Ilich Ramírez: sempre rivoluzionario

da DiarioVEA – Caracas

“La struttura dell’Esercito Bolivariano, con l’appoggio delle milizie popolari, permetterà di resistere ad ogni aggressione imperialista”, ha dichiarato il venezuelano Ilich Ramírez Sánchez, sequestrato dallo Stato francese nel carcere de La Maison Centrale, e intervistato dal suo compatriota José “Cheo” Sánchez, membro del Comité para la Repatriación. Il titolo originale del presente scritto è El hombre detrás del muro ed è stato ceduto a Diario Vea dalla emittente comunitaria Al Son del 23.

Il treno arrivò presto. Cheo scese e con passo sicuro raggiunse l’ingresso della stazione. La facciata si caratterizzava per un design moderno, realizzato con una commistione di metallo e vetro, ornata da un grande orologio sulla porta principale. Cheo si voltò e guardando l’orologio si rese conto che mancava ancora qualche ora all’incontro. La strada silenziosa e solitaria, la città sembrava morta. Si sistemò la giacca e provò ad imboccare una di quelle strade solitarie, cercando un posto dove riordinare le idee. Percorso qualche metro, sentì il parlottio di alcune persone che proveniva da La Collegiata di Notre-Dame, una Chiesa parrocchiale che conosceva per le torri visibili da lontano e che costituivano il suo punto di riferimento. Non distante dalla chiesa trovò un mercato e appena più in là, una fiera dove i contadini, una volta a settimana, vendevano i propri prodotti. Lì rimase a guardare la roba in vendita. Proseguì finché non ritrovò il luogo dell’incontro. Ripercorse la zona varie volte per non perdersi. Poi entrò in un ristorante dove attese l’ora prestabilita. Arrivando all’antico convento delle monache Orsoline, oggi più conosciuto come Penitenziario di Poissy, il luogo d’incontro, cercò l’ingresso. Fu invaso da un certo nervosismo. Ogni cosa gli ricordava i difficili anni di detenzione ed era logico fosse così. Dieci anni sono una bella fetta di vita per un uomo. Il portone che individuò sulla destra dell’edificio era diviso da due tubi, in uno dei due c’era il campanello e la videocamera di sorveglianza. Suonò e si avvicinò alla videocamera. Trascorso qualche secondo la porta si aprì, entrò e si trovò in un cortile dove un agente, dietro ad una grande finestra di vetro rinforzato all’interno con delle sbarre, lo accolse. Gli consegnò il permesso per la visita, ottenuto un mese e mezzo prima. L’agente gli diede una chiave col numero 12, con questa poté aprire l’armadietto dove  ripose le cose che aveva con se: all’interno del carcere i visitatori non posso introdurre niente. Gli consentirono di portare solo carta e matita. Successivamente attraversò un metal detector simile a quelli in uso negli aeroporti accedendo in una stanza dove si ritrovò con sei donne e un uomo, anch’essi visitatori. Le donne, molto cortesi, gli offrirono un caffè. Erano le 13 e mancava ancora mezz’ora alla visita. Alle 13 e 25 un agente lo chiama e lo accompagna in un altro edificio, passando per un parcheggio; entrano nell’edificio, in una grande stanza, dove da una parte c’era una cabina e dall’altro lato c’era una grande finestra attraverso la quale si potevano scorgere i prigionieri che aspettavano per le visite. Cheo individuò Ilich tra i prigionieri che, con il pugno alzato, lo salutava. Si, Ilich già l’aveva riconosciuto (e chi non riconosce il Nero Cheo?). Quando si apre la porta al lato della finestra, i due si perdono in un grande abbraccio. Ilich sembra essere felice, con la pancia tipica dell’età; la chioma bionda e riccia di un tempo si era mutata in una capigliatura bianca, rada e liscia. Non si conoscevano personalmente; i contatti erano avvenuti solo per lettera o telefono. Alla fine era arrivato il momento di parlarsi a lungo e fittamente senza che nessuno li disturbasse, nemmeno il tempo. Ilich domandò a Cheo il numero della chiave che gli era stata consegnata al momento di entrare. La 12, fu la risposta. Allora Ilich come un buon anfitrione, cercò la cabina corrispondente, aprì la porta e lo invitò ad entrare. La stanza era piccola, con una ancor più piccolo tavolo fissato al muro e tre sedie. Questa non è buona, disse a Cheo, cerchiamone una più grande. Così uscirono dalla stanza e rapidamente Ilich ne trovò una adatta, aprì la numero 5, con finestrella e tendina inclusa.

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Ilich, tu non puoi immaginare quanto sia contento di essere qui con te, di salutarti e portarti la solidarietà dei miei compagni e della nostra organizzazione. Senza di loro non sarebbe stato possibile questo incontro
.

Grazie e benvenuto alla Maison Centrale di Poissy. La Maison Centrale di Poissy, come le altre Maison Centrales di Francia, ospita i prigionieri pericolosi, il più delle volte condannati a lunghe pene detentive, o coloro che si ritiene abbiano scarse possibilità di reinserimento sociale. Il regime detentivo di questa prigione è centrato principalmente sulla sicurezza. La Maison Centrale di Poissy occupa un antico convento delle monache Orsoline, i cui edifici furono trasformati e resi idonei alla reclusione dal 1817 e trasformata in Casa Correzionale dal 1821. È ubicata nel centro storico della città vecchia, vicino la chiesa collegiale, al numero 17 di Rue de l’Abbay. Fu una chiacchierata abbastanza lunga, durante la quale si assegnarono il compito di ripercorrere 140 anni di ricordi.

Dopo un po’, Cheo domandò a Ilich:

Ti dispiace se passiamo alle domande?

Forza, cominciamo!

Ilich, si parla molto di te, del fatto che sei un terrorista, mussulmano, internazionalista e donnaiolo. Cosa rispondi a queste voci?

Sono entrato nella gioventù comunista del Venezuela (JCV) nel gennaio del 1964 e continuo ad essere comunista e internazionalista, ho combattuto tutta la mia vita contro i terroristi imperialisti e sionisti.  Mi piacciono le donne (sono eterosessuale) e io piaccio a loro. Comunista stalinista, credo in Dio, come il compagno Stalin. Lui era ortodosso mentre io sono musulmano.

Sei marxista o musulmano?

Marx affermò che non era marxista, bensì comunista. Mio padre (ateo e anticlericale) mi insegnò che Maometto è la principale personalità storica, come ha affermato anche un comunista francese nella sua biografia su Maometto, autore di origine giudea e ateo.

Ti senti ancora palestinese?

Sono venezuelano per il sangue ricevuto e palestinese per il sangue versato.

Come vedi, da qui, l’attuale lotta palestinese e i territori occupati?

La divisione ideologica e confessionale ritardano la liberazione della nostra santa terra palestinese dall’occupazione sionista.

Qual è la posizione dei paesi europei nei confronti della causa palestinese?

È una posizione opportunista, ad eccezione della Spagna (sotto Franco), tutti i paesi dell’Europa occidentale ed orientale riconobbero Israele.

Tre ergastoli. In quanti carceri sei stato?

Sono stato condannato 5 volte alla pena a vita (due volte in appello). Sono sopravvissuto a sei prigioni francesi: La Santé, Fresnes, Fleury-Mérogís, Saint Maur, Clairvaux e Poissy.

Da quanto sei detenuto a Poissy?

Giunsi a Poissy il 15 aprile del 2008, arrivavo da Claivaux.

Per quanto tempo sei stato in isolamento e dove?

Sono stato 10 anni in totale isolamento: 8 anni a La Santé, due a Fresnes, qualche settimana a Fleury-Mérogís.

Com’è il rapporto col personale del penitenziario qui a Poissy?

Con alcune eccezioni, gli agenti sono molto rispettosi nei miei confronti.

Come e in cosa occupi le ore del giorno?

Frequento cinque volte alla settimana lezioni della durata di due ore del Corso di laurea in Lettere dell’Università Paris VII-Denis Diderot. Cammino un po’, fumo sigari cubani nel cortile principale ogni pomeriggio; faccio le mie telefonate ai numeri autorizzati, solitamente ai miei avvocati.

Hai rapporti  con gli altri detenuti? E di che tipo?

Gli altri detenuti mi rispettano; e poi difendo i nostri diritti.

Come ti procuri beni personali, il bucato, ecc?

I beni personali vengono acquistati nella spaccio, tramite acquisti esterni, oppure vengono depositati da visitatori e avvocati.

Hai accesso alla televisione, alla radio, ai libri, a internet?

Tutti i detenuti hanno accesso alla radio e alla televisione, ma non a Internet. Ho una buona biblioteca nella mia cella “doppia” (circa 17 m²).

Ti sei sentito abbandonato dai palestinesi, dal governo venezuelano, dalla tua famiglia, da tua moglie(i)?

Sono un eroe della causa palestinese, ammirato dai popoli arabi. I traditori della Rivoluzione Bolivariana sabotano il mio ritorno nel paese. La mia famiglia è solidale. Le donne che mi amano continuano ad amarmi.

Risultati immagini per Ilich Ramirez sanchez repatriacionHai fiducia che un giorno non troppo lontano potrai essere rimpatriato?

Devo essere rimpatriato! Coloro che ritardano il mio rimpatrio sono traditori della Patria.

Dopo questa domanda si sono presi una pausa e hanno deciso di continuare il giorno dopo. La visita si è conclusa con i ricordi di una vita passata, che se dovessero rivivere, rispenderebbero sicuramente combattendo per la rivoluzione, come hanno fatto fino ad oggi.

Cheo accusò una stanchezza emotiva e aveva bisogno di una pausa e di un po’ di silenzio per sistemare le idee. Quelle emozioni scorrevano come fiumi irruenti nella sua mente. Si congedarono come quando si erano incontrati: con un grande abbraccio. Ci vediamo domani.

Il giorno seguente Cheo arrivò puntuale. Conosceva la strada, così che non gli costò fatica arrivare alla Maison Centrale di Poissy. Bussò e guardò nella camera di sicurezza, più sicuro del giorno precedente, entrò. Passando tutte le procedure di accesso, arrivò dove c’era la cabina e la finestra.

Questa volta si portò dieci monete da un euro. Era permesso portarle per comprare il caffè al distributore.

Dopo essersi salutati, Ilich aiutò Cheo ad utilizzare il distributore che era stato collocato lì grazie all’iniziativa dell’organizzazione dei detenuti, nella quale Ilich gioca un ruolo di primaria importanza.

Ilich prese delle monete e mentre aspettava il caffè ne diede alcune ad un ragazzo che lo guardava avidamente. Entrarono nella cabina ognuno con il proprio caffè e dopo una breve conversazione continuarono con le domande.

Il socialismo è l’argomento della destra mondiale per sottolinearne il fallimento. Quando in realtà è il capitalismo che è fallito, ampliando il divario sociale e producendo sempre più poveri nel mondo. Credi ancora nel Socialismo? E se si, in quale?

Gli Stati socialisti europei sono collassati. Gli Stati capitalisti e il capitalismo sono nella loro fase terminale: l’imperialismo. Sono comunista e credo fermamente che il socialismo trionfa solo quando si adatta alle condizioni storiche e sociali proprie di ciascun paese.

Il comandante Fidel Castro credeva che la lotta armata non fosse più una modalità di lotta valida ed era necessario trovare altre forme di lotta. Cosa ne pensi?

La lotta rivoluzionaria armata non è un’opzione, bensì una necessità storica che ci impone il nemico imperialista, sionista e i suoi alleati.

Ritieni che il disarmo delle FARC alla frontiera tra Colombia e Venezuela abbia agevolato le aggressioni imperialistiche?

Evidentemente. D’altro canto credo che il ritorno alla lotta politica legale costituirà un passo verso la vittoria del socialismo in Colombia.

Si dice che la Forza Armata Nazionale Bolivariana sia compatta nel sostegno al governo del legittimo presidente Nicolás Maduro. Cosa ne pensi se di fronte a un attacco imperiale, attraverso la Colombia, il Brasile e alcune isole caraibiche, questa subisse un primo colpo ferale? Ci sarebbe una sbandata dell’esercito, come è successo in Iraq?

In Iraq non c’è stato alcuna disfatta militare nel 2003; La resistenza baathista fu organizzata dopo il bombardamento degli USA del 1991 e continua a resistere con successo agli invasori, sotto il comando del compagno comandante generale Izzat Ibrajim al-Douri. Un’invasione degli USA in Venezuela è improbabile anche se Colombia, Brasile e Antille olandesi sono al loro servizio.

Le milizie popolari bolivariane sono una garanzia oltre all’esercito per una resistenza popolare di lunga durata, come nel caso della Siria?

La struttura dell’esercito bolivariano, con il sostegno delle milizie popolari, permetterà al Venezuela di resistere a tutte le aggressioni imperialiste.

In che modo credi che interverranno Russia e Cina di fronte ad un’invasione del Venezuela per difendere i loro investimenti e interessi, o eserciteranno solo pressioni politiche presso le screditate Nazioni Unite?

Russia e Cina hanno già dichiarato che sono disposte ad aiutare militarmente il Governo bolivariano, difendendo in questo modo i loro rispettivi interessi geo-strategici, economici e finanziari. Dichiarazioni serie.

Che ricordi hai del Café Metelitza e delle strade del centro di Mosca?

Non ricordo il Café Metelitza. Le strade del centro di Mosca mi portano alla memoria la Piazza Rossa e i buoni alberghi; sono stato lì l’ultima volta nel 1978.

Ricordi come si chiamava la tua insegnate di russo e il suo cane? Era bella, no?

Non ricordo il nome della professoressa né del suo cane, ricordo invece che era meravigliosa e mi corteggiava.

Quando hai iniziato l’università, conoscevi già un po’ di russo, ma anche l’inglese e spagnolo, naturalmente. La tua fonetica in tutte queste lingue era orribile. L’hai migliorata col tempo?

Ho iniziato a studiare il russo a Londra con mio fratello Lenin nel 1968. La mia fonetica è ancora terribile in tutte e otto le lingue che parlo.

Credi che la giovinezza sia troppo breve?

Nella mia famiglia viviamo tutti almeno 90 anni, sia dal lato di mia mamma che di mio padre. La mia gioventù ha avuto lunga durata.

Che cosa ti manca quando sei giù di morale?

La libertà con i miei compagni e la vita familiare.

Se potessi tornare indietro nel tempo, saresti dietro le sbarre qui in Francia?

Sicuramente no, perché invece del Sudan mi sarei recato in Iraq.

“Il mio Paese è dove vivo”, dicono gli spagnoli. Dopo tanti anni in giro per il mondo, qual è il tuo Paese?

Sono Venezuelano e sono un fedayn Palestinese.

Dopo più di un quarto di secolo dietro le sbarre, come percepisci lo sviluppo della tecnologia digitale?

Ho sul groppone più di 25 anni di galera, non conosco la tecnologia digitale.

Aveva ragione lo Zio Simón (Simón Díaz) quando cantava: “perché dopo questa vita, non abbiamo un’altra possibilità” ?

Simón Díaz intendeva solo la vita sulla terra.

Ilich, in  Svezia è stato trasmesso il documentario di Sophie Bonnet. Lo hai visto. Dopo averlo visto, mi sono venute in mente alcune domande: che vita fa la madre tedesca di tua figlia, vive in Venezuela, che rapporti hai con lei?

Il cosiddetto documentario di Sophie Bonnet è pieno di bugie. Maddalena Kopp è morta di cancro a Francoforte. Elbita vive a Francoforte con il marito e ha due figli. È architetto.

Quante volte ti vengono a trovare tua figlia e i tuoi nipoti?

Dato che a suo marito viene negato il permesso di farmi visita, non può venire a trovarmi spesso. L’ultima volta è venuta a trovarmi per il mio sessantanovesimo compleanno.

Pensi che sia possibile ottenere la grazia o il rimpatrio?

Nessun indulto! Ma rimpatrio, si! Quando ripuliranno il Governo bolivariano dai traditori infiltrati.

Cosa vorresti fare se si verificasse uno dei due casi di cui sopra?

Grazie alla mia lunga esperienza potrei occuparmi della sicurezza dello Stato bolivariano del Venezuela.

Nel documentario di Sophia Bonnet, si dice che il leader palestinese ruppe le relazioni con te dopo la decisione che prendesti nel caso degli ambasciatori dell’OPEC (rapiti), cosa ne pensi?

Quando mi dimisi dal FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) il 15 maggio 1976 (a Baghdad), il dottor Wadie Haddad piangeva e mi implorò di non dimettermi, ma non volevo essere coinvolto nella scissione tra due operazioni estere (Abu Hani) e l’Ufficio politico (George Habbash) nonostante nel febbraio 1976 ad Aden Abu Hani mi avesse promosso al Burò Politico. Ho conservato buoni rapporti con entrambe le parti e, con altri cinque compagni, abbiamo fondato l’Organizzazione degli internazionalisti rivoluzionari ad Algeri nel giugno 1976. Abdelaziz Bouteflika è testimone che ho rifiutato i 50 milioni di dollari che mi sono stati offerti dai governi di Arabia Saudita e Iran per non giustiziare i loro ministri. Hans-Joachim Klein è un bugiardo patologico, un agente nemico.

Ogni risposta era accompagnata da commenti, storie e ricordi, così il tempo è diventato troppo breve. Si sono detti addio con un grande abbraccio, da compagni.

Cheo già sapeva che sarebbe tornato. Il giorno seguente prese l’aereo che lo avrebbe riportato a casa.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessio Decoro]

La trampa de la energía

Sustantivo: si dominas la energía tienes poder.

Verbo: si tienes energía, puedes.

***

Somos vulnerables porque la configuración, los métodos, el “modo” en que estamos diseñados como sociedad fueron decididos y desarrollados por el enemigo.

Si el enemigo creó y diseñó la manera en que accedemos a la energía, el enemigo decide cuándo y cómo será ese acceso a la energía, y cómo y cuándo ese acceso se interrumpe.

Energía: alimentos, electricidad, gasolina, gasoil, gas doméstico. Saque la cuenta de cuántas veces nos han cortado o entorpecido el acceso a esas fuentes de energía y ahí tienen, diáfano y monstruoso, el método, la perversa forma en que el enemigo ejerce la gestión de la energía en contra nuestra, cada vez que le da la gana.

***

Un pueblo que se declara en rebeldía tiene una misión primaria, que es destruir o al menos cuestionar lo existente, lo que nos acostumbraron a ver como algo normal.

Un pueblo que se declara en Revolución tiene otra misión primaria, que es sustituir la forma de funcionar de la sociedad existente, esa cosa “normal” donde la energía hay que comprarla.

Destruyes mientras vas construyendo. Revisen ustedes a ver qué hemos destruido y qué hemos construido.

***

Decir “el petróleo es nuestro” es una declaración ingenua. Sería nuestro el petróleo si nosotros hubiéramos creado alguno de los mecanismos y maquinarias necesarias para su extracción y procesamiento. Tener un océano de petróleo pero depender de los artefactos creados por el enemigo para extraerlo y procesarlo es como tener mamá pero tenerla muerta.

Lo que está tratando Estados Unidos de revertir es el atrevimiento de un loco que quiso darle una voltereta a la historia y decidió que ese petróleo no era de los gringos y los ricos sino de los negros, los indios, los pobres, los condenados y los maldecidos de la tierra. La jugada funcionó un rato, pero ahí vienen los gringos por lo que consideran suyo; nuestra misión es evitar que la hegemonía mundial, dueña de la energía del planeta, venga y desbarate el sueño de Chávez así tan fácil y de gratis.

***

Eso de la propiedad de la energía en manos de gobiernos y corporaciones, de los poderes hegemónicos, se ha convertido en norma y orden, en imperio de facto, por vía de la fuerza, por vía del chantaje legal y también mediante un persistente y muy hábil manejo de la ideología y la cultura, de la imposición de valores y necesidades no siempre reales. A ver si logramos ilustrar ese enunciado tan retorcido con algún ejemplo actual.

A ver: Guri. A cualquiera de nosotros se nos pregunta: “Si Estados Unidos sabotea e inutiliza Guri, ¿qué procede hacer?”. La respuesta mayoritaria seguramente será: “Pues hay que reparar el Guri”. Suena obvio, y en cierta forma lo es, pero no es definitivo ni concluyente; hay que reparar lo que dañaron en Guri para resolver lo que nos depara el futuro inmediato. Pero hay un futuro que no es tan inmediato, y ese es un territorio que deberíamos imaginar, diseñar y construir mediante una lógica distinta a la que hizo posible el sistema basado en la represa de Guri. A menos, claro, que nuestros planes sean estar sujetos para siempre a Estados Unidos y pagar la estabilidad de un sistema eléctrico nacional a punta de petróleo y sumisión. Nos portamos bien con EEUU y ya EEUU no nos sabotea más el Guri. Que siga esa fuente de energía al servicio del capitalismo transnacional: suena fácil, y ya muchos compraron esa opción.

Al finalizar el gigantesco apagón de estos días la expresión y la sensación general fueron de júbilo: nos salvamos, superamos el sabotaje. A muy poca gente se le habrá ocurrido que esa cosa que hemos reparado es obra del enemigo, y que seguirá dependiendo del enemigo lo esencial de su funcionamiento: los repuestos, la tecnología, el conocimiento del mecanismo y del sistema son obra del capitalismo, por lo tanto:

A) volverán a sabotearlo en el futuro, y

B) Si esa mierda le ha servido a la ciudad capitalista entonces no nos sirve para la construcción del socialismo.

La felicidad de nuestra gente por la hazaña de haber restaurado el sistema Guri me recordó, inevitable e irremediablemente, esa repulsiva, estúpida (iba a decir “infantil” pero la mayoría de los niños no se merece el insulto) e inexplicable actitud de nuestros propagandistas, que exhiben y difunden como un logro social arrechísimo el que miles o millones de personas se movilicen en carnaval y semana santa a rejoder las playas y demás entornos naturales con su ruido, su consumismo y su basura citadina. “Aquí no hay crisis, mira cómo perrea y se emborracha esa multitud”. La crisis es también esa condición mental (cultural e impuesta) que lleva a esos vergajos a despilfarrar lo que deberíamos invertir mejor como país (gasolina, fuerza de trabajo, tiempo productivo: ENERGÍA). Un sujeto que dilapidó 500 litros de gasolina y varios kilos de alimentos y bebidas en la misión suprema de movilizarse 600 kilómetros ida y vuelta, sólo para broncearse, saturar de mierda y ruido un pequeño pueblo de Venezuela; para evadirse de la actual situación de guerra, para echarse unas fotos y que lo vieran bailar: ese irresponsable no merece ser mostrado como ejemplo de lo que significa ser feliz. Entre otras cosas, porque ese mismo idiota que echó a la basura ese montón de recursos energéticos corporales, logísticosy de maquinaria, seguramente se sobresaltó el viernes por la noche y lanzó su sentencia: “Marico pero ¿qué pasó? O sea, ¿por qué el gobierno administra tan mal la energía? ¡Exijo que me devuelvan MI derecho a despilfarrar energía, ¡O SEA!”.

Si la felicidad consiste en derrochar recursos limitados entonces usted nunca va a ser feliz, porque los recursos y la energía no le pertenecen. Usted accede a las formas de energía a las que nos habituó el capital porque tiene con qué pagarlas o hay “alguien” que las paga por usted. ¿Es gratis la gasolina? No: el Estado la paga por usted. Y usted decide si la administra con fines justicieros o la despilfarra.

Así ha funcionado y sigue funcionando la imposición de un modelo civilizatorio: convence a tus esclavos/consumidores de que más allá de este sistema no hay alternativas ni posibilidades. Hemos sostenido insólitas discusiones con camaradas marxistas, que escupen y se escandalizan cuando uno propone repensar la forma de producir alimentos, porque según su visión no es viable ni deseable activar los poderes colectivos del pueblo en la misión de realizar tareas de producción. No señor: eso le corresponde a la clase campesina; lo que hay es que ponerles a los campesinos un sueldo digno y mejorarles la calidad de vida y zámpele, compañero, en la lógica agroindustrial. Calidad de vida, empleo, agroindustria, campesinos: no nos atrevemos a conmover y tan siquiera a cuestionar los esquemas y los conceptos del capitalismo, pero reclamamos la etiqueta de vanguardia revolucionaria.

De nuestro Simón Rodríguez y del ejemplo de Vietnam deberíamos o debimos aprender hace rato lo esencial de la gran guerra civilizatoria en que estamos metidos: al enemigo se le derrota con armas, pensamiento y procedimientos propios. Con las armas que ellos mismos inventaron lograremos alguna victoria, pero sólo la creación genuina de métodos, hechuras y estructuras produce victorias perdurables.

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