Addis Abeba, 4dic2016.- Giornata indimenticabile e cerimonia commovente quella che l’Associazione Etiopia-Cuba, insieme all’Ambasciata (e al Consolato) cubani ad Addis hanno dedicato oggi alla memoria dell’immortale Jefe Supremo della Rivoluzione cubana e mondiale, Fidel Alejandro Castro Ruíz.
All’ombra del Monumento al Dherg e tra le ali del monumento ai Caduti Cubani in Etiopia, circa 3000 partecipanti sbandieranti i simboli di Cuba e dell’Etiopia, hanno ascoltato i commossi discorsi delle varie rappresentanze diplomatiche, sudamericane e africane, che hanno reso omaggio alle gesta del vittorioso comandante, nel giorno del suo definitivo passaggio all’eternità.
Particolarmente sentiti i discorsi dell’Ambasciatore cubano, Juan Manuel Rodríguez Vasquéz, che ha ricordato i numerosi interventi di Cuba a sostegno dei processi rivoluzionari africani (dall’Algeria all’Angola, dalla Namibia all’Etiopia, dove il dispiegamento e il sacrificio di 18.000 soldati dell’Ejercito Revolucionario ha aiutato a respingere, a metà degli anni ’80, l’invasione della regione meridionale dell’Ogaden da parte della Somalia di Siad Barre, all’epoca alleata degli U.S.A.), quello dell’Ambasciatrice della Namibia, che ha ribadito l’importanza di Fidel per la lotta rivoluzionaria e di indipendenza nazionale dei popoli dell’Africa del Sud e quello dell’Ambasciatore Venezuelano ad Addis, Luís Mariano Joubert Mata, che ha sottolineato l’infaticabile ruolo di Fidel come mentore di Chávez e della svolta bolivariana di tanti paesi del Latino-america, all’inizio del nuovo secolo.
Mesfin Habtom, dell’Associazione Etiopia-Cuba, ha poi ricordato come gli stretti legami tra La Havana e Addis ai tempi del Dherg abbiano permesso a tanti giovani etiopi (circa 5000) di studiare e formarsi nell’isola dei Caraibi, per poi ritornare come professonisti (per lo più agronomi, medici e ingegneri) nel loro paese di origine, e contribuire con progetti mirati allo sviluppo dello stesso.
Nel frattempo, la presenza dei medici cubani, tra i più altamente specializzati al mondo, continua a farsi sentire nei progetti di cooperazione attivati coi paesi in via di sviluppo come l’Etiopia (si calcola che circa 35.000 medici cubani siano stati inviati dall’inizio della rivoluzione in missione all’estero, in Africa si conta oggi la loro presenza in 39 paesi su 57). Un altro segno dell’immenso legato di umanesimo rivoluzionario che lascia questo titano della storia del XX-XXI secolo, che alcuni da noi (in Europa) si ostinano a declassare a tirannucolo dell’ennesima repubblica delle banane, relitto destinato a essere spazzato via dal presunto trionfo del libero mercato a livello globale.
Pochi dalle nostre parti sono infatti oggi disposti ad ammettere che Cuba, sotto la sapiente guida di Fidel, è stata la promotrice di una sfida senza precedenti contro l’Impero più forte della storia dell’umanità e che, fatto ancora più mirabile, ne è uscita vincitrice, sia materialmente che moralmente (pur con tutte le difficoltà implicate da un processo dialettico tanto complesso come la costruzione di una società socialista sotto la pressione formidabile di cotali avverse potenze capitalistiche).
E mentre gli anti-castristi festeggivano a Miami, i popoli africani, per i quali la figura di Fidel ha significato la speranza di una patria sovrana e la fine dell’oppressione coloniale, hanno dimostrato con questa commossa cerimonia ad Addis che loro, in realtà, la pensano diversamente. Accompagnate dall’accensione simbolica di un cero a testimonianza della memoria imperitura che non può essere soffocata da nessun revisionismo storico, le parole storiche di Raúl, in altri tempi sentite nella giungla del Congo o alla battaglia di Cuito Cuanavale in Angola, hanno chiuso la celebrazione al grido di: Patria o muerte, vencer, venceremos!