di Anika Persiani
Quindi stiamo tornando alla quasi normalità. Ci sono ancora allerte e precauzioni per le vaste aree del paese soggette ad ulteriori black out, ma la gente continua a vivere. Si fanno feste, si celebrano matrimoni, nascono bambini. Insomma, la paura non riesce ad installarsi in questa società, siano quali siano le cause degli “apagones” (black outs). Si sale sui mezzi di trasporto e ci si sposta da un lato all’altro del paese senza farsi dominare dall’incertezza, si ride sugli autobús, si ride in metropolitana, si scherza sul buio e si riconquistano quei valori che esistevano anche in Europa, tanti anni fa; quando era più comune tenere di scorta delle candele in casa, in caso di mancanza di corrente. Non è che non si sappia cosa voglia dire, in Italia, restare senza luce. Ci siamo passati tutti, chi più, chi meno. E sconvolgersi, o fare gli sconvolti quando abbiamo ancora isole che si illuminano grazie ai generatori, è una forma ipocrita di dimenticare chi siamo e quale sia stata la nostra storia recente.
Noi, che abbiamo concittadini che ancora bestemmiano per la mancanza di servizio idrico, dallo Zen di Palermo alla provincia di Napoli, a Napoli centro.
Oggi Caracas risponde con le strade piene di gente; le province, anche quelle più isolate, si animano di nuovo e tornano alla loro quotidianità. Le persone hanno passato giorni e giorni con le sedie piantate davanti alla porta a chiacchierare di politica, di Impero Statunitense, di invasione. Come facevamo in tempi remoti anche noi italiani, con le veglie dopo cena, d’estate, con i commenti dopo il TG e la paura del terrorismo. O aspettando che Berlinguer desse il via alla Rivoluzione.
Chi ha fatto saltare i trasformatori della centrale idroelettrica del Guri, qua in Venezuela, sicuramente è un terrorista. Siano stati soggetti che hanno lavorato direttamente dall’estero, siano stati gli stessi operatori di Corpoelec (compagnia elettrica nazionale) che, per pochi dollari, hanno optato per fottere i propri concittadini. Ne sono successe di cose strane, comunque.
Qualcuno sapeva, qualcuno era pronto a tweettare nei minuti immediatamente successivi al black out.
E qualcun altro, dall’Italia, avvertiva coloro che volevano viaggiare con me, alla volta di Caracas, che sarebbero successe cose brutte, molto brutte, già qualche giorno prima del primo “apagón”.
Come ne siano stati a conoscenza, resterà un mistero ancora per poco.
Qua, per imbambolare tanti ingenui, in corner, si è iniziato a parlare di mancanza di manutenzione dell’impianto e della sua debolezza. Voglio dire, che magari l’impianto non fosse perfetto a causa dell’impossibilità di acquisto (per le sanzioni economiche, ovviamente) dei pezzi di ricambio, non è una novità. Qualche problema, negli ultimi tempi, si è comunque riscontrato. Ma se il tutto fosse imputabile solo alla mancanza di manutenzione, non è che contemporaneamente si sarebbero potuti perdere i trasformatori e i motori per dare energia a 24 stati. Neanche i Santeros, con le loro magie, sarebbero riusciti a fare un botto del genere!
E, da parte del governo di Nicolás Maduro, non ci sono state rese, nonostante le insistenti minacce di invasione o di intervento attraverso aiuti umanitari alquanto discutibili (persino la Croce Rossa non ha riconosciuto la legalità del metodo di intervento dalla Colombia con i camion). Perché i poveri, quelli veri, quelli che ricevono sussidi, quelli che non hanno né conti, né parenti all’estero in condizione di salvargli i giorni di metà mese, stavano con il Presidente. Pattugliavano le strade nel buio più totale, ti facevano sentire sicura anche in mezzo ad una montagna, dove arrivava solo la luce della luna. I cittadini che votano e sostengono il loro Presidente, senza paura, uscivano di notte con le torce. Le porte delle case si aprivano per offrire caffè senza zucchero (altro bene prezioso) o qualche fetta di pane. I barrios di Caracas si illuminavano grazie alle torce fatte con panni vecchi e benzina, ed in certi punti c’era più illuminazione di quando tutto funziona perfettamente.
Ecco, dal Venezuela uno straccio di racconto normale, che racconta di gente normale, che vuole respirare aria normale.
Sì, normale.