La campagna elettorale in Venezuela

La campagna elettorale in Venezuela. Articolo tradotto da “Le Monde Diplomatique”

di Ignacio Ramonet
fonte: quitolatino.wordpress.com

Ignacio Ramonet

E’ la quattordicesima. Da quando ha vinto le sue prime elezioni presidenziali nel dicembre del 1998, Hugo Chávez si è sottoposto già – direttamente o indirettamente – tredici volte al suffragio degli elettori venezuelani. Ha quasi sempre vinto, in condizioni di legalità democratica riconosciuta e avallata dalle missione di osservatori inviati dalle istituzioni internazionali più importanti (ONU, UNIONE EUROPEA e CENTRO CARTER, etc…)

Il Presidente del Venezuela in campagna elettorale

Il Presidente del Venezuela in campagna elettorale

Il suffragio del prossimo 7 ottobre costituirà la quattordicesima del mandatario con i cittadini venezuelani. Questa volta ciò che si gioca è la rielezione presidenziale. La campagna ufficiale è partita lo scorso 1′ luglio con due elementi singolari rispetto alle precedenti elezioni. La prima è che Hugo Chávez sta uscendo da tre mesi di cure contro il cancro diagnosticatogli nel giugno del 2011. La seconda è che la principale opposizione conservatrice questa volta è unita. Si è raggruppata sotto la sigla MUD (Mesa de la Unidad Democrática) che dopo le primarie interne ha eletto come candidato, il passato 12 febbraio, Henrique Capriles Radonsky, un giovane avvocato di 40 anni, governatore dello Stato Miranda.

Figlio di una delle famiglie più ricche del Venezuela Henrique Capriles Radonsky è stato uno degli artefici del golpe di stato dell’11 aprile del 2002, insieme con un gruppo di putchistas all’assalto dell’ambasciata cubana di Caracas. Nonostante la sua appartenenza all’organizzazione ultra–conservatrice “Tradizione, Famiglia e Proprietà” e l’appoggio dei settori di destra (tra i quali quelli dei mass–media privati che dominano l’informazione), Capriles fa campagna abilmente rivendicando tutti gli obiettivi sociali raggiunti dal governo bolivariano. E giura addirittura che il suo modello politico si ispira a quello di sinistra dell’ex Presidente del Brasile Lula. Ma, su tutto, scommette sul debilitamento fisico del Presidente Chávez.

In questo però si sbaglia. L’autore di queste righe, presente durante lo scorso mese di luglio, ha seguito le prime due settimane di campagna del presidente, ha conversato varie volte con lui, ha assistito ad alcuni degli estenuanti incontri di massa e può testimoniare della buona salute e dell’eccezionale forma fisica e intellettuale del Presidente.

Smentendo le false notizie che sono circolate in alcuni mezzi di comunicazione come il The Wall Strett Journal e El Pais secondo i quali a causa delle metastasi nelle ossa e nella spina dorsale, gli resterebbero sei o sette mesi di vita; Chávez, che ha compiuto 58 anni lo scorso 28 luglio ha dichiarato: “Sono totalmente libero da malattie; ogni giorno mi sento in condizioni migliori”.

E a quelli che hanno scommesso su una presenza virtuale del leader venezuelano nella campagna, li ha sorpresi nuovamente annunciando di cominciare a ricorrere ogni angolo del Venezuela per conquistare il suo terzo mandato. “Hanno detto di me che mi sarei chiuso nel Palacio Miraflores (il palazzo presidenziale) in una campagna virtuale, su Twitter mi hanno preso in giro ed io sono un’altra volta qui, riprendendo le forze indomite dell’uragano bolivariano. Mi mancava l’odore della moltitudine del popolo in strada”.

Questo ruggito, poche volte l’ho udito cosi potente tra i Viali di Barcellona o di Barquisimeto che hanno accolto Chávez il 12 e 14 luglio. Un oceano popolare, di bandiere e di camice rosse, un maremoto di grida, di canti e di passioni.

Dopo chilometri e chilometri su un alto camion colorato che avanzava tra la moltitudine, Chávez ha salutato le migliaia di simpatizzanti che erano accorsi a vederlo di persona per la prima volta dalla sua malattia. Tra lacrime di commozione e baci di ringraziamento verso un governo ed un uomo che, rispettando le libertà e la democrazia, ha compiuto le sue promesse con i più umili, ha pagato il debito sociale e ha dato a tutti, finalmente, educazione gratuita, occupazione, sicurezza sociale e case. Per privare l’opposizione di una minima speranza Chávez, durante i suoi lunghi discorsi elettorali che ha pronunciato senza dare nessun segno di fatica, ha cominciato dicendo: “Sono come l’eterno ritorno di Nietzsche, perché in realtà ritorno da varie morti e che nessuno si faccia illusioni, fino a quando Dio mi darà la vita continuerò a lottare per la giustizia dei poveri, quando il mio fisico mi lascerà io resterò con voi per queste strade. Perché io non sono più io, mi sento incarnato nel popolo. Già Chávez si è convertito in popolo e ora ci sono milioni di Chávez. Chávez sei tu donna, sei tu giovane, sei tu bambino, sei tu soldato, siete voi pescatori, agricoltori, contadini e commercianti. Passi quel che passi, non ci riusciranno a averla vinta con Chávez, perché ora Chávez è tutto un popolo invincibile”.

Nei suoi interventi non sono mancate critiche ad alcuni governatori e sindaci del suo proprio partito che hanno sbagliato nei loro impegni elettorali: “Mi sono convertito nel primo oppositore” ha dichiarato. “Uno può criticare la rivoluzione, però non si può votare la borghesia, questo sarebbe tradimento. A volte possiamo sbagliare, però abbiamo nel cuore amore e verità per il popolo”.

Oratore fuori dal comune, i suoi discorsi sono colloquiali, illustrati di aneddoti, di umore e addirittura di canzoni. Però sono anche, sebbene non sembri, vere composizioni didattiche molto elaborate, molto strutturate, preparate in modo serio e professionale e con obiettivi concreti. Si tratta, in generale, di trasmettere un’idea centrale che costituisce il perno principale del suo segno discorsivo. In questa campagna va esponendo e spiegando metodicamente il suo programma.

Però per non annoiare e non essere pesante, Chávez si distanzia da queste esposizioni e si dà a quelle che potremmo definire escursioni in campi correlati (aneddoti, ricordi, poemi e battute divertenti) che a volte non hanno una connessione con quanto detto. Nonostante questo, ritorna al suo discorso centrale senza perderne il filo. Tutto questo gli dà un effetto prodigioso e di ammirazione. Nei suoi recenti discorsi elettorali, Chávez compara le politiche di demolizione del Walfare (menziona per esempio i tagli attuati dal Presidente spagnolo Mariano Rajoy) che si stanno realizzando in vari paesi d’Europa. Nei suoi quattordici anni di esistenza (1999 – 2012), la Rivoluzione Bolivariana ha conseguito, nell’ambito regionale, considerabili risultati: la creazione del Petrocaribe, del Petrosur, del Banco del Sur, dell’ALBA, della moneta Sucre (Sistema Unico di Compensazione Regionale), dell’UNASUR, della CELAC e l’ingresso del Venezuela nel MERCOSUR. E tante altre politiche hanno fatto del Venezuela di Hugo Chávez un laboratorio di innovazioni per avanzare verso la definitiva indipendenza dell’America Latina.

Sebbene una forte campagna di propaganda pretenda che nel Venezuela Bolivariano i mezzi di comunicazione siano controllati dallo Stato, la realtà – verificabile da qualsiasi testimone di buona fede – è che appena un 10% delle emittenti radio sono pubbliche mentre il restante 90% sono private. E solo il 12% dei canali di televisione sono pubblici, mentre l’88% sono privati e comunitari. In quanto alla stampa scritta, i principali giornali El Nacional e El Universal sono privati e sistematicamente ostili al Governo.

La grande forza del Presidente Chávez è che la sua azione concerne soprattutto su questioni sociali (salute, alimentazione, educazione e casa), quello che più interessa ai venezuelani umili (75% della popolazione). Il 42% delle entrate statali sono oggi rivolti a questi settori sociali. Ha diminuito il tasso di mortalità infantile del 50%, ha sradicato l’analfabetismo. Ha moltiplicato per 5 il numero dei maestri nelle scuole pubbliche (da 65.000 a 350.000). Il Venezuela è oggi il secondo paese della regione per numero di studenti matricolati in educazione superiore (83%), dopo Cuba, ma superiore all’Argentina, all’Uruguay e al Cile ed è il quinto a livello mondiale superando gli USA, il Giappone, il Regno Unito, la Cina, la Francia e la Spagna.

Il Governo Bolivariano ha generalizzato la sanità e l’educazione gratuita, ha moltiplicato le costruzioni di case; ha aumentato il salario minimo (il più alto dell’America Latina); ha concesso pensioni a tutti i lavoratori (incluso agli informali e alle casalinghe); ha migliorato le infrastrutture degli ospedali; offre alle famiglie modeste alimenti, mediante il sistema Mercal, un 60% più economico dei supermercati privati; ha limitato il latifondo per favorire il doppio della produzione di alimenti; ha formato tecnicamente milioni di lavoratori; ha ridotto le disuguaglianze; ha ridotto di un terzo la povertà; ha ridotto il debito estero, ha eliminato l’anti–ecologica pesca a strascico ed ha promosso l’eco–socialismo.

Tutte queste azioni, in 14 anni in modo ininterrotto, spiegano l’appoggio popolare a Chávez, il quale promette nella sua campagna: “Tutto quello che abbiamo fatto è poco rispetto a quello che faremo”.

Sono stato testimone di milione di persone che lo venerano come un santo. Lui – che è stato un bimbo molto povero, venditore ambulante di dolci per le strade del suo paesino – ripete con calma:”Sono il candidato dei più umili, e mi consumerò al servizio dei poveri”. Sicuramente lo farà. Una volta la scrittrice Alba de Céspedes domandò a Fidel Castro come avrebbe potuto fare tanto per il suo popolo: educazione, salute, riforma agraria, etc… E Fidel semplicemente rispose: “Con grande amore”. A tal proposito Chávez potrebbe rispondere lo stesso. E come risponderanno gli elettori venezuelani? La risposta la avremo il prossimo 7 ottobre.

Traduzione di Davide Matrone

Articolo apparso su “Le Monde Diplomatique” versione spagnola dell’agosto 2012.

La proposta di Programma per la Gestione Bolivariana 2013-2019 in italiano

Proposta di Programma del Presidente venezuelano in italiano a cura dell’Associazione ALBA

Pistoia con la Rivoluzione venezuelana!

Pistoia, 16-08-2012

Sabato 28 luglio, presso la libera officina 1° Maggio a Pistoia, si è svolta l’assemblea pubblica “un altro mondo è possibile! L’esperienza latinoamericana e il socialismo nel XXI° secolo”.

Al termine del dibattito tutti i partecipanti sono stati concordi nel volere dare un contributo alla rivoluzione Venezuelana e nel ribadire l’importanza che essa ricopre a livello mondiale.

Avvicinandosi la data di domenica 7 ottobre anche per noi compagni che abitiamo a migliaia di chilometri dal Venezuela aumenta l’attesa e l’impazienza per quello che potrà essere l’esito delle votazioni.

Il 7 ottobre le masse popolari venezuelane saranno chiamate a decidere che cosa vogliono fare del proprio futuro, quindi noi ci auspichiamo che tutti gli strati popolari che da sempre sostengono la rivoluzione venezuelana comprendano l’importanza di questa scadenza e si rechino in massa a votare, dando modo a Chávez e al suo partito di poter continuare a svolgere il proprio ruolo, non soltanto in patria (avanzando nel percorso iniziato) ma anche a livello mondiale.

La presenza di una base rossa come quella venezuelana è fondamentale per tutto il movimento rivoluzionario internazionale, in quanto si riflette negli occhi di tutti coloro che lottano (da qualsiasi parte del mondo essi si trovino), come un esempio positivo e vincente.

La rivoluzione venezuelana incute fiducia, ottimismo, speranza, fa vedere quello che le masse popolari organizzate e dirette da un grande partito possono fare, conferma che un altro mondo oltre ad essere necessario è anche possibile.

Dal canto nostro noi compagni italiani se vogliamo veramente dare un contributo utile e concreto ai fratelli venezuelani non possiamo limitarci soltanto ad esprimere loro la nostra solidarietà e a dichiarargli il pieno sostegno, ma dobbiamo anche usare tutte le nostre energie e le nostre capacità affinché si riesca a portare a termine un compito che finora nessuno è mai stato all’altezza di svolgere, ovvero quello di portare a termine la rivoluzione a casa nostra, in Italia.

Oggi più che mai il carattere sempre più globalizzato dei sistemi produttivi di ogni nazione impone che – per far si che paesi come Cuba e Venezuela facciano ulteriori progressi e passi in avanti verso la costruzione del socialismo – anche nei paesi imperialisti vengano instaurati governi d’emergenza in contrapposizione con il sistema capitalista, che affidino la produzione di beni e servizi ad agenzie pubbliche secondo un piano socialmente approvato e che inizino a stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione e scambio tra loro oltre a fare fronte comune nei confronti degli attacchi che inevitabilmente vengono sferrati dagli stati nemici.

W la Rivoluzione Venezuelana!

W Chávez!

W la rivoluzione nei paesi imperialisti!

W la rinascita del movimento comunista internazionale!

Collettivo collaboratori del P.CARC
Sezione Pistoia/Prato del P.CARC

Comunicato n 43 del Ministero degli Esteri dell’Ecuador sul caso Assange

Il Ministro degli esteri dell’Ecuador Ricardo Patiño

Il Ministro degli esteri dell’Ecuador Ricardo Patiño

Vogliamo ratificare, con tutta fermezza, la posizione dell’Ecuador rispetto alla minaccia che ieri mercoledí 15 agosto, il Governo del Regno Unito ha ipotizzato contro il nostro paese.

Non possiamo permettere che il percorso di studio e conversazione amichevole fin qui realizzato con il Regno Unito, venga intorpidito da una comunicazione ufficiale pubblicamente aggressiva contro l’Ecuador, in merito alla richiesta d’asilo politico di J. Assange.

Non possiamo, inoltre, permettere che la reazione di voci ufficiali del Regno Unito, rispetto alla nostra lamentela pubblica per il comportamento improprio, si riduca ad una allegra dichiarazione nella quale si dica :”loro sono stati onesti con la loro posizione”.

L’Ambasciata Britannica ha consegnato ufficialmente alla nostra Cancelleria un comunicato che si esprime in questi termini:

– “Dovete essere coscienti che c’è una base legale del Regno Unito – la legge sulle sedi Diplomatiche e Consolari del 1987 (Diplomatic and Consular Premise Act 1987) – che ci permetterebbe di intraprendere azioni per arrestare il Signor Assange nei luoghi in cui attualmente si ritrova”.

– “Sinceramente speriamo di non arrivare a questo punto, se voi però non potete risolvere la vicenda della presenza del Signor J. Assange nei luoghi in cui si ritrova, questa vicenda resterà per noi un caso aperto”.

Quello che appare al Governo, manifesta l’aperta intenzione di utilizzare in modo discrezionale diversi strumenti normativi in ambito statale, con l’uso della forza come metodo di risoluzione di una situazione che fino ad ora, si era articolata attraverso lacci amichevoli e strettamenti diplomatici.

Durante le conversazioni mantenute in merito al caso di J. Assange, il Regno Unito non ha ceduto di un passo nel trovare una soluzione soddisfacente per tutte le parti. In questo contesto, la nota consegnata ieri sera è un chiaro e offensivo attacco al diritto che ha l’Ecuador, come paese sovrano, di decidere su una richiesta di protezione diplomatica al cittadino che l’ha formulata; liberi da coazioni, da pressioni o manipolazioni di qualsiasi tipo.

È il caso di ricordare che tra vari precedenti denunciati davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU – di cui il Regno Unito è membro permanente – per azioni intrusive in sedi diplomatiche, si trova la recente nota della stampa SC/10463, emessa il 29 novembre del 2011. In questo caso, il paese interessato fu precisamente il Regno Unito e come apporto legale si è applicato, questa volta sì, la Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche del 1961 e che il suddetto trattato stipula rispetto dell’inviolabilità del personale e dei locali diplomatici e che deve essere rispettata e protetta in tutti i casi dagli Stati firmanti.

È anche il caso di menzionare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n 457 del 4 dicembre del 1979 e la n 461 del 31 dicembre del 1979, alla radice della crisi nell’Ambasciata Usa a Teheran. Nuovamente la Convenzione di Vienna fu lo strumento legale per pronunciare una condanna contundente all’attuazione di uno Stato rispetto alla situazione del personale e dei locali diplomatici di un terzo paese.

Pertanto non possiamo accettare il doppio peso utilizzato dalle autorità britanniche nel caso specifico. Nessuna legge in ambito nazionale può essere utilizzata per giustificare, in nessun caso, un’azione intrusiva nei locali diplomatici di nessun paese del mondo. E meno ancora, può servire per emettere minacce esplicite e ricatti che cercano di piegare la volontà di un paese sovrano.Questo mai!

Davanti a questa azione, che suppone un pericolosissimo precedente per qualsiasi paese del nostro continente e del mondo, l’Ecuador ha richiesto immediatamente agli organismi regionali, OEA, ALBA e UNASUR, la convocazione di riunioni di alto livello per trattare questa minaccia e coordinare una risposta a livello regionale che non lasci nell’impunità un simile atto. Domenica prossima avremo una riunione dell’UNASUR a Guayaquil.

In questo senso, nel conseguire una forma chiara e comune davanti a questo tipo di azioni, l’Ecuador vuole ringraziare pubblicamente le manifestazioni d’appoggio e solidarietà che molti paesi, leader politici, attivisti sociali hanno espresso, attraverso vari canali, dal pomeriggio di ieri. Malgrado le risposte non soddisfacenti da parte del Governo Britannico fino a questo momento, questa Cancelleria non ha ricevuto nessuna scusa, smentita o rettificazione. Pensiamo che il clamore d’appoggio rafforzi la nostra indole di ferma risposta legata ai principi elementari del diritto e del rispetto tra paesi uguali.

L’Ecuador è uno stato libero e democratico, non soggetto a tutele esterne di nessun tipo, indipendente da interessi estranei al suo popolo, sovrano nelle sue decisioni politiche ed economiche. Nello stesso tempo corrobora la sua posizione di rispetto al diritto internazionale e il dialogo tra stati sovrani per la risoluzione del conflitto.

Comunicato n 0043

del 16 agosto 2012

traduzione dal castigliano di Davide Matrone

Osvaldo Bayer: la Patagonia ribelle e il genocidio indio

Intervista a Osvaldo Bayer

a cura di Marco Nieli

Fonte:
http://marcoiane.wordpress.com/ituzaingo’2046-piattaforma/movimento

Osvaldo Bayer

Osvaldo Bayer

Storico del movimento operaio argentino, della Patagonia ribelle e del genocidio indio

-Osvaldo, uno dei tuoi lavori di storico del movimento operaio argentino tratta dell’anarchico italo-argentino Severino Di Giovanni, nato a Chieti in Abruzzo e successivamente migrato in Argentina. Quale pensi sia stato il ruolo degli Italiani nel movimento anarchico e più in generale operaio in questo paese all’inizio del Novecento?

È stato sicuramente un ruolo enorme, a cominciare dai primi arrivi a partire dagli anni ’80 del XIX secolo. A Boca, quartiere operaio di Buenos Aires, nel 1879, il generale Roca (lo stesso della Campagna del Deserto che ha portato al genocidio degli Indios e all’annessione della Patagonia allo Stato argentino) ordinò una terribile repressione di lavoratori anarchici, la maggioranza dei quali genovesi, livornesi e delle regioni del Sud, che avevano istaurato una specie di Repubblica Autonoma, basata sull’assemblearismo e sull’orizzontalità dei rapporti sociali.

-Non a caso, la migrazione dal Sud Italia è cominciata dopo il 1887, dopo cioè la revisione del Trattato di Libero Commercio con la Francia, che permetteva ancora qualche possibilità di sopravvivenza alle masse rurali del Sud d’Italia, già massacrate con la scusa della guerra al brigantaggio, espropriate degli usi comuni di memoria feudale, costrette al servizio militare e caricate di un peso fiscale esorbitante. Tra l’altro, negli anni ’70, il Primo Ministro Menabrea era in trattative con il governo britannico per deportare i Meridionali recalcitranti al nuovo ordine unitario in Patagonia, all’epoca ancora “terra di nessuno” (in realtà abitata dai nativi Mapuche, Ranqueles e Pehuelches).

Uhm…. e’ una storia interessante. Per quello che so io, la storia ufficiale dell’unificazione italiana racconta tutt’un’altra versione. Ma la storia ufficiale, si sa, la scrivono sempre i vincitori e, dunque, mi immagino bene che ci sia molto da investigare e ricercare sugli eventi che hanno portato alla colonizzazione del Sud.

-La storia ci insegna che i processi di unificazione non sono sempre indolori, se calati dall’alto e condotti dalle logiche del capitale. Che pensi del modello seguito dall’Europa per la sua unificazione, attraverso la moneta e il mercato finanziario?

Quello che sta vivendo oggi l’Europa, con la crisi economico-finanziaria, è la prova più evidente che il capitalismo non funziona. Il capitalismo non risolve nessun problema, stiamo attraversando una crisi tremenda. Il sistema non va. Io mi domando: perché non si riuniscono i maggiori economisti attorno a un tavolo per discutere di come cambiare il modello di sviluppo e il modo di produzione e per porre riparo a questo sfacelo? Quello che noi oggi vediamo in paesi come la Spagna, con un 50% dei giovani che non hanno lavoro, è una roba pazzesca, è una violenza terribile. Bisognerebbe trovare il modo di uscire da queste crisi cicliche che il capitalismo per la sua struttura è portato a generare. È un sistema basato sull’avidità di guadagno e sull’egoismo sociale, che ci sta portando alla catastrofe sociale e ambientale. Bisogna superarlo.

-Invece, cosa pensa del modello di integrazione dal basso seguito qui in Sudamerica con il progetto dell’ALBA?

Credo che rispetto agli anni in cui ho incominciato a militare e a scrivere io, nei quali abbiamo conosciuto delle dittature ferocissime, che hanno falcidiato un’intera generazione di militanti politici, abbiamo fatto dei notevoli passi in avanti. D’altro canto, penso che il processo dell’ALBA vada avanti troppo a rilento. C’è continuamente il pericolo che le conquiste sociali realizzate in paesi come il Venezuela, l’Ecuador, la Bolivia vengano spazzate via dalla reazione delle oligarchie, appoggiate dai centri nevralgici dell’Impero. Bisogna approfondire le conquiste della rivoluzione socialista, prima che vengano rimesse in discussione.
Mar del Plata, Argentina, Universidad Nacional de MdP (Humanidades), 07/06/2012.

Osvaldo Bayer, nato a Santa Fe, Argentina, nel 1927, è un importante storico del movimento operaio argentino, soprattutto della componente anarchica e del genocidio dei Nativi. Negli anni del primo peronismo (1945-‘50) aderisce alla FLA (Federación Libertaria Argentina), partecipando con il proprio punto di vista al movimento operaio e intellettuale di resistenza alla “Libertadora”: nel 1959, è espulso da Esquel, Patagonia, per la sua difesa degli indios mapuche; nel 1963, il Ministro degli Interni J. H. Rauch, discendente del famoso colonnello massacratore di indios ranqueles, lo fa arrestare per aver proposto di cambiare nome alla cittadina della Pampa Rauch in Arbolito (nome dell’indio uccisore del prussiano). Negli anni della Dittatura, Osvaldo è costretto a emigrare in Germania, perché riceve minacce di morte e i suoi libri sono bruciati nei famosi roghi di libri ordinati dal Regime Militare. Torna in Argentina solo con la democrazia, nel 1983. Scrittore, traduttore, giornalista, sceneggiatore cinematografico, Bayer è stato Professore Onorario della Libera Cattedra dei Diritti Umani della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’UBA (Università di Buenos Aires) e oggi, visiting professor della Deutsche Stiftung für Entwicklungspolitik di Bad Honnef, Germania. Come giornalista, ha scritto per numerose testate, tra cui Esquel, La chispa, Noticias Gráficas, Clarín e Pagina/12 (il periodico di O. Soriano). Ha tradotto dal tedesco Goethe, Kafka, Brecht, etc. Autore di numerosi libri di investigazione storica, tra i quali sicuramente i più famosi sono Severino Di Giovanni, l’idealista della violenza (1970), La Patagonia rebelde (1972-74, sulle fucilazioni di braccianti anarchici nella Patagonia del 1921), Gli Anarchici espropriatori e altri saggi (1975), Ribellione e speranza (1993), In cammino verso il paradiso (1999) e Rainer e Minou (romanzo, 2001). Ha sceneggiato il film La Patagonia rebelde di Hector Oliveira (Orso d’Argento a Berlino nel 1974) e il film sulla dittatura La amiga (1988). Nel 2003, ha ricevuto la Laurea Honoris Causa per l’impegno come scrittore e giornalista sui Diritti Umani dall’Universidad Nacional del Centro de la Provincia de Buenos Aires (circa 15 gg dopo veniva dichiarato persona “non grata” dal Senato argentino su iniziativa di E. Menem, per una sua proposta di riunificazione delle Patagonie cilena e argentina). Negli ultimi anni, ha ripreso e intensificato la campagna per la demonumentalizzazione delle strade, delle piazze e delle banconote argentine intestate a genocidi di indios come Rauch e Roca. Del 2010 è il suo documentario sui popoli nativi argentini Awka Liwen (Alba ribelle).

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