione di terre nuove, e che sono elencate nella Dichiarazione Generale del IV° Congresso del Partito tenuto un anno fa, qui a Firenze:

1. la diffusione della disobbedienza e dell’insubordinazione alle autorità,

2. lo sviluppo diffuso di attività del “terzo settore”: le attività di produzione e distribuzione di beni e servizi organizzate su base solidaristica locale,

3. l’appropriazione organizzata di beni e servizi (espropri, “io non pago”, ecc.) che assicura a tutta la popolazione i beni e servizi a cui la crisi blocca l’accesso,

4. gli scioperi e gli scioperi alla rovescia, principalmente nelle aziende e nelle scuole,

5. le occupazioni di fabbriche, di scuole, di stabili, di uffici pubblici, di banche, di piazze, ecc.,

6. le manifestazioni di protesta e il boicottaggio dell’attività delle pubbliche autorità,

7. il rifiuto organizzato di pagare imposte, ticket e mutui,

8. lo sviluppo di attività autonome dal governo centrale da parte delle Amministrazioni Locali d’Emergenza (ALE) sottoposte alla pressione e sostenute dalla mobilitazione delle masse.

Bisogna quindi praticare, propagandare, diffondere, appoggiare ogni azione che va nella direzione degli interessi delle masse popolari anche se quest’azione è illegale.

Tutti i “buoni amministratori” che vogliono fare gli interessi delle masse popolari devono fare loro quello che de Magistris dice, pure Falchi, neo eletto sindaco di Sesto Fiorentino che ieri sera è intervenuto ribadendo la propria posizione di voler fare tutto il possibile per contrastare l’ampliamento dell’aeroporto e la costruzione dell’inceneritore. Deve fare anche l’impossibile. Non decide Renzi con il resto della Repubblica Pontificia cosa è possibile e cosa no. Sono le masse popolari che fanno la storia. La “buona volontà” il “vorrei ma non posso” di tanti che si pongono come amministratori di sinistra non basta, è aria fritta. L’esempio della giunta Pizzarotti di Parma è emblematico: essere buoni amministratori non basta per fare gli interessi delle masse popolari. Oggi le amministrazioni locali per fare gli interessi delle masse popolari devono “abusare” del proprio potere per promuovere l’organizzazione popolare, il loro coordinamento, la loro legittimità. In definitiva devono diventare amministrazioni locali d’emergenza che hanno la propria forza nelle organizzazioni operaie e popolari del territorio.

Parla la compagna dell’ex-OPG

La compagna dell’ex-OPG porta l’esperienza del controllo popolare promosso durante le ultime amministrative.

La compagna del centro sociale equipara quest’esperienza alle pratiche del vecchio PCI. Ribadisce che stanno contribuendo al cambiamento non perché delegano a de Magistris la gestione della città bensì promuovono il protagonismo popolare. Questo è l’aspetto dirigente della loro azione.

La compagna ha ragione nel mettere al centro il protagonismo popolare. Bisogna ora definire, dare gambe a tale proposito, ideare e pianificare il protagonismo popolare, costruire un governo che chiaramente ha la sua base nel protagonismo popolare e spingere in avanti. Siamo stati con i compagni dell’ex-OPG nei comitati di “Controllo Popolare” e alla “Assemblea per il Potere Popolare” tenuta il 25 giugno all’ex-OPG. Programmiamo di continuare a confrontarci con i compagni dell’ex-OPG per arrivare a condividere il programma comune del governo d’emergenza popolare, sperimentare sul campo, rimediare agli errori e avanzare. La Carovana del (n)PCI di cui il P.CARC fa parte, è pronta a confrontarsi con scienza e coscienza. Insieme scopriremo come fare sì che il momento alle Case Passerini non sia un attimo fuggente, di un percorso fragile, come può temere chi è reduce da decenni di sconfitte, chi non è abituato a vincere, come è normale per chi è sempre stato nella classe degli oppressi. Noi possiamo vincere e dobbiamo farlo. Questa è una verità oggettiva, la mela il cui sapore conosceremo mangiandola, quella che se la mangiamo la borghesia dice che ci caccia dal giardino dell’Eden. Quale Eden, chiediamo qui dalla piana fiorentina, in un prato seccato dall’afa sotto il raccordo dell’autostrada, dove Renzi vuole portare a bruciare la spazzatura? Quale Eden, chiediamo dalla Terra dei Fuochi? Quale Eden, chiediamo dal Meridione d’Italia, dove la borghesia governa il territorio con le Organizzazioni Criminali, e la gente aspetta treni che non arrivano, e quando arrivano diventano treni della morte, come oggi in Puglia, come 18 anni fa a Crotone, quando sul binario unico sono morte 18 persone? Quale Eden, con una disoccupazione giovanile che si avvicina al 50%?

Tappa di confronto sarà il dibattito del 30 luglio a Napoli (Parco dei Camaldoli) in occasione della Festa di Riscossa Popolare Nazionale, in cui interverranno de Magistris, Giorgio Cremaschi, Sandro Medici, in cui si parlerà di difendere e applicare la costituzione e di quali amministrazioni locali servono. Sarà una occasione preziosa, da non perdere.

I lavoratori del Comune di Firenze

Oltre agli interventi degli ospiti altre decine di compagni sono intervenuti. Tra questi, una lavoratrice del USB e attivista del comitato “l’infanzia non si appalta” di Firenze, dice che il comune di Firenze ha privatizzato i servizi ai cittadini i lavoratori del comune sono 4200 più altri 1000 in appalto. I lavoratori vivono in un ambiente difficile,: le scelte politiche della giunta mirano a creare guerra tra internalizzati ed esternalizzati, mirano a indebolire i lavoratori. Dice che si tratta di una scelta politica che poco ha a che fare con il risparmio economico ma è più la volontà di fiaccare ogni velleità dei lavoratori a organizzarsi e coordinarsi per prendersi ciò che loro serve.

Dall’intervento della lavoratrice emerge la centralità della gestione politica del territorio. Da questa dipendono le sorti di ogni vertenza sindacale. Oggi ogni soluzione reale e definitiva ai soprusi e alle ingiustizie insiti nel modo di produzione capitalista è politica. È finita ormai da tempo la fase del capitalismo dal volto umano (1945-1975), fase in cui, attraverso le lotte rivendicative e di riforma, le masse popolari hanno strappato diritti. Oggi siamo nella fase acuta e terminale di una crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, e la borghesia non concede più nulla. Oggi è determinante la soluzione politica, la costruzione di un nuovo ordinamento sociale.

Questo per i lavoratori comunali di Firenze significa che oggi loro, siccome saprebbero farlo funzionare senza bisogno di essere diretti da Renzi, dai suoi predecessori e successori, siccome hanno gli strumenti per “mettersi al servizio del popolo” e possono lottare per costruire un’amministrazione comunale d’emergenza. Questo possono e devono fare.

Un attivista dei comitati locali di Sesto

È intervenuto un attivista dei comitati locali che pone all’attenzione dell’assemblea il legame dialettico tra la mobilitazione popolare e le amministrazioni dei territori. Dice che non dobbiamo avere paura di parlare di una nostra vittoria a Sesto Fiorentino durante le ultime amministrative. Dice che la mobilitazione popolare ha promosso uno strappo nell’area metropolitana. Quella del PD a Sesto Fiorentino è una sconfitta storica ed è il frutto della nostra azione. Il compagno rilancia dicendo che ora il sindaco di Sesto deve appoggiare il presidio permanente fornendo acqua e luce, questi sono i primi passi concreti per promuovere il protagonismo popolare.

Il segretario della sezione di Firenze del Partito dei CARC

L’intervento del segretario della sezione di Firenze del Partito dei CARC mette al centro del dibattito tre questioni importanti e non eludibili:

1. è fondamentale che gli operai e le masse popolari si organizzino e coordinino per costruire loro amministrazioni. Lo dice ripercorrendo la sua esperienza di operaio licenziato. Il compagno dice che nel suo posto di lavoro, una cooperativa di servizi, aveva formato un comitato di controllo popolare operaio che stava con il fiato sul collo dei dirigenti e della gestione dei rifiuti, ma ciò non è bastato per evitare il licenziamento. Hanno fatto tante battaglie ma tutte si sono limitate all’obiettivo di strappare migliori condizioni lavorative e/o di servizi. Il limite è stato quello di non capire che per garantire i diritti e i servizi dovevano porsi il problema di chi amministrava il territorio, capire come sostituirli, capire come costruire una rete di nuova governabilità,

2. bisogna porre al centro del dibattito la questione del lavoro, del creare posti di lavoro: il NO all’inceneritore è la base per il SÌ a un’altra gestione dei rifiuti che porterà centinaia di posti di lavoro nuovi,

3. la questione del governo non deve ridursi alla gestione del singolo territorio. Bisogna cacciare il Governo Renzi e utilizzare ogni appiglio allo scopo. Il Referendum Costituzionale è un appiglio per cacciare Renzi e andare a governare noi! Invita il sindaco de Magistris e tutti i presenti al dibattito del 30 luglio a Napoli. Il sindaco accoglie l’invito all’iniziativa di cui già era a conoscenza.

Un operaio della RSU GKN

Interviene anche un operaio della RSU GKN. L’operaio sostiene che loro si occupano della fabbrica, nel senso che alla fabbrica dedicano attenzione, sviluppano interventi costanti, generano lotte, sono elemento di governo della vita interna. Sono una delle poche aziende a livello nazionale in cui non viene applicato il JOBS ACT. Si pongono però anche l’obiettivo di uscire dall’azienda perché la lotta di classe non finisce con i recinti del loro stabilimento. Combattere contro l’inceneritore significa combattere i padroni e le loro speculazioni.

Noi comunisti salutiamo positivamente l’intervento di quest’operaio e la pratica della RSU GKN che si pone ogni giorno alla testa delle lotte del territorio. Sono un esempio da seguire per gli operai delle altre aziende, un esempio da esportare.

Le conclusioni vengono riservate ai compagni dell’ex-OPG e al sindaco de Magistris. Evidenziamo qui due temi trattati della compagna dell’ex-OPG:

1. la compagna specifica che nel lavoro politico quotidiano di costruzione di un’altra società (questione strategica) è necessario saper combinare (caso per caso) le misure tattiche che ci portano in quella direzione. In questo senso dice che non bisogna aver paura di avvalorare pratiche che certamente non sono per se stesse risolutive (come quella del voto) ma che possono essere uno strumento utile per avanzare nella direzione strategica. È nel fuoco della lotta che le masse imparano a lottare e vincere.

Evidenziamo questo punto perché effettivamente nella realtà la compagna ha individuato un processo dialettico (la rivoluzione socialista si costruisce) che però assume senso solo se specifichiamo qual è l’obiettivo che ci dobbiamo porre per farla finita con il capitalismo (vedi sopra i tre pilastri del socialismo).

2. la compagna invita tutte le realtà presenti sia di amministrazioni locali sia di aspiranti tali (come “Buongiorno Livorno”, lista elettorale di Livorno che è intervenuta al dibattito proponendo la costruzione di una rete nazionale di amministrazione di rottura al governo centrale) a Napoli per continuare il confronto.

Noi comunisti sosteniamo l’aspirazione a creare tale rete e siamo a disposizione fin da ieri. Creare coordinamenti come questo è una delle ragioni d’essere del partito dei CARC, uno dei punti cardine per la creazione del Governo di Blocco Popolare che fu proposto come misura immediata da adottare da parte del (nuovo) PCI nel 2008, all’inizio della fase terminale della crisi, quella segnata dal crollo dei titoli legati ai mutui subprime. Noi siamo all’inizio di un mondo nuovo, di una nuova storia. La rinascita del movimento comunista in corso ci porterà oltre l’esperienza gloriosa dei primi paesi socialisti, e sapremo mettere a frutto l’eredità della Resistenza facendo meglio di chi ha lottato prima di noi, che per questo ha lottato, perché in futuro si facesse meglio. Dal poco che si intravede, la rinascita di cui parliamo sarà più luminosa e grande del Rinascimento le cui tracce chiamano a Firenze e altrove milioni di turisti dal mondo intero. Lo prevediamo forti di quanto abbiamo finora compreso, dall’esame scientifico dell’esperienza con cui gli esseri umani fanno la loro storia e consapevoli che nel caso nostro non si tratta di una previsione come quelle meteorologiche, ma come quella di chi prevede di costruire case, città, ponti, percorsi di vita individuale e collettivi, con quanto di scienza e passione necessario all’opera. La previsione è un elemento della costruzione.

C’è un immagine di quel primo Rinascimento a illustrazione del rinnovamento di cui parliamo qui. Allora, come molti sanno, si credeva che la terra fosse piatta e ferma al centro di un sistema di volte celesti in movimento, una dentro all’altra come le scatole cinesi. Si vede quindi una superficie piatta, con case, castelli, fiumi e campi, sovrastata da una cupola con appiccicate tante stelle e un sole. Un uomo va ai bordi del piatto, fa un buco nella prima volta, e vede fuori un universo infinito. Questa immagine antica, del periodo in cui nacque la scienza moderna, ha qualcosa a che fare con quelli che nella piana di Sesto hanno cominciato a guardare al di fuori degli schemi fissi in cui la borghesia imperialista vorrebbe costringere i nostri pensieri e sogni.

Il declino della classe operaia bianca in America

big pharmadi James Petras e Robin Eastman-Abaya

11lug2016. – La classe operaia bianca negli Stati Uniti è stata decimata attraverso un’epidemia di ‘morti premature’ – un termine blando per coprire la caduta della speranza di vita nella demografia storica di questo popolo. Ci sono stati studi e rapporti passati in silenzio e marginalizzati su questa tendenza – ma le loro conclusioni non sono ancora entrate nella coscienza nazionale per motivi che cercheremo di esplorare in questo saggio.

In effetti, questa è la prima volta nella storia da ‘tempo di pace’ del paese che il suo tradizionale nevralgico settore produttivo ha registrato un tale drammatico calo demografico – e l’epicentro del fenomeno è nelle piccole città e comunità rurali degli Stati Uniti.

Le cause per ‘morte prematura’ (morire prima della normale aspettativa di vita – di solito in condizioni prevenibili) includono il forte aumento dei casi di suicidio, complicazioni non trattate da diabete e obesità e soprattutto l’”avvelenamento accidentale” – un eufemismo utilizzato per descrivere ciò che sono per lo più overdose da prescrizione e da droghe illegali, oltre che da interazioni farmacologiche tossiche.

Nessuno conosce il numero totale di decessi di cittadini americani a causa di un’overdose da droga o di fatali interazioni farmacologiche negli ultimi 20 anni, così come nessun organismo centrale ha tenuto traccia dei numeri di poveri uccisi dalla polizia a livello nazionale, ma partiamo da un  numero tondo al ribasso – 500.000 vittime della classe operaia, per lo più bianchi – e sfidiamo le autorità a produrre alcune statistiche reali con definizioni reali. In effetti, un tale numero potrebbe essere molto più alto – se includessimo i decessi fatali da interazione farmaceutica e gli ‘errori terapeutici’, che si verificano in ambiente domestico, ospedaliero e di cura.

Negli ultimi anni, decine di migliaia di Americani sono morti prematuramente a causa di un´overdose o di interazioni farmacologiche tossiche, per lo più relative a farmaci anti-dolorifici narcotizzanti, prescritti dai medici e da altri fornitori. Tra coloro che sono morti in numero sempre maggiore di overdose da oppiacei illegali, per lo più eroina, fentanil e metadone, la stragrande maggioranza è prima diventata dipendente dai potenti oppioidi sintetici prescritti dalla comunità medica, forniti dalle grandi catene farmaceutiche e prodotti con margini di profitto incredibili da parte delle case farmaceutiche leader. In sostanza, questa epidemia è stata promossa, sovvenzionata e protetta dal governo a tutti i livelli e riflette la promozione di un mercato medico-farmaceutico privato impazzito, che massimizza il profitto in ogni modo.

Ciò non si vede altrove nel mondo a questo livello. Ad esempio, nonostante la loro propensione per l’alcol, l’obesità e il tabacco – alla popolazione britannica paziente è stata sostanzialmente risparmiata quest’epidemia, perché il loro sistema sanitario nazionale è regolato e funziona con un’etica diversa: il benessere del paziente è valutato più del nudo profitto. Il quadro di cui stiamo parlando probabilmente non si sarebbe sviluppato negli Stati Uniti, se fosse stato istituito un sistema sanitario nazionale statale.

Di fronte alla crescente incidenza di veterani di ritorno dall’Iraq e dall’Afghanistan, che muoiono di overdose e di suicidio da oppioidi prescritti e per reazioni contrastanti, il corpo medico e chirurgico delle Forze Armate ha provocato audizioni di ‘emergenza’ al Senato degli Stati Uniti nel marzo 2010, in cui la testimonianza ha dimostrato che i medici militari avevano rilasciato 4 milioni di prescrizioni di narcotici potenti nel 2009, un aumento di 4 volte dal 2001. I membri del Senato coinvolti nelle audizioni, guidati da Virginia Jim Webb, hanno ammonito di non gettare una luce negativa su Big Pharma, tra i più grandi donatori delle campagne politiche.

L’immagine pubblica del soldato eroinomane di ritorno dalla guerra del Vietnam, che scuoteva la nazione, si era trasformata nel veterano dipendente dall’Oxycontin o dallo Xanax del nuovo millennio, grazie agli enormi contratti di Big Pharma con le Forze Armate degli Stati Uniti e dai quali i mass media hanno distolto lo sguardo. Suicidi, overdose e ‘morti improvvise’ hanno ucciso molti più soldati che i combattimenti.

Nessun’altra popolazione pacifica, probabilmente dalle Guerre dell’Oppio del 1839, è stata così devastata da un’epidemia di droga incoraggiata da un governo. Nel caso delle Guerre dell’Oppio, l’Impero Britannico e il suo braccio commerciale, la East India Company, cercarono un mercato per le loro enormi coltivazioni di oppio nel Sud-est asiatico e utilizzarono il proprio esercito e i loro alleati-mercenari cinesi, i signori della guerra, per imporre una distribuzione massiccia di oppio al popolo cinese, occupando Hong Kong nel processo, per farne un hub del loro commercio di oppio imperiale. Allarmato dagli effetti distruttivi della dipendenza sulla sua popolazione produttiva, il governo cinese cercò di vietare o regolamentare l’uso del narcotico. La sua sconfitta per mano britannica segnò il declino della Cina in uno stato semi-coloniale per tutto il secolo seguente – queste sono le conseguenze più a lungo termine dell’avere una popolazione dipendente.

Questo documento intende individuare: (1) la natura delle morti indotte dalla droga a lungo termine e su larga scala; (2) la dinamica della ‘transizione demografica per overdose’ e (3) l’economia politica della dipendenza da oppioidi. Questo documento non cita numeri o rapporti – questi sono ampiamente disponibili. Tuttavia essi sono sparsi, incompleti e, in generale, mancano di qualsiasi quadro teorico per capire, e perché no, affrontare il fenomeno.

Concludiamo discutendo se ogni ‘morte per prescrizione’ debba essere vista come una tragedia individuale, pianta in privato, o un crimine delle corporations, alimentato da avidità o anche da un modello di ‘social-darwinismo-su larga scala’, messo in campo da un apparato di potere guidato dalle élites.

Dall’avvento dei grandi cambiamenti politico-economici indotti dal neo-liberismo, la classe oligarchica dell´America affronta il problema di una grande e potenzialmente irrequieta popolazione di milioni di lavoratori emarginati e di membri della classe media in declino sociale, resi ridondanti dalla ‘globalizzazione’ e di poveri rurali arrabbiati, che sprofondano sempre più nello squallore. In altre parole, quando il capitale finanziario e gli organi dirigenti delle élites vedono un aumento della popolazione ‘inutile’ di lavoratori bianchi, di dipendenti e di poveri in questo contesto geografico, quali misure ‘pacifiche’ possono essere prese, per facilitare e incoraggiare il loro ‘declino naturale’?

Un modello simile è emerso nella prima crisi da ‘AIDS’, dove l’amministrazione Reagan ha deliberatamente ignorato l´impennata di morti tra i giovani Americani, in particolare tra le minoranze, adottando un approccio moralistico del tipo ‘è colpa della vittima’, fino a che l´influente e organizzata comunità gay ha richiesto l’intervento del governo.

 

La scala e la portata dei decessi per droga

Negli ultimi due decenni, centinaia di migliaia di Americani in età da lavoro sono morti per droga. La mancanza di dati concreti è uno scandalo. La scarsità è dovuta a un sistema frammentato, incompetente e deliberatamente incompleto, di cartelle cliniche e certificati di morte – in particolare nelle aree rurali più povere e nelle piccole città, in cui non vi è praticamente alcun supporto per produrre e mantenere registrazioni di qualità. Questo grande vuoto di dati è multiforme e ostacolato dai problemi del regionalismo e della mancanza di una chiara direzione nella sanità pubblica governativa.

All’inizio della crisi, i professionisti medici e i medici legali hanno assunto in gran parte un atteggiamento di ‘negazione’, sotto pressione perché certificassero le morti ‘inaspettate’ come ‘naturali, a causa di condizioni pre-esistenti’ – nonostante le prove schiaccianti che c’era stato un eccesso di prescrizione imprudente da parte della comunità medica locale. Quindici o venti anni fa, le famiglie delle vittime, isolate nelle loro piccole città, possono aver ricavato un certo vantaggio a breve termine, nel vedere la parola ‘naturale’ riferita alla morte prematura del loro amato. Comprensibilmente, una diagnosi di ‘morte per overdose da droga’ avrebbe provocato una tremenda vergogna sociale e personale tra le famiglie rurali e le piccole città della classe operaia bianca, che avevano tradizionalmente associato i narcotici con la minoranza urbana e i gruppi criminali. Rappresentavano se stessi come immuni a tale problema da ‘grande città’. Avevano fiducia nei ‘loro’ medici che, a loro volta, avevano fiducia nelle rassicurazioni di Big Pharma che i nuovi oppioidi sintetici non avrebbero prodotto dipendenza e potevano essere prescritti in grandi quantità.

Nonostante la lenta crescita di consapevolezza da parte della comunità medica locale di questo problema, ci sono stati pochi tentativi di educare la popolazione a rischio e ancora meno tentativi di contenere i ’fraterni’ dottori dalla prescrizione facile e le ‘cliniche del dolore’ private. Essi, o i loro infermieri praticoni e i PA, non hanno avvisato i pazienti degli immensi rischi di combinare oppioidi con alcol o tranquillanti. Molti, infatti, non erano nemmeno a conoscenza di ciò che ai loro pazienti era stato prescritto da altre fonti. Non era inusuale vedere giovani adulti sani con più prescrizioni da parte di molteplici operatori.

Durante gli ultimi decenni, in regime neo-liberista, i bilanci dei distretti di salute rurali sono stati spogliati dai programmi di austerità promossi dall’austerity, portata avanti dal business. Nello stesso tempo, il governo federale ha ordinato che si attuassero piani costosi e assurdi per affrontare il ‘bio-terrorismo’. Spesso, ai dipartimenti di salute mancava il budget necessario per pagare la costosa sperimentazione tossicologica forense, necessaria a documentare i livelli di farmaco nei casi di overdose sospette tra la propria popolazione.

Ad aggravare ulteriormente questa mancanza di dati di qualità, non vi era alcuna guida o coordinamento da parte del governo federale e statale o da parte della DEA distrettuale, in materia di documentazione sistematica e di sviluppo di una banca dati, utilizzabile per analizzare le conseguenze diffuse dell’eccesso di prescrizione delle sostanze stupefacenti legali. La crisi al suo inizio ricevette solo minima attenzione da parte di questi organismi.

Tutti gli sguardi ufficiali erano puntati sulla ‘guerra alla droga’, come veniva portata avanti contro i poveri della minoranza urbana. Le piccole città, dove i dottori eccedenti nella prescrizione formavano i pilastri delle chiese locali o dei country clubs, soffrivano in silenzio. Il grande pubblico era indotto dalla dis-educazione dei media a pensare che la dipendenza e i decessi correlati fossero un problema da ‘centro storico’, tale da richiedere la solita risposta razzista di riempire le carceri con i giovani neri ed ispanici per reati minori o possesso di droga.

Ma all’interno di questo vuoto, i bambini della classe operaia bianca cominciavano a comporre il ‘911’ … perché “mamma non si sveglia …”. Mamma con i suoi ‘palliativi prescritti a base di di Fentanyl’ aveva appena preso un solo Xanax di troppo e devastato un intero nucleo familiare. Era l´inizio di un’epidemia devastante. Attraverso tutto il paese, questi casi allarmanti crescevano. Alcune contee rurali hanno visto la percentuale di bambini tossico-dipendenti, nati da madri tossico-dipendenti, sopraffare i rispettivi sistemi ospedalieri, del tutto impreparati. E le pagine locali dei necrologi pubblicavano numeri crescenti di giovani nomi e volti, al di là degli anziani – non pubblicando nulla sulla ‘causa’ della scomparsa prematura, allo stesso tempo dedicando paragrafi a un ottantenne dipartito.

Le recenti tendenze dimostrano che i decessi per droga (sia overdose da oppioidi che interazioni miste fatali con altri farmaci e alcol) hanno avuto un impatto importante sulla composizione della forza-lavoro locale, sulle famiglie, sulle comunità e sui quartieri. Ciò ha avuto un riflesso sulla vita dei lavoratori, la cui vita e occupazione personale è stata gravemente colpita dalla de-localizzazione dell’impianto aziendale, dal ri-dimensionamento, dai tagli ai salari e al sostegno alla salute. I sistemi tradizionali di sostegno, che fornivano un aiuto ai lavoratori danneggiati da queste tendenze, come i sindacati, gli operatori sociali pubblici e i professionisti della salute mentale, o non sono stati in grado o non hanno inteso intervenire prima o dopo che il flagello della tossico-dipendenza entrasse in campo.

 La dinamica demografica della morte indotta dalle droghe

Quasi tutti i rapporti pubblicizzati ignorano la demografia e il differenziale di classe dell´impatto dei decessi correlati alla prescrizione di droghe. La maggior parte delle persone uccise da droghe illegali sono state prima dipendenti da sostanze stupefacenti legali, prescritte dai loro fornitori. Solo i decessi per overdose delle celebrità riescono a raggiungere i titoli dei giornali.

La maggior parte delle vittime sono state membri disoccupati o sotto-occupati a basso reddito della classe operaia bianca. Le loro prospettive per il futuro sono deprimenti. Qualsiasi sogno di creare una sana vita familiare basandosi su di un solo stipendio nello ‘Heartland America’ provocherebbe la risata. Si tratta di una popolazione nazionale enorme, che ha conosciuto un rapido declino delle proprie condizioni di vita, a causa della de-industrializzazione. La maggior parte delle vittime di overdose mortali sono maschi bianchi in età da lavoro, ma con una grande percentuale di donne della classe operaia, spesso madri con bambini. C’è stata poca discussione circa l’impatto di una morte per overdose in età lavorativa sulla famiglia allargata. Includendo anche le nonne cinquantenni. In questa demografia, le donne spesso forniscono una problematica coesione e stabilità a diverse generazioni a rischio.

A quanto pare, la popolazione minoritaria degli Stati Uniti ha finora sfuggito questa epidemia. I neri americani e gli ispanici erano già stati depressi ed economicamente emarginati per un periodo molto più lungo – e il minor tasso di decessi per droga da prescrizione tra loro popolazioni può riflettere una maggiore capacità di recupero. Essa riflette certamente il loro accesso ridotto all’eccesso di prescrizione da parte della comunità medica del settore privato – un paradosso triste, per cui ‘l’abbandono’ medico potrebbe effettivamente essere stato ‘positivo’.

Mentre ci possono essere pochi studi basati sulla classe riguardo le tendenze comparative dei ‘decessi per overdose’ tra le minoranze urbane e i bianchi delle piccole/rurali cittadine, provenienti dai dipartimenti universitari della salute pubblica o degli studi sulle minoranze, le prove aneddotiche e le osservazioni personali suggeriscono che le minoranze delle popolazioni urbane sono più propense a fornire assistenza a un vicino in overdose o a un amico, rispetto alla comunità bianca, dove i tossico-dipendenti tendono con più probabilità a essere isolati e abbandonati dai membri della famiglia che si vergognano della loro ‘debolezza’. Anche la pratica dello ‘scarico’ di un amico in overdose all’ingresso di un dipartimento di emergenza, prima di allontanarsi a piedi, ha salvato molte vite. Le minoranze urbane hanno un maggiore accesso e familiarità con le caotiche strutture di pronto soccorso delle grandi città, dove il personale medico è abile nel riconoscere e trattare un´overdose. Dopo decenni di lotte per i diritti civili, le minoranze sono forse più sofisticate nel far valere i loro diritti in materia di utilizzo di tali risorse pubbliche. Ci può essere anche una cultura relativamente più forte della solidarietà tra le minoranze emarginate nel prestare assistenza o la consapevolezza delle conseguenze di non portare il proprio vicino al pronto soccorso. Questi meccanismi di sopravvivenza urbana sono stati in gran parte assenti nelle aree rurali bianche.

A livello nazionale, i medici degli Stati Uniti erano stati a lungo dissuasi dal prescrivere potenti oppioidi sintetici ai pazienti appartenenti alle minoranze, anche a quelli con dolore significativo. Ci sono vari fattori qui, ma la comunità medica non è stata immune allo stereotipo del tossico-dipendente o spacciatore urbano, ispanico o nero. Forse, questo diffuso ‘razzismo’ medico, nel contesto dell’epidemia di prescrizione degli oppioidi, ha paradossalmente avuto un qualche beneficio.

Qualunque sia la ragione, i tossico-dipendenti delle minoranze urbane che si trovano ad affrontare un’overdose, in gran parte hanno maggiori probabilità di sopravvivere a un’overdose da oppiacei, rispetto ai bianchi delle piccole città rurali, che non hanno familiarità con gli stupefacenti e i loro effetti.

Nelle piccole città rurali (de-industrializzate) dello Heartland statunitense vi è stato un’enorme crollo nella solidarietà familiare e di comunità. Ciò è conseguito alla distruzione di una secolare base occupazionale stabile, in particolare nel settore manifatturiero, minerario e nei settori agricoli produttivi. Solo la Russia post-sovietica ha sperimentato un modello simile di diminuzione della speranza di vita per ‘intossicazione’ (alcol e droghe), in seguito alla distruzione, a livello nazionale, del suo sistema di piena occupazione socializzata e di distribuzione di tutti i servizi sociali. Inoltre, la perdita del compatto apparato della polizia sovietica e la crescita di una classe oligarchico-mafiosa ha provocato l’enorme invasione di eroina dall’Afghanistan.

La crescita della dipendenza da oppioidi non si basa su di una ‘scelta personale’, né è il risultato di cambiamenti culturali negli stili di vita. Seppure tutte le classi e i livelli di istruzione sono compresi tra le vittime, la stragrande maggioranza sono membri giovani della classe operaia bianca e dei poveri. Esse coprono tutte le età, compresi gli adolescenti in recupero da infortuni sportivi, così come gli anziani con dolore alle articolazioni e alla schiena. L’aumento della dipendenza è il risultato dei grandi cambiamenti dell’economia e della struttura sociale. Le regioni più colpite dalle morti per overdose sono quelle in profondo, prolungato e permanente declino, comprese le ex regioni della “rust belt”, le piccole città produttive del New England, dell’Upstate New York, della Pennsylvania, del Sud rurale e delle regioni agricole, minerarie e forestali dell’ovest.

Si tratta del risultato di decisioni manageriali private, volte a: (1) ri-posizionare le aziende produttive statunitensi all’estero o in remote regioni del paese non appartenenti all’unione; (2) forzare dipendenti una volta ben pagati verso lavori meno retribuiti; (3) sostituire i lavoratori americani con immigrati stranieri qualificati e non qualificati o lavoratori ‘a tempo’ scarsamente retribuiti; (4) eliminare i benefici pensionistici e sanitari e (5) introdurre nuove tecnologie – tra cui i robots– che eliminano la forza-lavoro, rendendo i lavoratori umani ridondanti. Questi cambiamenti nel rapporto capitale-lavoro hanno creato enormi profitti per i dirigenti e gli investitori, mentre producono un’eccedenza di forza-lavoro, che mette ancora più pressione sui giovani lavoratori al primo impiego e sui lavoratori anziani. Non ci sono stati efficaci programmi di protezione/creazione di impiego sostenibile, per affrontare i decenni di declino dell’occupazione ben pagata. Buoni posti di lavoro sono stati sostituiti dal salario minimo, dai servizi di settore del tipo ‘MacJobs’ o da lavori produttivi temporanei, mal pagati, senza benefici o protezioni. In tutto questa regione devastato dell’heartland, i costosi programmi propagandati, come lo ‘Start-Up New York’, non sono riusciti a portare a posti di lavoro dignitosi, mentre sono stati spesi centinaia di milioni di denaro pubblico in PR gratis per i politici statali.

L’epidemia di tossico-dipendenza è stata più letale proprio in quelle regioni caratterizzate dalla perdita di lavoro industriale e dal declino dei salari da lavoro, così come anche nei settori depressi, una volta protetti, dell’agro-alimentare di trasformazione, dove i lavoratori protetti sono stati sostituiti da immigrati con un salario minimo. La perdita di posti di lavoro stabili è stata accompagnata da una svendita dei servizi sociali e da enormi tagli alle prestazioni – proprio quando tali servizi avrebbero dovuto essere rafforzati.

Proprio perché il cosiddetto ‘problema della droga’ è legato ai grandi cambiamenti demografici, derivanti dalle dinamiche delle variazioni capitalistiche, non è mai stato al centro della ricerca finanziata con fondi delle fondazioni aziendali e delle élites di governo – a differenza della loro fissazione sulla ‘radicalizzazione dei musulmani’ o delle ‘tendenze della criminalità urbana’. La ricerca ha teso a concentrarsi sulle “minoranze” o semplicemente ha rosicchiato alla periferia del fenomeno corrente. Buoni studi e dati avrebbero fornito il razionale e la base per i principali programmi pubblici, volti a proteggere la vita dei lavoratori bianchi emarginati e a invertire le tendenze letali. A livello nazionale, l´assenza decennale di ricerca e di dati su questo fenomeno ha giustificato la clamorosa assenza di una risposta governativa efficace. Qui ‘l’abbandono’ non è stato ‘positivo.

In parallelo con l’aumento della dipendenza da oppioidi, vi è stato un aumento astronomico nella prescrizione di psico-farmaci e anti-depressivi per la stessa popolazione – altrettanto altamente redditizi per Big Pharma. Il modello di prescrivere tali farmaci agenti sull´umore, così potenti e potenzialmente pericolosi, ad Americani in discesa nella scala sociale per ‘trattare’ o sedare ansietà e reazioni al deterioramento della loro condizione materiale, ha avuto profonde conseguenze. Tali individui, spesso in regime di assistenza da disoccupazione o MEDICAID, possono essere tenuti a seguire un complesso regime quotidiano di fino a nove farmaci – oltre i loro farmaci stupefacenti contro il dolore, mentre cercano di far fronte al loro mondo in rovina.

Laddove un lavoro dignitoso con un salario decente sarebbe in grado di trattare efficacemente la disperazione di un lavoratore emarginato, senza ‘effetti collaterali’ spiacevoli o pericolosi, la comunità medica e psichiatrica ha sempre indirizzato i loro pazienti a Big Pharma. Di conseguenza, le analisi tossicologiche post-mortem mostrano molteplici farmaci psicotropi e anti-depressivi, oltre a sostanze stupefacenti nei casi di decessi per overdose da oppioidi. Anche se questo può costituire un´abdicazione di responsabilità del medico fornitore per i pazienti, è anche un riflesso della totale impotenza della comunità medica di fronte alla disgregazione sociale sistemica – che è avvenuta nelle comunità emarginate, in cui si concentrano i decessi per overdose da droga.

Gli studi demografici, nella migliore delle ipotesi, identificano le vittime della tossico-dipendenza. Ma la loro scelta di trattare la loro disperazione come ‘problema individuale’, che si verifica in uno ‘specifico contesto immediato’, trascura le più ampie strutture politiche ed economiche, che hanno creato le basi per la morte prematura.

 

L’economia politica delle morti da overdose

Quando i resti di una giovane vittima di overdose della classe operaia vengono portati in una camera mortuaria, la sua prematura scomparsa è etichettata come overdose ‘auto-inflitta’ o ‘accidentale’ da oppioidi e una grande macchina di copertura è messa in moto: la sequenza che porta alla morte è avvolta nel mistero, non si persegue una più profonda comprensione dei fattori socio-culturali ed economici. Al contrario, la vittima o la sua (di lui o di lei) cultura è incolpata del risultato finale di una complessa catena di decisioni economiche delle élites capitalistiche e delle manovre politiche, di cui la morte prematura di un lavoratore è un mero evento collaterale. La comunità mediatica ha semplicemente funzionato come cinghia di trasmissione in questo processo, piuttosto che come un agente al servizio del pubblico.

La stragrande maggioranza dei decessi per overdose sono, in realtà, le vittime di decisioni e di sconfitte di gran lunga al di fuori del loro controllo. Le loro dipendenze hanno accorciato la loro vita, così come offuscato la loro comprensione degli eventi e minato la loro capacità di impegnarsi nella lotta di classe, per invertire questa tendenza. È stata una soluzione perfetta per i prevedibili problemi demografici del neo-liberismo brutale in America.

Wall Street e Washington hanno progettato la macro-economia che ha eliminato posti di lavoro dignitosi, tagliato salari e benefici. Come risultato, milioni di lavoratori emarginati e disoccupati sono sotto tremenda tensione e ricorrono a soluzioni farmacologiche per sopportare il loro dolore, perché non sono organizzati. Il ruolo storico di primo piano delle organizzazioni sindacali e comunitarie è stato fato fuori. Invece, i lavoratori ridondanti sono ‘incaricati da Big Pharma’ di scavare la propria fossa e i leaders della classe sono introvabili.

In secondo luogo, il posto di lavoro è diventato molto più pericoloso nel ‘nuovo ordine economico’. I padroni non temono più i sindacati e le norme di sicurezza: molti lavoratori sono accidentati per l’accelerazione del ritmo di lavoro, per gli orari più lunghi, per la formazione professionale difettosa e la mancanza di supervisione federale delle condizioni di lavoro. I lavoratori infortunati, privi di qualsiasi controllo giurisdizionale, sindacale, o di protezione da parte dell´ente pubblico, giustamente temono ritorsioni per aver segnalato il loro infortunio sul lavoro e sempre più ricorrono a sostanze stupefacenti su prescrizione medica, per far fronte al dolore acuto e cronico, mentre continuano a lavorare.

Quando i datori di lavoro consentono ai lavoratori di segnalare gli incidenti, la bassa copertura e i limitati trattamenti disponibili incoraggiano i fornitori a prescrivere in eccesso sostanze stupefacenti in aggiunta ad altri farmaci con interazioni potenzialmente pericolose. Molte cliniche del dolore, contrattate dai datori di lavoro, sono desiderose di trarre profitto dai clienti feriti, mentre le aziende farmaceutiche promuovono attivamente potenti narcotici sintetici.

Si forma una catena viziosa: la produzione farmaceutica di massa del settore narcotici è stata tra i suoi prodotti più redditizi. Le catene farmaceutiche aziendali coprono le prescrizioni scritte da decine di migliaia di ‘fornitori’ (medici, dentisti, infermieri e assistenti del medico), che hanno in realtà solo una limitata quantità di tempo per esaminare un lavoratore infortunato. Le condizioni di lavoro deteriorate creano l´incidente e gli operai diventano consumatori del sollievo miracoloso di Big Pharma – l´Oxycontin o i suoi cugini – che per un decennio i venditori di droga avevano propagandato come ‘non causante dipendenza’. Una lunga fila di professionisti altamente qualificati, tra cui medici e altri fornitori, patologi, medici esaminatori e legali, coprono attentamente di carte la vera causa, i responsabili aziendali, al fine di proteggersi dalle rappresaglie aziendali, nel caso in cui dovessero ‘soffiare nel fischietto’ (espressione inglese equivalente a: accusare la corruzione, N.d.T.). Dietro la facciata scientifica, c’è un darwinismo sociale che pochi sono disposti a combattere.

Solo di recente, a fronte dei numeri incredibili di ricoveri e decessi per overdose da stupefacenti, il governo federale ha iniziato a stanziare fondi per la ricerca. I ricercatori accademico-medici hanno iniziato a raccogliere e pubblicizzare i dati sulla crescente epidemia di morti da oppioidi; essi forniscono mappe scioccanti delle contee e regioni più colpite. Si uniscono al coro nel sollecitare le agenzie federali e statali a diventare più attivamente coinvolte nella solita panacea: ‘educazione e prevenzione’. Quest´alveare di attività è partito due decenni troppo tardi rispetto all´epidemia e puzza di cinismo.

Il finanziamento per la ricerca di questo fenomeno non si tradurrà in nessun programma efficace a lungo termine, per affrontare le “crisi da capitalismo” di queste piccole comunità di base. Non vi è nessuna istituzione disposta ad affrontare la causa fondamentale: la devastazione capitalistica dei rapporti di lavoro nell´America del post-millennio, la natura corrotta dei legami statali-aziendali-farmaceutici e il carattere caotico, guidato dal profitto, del nostro sistema sanitario privato. Molti pochi autori mostrano come un sistema di salute nazionale e pubblico, finanziato dal contribuente, avrebbe chiaramente impedito l´epidemia fin dall’inizio.

 

 Conclusioni

Perché le élites capitalistico-statali e farmaceutiche sostengono un processo socio-economico, che ha portato alla morte su grande scala e a lungo termine dei lavoratori e dei loro familiar, nelle zone rurali e della provincia americana?

Un´ipotesi pronta e convincente è che le moderne dinamiche élites corporative traggono profitto dai risultati del ‘cambiamento demografico per overdose.’

Le aziende guadagnano miliardi di dollari di profitti dal ‘naturale declino’ di lavoratori in esubero: tagliando le prestazioni sociali e di lavoro, come ad esempio i piani di salute, la pensione, le vacanze, i programmi di formazione lavorativa, permettendo ai datori di lavoro di aumentare i tassi di profitto, i guadagni in conto capitale, i bonus e gli aumenti per i dirigenti. I servizi pubblici sono eliminati, le tasse sono ridotte e i lavoratori, quando necessari, possono essere importati – già del tutto formati – dall’estero, per lavori temporanei in un ‘mercato del lavoro libero’.

I capitalisti traggono ancor più profitto dai guadagni tecnologici – robot, informatizzazione, ecc. – assicurandosi che i lavoratori non godano di orari ridotti o aumento delle ferie, derivanti dalla loro maggiore produttività. Perché condividere i risultati dei guadagni di produttività con gli operai, quando i lavoratori possono semplicemente essere eliminati? I lavoratori insoddisfatti possono cadere in depressione o ‘buttare giù una pillola’, ma mai organizzarsi per riprendere il controllo delle loro vite e futuro.

Gli esperti elettorali e gli esperti politici possono sostenere che i lavoratori bianchi americani respingono i maggiori partiti del sistema, perché sono ‘arrabbiati’ e ‘razzisti’. Questi sono gli operai, che ora si rivolgono ad un ‘Donald Trump’. Ma un’analisi più approfondita rivelerebbe il loro rifiuto razionale dei leaders politici, che si sono rifiutati di condannare lo sfruttamento capitalistico e affrontare l’epidemia di morte per overdose.

Esiste una base di classe per questo vero e proprio genocidio con i narcotici, che infuria tra i lavoratori bianchi e i disoccupati nelle piccole città e nelle aree rurali dell´America: è la soluzione aziendale ‘perfetta’ per una forza-lavoro in esubero. È tempo per i lavoratori americani e i loro leaders di risvegliarsi a questo fatto crudele e di resistere a questa guerra di classe unilaterale o di continuare a piangere più morti premature nel proprio silenzio farmaco-indotto.

Ed è giunto il momento per la comunità medica di richiedere un sistema sanitario nazionale ‘paziente-centrico’, che premi il servizio al di sopra del profitto e la responsabilità sulla complicità silente.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Marco Nieli]

Napoli 29lug2016: Con il Venezuela che resiste!

di #‎FestadellaRiscossaPopolare‬ 2016
Napoli, Parco dei Camaldoli

29 Luglio, GIORNATA PER LA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE E LOTTA ALLA GUERRA
organizzata dal ‪#‎PartitodeiCARC‬ e dal Consolato della‪ #‎RepubblicaBolivarianadelVenezuela‬ di Napoli.

h.17.00 Dibattito
CON IL VENEZUELA CHE RESISTE!
CONTRO LE GUERRE IMPERIALISTE!
COMBATTIAMO IL NEMICO IN CASA NOSTRA!

La Comunità internazionale dei gruppi imperialisti americani, europei e sionisti sprofonda il mondo intero nella guerra. Questa è la sola via a disposizione della borghesia imperialista per fare fronte alla crisi generale del capitalismo in corso. Dilaga l’aggressione imperialista ai popoli dei paesi oppressi dall’America Latina al Medio Oriente all’Africa, da un capo all’altro del mondo si acuiscono gli scontri tra i gruppi imperialisti divisi nella lotta per spartirsi il bottino dei loro saccheggi (a costo di sconvolgere alleanze consolidate come ci insegna il golpe in Turchia e lo scontro tra Erdogan e Obama) e uniti nell’attacco alle masse popolari.

I paesi le cui Autorità e i cui popoli non si piegano ai voleri dei gruppi imperialisti sono i primi paesi ad essere colpiti con la guerra, i blocchi economici, i boicottaggi e i tentativi di golpe. E’ in questo contesto che si inseriscono i tentativi di destabilizzazione del Venezuela bolivariano, avamposto della resistenza antimperialista dei popoli dell’America Latina. Tuttavia l’elenco si allunga al golpe attuato in Brasile, alla guerra che da anni sconvolge la Siria, il Donbass e il Kurdistan, alcuni degli scenari in cui si manifesta la guerra in cui la Comunità Internazionale sprofonda il mondo. Una guerra che in altre forme e modi la borghesia imperialista promuove anche all’interno degli stessi paesi imperialisti principalmente tramite l’eliminazione sistematica delle conquiste dei lavoratori e delle masse popolari.

In Italia e anche negli altri paesi imperialisti i crimini di USA, UE e sionisti suscitano la rabbia, lo sdegno e la solidarietà dei comunisti, dei progressisti e dei sinceri democratici verso lotte eroiche come quella del popolo venezuelano e del suo governo che il 29 luglio, tramite il Consolato a Napoli della Repubblica Bolivariana, è co-promotore del dibattito.

I comunisti italiani sostengono la resistenza eroica del Venezuela, della Siria, del Donbass anzitutto costruendo la rivoluzione socialista in Italia. La più alta forma di solidarietà verso la lotta di questi popoli è sovvertire la Comunità Internazionale di USA, UE e sionisti a partire dalle sue roccaforti. Il primo paese imperialista in cui le masse popolari romperanno le catene della Comunità internazionale aprirà la strada e mostrerà la via anche alle masse popolari degli altri paesi imperialisti per rompere con l’attuale disastroso corso delle cose. Organizziamoci per combattere il nemico in casa nostra.

INTERVENGONO:
– Pietro Vangeli, segretario nazionale Partito dei CARC
– Amarils Gutiérrez Graffe, console della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli
– Giorgio Cremaschi, Piattaforma Sociale Eurostop

ADERISCONO:
– Egidio Giordano, Rete Kurdistan
– 99 Posse
– Patrick Boylan, Rete NO WAR
– Luke Alden, US Citizen for Peace
– Diana Volkova, Associazione Giovanile di Lugansk – Donbass
– Svitlana Hryhorchuk, Movimento Internazionale Antifascista

Sono invitati a partecipare al dibattito gli organismi politici, sindacali, sociali che vogliono contribuire alla riflessione collettiva al centro del dibattito.

A seguire

h.21.00: ‪#‎live‬
‪#‎U_Led‬
‪#‎99POSSE‬ – IL TEMPO. LE PAROLE. IL SUONO.
(sottoscrizione 5 euro)

Su Fb: https://www.facebook.com/events/313036735708271/?notif_t=plan_admin_added&notif_id=1468685759492130
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Gioiosa Ionica: moneta alternativa con i volti del Che, Marx e Chávez

da L’Andiplomatico

L’utilizzo di questa nuova moneta riservata ai richiedenti asilo ha un duplice scopo: economico e antirazzista

Una moneta alternativa riservata ai rifugiati con i volti di Karl Marx, Ernesto ‘Che’ Guevara e Hugo Chavez. Questa l’idea a sfondo antirazzista messa in campo dal comune di Gioiosa Ionica, in Calabria, che ospita all’incirca 75 rifugiati. 

 

I richiedenti asilo possono utilizzare queste banconote ‘false’ solo nel piccolo comune calabrese. I commercianti potranno poi convertire questi biglietti falsi in monete reali grazie ai fondi stanziati dallo Stato alle località che ospitano rifugiati richiedenti asilo. Si tratta di 35 euro a rifugiato che lo Stato italiano stanzia per far fronte alle esigenze dei richiedenti asilo. 

 

«Un progetto come il nostro, con 75 rifugiati, ci porta circa 1 milione di euro all’anno (…) questo denaro viene dato alla località, no ai migranti. Se lo compariamo con il budget annuale del nostro municipio, che è di 8 milioni di euro, per noi è un grande aiuto economico», queste le parole del sindaco Salvatore Fuda, il quale ha poi aggiunto che si tratta anche di un’esperienza di multiculturalità per i giovani del posto. 

 

La notizia ha ottenuto molto spazio all’estero, dalla BBC ad Al Jazeera passando per la russa RT, mentre nel panorama informativo italiano registriamo un sostanziale silenzio. 

La Francia è responsabile della creazione dello Stato Islamico

obama e hollandea cura di Rafael Tatemoto, San Paolo, Brasile

15lug2016.- Per Reginaldo Nasser, della PUC-SP (università di San Paolo, Brasile), l’intervento delle grandi potenze in Medio Oriente è la principale causa del terrorismo. Francia e Stati Uniti, in contrasto con il governo siriano, hanno incoraggiato la nascita del gruppo terroristico. Dal gennaio 2015, la Francia ha subito tre grandi attacchi terroristici. L’ultimo si è verificato Giovedì 14 nella città di Nizza, durante le celebrazioni della Rivoluzione Francese e ha ucciso almeno 84 persone, ferendone centinaia.

Per analizzare gli eventi degli ultimi giorni, Brasil de Fato ha intervistato il professore della PUC di San Paolo Reginaldo Nasser. Secondo lui, la causa principale della nascita del terrorismo contemporaneo è l’ingerenza delle grandi potenze occidentali in Medio Oriente. “Gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna sono coinvolte nella creazione dello Stato Islamico”, afferma.

Un altro punto sollevato da Nasser è il fatto che, in contrasto con quanto riportato nei notiziari ufficiali, la maggior parte delle vittime degli attacchi sono Musulmani. “Quando accade un attacco in alcuni paesi richiama l’attenzione, ma in altri è normale, è la vita quotidiana.”

 

Qui di seguito l’intervista completa:

Brasil de Fato:  Perché la Francia è diventata un obiettivo prioritario del terrorismo?

Reginaldo Nasser: Le organizzazioni terroristiche, qualunque esse siano, hanno i loro scopi politici. Per quanto crudele sia il metodo, i morti sono un messaggio a qualcuno. Dal governo Sarkozy, continuando con Hollande, la Francia ha iniziato a intervenire molto di più nei conflitti internazionali, a differenza di quanto avvenuto in epoca Chirac, che si è opposto soprattutto all’intervento in Iraq. La Francia, intervenendo, ha cominciato a scegliersi i propri nemici. Uno di questi nemici – cui il governo francese ha dichiarato guerra – è lo Stato Islamico. A partire da questo momento, la Francia è diventata un obiettivo per il terrorismo.

B.d.F.: La composizione etnica della società francese non influenza tutto ciò?

R.N.: Per niente. Ci sono 4,5 milioni di Musulmani in Francia, quanti partecipano a organizzazioni terroristiche? Il numero di 100 sarebbe già sovra-estimato. La Germania ne ha anche più della Francia. Questa è una falsa correlazione. Se questo fosse vero, perché avviene ora, negli ultimi anni, e non prima? Questo problema è chiaramente collegato con gli aspetti politici. Negli attentati dell’11 settembre, la Francia non è stata coinvolta – lo sono stati invece gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Spagna, che furono il bersaglio di attacchi. La Francia ha poi guidato l’intervento in Libia. È intervenuta in Mali. Tra i paesi europei, era quello che più chiedeva di intervenire in Siria. Direi che l’unica ragione è politica. Il terrore ha obiettivi politici.

B.d.F.: Qual è il messaggio e l’obiettivo quindi? Allontanare l’Occidente dal Medio Oriente?

R.N.: Ecco. Qualunque sia l’attacco, quando è contro i civili, dà un altro messaggio, sottolineando che il governo non è in grado di proteggere i propri cittadini. Si tratta di un messaggio di “trattativa”. “Fermate gli interventi e noi fermiamo gli attacchi.” A ogni attentato, la Francia reagisce dicendo che agirà più intensamente, inasprisce le sue leggi. È inutile, ottiene solo di peggiorare la situazione, aumentando la tensione del contesto – è quello che il terrorismo vuole.

B.d.F.: Da questo punto di vista, come trattare con lo Stato islamico?

R.N.: La prima cosa è l’origine dello Stato Islamico. Non si può ignorare la questione. Come tutti sanno, l’Arabia Saudita e, indirettamente, gli Stati Uniti, così come la Francia e l’Inghilterra, sono stati coinvolti nella creazione dello Stato Islamico. Era un piccolo gruppo all’interno di Al Qaeda e ha cominciato a essere rifornito di armi e intelligence da molto tempo in qua. Il libro del giornalista Patrick Cockburn cita fonti e documenti che lo dimostrano. I servizi segreti delle grandi potenze sono stati presenti fin dall’inizio nel conflitto in Siria, e prima ancora in Iraq. Sia con servizi di intelligence che di fornitura di armi. Gli Stati Uniti e la Francia hanno detto che lo stavano facendo. Hanno detto che stavano inviando armi ai ribelli. Le armi ai ribelli, in un contesto di guerra civile, non si sa dove vanno a finire. C’è una complicità.

C’è poi un’altra domanda, semplice e obiettiva. Gli Stati Uniti e la Francia, che hanno a che fare con il conflitto in Siria e in Iraq? Le grandi potenze si assumono la responsabilità per una serie di conflitti nel mondo. Assumendola, intervengono e diventano bersagli. Smettere di essere un obiettivo è conseguente allo smettere di interferire.

Prendiamo il caso della Turchia. Il paese, inizialmente, sosteneva lo Stato Islamico, dal momento che era conveniente che per loro che questo combatesse, da un lato, contro i Curdi e, dall’altro, contro Assad. Da un anno a questa parte, la Turchia ha cambiato il suo atteggiamento verso lo Stato Islamico, su pressione degli Stati Uniti. Che cosa è successo? E’ diventata un bersaglio per il terrorismo.

Tutti questi attori sono coinvolti. Purtroppo, il terrore, invece di attaccare le forze militari e di governo, hanno attaccato i civili di quei paesi, che sono le principali vittime.

B.d.F.: C’è una certa ambiguità per quanto riguarda lo Stato Islamico, allora? Così è stato in grado di espandersi?

R.N.: I giornalisti più affidabili dicono che la Turchia e Israele comprano il petrolio dallo Stato Islamico. Questa è un’altra questione: come si finanzia? Come acquista armi, mantiene un´estensione di territorio grande quanto la Giordania, amministra circa sei milioni di persone? Queste cose devono essere indagate, ma nessuno vi presta attenzione.

B.d.F.: Perché le potenze hanno cambiato posizione riguardo al gruppo?

R.N.: È la tipica questione: li sostieni quando sono piccoli, quando crescono e diventano potenti come te, diventano il nemico. Lo Stato Islamico ha acquisito notorietà in un anno e mezzo. Agli Stati Uniti interessava destabilizzare il governo siriano. Dal momento in cui ha iniziato a minacciare i suoi alleati e interessi, si è trasformato in nemico. Questo è il caso dei Talebani [in Afghanistan], che gli Stati Uniti hanno sostenuto contro l’Unione Sovietica e poi si sono trasformati in nemici.

Gli Stati Uniti continuano a intervenire con le armi lì. Se lo Stato Islamico scompare, si può essere sicuri, che, ecco, ne arriva un altro dopo qualche anno. Si diceva che Al Qaeda era la cosa peggiore del mondo. Ora è lo Stato Islamico. Ben presto, ce ne sarà un altro che li supererà.

B.d.F: Riassumendo, è la stessa guerra al terrore che intensifica il terrorismo?

R.N.: Senza dubbio. Nel 2002, sono state uccise circa 2.500 persone in tutto il mondo dal terrorismo. L’anno scorso, ce ne sono state circa 37.000. Durante questo periodo di 13 anni, che cosa è successo? Le grandi potenze in cosa hanno investito? Finirla col terrorismo.

Intervenendo in Afghanistan, in Iraq, in mezzo mondo e uccidendo persone innocenti. Il risultato? Aumento del terrorismo.

L’80% delle morti, vittime del terrorismo, sono Musulmani e sono in cinque paesi: Siria, Iraq, Pakistan, Nigeria e Afghanistan. Prendiamo la storia della Francia: se non sbaglio, dagli anni ’50 fino ad oggi, 1.800 persone sono morte in attacchi terroristici. In questi paesi, è il numero che muore in un mese.

Quando ha luogo un attentato in alcuni paesi, richiama l’attenzione, ma è regolare e di routine in questi altri posti.

Saddam era un dittatore, uno dei peggiori mai esistiti. Tuttavia, fino al 2002, non vi era mai stato un attentato in Iraq. In Afghanistan, idem: c´erano guerriglieri, non attentati. Dopo l’invasione, sono cominciati gli attentati. E la Francia continua ad alimentare tutto ciò, dichiarando guerra. Il giorno prima, sulla copertina del [quotidiano] Le Monde c´era una dichiarazione di [François] Hollande [presidente francese], che diceva che avrebbe mandato la portaerei Charles de Gaulle in Iraq. Ovviamente, ci sarà una reazione.

B.d.F.: A causa delle Olimpiadi, si è aperto il dibattito sul terrorismo in Brasile, e abbiamo già una legge specifica in materia. Stiamo adottando il modello delle grandi potenze?

R.N.: Non solo il Brasile, il mondo intero sta seguendo il modello delle grandi potenze, il modello nordamericano. Così, le leggi si moltiplicano: il Brasile ha una legge anti-terrorismo, senza avere terrorismo. La cosa più interessante è che il progetto è venuto dal Ministero delle Finanze, perché è arrivato attraverso il canale del G7. Il G7 ha finito per diffondere questo sistema, non per porre fine al terrorismo, ma per reprimere i movimenti sociali.

C’è anche una esagerazione della minaccia del terrorismo. In Brasile, vengono assassinate 55.000 persone in un anno e si discute di Stato Islamico. Ci sono le Olimpiadi a Rio e ci si preocupa con il terrorismo, con lo stato di calamità che c´è, con le morti, gli arresti … Il terrorismo è un buon motivo per distogliere l’attenzione da altre questioni.

Negli Stati Uniti, muoiono da 45 a 50 persone l’anno a causa del terrorismo, il 65% sono vittime di gruppi di estrema destra. D’altra parte, vi è la violenza contro i neri, l’incarcerazione di massa, ma questo non si discute. Il terrorismo è molto conveniente per distogliere l´attenzione dai problemi reali.

Edizione: Camila Rodrigues da Silva

[Traduzione dal portoghese per Albainformazione di Marco Nieli]

Napoli 9-10-11sett2016: Costruiamo il Potere Popolare!

JE SO’ PAZZO FESTIVAL
9-10-11 SETTEMBRE 2016
COSTRUIAMO IL POTERE POPOLARE!

Abbiamo avuto un’idea un po’ pazza: metter su un bel festival nel weekend del 9-11 settembre, per concederci un ultimo momento di vacanza e iniziare alla grande un nuovo anno di lotta. Pensiamo a una tre giorni di dibattiti, workshop, cene, mostre, stand, teatro e concerti, in cui vengano all’Ex OPG persone da tutta Napoli e da tutta l’Italia, persone di diverse età, percorsi e storie, accomunate però dalla voglia di cambiare questo paese e costruire, dal basso, qualcosa di serio, di incisivo, che possa da subito ottenere dei risultati tangibili…

Un fine settimana in cui vecchi militanti e giovani inquieti, studenti, lavoratori e disoccupati, centri sociali, associazioni e comitati territoriali da tutto il paese, si ritroveranno, fuori da ogni ritualità, per:

– conoscersi e divertirsi, perché la politica è anche gioia, costruzione, è stare assieme;
– confrontarsi sulle rispettive esperienze, raccontandosi lotte e attività, mettendo in comune i propri saperi e facendo circolare pratiche efficaci;
– dibattere di politica, sia organizzandoci per le scadenze che ci aspettano, come il referendum sulla costituzione, sia condividendo una visione più generale e di lungo periodo, una strategia complessiva per “abolire lo stato di cose presenti”.

La comunità che ogni giorno vive l’Ex OPG sarà lieta di ospitarvi e di farvi conoscere Napoli, la città, il suo cibo, la sua musica, ma soprattutto i tentativi che si stanno facendo qui per uscire da questa crisi che ci sta massacrando. Tentativi che abbiamo raccolto sotto il nome di “potere popolare”, ovvero quell’insieme di pratiche e di interventi che mirano, attraverso la partecipazione dal basso e l’autorganizzazione della maggioranza, a migliorare da subito le condizioni di vita dei cittadini, a imporre i loro bisogni alle amministrazioni.

Il “potere popolare” ci sembra infatti essere la chiave per superare l’impasse in cui questa crisi economica ha relegato la sinistra e i movimenti, incapaci di incidere sul complesso della società, da un lato per ideologia o puro antagonismo senza progetto, da un altro lato per un’attitudine riformista, per la distanza dai problemi reali, per la voglia di conservare le piccole rendite di posizione e non sporcarsi le mani… Si sta invece facendo avanti una nuova generazione che è interessata a un cambiamento senza compromessi, ma che per produrlo sa che bisogna innanzitutto uscire dalle “nicchie” e radicarsi fra le masse, partire dal lavoro quotidiano sui territori, mobilitando persone anche molto lontane dalla politica su questioni che le riguardano da vicino, mostrando come, se si organizzano, possono effettivamente essere efficaci, controllando le amministrazioni ma anche ciò che fanno i poteri privati, cercando di inserire da subito in ogni istituzione, ente, azienda, elementi di resistenza e persino di offensiva contro il regime liberista.

In fondo non si tratta di inventare chissà che, si tratta di recuperare la parte migliore della nostra tradizione pratica e teorica, di sincronizzarsi con le domande e le soluzioni che le classi popolari hanno già elaborato in questi anni, di imparare dalle esperienze positive che si sono date dal Venezuela al Kurdistan passando per la Spagna, la Grecia, e la Turchia…

Siamo convinti che in tutta Italia ci sia chi, con lucidità e umiltà, ma anche con entusiasmo e speranza, sta facendo questo tipo di riflessioni. Perché le condizioni oggettive per produrre un cambiamento reale ci sono tutte, perché c’è una forte domanda sociale di sinistra, e persino una memoria di quando i conflitti e la politica facevano fare passi in avanti, serve “solo” riuscire a federare le tante persone che lottano, i tanti piccoli gruppi, comitati, associazioni, bande, in un vero e proprio esercito, che ci consenta di superare barriere e pregiudizi, di ragionare intorno a un programma condiviso, di mettere fine alle politiche di austerità, ai tagli, alla chiusura di scuole, ospedali e servizi, allo sfruttamento e all’isolamento, alla depressione, alla rabbia, a tutti i danni che queste cose producono.

Noi siamo insoddisfatti di quello che c’è, di partiti e sindacati, ma anche delle ritualità e delle autoreferenzialità del “movimento”, pensiamo che così non si riesca a parlare e coinvolgere gli sfruttati e gli oppressi. Pensiamo che il compito della nostra generazione sia quello di osare e avere il coraggio di ricostruire qualcosa di grande, di nazionale, di credibile, che sappia far sentire ovunque la voce degli esclusi, che sappia dare un orizzonte, un sogno concreto, a un popolo che ogni giorno di più scivola nella povertà, nella depressione, nella barbarie.

Noi crediamo davvero che si possa vincere. Però per farlo dobbiamo iniziare a costruire le condizioni per questa vittoria, a darci un po’ di programmazione, a elaborare una tattica e una strategia. Perché non possiamo perdere altre occasioni, perché se non ci muoviamo noi si muoverà qualcun altro e farà molto peggio.

Per tutti questi motivi speriamo davvero di vedervi. Anche perché sappiamo che sarà un momento bello e forse pure un po’ storico. D’altronde, quale luogo migliore di un manicomio per sognare e fare cose da pazzi?

PROGRAMMA DELLE GIORNATE [in continuo aggiornamento]

VENERDÌ 9 SETTEMBRE 2016

Ore 16 – Visite guidate dell’Ex OPG, con psichiatri, “gruppo memoria” e mostra interattiva. Un piccolo viaggio per comprendere cosa erano gli OPG, cos’è la malattia mentale e come viene trattata, perché non può darsi un reale cambiamento senza una presa in carico dei problemi cognitivi, affettivi, relazionali, senza la comprensione dell’impatto del capitalismo e dell’autorità sulla psiche delle persone.

Ore 17:00 – Assemblea: “La posta in palio del referendum costituzionale. Lotte sociali, scontri istituzionali e futuro della democrazia”.
È evidente come in autunno il Governo vada a giocarsi una battaglia importante, fondamentale per la sua stessa sopravvivenza. Renzi, che è il nome della saldatura avvenuta fra i diversi gruppi della borghesia italiana, sa che con la crisi economica i tempi sono diventati più veloci e la società più instabile. Punta quindi a una riforma degli assetti istituzionali – legge elettorale e Costituzione – che possa garantire alla borghesia il massimo della governabilità, e soprattutto impedisca agli oppressi di produrre una propria rappresentanza o di contare qualcosa in sede decisionale. Capire bene la natura di questo progetto reazionario e gli strumenti attraverso i quali si vuole realizzare, portare le classi popolari a combattere questa battaglia, legandola ai loro bisogni e alle lotte già aperte, non attestarsi alla difesa della Costituzione ma saper utilizzare questo scontro per rilanciare l’istanza democratica nel suo carattere più sovversivo: questa è la sfida che ci attende.

Ore 20:00 – Cena Sociale.

Ore 21:00 – Vi raccontiamo Napoli attraverso il cinema. Proiezioni e frammenti di film sulla Napoli dagli anni ’80 ai giorni nostri, a cura di “Imaginaria – sentieri e visioni su Napoli”.

Ore 22:30 – Concerto.

SABATO 10 SETTEMBRE 2016

Ore 10:30 – Quattro workshop in contemporanea: confronti orizzontali pensati per scambiarsi pratiche e imparare l’uno dall’altro, per riuscire a intervenire sempre meglio sul contesto sociale.

TAVOLO 1. “Ripartiamo dal lavoro: lotte, sindacato, autonomia di classe”.
Senza intervento reale sul mondo del lavoro non può darsi nessun progetto politico di massa. Abbiamo quindi pensato un tavolo per discutere – insieme a sindacalisti, camere del lavoro autorganizzate, comitati autoconvocati e coordinamenti di lavoratori – di come riuscire a portare avanti oggi le lotte nel mondo del lavoro, di come costruire legami di solidarietà, di come superare la frammentazione sindacale e la rassegnazione. Un tavolo che però vuole essere molto concreto, nella convinzione che per coinvolgere i lavoratori non servano grandi proclami ma piccole vittorie concrete che incidano sulla loro vita di ogni giorno. Ci porremo quindi queste domande: quali sono le esperienze che abbiamo maturato nella lotta? Come ci mettiamo in connessione e dare visibilità ai risultati ottenuti? Come spingere le istituzioni pubbliche a fare il bene dei lavoratori? Quali strumenti i vari coordinamenti hanno utilizzato, per normare gli appalti o rifiutare i voucher? Come impattano le ultime riforme sulle donne? Come controllare il privato e dare visibilità a quello che succede dentro fabbriche, cantieri e aziende?

TAVOLO 2. “Dal mutualismo all’intervento politico”.
Doposcuola, palestre popolari, ambulatori, teatri, squadre di calcio: sono tante le attività sociali che ogni giorno centri sociali e associazioni svolgono, quasi sempre a titolo gratuito, per costruire rapporti con il territorio, per entrare in contatto con le masse, per diffondere i semi di una nuova coscienza. Come far sì che queste esperienze non si limitino all’assistenzialismo? Come far sì che non diventino delle semplici “pezze” per rattoppare gli strappi di questa società, o peggio un “parcheggio” per qualche compagno, ma facciano anzi aumentare la lotta? Come si passa dal mutualismo, oggi necessario per venire subito incontro ai bisogni e mettere le persone in relazione fra di loro, a un consapevole intervento politico di massa, che crei lotte riproducibili? Come coinvolgere al massimo le donne e le madri di famiglia, spesso molto presenti nell’attività sociale? Queste sono alcune delle domande fondamentali per far sì che la grande forza sociale che i compagni hanno in Italia, possa diventare tema di agitazione, di rivendicazione, di coinvolgimento popolare a partire dai bisogni.

TAVOLO 3. “Migranti, comunità e pratiche antirazziste”.
La questione dell’immigrazione è ormai al centro del dibattito pubblico italiano ed europeo. È forse la questione che più di tutte consente alla destra di affermarsi e di crescere, di forgiare nuove aggressive identità, che portano fino a barbari assassinii… Ci sembra quindi necessario che ogni antifascista, ogni realtà di sinistra, assuma questo tema come imprescindibile. Ma non per declinarlo in maniera rituale o “buonista”: dobbiamo invece capire come possiamo sviluppare meccanismi di solidarietà fra gli sfruttati di ogni colore e di ogni genere, come possiamo controllare lo sperpero di fondi pubblici che dovrebbero essere destinati all’accoglienza e invece vanno ad arricchire i privati, come possiamo efficacemente contrastare la propaganda e le pratiche del razzismo istituzionale e del fascismo di strada. E ancora: come possiamo ispezionare i centri di controllo e ristrutturare le nostre istituzioni, sin dal basso delle municipalità, alla luce della presenza degli immigrati e soprattutto delle donne immigrate, come far funzionare sportelli e scuole di italiano come centri di educazione a una nuova cittadinanza, fondata sulla lotta per i diritti e su un orizzonte dove al centro ci sia l’essere sociale dell’uomo e della donna…

TAVOLO 4. “Scuola, università, formazione e cultura: fondamentale terreno di lotta”.
Non si può fare nessuna lotta efficace senza un immaginario, una visione, la capacità di essere critici, di smontare l’ideologia. La scuola, l’università, il mondo della formazione, della ricerca e della cultura sono quindi un fondamentale terreno di lotta per riuscire a rifiutare la visione del mondo dominante. Ma non solo: sono anche luoghi dove si sfrutta (pensiamo soprattutto ai docenti precari che lavorano in scuole private, o all’alternanza scuola/lavoro negli istituti tecnici), dove si disciplina (gli studenti agli insegnanti, gli insegnanti ai presidi etc), dove si impone una terribile selezione di classe che sta impedendo ai proletari di questo paese di arrivare ai livelli più alti di istruzione. Come possiamo intervenire su questi problemi? Come possiamo controllare dal basso i presidi manager, i programmi scolastici, il caro libri? Come possiamo costruire reti di supporto e di solidarietà? Come possiamo lottare nella scuola e nell’università ormai distrutti da venti anni di controriforme?

Ore 16 – Visite guidate dell’Ex OPG, con psichiatri, “gruppo memoria” e mostra interattiva.

Ore 17:00 – Assemblea plenaria: “Esperienze di potere popolare in Italia, in Europa e nel mondo. Teorie, forme e pratiche del socialismo del ventunesimo secolo”.
Ci pare che, pur se attraverso mille contraddizioni e difficoltà, dalla caduta del muro di Berlino a oggi stia emergendo una nuova maniera di intendere la lotta per il comunismo. Una maniera certamente meno centralizzata e burocratizzata, meno legata intorno all’idea esclusiva della presa di potere politico, più internazionalista non solo ideologicamente ma praticamente, e in cui i temi del femminismo e dell’ecologia siano centrali. Negli ultimi anni, nel tentativo di reagire alla crisi, stiamo vedendo come una nuova ondata di socialismo stia attraversando paesi e popoli anche molto diversi fra loro, accumunati però dal tentativo di cambiare da subito le cose, da un certo pragmatismo di fondo, dalla capacità di mobilitare ampi strati di popolazione per costruire le condizioni di un vero autogoverno dei territori. Dal Venezuela al Kurdistan, passando per la Spagna, la Grecia, e la Turchia, abbiamo assistito all’emergere di movimenti che cercano di federare, organizzare, ricomporre la Sinistra per renderla capace allo stesso tempo sia di stare nei territori e nelle lotte che di pesare sul piano istituzionale, per rendere impossibile il “normale” funzionamento dell’apparato liberista a tutti i livelli. Dare voce a queste esperienze, dal macro della realtà globale al micro dell’esperienza napoletana, ci sembra allora necessario per imparare da quello che tanti compagni hanno fatto, e cercare di adattarlo e replicarlo anche sui nostri territori e sul nostro paese.

Ore 20:00 – Cena Sociale. Il ricavato andrà a sostenere le spese legali dei NO TAV per i processi in atto.

Ore 21:00 – Spettacolo teatrale: “L’ABC della guerra”, di Bertolt Brecht. Uno spettacolo di reading, musica e videomapping per non dimenticare la nostra storia, e cosa hanno rappresentato la guerra e il fascismo che ancora oggi, in diverse forme, attraversano la nostra quotidianità.

Ore 22:30 – Concerto.

DOMENICA 11 SETTEBRE 2016

Ore 9:30 – Colazione sociale.

Ore 10: 30 Assemblea plenaria: “Potere popolare e organizzazione politica”.
Dopo due giorni di assemblee, confronti individuali e tavoli di lavoro, vorremmo dare voce ai singoli e alle realtà che da tutta Italia vogliono portare un contributo sul tema del potere popolare, e dei modi in cui poterlo affermare. Proveremo quindi a riassumere un minimo il dibattito che si è sviluppato sui vari tavoli, al fine di delineare sempre meglio, a partire dall’esperienza concreta, quest’idea-forza del “potere popolare”, e lasceremo la parola a chiunque abbia contributi per costruire forme di organizzazione politica all’altezza di questi tempi, che mettano al centro l’inchiesta e la conoscenza diretta dei nostri soggetti, la teoria, perché abbiamo bisogno di sapere che fare, in che direzione andare, qualche cambiamento produrre, la comunicazione, che deve essere comprensibile ed efficace…
Nessuna pretesa di fare sintesi o di mettere “cappelli” ormai improponibili, ma di certo l’idea di avanzare collettivamente verso la presa di coscienza di quanto sia necessaria una qualche forma di organizzazione, che sia un programma condiviso, una rete di media in grado di proporre una visione alternativa, la socializzazione di prassi e linguaggi in cui le classi popolari di questo paese si possano riconoscere, il sentimento di una nuova unità e dell’appartenenza allo stesso lato della barricata.

Ore 13:30 – Pranzo sociale e saluti.

INFO PRATICHE

Quando? Da venerdì 9 a domenica 11 settembre.

Dove? A Napoli, Ex OPG “Je so’ pazzo”, Via Imbriani 218.
Per chi arriva in macchina: uscita Capodimonte, girare a destra e continuare lungo Via Santa Teresa degli Scalzi quindi all’incrocio salire a destra su Via Salvator Rosa, fino all’incrocio con Via Imbriani.
Per chi arriva in treno o in bus: da Piazza Garibaldi prendere la metro linea 1 e scendere a Materdei.

Servizi. Nella struttura sono disponibili bagni, docce, un asilo, un bar a prezzi popolari, una sala studio con accesso wi-fi libero e molto altro! Troverete stand informativi e mostre fotografiche.

Quando e dove si mangia? Le cene, il pranzo e la colazione si terranno tutte nel primo cortile. Tutti i piatti saranno preparati con ingredienti genuini, che andranno a sostenere le produzioni locali, avranno prezzi popolari e saranno pensati anche per vegetariani.

Quanto si paga? Poco o nulla! Per il cibo, così come per le serate musicali, sarà richiesta una piccola sottoscrizione per coprire le spese (il sabato la cena sarà dedicata a sostenere i NO TAV alle prese con molti processi). Ovviamente ogni altro tipo di donazione per finanziare il progetto è ben accetta! Potrete anche comprare magliette, spillette e gadget che ci permetteranno di continuare l’opera di riqualificazione dei luoghi.

Cosa puoi fare tu? La tre giorni è aperta a chiunque voglia confrontarsi e costruire percorsi di lotta, quindi puoi far girare la notizia, invitare chi vuoi, scrivere articoli, mandarci contributi, metterti a disposizione per i turni di pulizia, di bar o di cucina… Insomma: senti pure tuo questo festival! Per farci preparare al meglio l’organizzazione, comunicaci quanto prima la tua partecipazione o in quanti verranno del tuo collettivo o associazione. È quasi superfluo dirlo, ma ricordiamo che lo spazio è autogestito e che siamo per una società senza servi né padroni: cerca quindi di non sporcare, di dare una mano a pulire e a lasciare i luoghi in ottimo stato etc.

Cerca soprattutto di rispettare il quartiere che ci ospita, quindi di non fare rumore di sera tardi, di non parcheggiare auto e motorini in maniera selvaggia etc.

Evita assolutamente di portare cani! Cerca invece di portare i tuoi materiali, opuscoli, video, di modo che l’incontro sia ancora più proficuo!

L’Assemblea per il potere popolare a Napoli all’Ex-OPG occupato

Ex_OPGda carc.it

Durante le elezioni amministrative di Giugno, una delle esperienze più significative di applicazione della linea di usare le elezioni per favorire l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari è stata quella dell’exOPG di Napoli. L’iniziativa del “Controllo Popolare” è stata portata avanti da gruppi di cittadini autorganizzati che hanno presidiato i seggi per contrastare la compravendita di voti. La Federazione Campana del P.CARC ha aderito all’iniziativa e alla successiva “Assemblea per il Potere Popolare” che si è tenuta il 25 Giugno all’exOPG, dopo la quale ci siamo fermati a riflettere con il compagno Beniamino su come dare seguito alla mobilitazione popolare per favorire la costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza.

Il “Controllo Popolare” (CP) ha riscosso un grande seguito tra la parte più attiva e organizzata delle masse popolari di Napoli. Il grande significato di questa mobilitazione è stato colto anche dai contendenti in campo a Sindaco: De Magistris lo ha sostenuto, Lettieri ha denunciato di aver subito aggressioni per contrastare la crescente mobilitazione popolare. Puoi parlarci dell’iniziativa? Come è nata la proposta? E qual è il bilancio che ne fate?

Il bilancio è molto positivo. Siamo riusciti a interpretare un sentimento popolare che c’è in città ed è così che nasce l’iniziativa. All’interno dell’exOPG proviamo a esercitare ogni giorno il CP, in tutte le attività sociali, ludiche e politiche che promuoviamo; abbiamo semplicemente applicato questo paradigma anche alle elezioni. Il ragionamento è stato semplice: i brogli ci sono e il popolo li odia; facciamoci strumento per interpretare quest’odio e creare consenso intorno a questa mobilitazione. La risposta popolare è stata al di sopra delle aspettative, così come quella della controparte. Attenzione, sapevamo che saremmo andati a intaccare determinati meccanismi, non siamo ingenui… sapevamo che in questa città interi pacchetti di voti si spostano in questo modo e che la destra, e in parte il PD, da sempre costruiscono il loro consenso tramite questi meccanismi. Tuttavia, la reazione della controparte è stata proporzionata all’enorme consenso raccolto dall’iniziativa. Dai messaggi che ci sono arrivati, alle persone che si complimentavano, a quelle che si sono unite a noi – dopo il primo turno, al ballottaggio eravamo molti di più – e in fondo è questo il senso di quello che facciamo: cercare di estendere queste pratiche e dimostrare che il popolo autorganizzato può andare a incidere in ogni settore della società e migliorare la vita di tutti i giorni.

Sostenete di voler estendere il CP agli altri ambiti della vita politica e sociale e questo era il tema dell’assemblea di oggi (“Assemblea per il Potere Popolare”, 25 Giugno – ndr). Che bilancio fate dell’assemblea e come pensate di dare seguito alla mobilitazione in modo sempre più esteso?

Il bilancio dell’assemblea è assolutamente positivo: a una settimana dalle elezioni siamo riusciti a portare in un centro sociale tantissimi abitanti del quartiere e della città, il Sindaco, gli attivisti sia dell’exOPG che di numerosi altri movimenti; gli interventi sono stati per quantità e per qualità elevatissimi e tutti quanti indicavano la prospettiva di estendere il CP e il potere popolare a tutti gli ambiti della società. Ora è chiaro che niente si ferma qui. Vogliamo estendere il CP a tutto: dall’immigrazione alla lotta contro il lavoro nero, a quella contro gli sprechi sulle opere pubbliche – chiaramente, con un’ ottica di classe: ogni euro tolto allo spreco, deve essere impiegato per le politiche sociali in favore delle masse popolari. La prospettiva è quella di estendere sempre di più il CP, e cercare di relazionarsi con gli altri, avendo una dialettica con tutti i compagni che sono disponibili sulle questioni che riteniamo fondamentali: il CP; la questione dell’Organizzazione e quindi di uno spazio che va riempito nel nostro paese per rappresentare gli interessi dei lavoratori e degli sfruttati in generale; la questione del conflitto capitale-lavoro che per noi rimane il nodo principale da aggredire in questo sistema. Saremo, noi da Napoli, in grado di andare avanti su questa strada ed estendere il discorso anche a livello nazionale? Non possiamo stabilirlo a tavolino, ma è il compito storico che ci attende come rivoluzionari.

La prospettiva che hai delineato è molto interessante. Secondo noi, uno degli aspetti da affrontare è la relazione con l’Amministrazione Comunale, che a Napoli, con la conferma di de Magistris, esprime molti segnali di rottura rispetto al governo Renzi e ai suoi diktat economici e di bilancio. Qual è il ruolo che volete far assumere all’Amministrazione e qual è il contenuto del “programma post-elettorale” che avete scritto?

E’ chiaro che il momento elettorale di per sé non risolve niente; l’AC di Napoli si è dimostrata sensibile su certi temi e il Sindaco, a nostro avviso, è anche sincero nei suoi messaggi. Detto questo, la volontà di un singolo non può fare niente se non si mette al servizio di un processo complessivo di cambiamento; anche l’esperienza napoletana, per quanto virtuosa, è destinata a perdersi se non seguirà questa strada. La dialettica che metteremo in campo con l’Amministrazione è la stessa di sempre: noi organizzeremo dal basso il nostro soggetto sociale di riferimento per rispondere ai suoi bisogni immediati e inserirli in una prospettiva politica rivoluzionaria, che tende al cambiamento sociale, che mette in discussione la distribuzione, ma soprattutto il modo in cui si produce la ricchezza. Questo chiaramente si fa gradualmente, perché noi – e mi riferisco a tutto il movimento operaio – scontiamo una serie di sconfitte, ritardi, errori che ancora pesano. Oggi c’è una sensibilità dell’Amministrazione che va sfruttata per migliorare la realtà che ci circonda e parallelamente avanzare verso una prospettiva di cambiamento radicale.

Rispetto al nostro “programma post-elettorale”, in primis specifichiamo che questo non è “nostro”, nel senso che non ci rapportiamo dall’alto con le masse, dicendo “i vostri bisogni sono questi”…l’obiettivo invece è capire quali sono questi bisogni e far sì che le stesse masse si organizzino per affermarli. La nostra bozza di programma è stata scritta con le tantissime persone che attraversano l’exOPG tutti i giorni e che ci seguono costantemente, una bozza di programma – con alcuni contributi usciti anche dall’assemblea di oggi – che tocca diversi punti: il lavoro nero (con proposte concrete; non semplicemente “il lavoro nero è cattivo”, bensì “cosa si può fare a livello locale per combatterlo”?), a proposte per migliorare i centri di accoglienza per migranti e per fermare la speculazione sul business dell’accoglienza; sulle opere pubbliche, abbiamo intenzione di lanciare un osservatorio che controlli ogni opera pubblica per evitare gli sprechi – ripeto, non nell’ottica della legalità borghese, bensì nell’ottica di classe di prendere quelle risorse e distribuirle verso il basso – ma chiaramente non ci fermiamo qui. Il “programma post-elettorale” è in continua evoluzione, con l’obiettivo di organizzarci fin da subito per farlo applicare, utilizzando in tal senso tutti gli strumenti a nostra disposizione.

L’iniziativa del CP è stata lanciata dall’exOPG e, pur avendo riscontrato una grande partecipazione popolare, ci mette davanti alla contraddizione tra carattere “militante” e carattere “popolare” della mobilitazione. Qual è a vostro avviso la relazione tra la parte più avanzata e organizzata e il resto delle masse popolari?

La relazione tra i militanti e le masse popolari è tutta da ricostruire. Gli errori e le sconfitte del passato, anche quello recente, si pagano ancora. Ma i segnali oggi sono positivi. Tra l’“avanguardia” e l’“esercito”, per capirci, va ricostruito un rapporto. Dobbiamo essere capaci di non fare “fughe in avanti”, dobbiamo essere sensibili e affermare sempre la legittimità popolare delle nostre scelte. Se lavoriamo così, il rapporto non può che ricostruirsi e avanzare. Anche il CP è stata un’intuizione – che non è nostra, ma risale alla storia del movimento comunista – che restituisce un consenso popolare enorme e dimostra che c’è predisposizione a mobilitarsi, a partecipare, a uscire dall’indifferenza; ciò avviene ovviamente tra mille contraddizioni e limiti, ma noi comunisti dobbiamo sporcarci le mani e stare nelle contraddizioni, perché solo così riusciamo a cogliere la volontà di mobilitarsi che oggi il popolo dimostra. Se questa volontà non viene raccolta, la colpa non è del popolo, ma delle avanguardie. Sulla ricostruzione di un rapporto con il popolo io sono molto ottimista, forse anche grazie a quest’ultimo anno di militanza che ci è costato tanta fatica ma anche tanti successi. Si apre oggi un grande spazio politico, grazie al lavoro di tanti compagni che stanno avanzando in questa consapevolezza; ricostruiamo il rapporto tra militanti e masse popolari e… andiamo a vincere!

Nei vostri comunicati parlate di un cambiamento che sta partendo da Napoli e che avrà una ricaduta nazionale. In tal senso, una delle prime battaglie per dare una spallata al governo Renzi è quella per il NO al referendum sulle riforme costituzionali di ottobre. Quale sarà la vostra posizione sul referendum? E quale prospettiva intravedete a medio-lungo termine?

Ancora una volta, dipende tutto da noi. Per noi non intendo solo l’exOPG, ma tutti quelli che si oppongono a questo sistema di sfruttamento. Noi vediamo una serie di passaggi fondamentali. Il primo è il referendum costituzionale di ottobre, sul quale va fatta una battaglia su tre punti legati tra loro da un filo rosso: innanzitutto diciamo che la difesa della Costituzione non è difesa dello stato di cose presente, ma è un modo per realizzare quel potere popolare che è scritto sulla carta, ma che non è mai stato applicato. Sappiamo anche che applicare la Costituzione non significa avere il socialismo, ma è un grande passo in avanti, un ulteriore gradino che saliamo. Dunque la battaglia per il NO non è difesa dell’esistente, ma è per rilanciare l’applicazione della Costituzione. Il secondo motivo per dire NO al referendum sulle riforme costituzionali è per tenere aperti gli spazi di agibilità. Non siamo così ingenui da pensare che il nostro sistema è una vera democrazia, ma pensiamo anche che certi spazi di agibilità servono, per incidere a certi livelli e far crescere la coscienza. Con questa riforma si chiuderebbero una serie di spazi di agibilità, in esatta controtendenza al CP! Se noi per CP intendiamo il controllo dal basso, l’autorganizzazione, l’attribuzione di potere al popolo, dall’altro lato si sposta sempre di più il potere nelle mani del governo, che poi è il comitato d’affari di un blocco di potere borghese.

Il terzo punto su cui difendere la Costituzione è la “governabilità”. Il governo punterà tantissimo sulla stabilità e la governabilità. Ma noi dobbiamo dire che la democrazia non può essere barattata con la governabilità: se la proposta politica che si porta avanti ha il consenso delle masse popolari, la governabilità non è un problema; governare diventa un problema quando non si fanno gli interessi della maggioranza della società, di quella parte che lavora, produce, oppure vorrebbe lavorare e invece rimane condannata a essere “esercito industriale di riserva”. Pensare di poter decidere a tavolino che, per la stabilità di un governo, le istanze popolari vengano relegate lontano dai luoghi dove si decide, è un’idea pericolosa per la democrazia. Noi vogliamo esattamente il contrario, cioè fare arrivare le istanze del popolo nelle stanze del potere.

Dopo il referendum, si aprirà una fase totalmente inedita, che possiamo solo in parte prevedere. Questa fase dovrà accompagnarsi a un processo riaggregativo dei compagni su scala nazionale, altrimenti resta improbabile occupare uno spazio che, secondo noi, si aprirà, anche indipendentemente dall’esito referendario. Il problema, ancora una volta, è se saremo capaci di occupare questi spazi. Quello che sappiamo è il metodo con cui stare nei cambiamenti, che è quello del CP, nell’ottica di non tirarsi indietro e non aver paura di sbagliare e restare nell’immobilismo. Dobbiamo, in ogni lotta immediata, elevare la coscienza dei proletari con cui entriamo in contatto. In tal senso nella seconda settimana di Settembre lanceremo all’exOPG un festival nazionale che si articolerà in tre giornate. I tre temi su cui ci concentreremo sono: 1. La cultura di classe e l’egemonia ideologica, ovvero come la cultura comunista dà una visione alternativa del mondo; 2. l’Europa e i movimenti sociali che si oppongono alle politiche di austerità e 3. Come articolare il Potere Popolare. In poche parole, la nostra linea è quella di articolare sul piano locale il CP, con tutti i mezzi a nostra disposizione. A medio termine, dunque, condurremo la battaglia per il NO al referendum costituzionale, con il festival di Settembre apriremo una discussione con tutti i compagni disponibili, con l’obiettivo di farci trovare pronti dopo il referendum per raccogliere le nuove sfide che si presenteranno.

 

 

 

Dilma ritorna ad abbracciare le masse popolari a Teresina, Piaui

DSC_0340.JPGdi Marco Nieli

Strategica iniziativa organizzata dal Frente Brasil Popular di Teresina, Piauí, ieri pomeriggio (15 luglio) nella Praça Pedro Segundo, gremita di popolo con le insegne del PT (Partido dos Trabalhadores), di quattro centrali sindacali e dei movimenti sociali (MST, MTST, ecc.). Nel corso della cerimonia, durante la quale Dilma è stata insignita della cittadinanza onoraria di Teresina e della Medaglia degli Eroi della Battaglia di Jenipapo,  sono stati ricordate dai senatori del PT Regina Sousa e del PTB Elmano Ferrer, oltre che dal governatore PT Wellington Dias, le numerose conquiste ottenute dai governi Lula-Dilma per l´inclusione delle fasce sociali meno abbienti: il programma Minha Casa, Minha Vida con 52000 case costruite e consegnate ai senza-tetto (il progetto ne prevede in totale 85000); il Bolsa Familia che ha fatto uscire dalla povertà estrema circa 700.000 piauensi; i programmi per l´accesso allo studio universitário, prima riservato solo alla classe medio-alto-borghese e che ha invece favorito l´immatricolazione di 20.138 giovani delle classi popolari; i programmi per l´estensione della rete elettrica e dell´irrigazione nelle zone rurali e quelli per l´integrazione sanitaria e di consulenza basica specialmente rivolti alle donne, alle comunità afro-brasiliane (i cosiddetti quilombos), agli Indios, ai disabili e ai LGBT; il programma Fome cero, con gli aiuti all´Acquisizione di Alimenti per le famiglie in povertà estrema, che ha permesso al Brasile di uscire dalle liste ONU dei paesi con maggiore diffusione del flagello della fame, ecc.

Per tutte queste ragioni e per altre ancora, nello stato del Piauí, come in altri del Nord-este brasiliano, gli indici di consenso alla Presidenza di Dilma si attestano, ancora oggi, a distanza di circa due mesi dalla famigerata votazione del Senato (il 12 maggio scorso) di sospenderla dalla carica presidenziale per non meglio precisati crimini o irregolarità procedurali (le cosiddette “pedalate fiscali”) intorno al 60%, con circa un 78% dei cittadini di questo stato che credono che sia in atto un golpe mascherato nel paese. Va, a questo proposito ricordato, che il rapporto recentemente stilato dalla Commissione sull´impeachment  del Senato non ha riscontrato prove nemmeno degli illeciti amministrativi di cui si parlava negli atti dell´accusa. Vedremo cosa si inventeranno di nuovo nei prossimi mesi per confermare l´impeachment: della serie, quando il lupo vuole mangiarsi l´agnello….

Intanto, il governo interino presieduto dall´ex-vice-presidente Temer del PMDB, adducendo presunti motivi di deficit  fiscale, sta mettendo mano al taglio di tutti o di gran parte dei programmi di inclusione sociale summenzionati, come anche alla soppressione di Ministeri considerati inutili, come quello della Cultura e della Donna.  La recente elezione a Presidente della Camera del neo-liberista Rodrigo Maia (DEM-RJ), con tutta probabilità, aiuterà a sdoganare progetti di legge depositati  al Congresso per la precarizzazione illimitata del lavoro, la privatizzazione del sistema di previdenza sociale, il ripristino del sistema dei diritti di esplorazione dei giacimenti petroliferi del Pre-sal e delle concessioni alle multinazionali private (Chevron e Texaco in prima fila), ecc. Addirittura, si vocifera del ripristino della settimana lavorativa di 80 ore, progetto che precipiterebbe il paese indietro di cento anni.

Un quadro regressivo che può essere solo contrastato dall´opposizione na rua ferma e determinata delle masse popolari, che hanno contribuito a creare il progetto dal basso del primo governo Lula e che hanno poi visto sempre più scivolare verso il centro l´asse politico delle varie coalizioni di governo a guida Lula e Rousseff, subissate anche dagli scandali di corruzione che hanno investito il PT. I quali scandali, artatamente strumentalizzati dal potere mediatico incentrato intorno al gruppo Globo, hanno fornito l´appiglio per un golpe di stato soft/istituzionale, in gran parte etero-diretto dagli U.S.A., dalle multi-nazionali escluse dalla divisione della torta (oltre alle suddette corporations del petrolio, si pensi ai contratti della Google e della Micro-soft rescissi da Dilma in seguito al conflitto con Obama sulla questione dello spionaggio) e dalla CIA.

Iniziative come quella di ieri, intanto, si moltiplicano in vari stati del Brasile e riconfermano la necessità di rilanciare il progetto “egemonico” del PT  su basi rinnovate e più avanzate: il Frente Brasil Popular, coordinamento di tutti i movimenti sociali di base che in una fase precedente si sono divisi tra una posizione più “attendista” e una più critica nei confronti del governo Rousseff, fa cerchio, nel momento della crisi golpista, intorno alla figura della Presidenta, per resistere e mantenere i diritti lavorativi e gli spazi di agibilità democratica conquistati nel passato recente.

In attesa di riuscire a costruire dal basso coscienza e strutture di potere popolare, capaci di portare il paese in una fase nuova, di transizione al socialismo.

 

 

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