Chávez desde el Bronx hasta Nápoles

por correodelorinoco.gob.ve

Inaugurado mural en honor al Comandante Hugo Chávez en Italia

El mural recoge la historia de los pueblos indígenas, las luchas campesinas, de las Madres de la Plaza de Mayo, el movimiento sandinista, la figura revolucionaria de la mujer… todo dedicado a la importancia de mantener la memoria histórica y conocer la identidad latinoamericana

 

Luego del reciente mural dedicado al Comandante Hugo Chávez en el Bronx- Nueva York, la ciudad de Nápoles regala un nuevo homenaje a la memoria y al ejemplo de líder venezolano

En un clima de alegría, amor y fraternidad infantil culminó la III Edición de la Copa Hugo Chávez, un torneo que nace a raíz de la Campaña “Por Aquí pasó Chávez” lanzada a nivel internacional para recordar el Comandante a un año de su desaparición física en el 2013 y en este contexto La actividad inició con la inauguración del mural realizado por la artista de graffiti Diana Petrarca, dedicado a la unidad latinoamericana y al rol del presidente Chávez como elemento de integración.

El mural recoge la historia de los pueblos indígenas, las luchas campesinas, de las Madres de la Plaza de Mayo, el movimiento sandinista, la figura revolucionaria de la mujer a través de la cubana Celia Sánchez, todo dedicado a la importancia de mantener la memoria histórica y conocer la identidad latinoamericana.

Las asociaciones participantes fueron el Centro Social DAMM (Diego Armando Maradona Materdei), el Centro Intercultural NANÁ y la Asociación “Ciro Vive”, a través de su presidenta Antonella Leardi. Igualmente recibió el apoyo del Cuerpo Consular Acreditado en Nápoles, representado por Gennaro Danese, Cónsul Honorario de Nicaragua y la Alcaldía de la ciudad de Nápoles.

Primavera Sorrentino, miembro del colectivo Exopg – “Je So’ Pazzo” durante las palabras de bienvenida explicó la importancia de la estructura, la esencia política del centro a través del control popular y la importancia del ejemplo de Hugo Chávez a nivel internacional.

Amarilis Gutiérrez Graffe, cónsul general de Primera durante la premiación agregó: “Estas son las mejores paredes para rendir homenaje a Chávez, aquí se sentirá como en casa. El exopg desde su apertura ha mantenido vivo su ideario y ha apoyado fuertemente al pueblo bolivariano. Este mural lo sumamos al mural develado en el Bronx, agradecemos a los artistas y a los niños por regalarnos esta bella jornada. En este torneo hemos ganado todos, porque ha ganado el amor y la solidaridad”.

Es importante destacar que el torneo deportivo luego de sus ediciones 2014 y 2015 ha crecido en importancia e impacto, reuniendo diversos sectores sociales, asociaciones e instituciones, llevando adelante el concepto del deporte popular así como la participación activa y protagónica del pueblo venezolano.

FyF/MPPRE

 

Il vitello d’oro è stato trasformato in maiale

funny-pigdi Antonio Aponte e Toby Valderrama

elaradoyelmar.blogspot.com

Che il governo socialdemocratico voglia persistere a inciampare sulla stessa pietra, realmente meraviglia. E costituisce uno sgarbo nei confronti dei governanti e del popolo umile, e anche una condanna del chavismo che, inerte, assiste al proprio annichilimento.

Sommersi da una crisi di cui nemmeno le persone più anziane serbano memoria, il governo glissa sulle proprie responsabilità e in questo modo liquida ogni possibilità di rettifica; se il modo in cui agisce il governo è corretto, allora perché bisogna cambiare, la colpa ricadrà su altri, al “maialino” espiatorio o alla testa di turco che in passato non risolse nulla, ma almeno riuscì a tranquillizzare l’anima dei peccatori. I colpevoli si possono chiamare impero, borghesia diffusa e nemica di come si conduce l’economia, o possono essere quelli che ora sono bollati come “traditori”, che più che traditori tendono a essere i colpevoli di tutti i mali.

È proprio così, il governo attraversa questa crisi senza macchiarsi il vestito, non può essere imputato di nulla, non sbaglia mai, tutto quello che dice e fa è giusto, il male si trova da un’altra parte, al suo esterno. Tutto questo sarebbe una furbata da governanti se non fosse perché questo tipo di comportamento ci conduce verso il caos, verso il fascismo. Analizziamolo più da vicino.

L’errore nel quale incorre il governo è che nel campo dell’economia non vede altro che il materiale, lo stomaco. In questa forma la politica solo si riduce a chi somministra, a chi è il migliore fornitore. Il cuore, l’idealismo non sono presi in considerazione, in questa maniera l’economia perde la sua metà, la metà più importante, quella decisiva, l’anima, lì dove tutto finisce e tutto inizia.

Quando la fornitura materiale è fallita, quando il vitello d’oro ha smesso di essere tale, ci siamo accorti che in un paese di fornitori e consumatori insaziabili l’etica è quella del mercenario. Il governo, che non possiede altro da offrire, mente; la menzogna diventa una merce di produzione industriale, la consumano gli umili disposti all’ingenuità. Ma l’ingenuità e la menzogna sono una miscela esplosiva per tutti quei governi che un giorno si vedono abbandonati, senza più un appoggio attivo, perendo nelle mani dei nuovi fornitori che offrono promesse che sono consumate dagli ingenui e tutto continua fino a quando non giunge di nuovo il benessere per ricominciare la danza intorno al vitello d’oro, che poi finisce nel lamento del “maialino” che si è rubato l’oro.

Questo ciclo cupo: vitello-maialino/benessere—lamento/consumo-lagnanza è stato rotto da un Comandante che aveva capito che la cosa più fondamentale non è il materiale, il quale solo serve per seguire l’ideale, per sostituire i lupi con i fratelli. Un Comandante che ha scelto di essere Cristo e non Rockefeller, di essere Bolívar e non Boulton, che si è giocata la vita per una Rivoluzione che presentiva fosse infinita. Ma il Cristo è stato nuovamente crocifisso e il ciclo è riapparso e con lui la menzogna che per l’umile ora è meno attendibile. Ma si sospetta che laggiù nel fondo esistono dei dirigenti che possono, vogliono, rompere nuovamente questo ciclo.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]

Gianni Minà: «La Storia non torna indietro»

di Alessandro Bianchi – L’Antidiplomatico

I suoi film documentari su Che Guevara, Muhammad Ali, Fidel Castro, Rigoberta Menchú, Silvia Baraldini, il subcomandante Marcos, Diego Maradona e Hugo Chávez sono già storia. Il suo voler essere ostinatamente un uomo libero e amante della verità lo ha costretto ad essere lontano dai riflettori del circo mediatico negli ultimi anni. La sua straordinaria dedizione e amore per il giornalismo, quello vero, quello che in Italia è solo un bieco ricordo, lo hanno recentemente portato di nuovo a Cuba, nella sua Cuba, per assistere da vicino allo storico recente viaggio del Papa più rivoluzionario. Oggi editore e direttore della rivista Latinoamerica e tutti i sud del mondo. Nessuno, in poche parole, più di Gianni Minà può illuminare l’opinione pubblica italiana sulle elezioni in Venezuela e sul futuro di quel processo di integrazione dell’America Latina oggi a rischio per il ritorno del Fondo Monetario Internazionale in paesi che si erano disintossicati.
 
L’AntiDiplomatico lo ha intervistato per voi.
 
Le elezioni del 6 dicembre in Venezuela segnano una brusca frenata per la rivoluzione bolivariana. Quale è stata la sua prima reazione a caldo e quali riflessioni dobbiamo trarne a mente un po’ più fredda? 
 
Bisogna essere molto onesti intellettualmente su questo. Il Venezuela vive nella condizione vissuta già da Cuba 50 anni fa. Una situazione di difficoltà estrema creata ad hoc per far fallire il paese, far fallire la sua idea meravigliosa. Mentre Chávez ha saputo sempre reagire con una saggezza alta, con un istinto politico fuori dalla norma, la rivoluzione bolivariana priva del suo leader è ora all’esame più importante dopo la sconfitta elettorale del 6 dicembre. Con le spalle al muro, Chávez aveva sempre reagito e con Lula era stato il protagonista di quel capolavoro politico che è l’integrazione dell’America Latina. Oggi Maduro e i suoi eredi devono dimostrare di saperlo fare, ma non sarà facile.
 
Devono dimostrare di superare questo momento. Ma per farlo non si può partire da un’analisi seria e obiettiva degli errori commessi. Qual è stato il più grande secondo lei?
 
L’errore più grande è quello di aver accettato lo scontro totale e non aver cercato, come fece Chávez, di negoziare su alcuni fronti. Certo la guerra è stata totale, i mezzi di comunicazione internazionali hanno alzato la posta in gioco mistificando costantemente tutto ed era difficilissimo, ma Maduro non ha saputo reagire con il dovuto calcolo politico al clima internazionale creatosi contro il Venezuela. 

Il clima è stato oggettivamente senza precedenti. Pensiamo ad esempio alla figura di Leopoldo Lopez, in occidente dipinto come prigioniero politico, quando in realtà è un istigatore di violenza e un chiaro eversivo. 
Oggi la moglie è stata dipinta ad hoc come l’immagine di questa opposizione, avamposto del ritorno delle multinazionali occidentali e del Fmi nel paese, quando l’immagine che più ritrae questa famiglia è la famosa fotografia tra George W. Bush e Lopez alla Casa Bianca. Le direttive partivano da lì, sono sempre partite da lì.
  
Lei che l’ha conosciuto di persona e che ha avuto modo di studiare e scrivere come nessuno in Italia sull’America Latina, come avrebbe reagito Chávez?
 
Chávez era un vero democratico, in quel senso di democrazia che noi in occidente non conosciamo più o facciamo finta di non ricordare. Era poi un innovatore incredibile. Chávez subì un colpo di stato nell’aprile del 2012 ed ha reagito con la capacità di chi era in grado di mettere in discussione e di sconfiggere, portando il popolo dalla sua parte, tutte le mistificazioni, bugie e fango creato ad hoc da quelle corporazioni mediatiche che lavorano per gli interessi di chi vuole da sempre far tornare il Venezuela il giardino di casa degli Stati Uniti. E dopo il 6 dicembre Chávez si sarebbe rimboccato le maniche, sarebbe ripartito e avrebbe riportato il popolo dalla parte della rivoluzione bolivariana per la nuova sfida. 
 
E Nicolás Maduro, l’erede scelto da Chávez per proseguire il percorso rivoluzionario, ci riuscirà?
 
Io sono moderatamente ottimista; è vergognosa la congiura internazionale per far cadere un governo democraticamente eletto che fa la politica quella con la P maiuscola, per il popolo e non per tutelare gli interessi delle oligarchie finanziarie degli Stati Uniti, quelle per intenderci che noi in occidente ossequiamo. Io ho fiducia nell’autodeterminazione delle singole popolazioni che lottano contro i colpi di stato morbidi e le guerre economiche. La popolazione del  Venezuela lo capirà presto, ne sono sicuro.
 
Strano come per i commentatori italiani che parlano oggi di trionfo di democrazia in Venezuela, la democrazia è sempre quando vincono i regimi che si chinano alle nostre merci, mentre dittature sono quei governi che perseguono l’emancipazione delle loro popolazioni. Per quegli stessi commentatori il Chavismo è di fatto finito; è d’accordo con questa conclusione?
 

In occidente abbiamo una strana concezione di “democrazia” e “libertà” o di quello di cui il mondo ha bisogno, basti pensare ai disastri che abbiamo creato in Libia e Siria. Il Venezuela non si è ancora fatto fagocitare da questa “democrazia” dove le decisioni spettano agli oligopoli del profitto e non alle popolazioni. 


A differenza di Cuba purtroppo il chavismo non è riuscito a raggiungere una sicurezza nel tempo. Cuba ha resistito perché da subito ha fatto sapere che nell’isola la musica era cambiata per sempre e che il capitalismo più vergognoso non era più ben accetto e non lo sarà mai più per buona pace di chi oggi scrive e dice che Cuba cederà.

In Venezuela al contrario, la rivoluzione bolivariana ha dovuto convivere con quel capitalismo che controlla ancora ampi e importanti settori del paese e quasi tutti i mezzi di comunicazione. Il Venezuela, in poche parole, non è ancora riuscita a far sapere al mondo che la via è quella progressista, di una più equa ridistribuzione delle risorse. Questo sarà il prossimo passo. Sono ottimista che ci riuscirà, nonostante tutto il fango gettato Maduro è ancora il presidente e la popolazione si renderà presto conto che il buio neo-liberista del Fondo Monetario Internazionale non può essere la strada.
 
La vittoria di Macri, i problemi di Dilma in Brasile e l’affermazione della destra (FMI) in Venezuela pongono un serio rischio al processo d’integrazione dell’America Latina, il capolavoro politico di Hugo Chávez e un barlume di speranza per tutta l’umanità.
 

Il seme della rivoluzione bolivariano è stato impiantato e esisterà per sempre. Bisogna sempre ricordare che dalla Rivoluzione cubana, da Chávez non si torna indietro. Bisogna sempre ricordare ai vari commentatori che inondano la stampa italiana sul “ritorno della democrazia in Venezuela” che la storia non ti fa tornare indietro. Chi avrebbe mai potuto pensare che un paese come l’Ecuador avrebbe potuto tenere per anni e anni in protezione nella sua ambasciata a Londra colui che ha smascherato tutti i crimini più recenti dell’occidente? Il mondo è cambiato per sempre e questi signori se ne devono fare una ragione.

Nell’ultima conferenza sul clima le grandi potenze non hanno più potuto mostrare la loro arroganza come nei consessi precedenti. Il mondo è cambiato per sempre, anche grazie alla rivoluzione bolivariana.

Leopoldo López condenado a 13 años y 9 meses: por fin se hizo justicia

Leopoldo-Lopez-CIAPor Alessandro Pagani

“Pon atención a los medios de comunicación, porque si no estás prevenido, ellos te harán amar al opreso y odiar al oprimido”, había escrito Malcolm X, el gran activista negro asesinado el 21 de febrero de 1965 dentro del terrorismo de estado estadounidense contra la comunidad afroamericana en los EEUU. Ahora bien, cuando leemos artículos como el de Massimo Cavallini en el “Fatto Quotidiano” del 11 de septiembre 2015 en relación a la condena de 13 años y 9 meses al fascista y golpista reo confeso Leopoldo López, no podemos hacer sino constatar como la frase mencionada de Malcolm X, justamente corresponde a este género de periodistas asalariados, que buscan hacer “amar al opreso y odiar al oprimido”. De hecho, éste acusa de “proceso farsa” y de “condena falsa” el poder jurídico de un país soberano reconocido por las Naciones Unidas. El habla de un país al borde del abismo, cuando, al contrario, sabemos que Venezuela ha sido premiada por la FAO, por haber erradicado completamente el problema del hambre en Venezuela, sin mencionar todas la misiones y proyectos sociales que han devuelto la esperanza a una población – la venezolana – que en su mayoria, hasta antes del triunfo de Chávez en 1999, se encontraba relegada a los márgenes de la sociedad.

El periodista, además, se permite emitir juicios de valor fuera de lugar y fuera de toda realidad, cuando afirma que “el gobierno bolivariano – hoy guiado por Nicolás Maduro, hijo y apóstol de Hugo Chávez – ha resultado del todo incapaz, no solamente de gobernar un País, arrastrándolo al borde del desastre económico, político y moral, sino también de preparar una, apenas decente, (decente en el sentido de no totalmente grotesca) parodia de justicia”. Ahora tales afirmaciones son falsas. Maduro – como sabemos – se está demostrando un óptimo sucesor de Chávez, si pensamos a la política interna e internacional que está llevando adelante conjuntamente con la colaboración del pueblo venezolano y mediante acuerdos que están re forzando el proyecto bolivariano y martiano de una Patria Grande en “Nuestra América”.

Desde cuando Maduro está en el gobierno, no ha faltado, por cierto, el ampliarse de la guerra de “Cuarta Generación” contra el proceso revolucionario. Esto se evidencia si pensamos a las campañas mediáticas en curso contra el gobierno de Maduro; si pensamos a la guerra económica, a la guerra sicológica y cultural; al paramilitarismo y a las “guarimbas”, que han llevado al país andino-amazónico al límite de una guerra a “baja intensidad”, y que si no se concluye en un golpe de estado o en una guerra civil, es debido a la gran capacidad política y humana del primer presidente obrero de “Nuestra América”, el compañero Nicolás Maduro. Un Nicolás Maduro, que ha sabido recoger y reforzar la bandera de la unidad civico-militar heredada del Comandante Eterno Hugo Chávez.

Las acusaciones de “proceso farsa” y de “condena falsa” denotan el ridículo, si no fuera que tales consideraciones van inmersas dentro de una campaña de odio orquestada por las agencias del imperio con sede en Washigton. No es un caso, de hecho, que el artículo de Cavallini es una verdadera y propia “copia y calco” de otros artículos “basura” de la prensa alineada a los intereses de estado estadounidenses (BBC, el País, El Mundo, etc) y que buscan “hacer amar al opresor”: el imperialismo yanqui y sus acólitos, y “odiar al oprimido”: los pueblos y gobiernos que hoy están demostrando a la opinión pública internacional que salir de la crisis del capital es posible sólo con la construcción del socialismo del siglo XXI; a través de la realización de aquello que los pueblos y los gobiernos miembros del ALBA-TCP definen – con razón – como “Nuestros Socialismos”.

Pero quién es Leopoldo López? Este fascista y golpista, reo confeso, que el mecionado periodista italiano lo dibuja como un “paladín de libertad”, un “oprimido”, un “combatiente por la libertad”?

López, de ciudadanía venezolana, es el jefe de la organización de extrema derecha “Voluntad Popular”, grupo que no ha escondido nunca las propias simpatías por otros grupos de extrema derecha que en el pasado, no tan remoto, durante los años de las dictaduras militares fascistas y de la Operación Cóndor en América Latina, se han manchado de los peores crímenes contra la humanidad; desde cuando se ha terminado la segunda guerra mundial. Para hacer una comparación con Italia podriamos decir que “Voluntad Popular” representa la misma fuerza política que entonces ha representado el Movimiento Social Italiano (MSI) en Italia.

Las actividades de Leopoldo López han iniciado en los años noventa del siglo pasado cuando éste emprende un curso de estudios en el Kennedy School of Government de la Universidad de Harvard, un Centro de altos estudios estratégicos y militares fianciados por la Agencia Central de Intelligence estadounidense (CIA). Fue en aquel entonces que Lopez conoce al general David Petraeus, que sucesivamente se ha descubierto ser un agente de la CIA.

En el 2002, luego del entrenamiento recibido de aquel tropel de espías y asesinos que son la CIA, lo vemos dirigir las protestas que provocaron decenas de muertos inocentes, propiciando el golpe de estado contra el gobierno revolucionario y bolivariano de Hugo Chávez. Siempre en aquellos días, se hace conocer tambien por el asedio contra la Embajada de la República de Cuba ubicada en Caracas.

No obstante una amistía recibida en el 2007, López se quedará en el centro de la atención, por el grande y considerable robo de los fondos de PDVSA, a través de “Primero Justicia”, el partido del que él ha sido dirigente principal.

Leopoldo López no ha escondido nunca su interés por convertirse en presidente de la República, algo que no es un crímen en Venezuela, a no ser que, para obtener tal objetivo y frente a la incapacidad de hacer brecha en la mayoría de la población venezolana, decidiera construír un “pacto criminal” con la extrema derecha narco-paramilitar colombiana y en el caso con Alvaro Uribe, acusado, no pocas veces, por sus estrechos lazos con las Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) que, al contrario de haber sido desmanteladas durante su gobierno, han encontrado un resguardo jurídico detrás de su “mano dura” contra el pueblo colombiano y su “gran corazón” hacia los paramilitares.

En una entrevista Alvaro Uribe declaró: “Me he reunido con Leopoldo López, un dirigente político, joven y ambicioso, con grandes capacidades como dirigente político. Con el hemos delineado la lucha conta el narcotráfico”. Esta entrevista fue hecha cuando Uribe era presidente de Colombia.

Ahora bien, se necesitaría preguntar a Cavallini, que escribe para el “Fatto Quotidiano”, un periódico que hace de la “lucha conta la corrupción” su caballo de batalla: por qué un presidente de la República de una nación como Colombia se reunía con el jefe de la oposición – de una oposición además golpista y involucrada en el narcotráfico – y no con el gobierno elegido democráticamente y constitucionalmente presente en Venezuela, para hablar de lucha contra el narcotráfico? Qué cosa diría cualquier gobierno italiano, si el presidente de un país amigo se encontrase con los jefes de la mafia para hablar de lucha contra el narcotráfico, por ejemplo?

Resulta evidente que leyendo el artículo de Cavallini, quien está moviendo un “juicio farsa” no es el poder jurídico venezolano, sino, el periodismo italiano, que en lugar de investigar sin prejuicios ideológicos la compleja situación actualmente en curso en Venezuela, ha preferido dar cabida a las mentiras de una cierta prensa internacional alineada a la guerra no convencional en cruso contra Venezuela y contra de todos los países miembros del ALBA –TCP, que evidentemente molestan a los intereses económicos de los Estados Unidos en el hemisferio occidental, donde la América Latina ha sido considerada siempre como el propio “patrio trasero”.

Otro golpe contra la credibilidad del periodismo italiano.

(VIDEO) Castro su Chávez: «Vero rivoluzionario Latinoamericano»

1363014821_0di Fabrizio Verde

Nel dicembre del 1994, il tenete colonnello e leader della ribellione militare del febbraio 1992 contro il governo neoliberista guidato da Carlos Andrés Pérez, Hugo Chávez, si recò in visita a L’Avana dove incontrò Fidel Castro. Fu allora che ebbe iniziò una nuova storia per l’intera America Latina. 

Nel 61° anniversario della nascita del Comandante Chávez, vogliamo ricordarlo con le parole di ammirazione ed elogio che il capo della Rivoluzione Cubana utilizzò per descrivere il futuro leader della Rivoluzione Bolivariana al quotidiano cubano Juventus Rebelde: «Chávez è un soldato pronto a dare la sua vita, in ogni momento, per la causa dei popoli dell’America Latina. Un vero rivoluzionario. Bolivariano. Latinoamericano».  

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Chávez, hombre renacentista del siglo XXI

por James Petras

El presidente Hugo Chávez fue un hombre único en múltiples áreas de la vida política, social y económica, que realizó importantes contribuciones al avance de la humanidad. La profundidad, el alcance y la popularidad de sus logros le distinguen como el “presidente renacentista del siglo XXI”.

Muchos autores han señalado una u otra de sus contribuciones históricas, destacando las leyes para combatir la pobreza, la capacidad para ganar elecciones populares con rotundas mayorías y su defensa de la educación y la sanidad públicas gratuitas y universales para todos los venezolanos.

En este artículo, destacaremos las singulares contribuciones históricas que el presidente Chávez realizó en el ámbito de la economía política, la ética y el derecho internacional y en la redefinición de las relaciones entre los líderes políticos y los ciudadanos. Comenzaremos con su contribución perdurable al desarrollo de la cultura cívica en Venezuela y otros países.

Hugo Chávez, el gran maestro de los valores cívicos

Desde sus primeros días en el cargo, Chávez emprendió un cambio constitucional que facilitara la rendición de cuentas de los dirigentes y las instituciones políticas ante los ciudadanos. A través de sus discursos, informó clara y meticulosamente al electorado de las medidas y las leyes que servirían para mejorar su modo de vida y le invitó a expresar comentarios y críticas. Su estilo era la creación de un diálogo constante, especialmente con los pobres, los desempleados y los trabajadores. Tuvo tanto éxito en sus enseñanzas de las responsabilidades cívicas al electorado venezolano que millones de habitantes de los barrios pobres de Caracas se levantaron espontáneamente para oponerse a la junta militar-empresarial respaldada por Estados Unidos que había secuestrado al presidente y clausurado el parlamento. En 72 horas –todo un récord- los ciudadanos con conciencia cívica restauraron el orden democrático y el gobierno de la ley en Venezuela, rechazando por completo la defensa de los golpistas que realizaron los medios de comunicación y su efímero régimen autoritario.

Chávez, como todos los grandes educadores, aprendió de esta intervención democrática de la masa ciudadana, que los defensores más efectivos de la democracia estaban entre la gente trabajadora, y que sus peores enemigos se hallaban en las élites empresariales y en los oficiales del ejército con contactos en Miami y Washington.

La pedagogía cívica de Chávez hacía hincapié en la importancia de las enseñanzas y los ejemplos históricos de los padres fundadores de la nación, como Simón Bolívar, a la hora de crear una identidad nacional y latinoamericana. Sus discursos elevaron el nivel cultural de millones de venezolanos que habían crecido en medio de la cultura servil y alienante de Washington y de las obsesiones consumistas que provocaban los grandes centros comerciales de Miami.

Chávez consiguió infundir una cultura de solidaridad y apoyo mutuo entre los explotados destacando la importancia de los vínculos “horizontales” frente a la dependencia clientelar vertical de los ricos y poderosos. Su triunfo en la creación de una conciencia colectiva afectó decisivamente al equilibrio de poder alejándolo de los gobernantes adinerados y los partidos políticos y sindicatos corruptos y orientándolo hacia los nuevos movimientos socialistas y sindicatos de clase. Lo que más provocó la cólera histérica de los venezolanos ricos y su odio imperecedero al presidente que había creado un sentido de autonomía, dignidad y “empoderamiento de clase” fue la educación política que realizó Chávez, explicando a la mayoría popular su derecho a disfrutar de una sanidad y una educación superior gratuitas, salarios dignos y pleno empleo, lo que consiguió mediante una educación pública que terminó con siglos de privilegios y omnipotencia de las élites.

Es preciso destacar que los discursos de Chávez, con enseñanzas tanto de Bolívar como de Karl Marx, crearon un trascendente y generoso patriótico y nacional y un profundo rechazo a la élite postrada a los pies de Washington, los banqueros de Wall Street y los ejecutivos de las compañías petroleras. Los discursos antiimperialistas de Chávez tenían eco porque utilizando el lenguaje de la gente común ampliaba su conciencia nacional hasta lograr su identificación con  Latina, especialmente con la lucha cubana contra las intervenciones y las guerras imperialistas.

Las relaciones internacionales y la Doctrina Chávez

A comienzos de la década anterior, tras el 11 de septiembre de 2001, Washington declaró la “Guerra al Terror”. Fue una declaración pública que abría la puerta a intervenciones militares unilaterales y guerras contra naciones soberanas, movimientos e individuos considerados como adversarios, en violación del derecho internacional.

Casi todos los países cedieron frente a esa flagrante violación de los Acuerdos de Ginebra, pero no así el presidente Chávez, que hizo la refutación más profunda y sencilla contra Washington: “No se combate al terrorismo con terrorismo de Estado”. En su defensa de la soberanía de las naciones y de la jurisprudencia internacional, Chávez subrayó la importancia de encontrar las soluciones políticas y económicas a los problemas y conflictos sociales, repudiando las bombas, la tortura y el caos. La Doctrina Chávez hacía hincapié en el comercio y las inversiones Sur-Sur y en la solución diplomática y no militar de los conflictos. Defendió los Acuerdos de Ginebra frente a la agresión colonialista e imperialista a la vez que rechazaba la doctrina imperial de la “Guerra contra el Terror”, definiendo el terrorismo de Estado occidental como peligrosamente similar al de Al-Qaeda.

La gran síntesis de teoría y práctica política

Uno de los aspectos más profundos e influyentes del legado de Chávez es su original síntesis de tres grandes corrientes de pensamiento político: el cristianismo popular, el nacionalismo y la integración regional bolivarianos y el pensamiento político, social y económico del marxismo. El cristianismo de Chávez le inculcó una profunda creencia en la justicia y la igualdad de las personas, así como la generosidad y el perdón a los adversarios, aunque participaran en un golpe de Estado violento, en un paro patronal asfixiante, o colaboraran abiertamente y recibieran financiación de organismos de inteligencia enemigos. Mientras en cualquier otro lugar del mundo quienes dan un golpe de Estado se enfrentan a condenas en prisión o incluso a ejecuciones, la mayor parte de los golpistas contra Chávez rehuyeron la acción judicial e incluso volvieron a formar parte de sus organizaciones subversivas. Chávez demostró una firme creencia en la redención y el perdón. Su cristianismo forma parte de la “opción por los pobres”, de la amplitud y profundidad de su compromiso con la erradicación de la pobreza y de su solidaridad con los pobres frente a los ricos.

La aversión profunda de Chávez y su oposición eficaz al imperialismo norteamericano y europeo y al colonialismo brutal israelí estaban hondamente arraigadas en su interpretación de los escritos y la historia de Simón Bolívar, el fundador de la patria venezolana. Las ideas bolivarianas sobre liberación nacional fueron muy anteriores a cualquier contacto con escritos de Marx, Lenin o de otros autores antiimperialistas más contemporáneos. Su fuerte e inquebrantable defensa de la integración regional y del internacionalismo estaban muy influidas por los “Estados Unidos Latinoamericanos” propuestos por Simón Bolívar y por su actividad internacionalista en apoyo de los movimientos anticoloniales.

Chávez incorporó sus ideas marxistas a una previa visión mundial basada en su antigua filosofía internacionalista de corte cristiano y bolivariano. La opción por los pobres se profundizó con su reconocimiento de la importancia de la lucha de clases y de la reconstrucción de la nación bolivariana mediante la socialización de “las cumbres de mando de la economía”. El concepto socialista de fábricas autogestionadas y de poder popular mediante consejos comunitarios adquirió legitimidad moral gracias a la fe cristiana en un orden moral igualitario de Chávez.

Mientras el Presidente respetaba y escuchaba con atención las opiniones de los académicos izquierdistas que le visitaban y a menudo alababa sus escritos, muchos de éstos no llegaron a darse cuenta, o, peor aun, ignoraron deliberadamente la propia síntesis original de historia , religión y marxismo de Chávez. Desgraciadamente, como suele pasar, algunos académicos de izquierdas creían ser, desde su postura autoindulgente, “profesores” y asesores de Chávez sobre cualquier materia de “teoría marxista”. Hablamos de ese colonialismo cultural de izquierdas que criticó despectivamente a Chávez por no haber seguido sus prescripciones listas para el consumo, publicadas en las revistas políticas de Londres, Nueva York y París.

Afortunadamente, Chávez aprovechó lo que le resultaba útil de los académicos extranjeros y de los estrategas políticos financiados por ONG mientras desechaba aquellas ideas que no tenían en cuenta las especificidades histórico-culturales, de clase y de Estado rentista de Venezuela.

El método de pensamiento que Chávez ha legado a los intelectuales y activistas del mundo es global y específico, histórico y teórico, material y ético, y abarca análisis de clase, democracia y trascendencia espiritual en resonancia con la gran masa de la humanidad, en un lenguaje que cualquier persona puede entender. La filosofía y la práctica de Chávez (más que cualquier discurso elaborado por expertos exaltados en un foro social) han demostrado que el arte de formular ideas complejas en un lenguaje sencillo puede mover a millones de personas “a hacer historia, y no solo a estudiarla…”

Búsqueda de alternativas prácticas al neoliberalismo y al imperialismo

Quizás la mayor contribución de Chávez sea el haber demostrado, mediante iniciativas políticas y medidas prácticas, que muchos de los mayores desafíos políticos y económicos contemporáneos pueden resolverse satisfactoriamente.

La reforma radical de un Estado rentista

Nada reviste más dificultades que cambiar la estructura social, las instituciones y las actitudes de un Estado petrolero rentista, con políticas clientelistas bien enraizadas, corrupción endémica del aparato de los partidos y del Estado y una psicología de masas basada en el consumismo. Sin embargo, Chávez tuvo éxito donde otros regímenes petroleros fracasaron. La administración Chávez comenzó realizando cambios constitucionales e institucionales para crear un nuevo marco político. Luego puso en marcha programas sociales, que profundizaron los compromisos políticos de una mayoría activa, que, a su vez, defendió valientemente al régimen frente a un golpe de Estado violento promovido por la élite empresarial y el ejército y respaldado por Estados Unidos. Las movilizaciones de masas y el apoyo popular radicalizaron, a su vez, al gobierno de Chávez y prepararon el camino para una mayor socialización de la economía y la puesta en marcha de una reforma agraria radical. La industria del petróleo fue socializada y se aumentaron los impuestos y las tasas para conseguir financiar el enorme aumento del gasto social en beneficio de la mayoría de los venezolanos.

Chávez preparaba prácticamente a diario charlas educativas fácilmente comprensibles sobre temas sociales, éticos y políticos relacionados con los programas redistributivos de su régimen, haciendo hincapié en la solidaridad social frente al consumismo individualista. Las organizaciones y los movimientos comunitarios y sindicales se multiplicaron, creando una nueva conciencia social dispuesta y deseosa de provocar el cambio social y enfrentarse a los ricos y poderosos. Las victorias de Chávez sobre el golpe de Estado apoyado por EE.UU. y sobre los paros patronales, así como su afirmación de la tradición bolivariana y de la identidad soberana de Venezuela crearon una conciencia nacionalista poderosa que socavó la mentalidad rentista y reforzó la búsqueda de una “economía equilibrada” diversificada. Esta nueva voluntad política y conciencia productiva nacional supuso un gran salto adelante, aunque todavía persistan los principales rasgos de una economía rentista dependiente del petróleo. La transición extremadamente difícil de Venezuela ha comenzado, y se trata de un proceso en desarrollo. Los teóricos izquierdistas extranjeros que critican la “corrupción” y la “burocracia” de Venezuela han ignorado por completo las enormes dificultades que supone pasar de un Estado rentista a una economía socializada y el tremendo progreso alcanzado por Chávez.

Crisis económica sin austeridad capitalista

En todo el mundo capitalista arruinado por la crisis, los partidos gobernantes, laboristas o socialdemócratas, liberales o conservadores, han impuesto “programas de austeridad” regresivos que implican reducciones brutales de beneficios sociales y de gastos en educación y sanidad y despidos masivos de trabajadores, mientras utilizan nuestros subsidios para rescatar bancos y empresas capitalistas en quiebra. Coreando el lema thatcheriano, “no hay otra alternativa”, los economistas capitalistas justifican la imposición de la carga que supone “la recuperación capitalista” sobre la clase trabajadora mientras permiten al capital que recupere sus beneficios para poder invertir.

La política de Chávez fue exactamente la contraria: en mitad de la crisis, mantuvo los programas sociales, rechazó los despidos masivos y aumentó el gasto social. La economía venezolana capeó la crisis mundial y se recuperó con un saludable índice de crecimiento del 5,8% en 2012. Es decir, Chávez demostró que el empobrecimiento masivo era producto de la propia “fórmula” capitalista para la recuperación y señaló otra alternativa para superar la crisis económica: aumento de la tributación de los ricos, fomento de la inversión pública y mantenimiento del gasto social.

Transformación social en una “economía globalizada”

Muchos analistas, de izquierdas, derechas y centro, han defendido que el advenimiento de una “economía globalizada” descartaba las transformaciones sociales radicales. No obstante, Venezuela, que está profundamente globalizada e integrada en el mercado mundial a través del comercio y las inversiones, ha realizado grandes avances en reformas sociales. Lo realmente relevante en una economía global es la naturaleza del régimen político-económico y de sus programas, que dictamina cómo se distribuyen los beneficios y los costes del comercio y la inversión internacional. En resumen, lo que resulta decisivo es el carácter de clase del régimen que gestiona su lugar en la economía mundial. Chávez, desde luego, no “des-conectó” a Venezuela de la economía mundial, sino que la “re-conectó” de una nueva manera. Dirigió el comercio y la inversión venezolanos hacia América Latina, Asia y Oriente Próximo, especialmente a países que no intervienen o imponen condiciones reaccionarias sobre las transacciones económicas.

Antiimperialismo en tiempos de ofensiva imperialista

En una época protagonizada por una intensa ofensiva imperialista por parte de Estados Unidos y la Unión Europea, que conlleva invasiones militares “preventivas”, intervenciones con mercenarios, torturas, asesinatos y ataques con drones en Iraq, Mali, Siria, Yemen, Libia y Afganistán y brutales sanciones económicas contra Irán; expulsiones colonialistas israelíes de miles de palestinos con el apoyo de EE.UU.; golpes de Estado con respaldo norteamericano en Honduras y Paraguay y revoluciones abortadas mediante títeres en Egipto y Túnez, el presidente Chávez, en solitario, se ha mantenido como el principal defensor de la política antiimperialista. Su profundo compromiso antiimperialista marca un agudo contraste con la capitulación de ciertos intelectuales “marxistas” al modo occidental que han sostenido justificaciones rudimentarias para explicar su apoyo a los bombardeos de la OTAN sobre Yugoslavia y Libia, la invasión francesa de Mali y la financiación saudí-francesa (“monarco-socialista”) de los mercenarios islamistas y el equipamiento militar contra Siria. Los mismos “intelectuales” de Londres, París y Nueva York que trataban condescendientemente a Chávez de “populista” o “nacionalista”, recriminándole por no haber escuchado su consejos o leído sus libros, han capitulado burdamente bajo la presión del Estado y los medios de comunicación capitalistas prestando su apoyo a “intervenciones humanitarias” (es decir bombardeos de la OTAN)… y justificado su oportunismo en un lenguaje de oscuras sectas izquierdistas. Chávez se enfrentó a las presiones y amenazas de la OTAN y a la subversión desestabilizadora de sus adversarios internos y articuló valerosamente los principios más profundos y significativos del marxismo de los siglos XX y XXI: el derecho inalienable a la autodeterminación de las naciones oprimidas y la oposición incondicional a las guerras imperialistas Mientras Chávez hablaba y actuaba en defensa de los principios antiimperialistas, muchos europeos y norteamericanos de izquierdas consentían las guerras imperiales: no había protestas masivas, los movimientos contra la guerra habían sido asimilados o estaban moribundos, el partido “socialista” de los trabajadores británicos defendía los bombardeos masivos de Libia, los “socialistas” franceses invadían Malí –con el apoyo del partido “anticapitalista”. Mientras tanto, el “populista” Chávez desarrollaba una comprensión de los principios y la práctica marxistas mucho más profunda, en cualquier caso, que la de sus autodesignados “tutores” marxistas extranjeros.

No ha habido ningún otro dirigente político ni intelectual de izquierdas que haya desarrollado, profundizado y ampliado los principios fundamentales de la política antiimperialista en la era de la guerra imperialista global con mayor agudeza que Hugo Chávez.

Transición de un Estado neoliberal fracasado a un Estado del bienestar dinámico

La reorganización programática y global de Venezuela y su transformación de un régimen neoliberal desastroso y fallido a un Estado del bienestar dinámico supone un hito en la economía política de los siglos XX y XXI. La reconversión exitosa de las políticas e instituciones neoliberales, así como la nueva nacionalización de las “cumbres de mando de la economía” demolieron el dogma neoliberal reinante derivado de la era Thatcher-Reagan y resumido en el lema “No hay alternativa” a las brutales políticas neoliberales.

Chávez rechazaba las privatizaciones; de hecho, volvió a nacionalizar las industrias clave relacionadas con el petróleo, socializó cientos de empresas capitalistas y desarrolló una extenso programa de reforma agraria incluyendo distribución de tierras a 300.000 familias. Fomentó las organizaciones sindicales y el control obrero de las fábricas, en oposición incluso a administradores públicos y a su propio gabinete de ministros. En Latinoamérica, Chávez mostró el camino para definir con mayor precisión y con cambios sociales más generales la era post-neoliberal. Chávez visualizó la transición del neoliberalismo a un nuevo Estado del bienestar socializado como un proceso internacional y proporcionó fondos y apoyo político a las nuevas organizaciones regionales como el ALBA, PetroCaribe, y UNASUR. Rechazaba la idea de construir el Estado del bienestar en un solo país por lo que formuló una teoría de las transiciones post-neoliberales basada en la solidaridad internacional. Las ideas y las políticas originales de Chávez en relación con la transición para superar el neoliberalismo pasaron desapercibidas para los marxistas de sillón y los expertos viajeros de las ONG del Foro Social cuyas intrascendentes “alternativas globales” sirvieron fundamentalmente para conseguir fondos de fundaciones occidentales.

Chávez demostró mediante la teoría y la práctica la posibilidad de superar el neoliberalismo, lo que supone un descubrimiento político fundamental para el siglo XXI.

Más allá del liberalismo social: definición radical del post-neoliberalismo

Los regímenes neoliberales promovidos por EE.UU. y la UE se han desmoronado bajo el peso de la mayor crisis económica desde la Gran Depresión. El desempleo masivo provocó revueltas populares, nuevas elecciones y la emergencia de regímenes de centroizquierda en la mayor parte de Latinoamérica, que rechazaban o al menos decían repudiar el “neoliberalismo”. La mayor parte de estos gobiernos dictaron leyes y decretos para financiar programas contra la pobreza, poner en marcha controles financieros y realizar inversiones productivas, a la vez que aumentaban el salario mínimo y estimulaban el empleo. No obstante, fueron pocas las empresas lucrativas que se nacionalizaron. En su agenda no estaba incluido tratar las desigualdades y la concentración de riqueza. Formularon su estrategia consistente en trabajar con los inversores de Wall Street, los exportadores locales agro-mineros y los sindicatos fagocitados.

Chávez planteó una alternativa completamente diferente a esta forma de “post-neoliberalismo”: nacionalizó las industrias de materias primas, dejó fuera a los especuladores de Wall Street y limitó el papel de las élites vinculadas con la agroindustria y la minería. Proyectó un Estado del bienestar socializado como alternativa a la ortodoxia social-liberal imperante de los gobiernos de centro izquierda, aunque trabajara con estos gobiernos en la integración latinoamericana y la oposición a los golpes de Estado promovidos por EE.UU.

Chávez fue el líder que definió una alternativa más socializada para la liberación social y la conciencia que aguijoneaba a sus aliados para avanzar más allá.

Socialismo y democracia

Chávez inauguró un nuevo y extraordinariamente original y complejo camino al socialismo basado en elecciones libres, reeducación del estamento militar para defender los principios democráticos y constitucionales y desarrollo de los medios de comunicación de masas y comunitarios. Acabó con el monopolio capitalista de los medios de comunicación y reforzó la sociedad civil como forma de contrarrestar el intento de paramilitares y quintacolumnistas apoyados por Estados Unidos de desestabilizar el Estado democrático.

Ningún otro presidente demócrata-socialista ha resistido con éxito las campañas de desestabilización promovidas por el imperio (ni Jagan en Guayana, ni Manley en Jamaica, ni Allende en Chile). Desde el principio, Chávez comprendió la importancia de crear un marco legal y político sólido para facilitar su liderato ejecutivo, promover las organizaciones populares de la sociedad civil y terminar con la influencia norteamericana en el aparato del Estado (policía y ejército). Puso en marcha programas radicales de gran impacto social que le aseguraron la lealtad y fidelidad de las mayorías populares y debilitaron los tentáculos económicos del poder político ejercido por la clase capitalista desde antiguo. Como resultado, los dirigentes políticos, los soldados y oficiales leales a la constitución y las masas populares aplastaron un sangriento golpe derechista, un paro petrolero asfixiante y un referéndum financiado por Estados Unidos y se lanzaron reformas socio-económicas aún mayores en un proceso continuado y creciente de socialización.

La originalidad de Chávez, en parte fruto de un proceso de ensayo y error, radicaba en su “método experimental”: Su profunda comprensión de las actitudes y comportamientos populares estaba fuertemente enraizada en la historia de injusticias raciales y de clase y de la rebeldía popular de Venezuela. Chávez viajó, conversó y escuchó a las clases populares de Venezuela hablar de las cosas cotidianas. Su “método” era trasladar el conocimiento basado en lo pequeño a grandes programas de cambios. En la práctica, era la antitesis del esos intelectuales extranjeros y locales sabelotodo que se dirigen a la gente literalmente desde arriba y que se consideran a sí mismos los “maestros del mundo”… al menos en el micromundo académico de izquierdas, conferencias socialistas endogámicas y monólogos ególatras. La muerte de Hugo Chávez ha sido llorada por millones de personas en Venezuela y por cientos de millones en todo el mundo porque su transición al socialismo era su mismo camino; porque escuchó sus demandas y actuó en consecuencia con eficacia.

La socialdemocracia y la seguridad nacional

Chávez fue un presidente socialista durante más de 13 años que hizo frente a una oposición violenta y prolongada a gran escala y a sabotajes financieros de Washington, la élite económica local y los magnates de los medios de comunicación. Fue el artesano de la conciencia política que dio motivación a millones de trabajadores y aseguró la lealtad constitucional del ejército para vencer el golpe militar-empresarial apoyado por Estados Unidos en 2002. Chávez adaptaba los cambios sociales de acuerdo a una evaluación realista de lo que podía encajar dentro del orden político-legal. Y, sobre todo, Chávez se aseguró la lealtad de los militares poniendo fin a los “asesores” norteamericanos y al adoctrinamiento imperial en el extranjero, promoviendo en su lugar cursos intensivos sobre la historia venezolana, la responsabilidad cívica y el vínculo fundamental que debe unir a las clases populares y a los militares en una misión nacional común.

Las políticas de seguridad nacional de Chávez se basaban en principios democráticos y en el claro reconocimiento de las graves amenazas que se cernían sobre la soberanía del país. Consiguió salvaguardar la seguridad nacional y los derechos democráticos y libertades políticas de sus ciudadanos al mismo tiempo, una proeza que ha ganado para Venezuela la admiración y la envidia de abogados constitucionalistas y ciudadanos de Estados Unidos y la UE.

Por el contrario, el presidente de Estados Unidos, Barack Obama se ha arrogado el poder de asesinar sobre la base de informaciones secretas y sin juicio previo, dentro o fuera de EE.UU. Su administración ha asesinado a ciudadanos norteamericanos “seleccionados” y a sus hijos, ha encarcelado a otros sin juicio y mantiene “archivos” secretos de 40 millones de estadounidenses. Chávez nunca se atribuyó esos poderes, ni asesinó o torturó a un solo venezolano. La docena de prisioneros convictos de actos violentos de subversión juzgados públicamente en los tribunales de Venezuela, ofrece un agudo contraste con las decenas de miles de inmigrantes musulmanes y latinoamericanos encarcelados y secretamente inculpados en Estados Unidos. Chávez se opuso al terror de Estado, mientras que Obama cuenta con equipos especiales para realizar asesinatos sobre el terreno en más de 70 países. Obama respalda el allanamiento policial arbitrario de hogares y lugares de trabajo “sospechosos”, según “pruebas secretas”, mientras que Chávez llegó a tolerar las actividades de conocidos partidos de la oposición financiados por la CIA. Es decir, Obama utiliza la “seguridad nacional” para destruir las libertades democráticas mientras que Chávez hizo respetar las libertades democráticas e impuso límites constitucionales al aparato de seguridad nacional.

Chávez procuró una resolución diplomática y pacífica de los conflictos con vecinos hostiles, como Colombia, que alberga siete bases militares norteamericanas, potenciales trampolines para una intervención norteamericana. Por otra parte, Obama está implicado en guerras abiertas con al menos siete países y ha realizado acciones hostiles encubiertas contra otros muchos más.

Conclusión

El legado de Chávez posee múltiples facetas. Sus contribuciones son originales, teóricas y prácticas y de relevancia universal. Demostró en la práctica cómo un pequeño país puede defenderse contra el imperialismo, mantener los principios democráticos y a la vez poner en marcha programas sociales avanzados. Su búsqueda de la integración regional y su promoción de los valores éticos en el gobierno de la nación son ejemplos relevantes en un mundo capitalista anegado de políticos corruptos que rebajan el nivel de vida de sus pueblos mientras enriquecen a los plutócratas.

El rechazo de Chávez a la doctrina Bush-Obama (que justifica el “terrorismo de Estado para combatir al terror”), su afirmación de que las raíces de la violencia son la injusticia social, el saqueo económico y la opresión política y su creencia en que el camino hacia la paz pasa por la resolución de estos temas fundamentales suponen una guía ética-política para la supervivencia de la humanidad.

Enfrentado a un mundo violento de contrarrevolución imperial y decidido a estar del lado de los oprimidos del mundo, Hugo Chávez entra a formar parte de la historia mundial como un dirigente político completo, con la estatura del líder más humano y multifacético de nuestra época: Una figura del renacimiento para el siglo XXI.

Osorio: «L’unità dell’America Latina ha sconfitto il modello unipolare»

resizeda lantidiplomatico.it

di Alessandro Bianchi e Marinella Correggia

Ana Elisa Osorio. Deputata per il Parlatino (Parlamento latinoamericano) ed ex ministro dell’ambiente in Venezuela

– Dopo diverse settimane di lotte e milioni di firme raccolte in tutto il mondo, alla fine Obama si è dovuto arrendere e ha dichiarato come il Venezuela non rappresenti più una “minaccia”. Quanto dovremmo aspettare prima che arrivi anche la deroga del decreto presidenziale?

E’ stata chiaramente una buona notizia l’ammissione di Obama che il Venezuela non rappresenti una minaccia per la loro sicurezza. Ora il presidente americano deve derogare questo decreto che ha portato alla mobilitazione di massa nel mondo con oltre undici milioni di firme raccolte. Lo deve fare non solo per il Venezuela, ma per il processo anti-imperialista in corso nel sud America. La minaccia sta altrove, sta in chi vuole imporre un impero.

 

– Da questo punto di vista, è stata molto significativa la VII Cumbre de las Américas a Panamá che ha ribadito il sostegno del continente al Venezuela. Cosa rappresenta oggi l’America Latina rispetto al modello unipolare neo-liberista che gli Stati Uniti vogliono ad esempio imporre in Europa attraverso il TTIP?

L’incontro di Panama è stato molto importante. Si è avuta la dimostrazione di come l’America Latina sia oggi unita nella diversità, con paesi molto diversi tra loro – alcuni si definiscono socialisti, altri progressisti, altri di destra – ma uniti in un blocco, il Celac, che riproduce in parte il progetto originario di Simón Bolívar, che sognava una grande nazione di Repubblica unita.

A Panama è stato accolto questo messaggio. Un’esigenza nata con Chávez, con Lula, con Fidel, con Kirchner e che si sta materializzando attraverso uno spazio di unità, di integrazione dove la solidarietà e la condivisione vengono prima dei bisogni economici. Il mondo unipolare voluto dagli Stati Uniti, e dall’Europa, su tutto il pianeta, per questo, non esiste già più.


Nel suo progetto politico, Chávez voleva un sistema multipolare per la pace, non solo per la “Nuestra América” ma per tutto il mondo, per il rispetto dei diritti umani, per la lotta alla povertà. Oggi tutto questo non è un’esigenza solo dell’America latina unita, ma anche di Russia e Cina, ad esempio. Si va verso quella multipolarità importante per mantenere l’equilibrio del pianeta e che di fatto segna la sconfitta dell’idea unipolare dell’impero.
– 
– Recentemente alla Camera dei deputati, il Movimento Cinque Stelle ha organizzato un convegno sull’organizzazione solidale e compensativa ALBA-TCP dove ha partecipato anche il Segretario Generale Bernardo Álvarez. E’ giunto il momento di pensare per l’Europa del sud un modello di integrazione similare per non divenire il cortile di casa della Troika?
L’idea di un’Alba mediterranea è meravigliosa. I modelli non sono esportabili di per sé, perché l’ALBA-TCP ha delle caratteristiche tipiche dell’America latina, è stata la nostra seconda indipendenza, che ha raccolto poi un’esigenza comune di Venezuela, Ecuador, Bolivia e altri paesi. Si tratta di un’integrazione solidale in cui il petrolio viene scambiato per cibo, il petrolio viene scambiato per servizi medici ed educazione, etc… E’ una relazione in cui guadagnano tutti i paesi e che va contro le logiche del profitto del capitalismo dove uno domina sull’altro. Noi abbiamo dimostrato che è possibile. Ed è straordinario che di tutto questo si discuta anche in Europa del sud: è un salto qualitativo per l’Europa quello che sta accadendo in Grecia, in Spagna e anche in Italia. E può essere un esempio in un continente dove il modello di integrazione è quello della logica economica tedesca della disuguaglianza e di un paese che domina sugli altri. Simón Bolívar diceva che l’unità è la forza. Anche nell’Europa del sud si deve comprendere come il potere risiede nei popoli, i popoli devono prendere coscienza di questo e assumersi le responsabilità storiche.
– Lei è stata ministro dell’ambiente nel governo Chávez. Ci può spiegare come si combina la cosiddetta visione di “Ecosocialismo” in un paese estrattivo come il Venezuela?
 
Il Venezuela è stato il primo paese di tutta l’America Latina ad istituire negli anni ’70 un ministero dell’ambiente, il terzo paese al mondo a farlo. Con l’annuncio del “Piano della Nazione” da parte di Chávez, il ministero ha fatto un salto qualitativo enorme con l’obiettivo di attuare l’”ecosocialismo”. Partendo dal presupposto che il modello di sviluppo capitalista è predatorio, si scaglia sui più poveri e sta determinando disastri all’ambiente come il cambiamento climatico e il fracking, l’ecosocialismo si compone di diversi aspetti tutti volti al rispetto della Madre terra, come enunciato nelle costituzioni della Bolivia e dell’Ecuador, e al rispetto della donna. Noi in Venezuela abbiamo vigente un diritto che garantisce alla donna di vivere una vita libera da violenze. Questo non avviene in Spagna o in Italia.
Per costruire la via verso il socialismo, tuttavia, dobbiamo superare la nostra dipendenza dal petrolio e costruire un’economia che sappia diversificare la ricchezza con un’idea di economia che sappia valorizzare le piccole imprese, le imprese sociali, le cooperative contro l’appropriazione del grande capitale, dei monopoli finanziari, proteggendo l’ambiente, le famiglie, la nostra libertà e i nostri diritti.

[Intervista rilasciata a Napoli sabato 11 aprile in occasione del Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana]

A. Chávez: «Se sarà necessario prendere le armi lo faremo»

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Dalla tribuna antimperialista che si è tenuta nel municipio Pedraza de Barinas, nell’ambito delle attività sviluppate per commemorare i due anni dalla ‘siembra’ di Hugo Chávez, il leader della Rivoluzione nella regione Los Llanos, Adán Chávez, ha affermato che «nessun impero ci può intimidire con le sue minacce. Se ci toccherà prendere le armi per difendere la Rivoluzione, lo faremo».

In riferimento alle ultime dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ha definito il Venezuela una minaccia per la sicurezza del suo paese.

“Noi non siamo soli – ha affermato il dirigente nazionale – nel nostro continente e oltre, possiamo contare sull’appoggio di molti paesi fratelli. Lo hanno dimostrato in diversi momenti della nostra storia rivoluzionaria e questa non sarà l’eccezione”.

Ha inoltre sottolineato che l’avanguardia rivoluzionaria, sarà in prima linea per difendere l’indipendenza e la sovranità del Venezuela.

Il governo bolivariano insieme al popolo venezuelano, ha poi aggiunto l’esponente del Psuv, vuole portare avanti il processo socialista in pace, «ma siamo pronti a difendere l’eredità del Gigante Chávez, la nostra eredità, su qualunque terreno sarà necessario». 

Chávez ha chiamato tutti i chavisti a scendere in piazza per difendere il territorio venezuelano: «Vorrebbero mostrare all’opinione pubblica mondiale che siamo un paese di terroristi. Sì, siamo una minaccia per loro, ma esclusivamente perché vogliamo continuare, in pace, a difendere quello che ci appartiene. Perché siamo un popolo libero, sovrano, cosciente e indipendente. Loro invece sono una reale minaccia per il mondo intero perché sono abituati a bombardare paesi, uccidere anziani, bambini e intere popolazioni».

Il dirigente bolivariano ha concluso con un’importante indicazione: se maggiore sarà l’unità, la coscienza e l’organizzazione rivoluzionaria, per l’impero sarà molto complicato concretizzare le sue pretese d’invasione e dominazione.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione a cura di Fabrizio Verde]

Leggendo Hugo Chávez nel secondo anniversario della sua scomparsa

di David Becerra – lamarea.com
o5 marzo 2o15

Oggi 5 marzo si compiono due anni dalla semina di Hugo Chávez. Dico semina e non morte, perché Chávez non è morto, o almeno non del tutto. Perché non muore chi ha seminato un lascito che dovrà fiorire durante questa primavera consacrata chiamata Rivoluzione.

I mezzi di comunicazione spesso dimenticano che la libertà d’informazione non costituisce un privilegio dei giornalisti e dei loro padroni, ma è anche un diritto che appartiene a tutta la società: i cittadini hanno diritto a essere informati e non intossicati con false informazioni, mezze verità che in realtà si trasformano in intere bugie, tergiversazioni o manipolazione dei fatti. Quando si riferiscono a Hugo Chávez e in genere a tutto il Venezuela, gli interessi del grande capitale – che finanziano e sostengono quei mezzi d’informazione – si collocano al di sopra della verità.


Esiste una sola forma per affrontare le bugie dei grandi mezzi: la lettura e lo studio. Ricorrendo ai libri che affrontano i loro temi con rigore. Per questa ragione, in un giorno come questo, forse non esiste modo migliore di capire il Venezuela, di comprendere chi è stato Hugo Chávez, se non mediante la lettura di due libri che si avvicinano con esaustività e volontà scientifica, davvero informativa, verso Chávez e su ciò che si è convenuto denominare “chavismo”.


L’autore del primo di questi libri è Alfredo Serrano e s’intitola El pensamento
económico de Hugo Chávez (Ed. El Viejo Topo, 2014). Nei confronti di chi pretende di racchiudere il pensiero di Chávez in categorie stagne e classiche etichette, Alfredo Serrano si sofferma nel suo sincretismo e il modo in cui si va configurando nelle sue diverse fasi: «Chávez sviluppa una propria matrice di pensiero economico, difficile di incasellare in paradigmi predefiniti. Ciò ci costringe a studiarlo come creatore di un pensiero economico proprio, con un sincretismo così ampio, diverso e complesso che costituisce un paradigma particolare (…) Il pensiero economico di Chávez è dialettica allo stato puro, intelligenza circostanziale, dove si confrontano il piano empirico e teorico, politico, sociale, storico e culturale. I tentativi di classificare Chávez in un catalogo predeterminato sono infruttuosi». Lo stesso Hugo Chávez lo riconobbe in una occasione: «credo che sono la somma di molte cose che ho raccolto strada facendo».


Ma cosa ha raccolto Hugo Chávez durante il suo percorso per costruire il suo pensiero? Il saggio di Alfredo Serrano Mancilla si sofferma in modo rigoroso. In una prima fase, sostiene l’autore, Chávez ha un approccio “cepalino” dell’economia politica, in altre parole, assimila i postulati della CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi), molto in auge nel subcontinente durante gli anni sessanta e settanta del secolo scorso.

L’approccio “cepalino” si fondava su tre pilastri: il nazionalismo, la sovranità e l’antimperialismo. Senza mettere in discussione il modello capitalista, lo Stato assumeva il ruolo di motore di un processo d’industrializzazione e sviluppo con il fine di diminuire il rapporto di dipendenza nei confronti delle potenze del Nord. I riferimenti politici – e, per esteso, economici – di Hugo Chávez in questo primo periodo erano tre: Velasco Alvarado, presidente del Perù sin dal trionfo della Rivoluzione delle Forze armate nel 1968. È considerato il primo generale progressista e nazionalista portò a termine una politica umanista, mettendo in moto una riforma agraria e nazionalizzando la banca, l’industria peschiera e i settori strategici; Juan José Torres, presidente della Bolivia, meticcio e di famiglia povera, il quale portò anche a termine una politica economica fondata nella sovranità e nel recupero delle ricchezze nazionali; e Omar Torrijos, presidente del Panama, figlio di maestri rurali e di famiglia umile, il quale lottò contro quello che aveva denominato “colonialismo dissimulato”, mediante una politica di sviluppo nazionalista che impugnava le imposizioni provenienti dal Nord. In nessun caso si mise in questione, mediante queste politiche, il capitalismo, e forse proprio per questo il loro successo è stato relativo, se non addirittura volte al fallimento. Bisognava, quindi, riformulare questa tesi.

Di conseguenza Chávez incorpora nel suo pensiero quello che è stato denominato «l’albero delle tre radici»: Simón Bolívar, Simón Rodríguez ed Ezequiel Zamora. «Questo triangolo di riferimenti stava dando un contenuto nazionale, di patria e sovranità, a un progetto politico ed economico che iniziava a tracciarsi», afferma Alfredo Serrano Mancilla; e, come ricorda più avanti, Chávez sintetizzava queste tre radici nella seguente forma: «l’idea geopolitica di Bolívar, l’idea filosofica di Simón Rodríguez e l’idea sociale di Ezequiel Zamora». Chávez scopre così l’America, le radici rivoluzionarie dell’America latina, prima di Marx.


Man mano che la storia avanza nel 1989 irrompe il «Caracazo» e fallisce il golpe di Chávez nel 1992 contro le politiche neoliberali che stavano portando il paese verso la rovina. Chávez consoliderà il suo pensiero politico ed economico, collocandosi sempre di più verso posizioni anti neoliberali, anche se non ancora anticapitaliste. Nel carcere di Yare, privo di libertà dal 1992 al 1994, Chávez non spreca il tempo e si nutre di letture che diverranno fondamentali per la costruzione del suo paradigma economico. Legge il marxista e gramsciano Jorge Giordani, l’ex ministro dell’Economia del governo di Allende, Carlos Matus, e il socialista argentino Óscar Varsavsky. Da queste letture estrae l’idea della pianificazione economica per portare a termine un valido piano economico, in contrapposizione con le teorie egemoniche dello sviluppo. Altrettanto proficue diverranno le letture del marxista ungherese Istvan Meszáros, dal quale adotta la nozione di «transizione verso il socialismo» e quella del leader africano Julius K. Nyerere, prendendo in prestito il termine «Sud» che, oltre ad essere un punto cardinale, si può interpretare anche in chiave geopolitica.


Questo era Hugo Chávez prima di diventare l’Hugo Chávez che avrebbe assunto la Presidenza del Governo del Venezuela nel 1999, iniziando un processo costituente per restituire al paese le redini del proprio destino, fino a ora sequestrato dalle politiche di aggiustamento neoliberale che impoveriscono il popolo e svendono la patria alle grandi corporazioni multinazionali. Chávez inizia la prima tappa del suo governo con un pensiero economico che si potrebbe classificare socialista. In quel momento Chávez avvia l’Agenda Alternativa Bolivariana il cui approccio era di carattere più umanistico che anticapitalista, anche se già presentava un taglio anti neoliberale: non mette in discussione il capitalismo, bensì la sua gestione neoliberale. I primi passi verso il socialismo del XXI secolo si sarebbero visti il 30 gennaio 2005, quando Chávez proclama nel Foro Sociale Mondiale di Porto Alegre (Brasile), che l’unica alternativa al neoliberismo non può che essere il socialismo del XXI secolo, il quale come segnala Serrano Mansilla, «non [consiste] in un socialismo del passato, ma un socialismo che bisognava inventare, costruire». Affinché Chávez raggiungesse questa posizione, il Venezuela ha dovuto attraversare due golpe: un golpe di Stato nell’aprile 2002 e un golpe economico nel 2003. La frusta della controrivoluzione è stata la causa scatenante della Rivoluzione socialista e bolivariana come quella che, ancora oggi, continua a vivere in Venezuela.


Ma cos’è questa Rivoluzione Bolivariana? In un altro libro, così interessante e necessario come quello scritto da Alfredo Serrano Mancilla, si descrivono in forma dettagliata i risultati e, nello stesso tempo, le sfide della Rivoluzione.

S’intitola I sette peccati di Hugo Chávez (Ed. Yulca, 2014) ed è stato scritto dal famoso giornalista belga Michel Collon. Nel libro l’autore, dalla sua posizione di testimone che ha osservato da vicino il processo, passa in rassegna le più interessanti conquiste della Rivoluzione Bolivariana. La prima di queste, e forse la più rilevante, è stata quella di rompere il circolo vizioso della povertà al quale era condannata una parte della popolazione venezuelana. La prima battaglia, per rompere il circolo, è stata quella contro l’analfabetismo: «L’analfabetismo opera un terribile circolo vizioso: povero, pertanto ignorante, senza lavoro, pertanto povero». Come poterne uscire? E aggiunge Collon: «la fame rafforza il circolo vizioso della povertà. I bambini mal alimentati accedono al mondo della scuola più tardi, presentano una memoria e un’attenzione più debole e, di conseguenza, imparano di meno. E abbandonano la scuola non appena possono, specialmente se devono andare a lavorare per sfamare la famiglia». Ci sono delle politiche che diventano prioritarie e Chávez attiva immediatamente le cosiddette «Misiones» per combattere l’analfabetismo, la povertà e l’esclusione sociale. Con la «Misión Robinson» e il programma cubano «Yo sí puedo», nel 2005 il Venezuela si proclama paese libero dall’analfabetismo. Altre «Misiones» consentono la democratizzazione all’accesso universitario («Misión Sucre»), il diritto all’assistenza medica («Misión Barrio Adentro») o la possibilità di accedere all’acquisto di cibi a prezzi giusti («Misión Mercal»).

Quando Chávez giunge al governo – ma non al potere che è nelle mani della borghesia nazionale e internazionale – si vede obbligato, dalla realtà, ad avviare politiche urgenti che tirino fuori dalla povertà e dall’esclusione migliaia di compatrioti in breve tempo. Ma allo stesso tempo si lavora con una prospettiva più lontana, dando avvio a una politica a lungo termine capace di trasformare, in forma radicale, il funzionamento del sistema e delle sue istituzioni. Approfondisce la democrazia mediante l’aumento della partecipazione dei cittadini, il che consente di prendere le decisioni sul destino nazionale in modo sovrano e non obbedendo ai mandati degli organismi multilaterali stranieri; crea la figura del referendum revocatorio per sottomettere al mandatario a nuove elezioni, anche quando non abbia compiuto il suo periodo di legislatura; rende partecipi i cittadini mediante i Circoli Bolivariani e i Consigli Municipali che integrano sia i sostenitori chavistas che i loro oppositori, e che hanno la funzione di «soprintendere l’applicazione delle decisioni delle autorità locali e di controllare l’uso dei budget»; promuove la partecipazione dei lavoratori nella presa delle decisioni nelle aziende, dove si sviluppano le attività lavorative e si sostiene la fondazione di cooperative e ditte miste che lavorano per lo sviluppo endogeno di ogni territorio o regione.


Con quanto si è detto, com’è possibile che si consideri a Chávez un dittatore e, da parte di alcuni settori, non si vuole riconoscere che il Venezuela è un’autentica democrazia? Perché Chávez non si è sottomesso al potere dei mass media né ha chinato la testa nei confronti degli Stati Uniti. Chávez ha messo in discussione il potere egemonico globale e i potenti non glielo perdonano. Per questa ragione non smettono di colpire il Venezuela: colpi di Stato, colpi di mercato, colpi mediatici.


Non perdonano che Chávez abbia restituito la speranza di una vita degna e migliore in America latina, un continente assuefatto alla povertà, che aveva naturalizzato la diseguaglianza, come se si trattasse di un male endemico.

Chávez disse al Continente – e al mondo intero – che la povertà non cadeva dal cielo, ma che era il risultato di politiche economiche concrete che mettevano gli interessi dei mercati al di sopra di quello delle persone. Nonostante le storie che costruiscono i mezzi, Chávez ha materializzato un sogno da molti condiviso: che un altro mondo è possibile, che possiamo vivere fuori dal neoliberismo.

Il fatto è che quando i poveri governano, i ricchi manifestano.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]

(VIDEO) Luis Britto: Chávez nos enseñó que juntos somos invencibles

por AVN

El Comandante Hugo Chávez Frías, primer gran antiimperialista del siglo XXI, comprendió que el imperialismo puede derrotar “uno a uno” a los venezolanos, pero “unidos somos invencibles”, destacó este jueves el historiador y escritor venezolano Luis Britto García. “Chávez tuvo la conciencia perfecta de que el imperialismo nos puede ir doblegando uno por uno, pero que junto somos invencibles, y siguiendo el ejemplo de Miranda, de Bolívar, de José Martí, de Sandino y de todos los libertadores de América Latina lanzó una carrera hacia la integración para que fuéramos un bloque sólido e indestructible”, resaltó el escritor durante una cadena de radio y televisión.

Durante su intervención en la tribuna antiimperialista instalada en la Plaza Bolívar de Caracas, para conmemorar los dos años de la desaparición física del líder de la Revolución Bolivariana, Hugo Chávez, Brito García

García reiteró que “no hubo discurso en el cual Chávez no afirmara como su razón de ser, la razón de ser de Venezuela, como la razón de ser de América Latina y desde el Caribe y desde todos los pueblos oprimidos y golpeados del mundo el antiimperialismo raigal. Y al antiimperialismo se llega a través de la afirmación de la soberanía”.

 Subrayó que Chávez defendió la soberanía de Venezuela a través derechos sobre la industria petrolera (Pdvsa). “Una industria que casi estaba expropiada por la nómina mayor y a la cual decían que era inviable y había que venderla (…) no, Chávez ejerció el derecho de la nación de nombrar al presidente de Petróleos de Venezuela y eso que le costó un golpe de Estado y el sabotaje petrolero que le hizo un a daño a la República”.

Al presentar el libro Cinco Discursos Antiimperialistas de Hugo Chávez, una recopilación sobre los memorables discursos del líder de la Revolución Bolivia, y del cual él fue encargado de escribir el prólogo, resaltó las ideas soberanas de Chávez y refirió que en el texto recopilatorio hay frases fulgurantes y conceptos magníficos, que fueron respaldados en hechos.

Citó algunas líneas como: “Ahora quiero exigirle al Gobierno estadounidense que no siga metiendo sus narices en Venezuela, que esta es una patria soberana y libre”. “Nosotros en Venezuela somos libres y más nunca seremos colonia de Estados Unidos ni de nadie (…) yo acuso al Gobierno de Estados Unidos de proteger al terrorismo y de tener un discurso totalmente cínico”.

Recordó que ante las pretensiones estadounidenses de inmiscuirse en la soberanía nacional, Chávez salvó Petróleos de Venezuela, trajo de regreso el oro al país ante la amenaza de expropiación de las reservas internacionales y se retiró de la Corte Interamericana de Derechos Humanos (CIDH).

Subrayó que el comandante de la Revolución estuvo detrás de la derrota de ALCA (El Área de Libre Comercio de las Américas), “la más importante derrotas del imperialismo”, estuvo detrás de la integración del ALBA (La Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) , la integración de Unasur (La Unión de Naciones Suramericanas), integración de de la Celac (La Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños), estuvo detrás de la unión de Venezuela al Mercosur (El Mercado Común del Sur), detrás de todas las uniones esplendidas que nos fortalecen y que nos hacen decir todos para uno y uno para todos”.

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(AVN)

Fotos: Agencia Venezolana de Noticias

Chávez y la soberanía

por Luis Britto García

1.- ¿Qué es la soberanía? Es la suprema, perpetua e inalienable potestad de un Estado de darse sus propias leyes, ejecutarlas con sus propias autoridades y decidir con sus propios tribunales las controversias que se plantearen sobre dicha ejecución.

Es una potestad suprema, porque por encima de ella no hay ni puede haber otra. Es inalienable, porque un Estado no puede cederla, comprometerla ni condicionarla sin dejar de existir. Es perpetua, porque una vez instaurada, perdura sin limitaciones en el tiempo. Nadie puede consentir válidamente en perder la soberanía o en ser esclavo, porque como decía Rousseau, la locura no genera derechos.

2.- Estos conceptos son muy claros y muy fáciles de entender para todos, salvo para la clase política que nos gobernó durante casi dos siglos. Bolívar defendió denodadamente el derecho a resolver nuestras cuestiones internas con nuestros propios tribunales, incluso contra potencias como Estados Unidos. Pero también padecimos traidores que entregaron la soberanía a órganos foráneos. El pasado siglo vimos cómo una Carta de Intención pretendió transferir al FMI el derecho a decidir cuáles leyes podíamos darnos y cuáles medidas económicas debíamos adoptar. Tratados de Promoción y Protección de Inversiones y Tratados contra la Doble Tributación intentaron limitar nuestras potestades legislativas y conferir al Centro Internacional de Arreglos de las Diferencias sobre las Inversiones (Ciadi) el derecho a decidir sobre la aplicación de las leyes económicas. Estas concesiones provocaron la insurrección popular del 27 de febrero de 1989 y la rebelión militar del 4 de febrero de 1992.

3.- Chávez libera al país de las tutelas de poderes foráneos. Apenas juramentado, ordena que se marche la Misión Militar de Estados Unidos que desde Fuerte Tiuna pretendía supervisar nuestro Ejército. Los marines estadounidenses tratan de desembarcar en nuestras costas con el pretexto de prestar ayuda humanitaria durante la vaguada de Vargas. Chávez les impide posar su planta insolente en nuestras playas. La Nómina Mayor de Pdvsa se considera dueña de la empresa: Chávez ejerce el derecho de la nación como única accionista de remover y designar la junta directiva, aunque ello cuesta un golpe de Estado y un sabotaje petrolero. Recupera Chávez para Venezuela el control sobre las industrias estratégicas: la electricidad, la telefónica, la siderúrgica. El Ciadi decide sistemáticamente contra nuestro país las demandas de las transnacionales: Chávez impulsa la denuncia del tratado que nos somete a él. La Corte Interamericana de los Derechos Humanos de la OEA pretende enmendarle la plana a nuestros legisladores y jueces: Chávez impulsa la denuncia de la Convención Interamericana de los Derechos Humanos, y cesamos de estar bajo las sentencias del llamado Ministerio de Colonias de Estados Unidos. Para evitar que cortes foráneas nos confisquen las reservas internacionales, ordena repatriar la casi totalidad de los lingotes de oro que estaban en poder de instituciones extranjeras. El imperialismo es la muerte de las soberanías; la resurrección de éstas, la defunción de los imperios.

4.- Para los países pequeños o medianos es difícil sostener la soberanía sin alianzas. Chávez rompe con la diplomacia unipolar; se abre a la multilateralidad, a las relaciones Sur-Sur, a los vínculos con Asia y con el Movimiento de los Países No Alineados. Integracionista raigal, es factor fundamental en la derrota del Alca y en la integración al Mercosur, así como en la creación de las grandes hermandades nuestramericanas de la Alba, Unasur y la Celac. Releamos sus discursos, sabiendo que son la expresión fiel de una política que se confunde con su ser y con el de Nuestra América. Como la soberanía, su voz durará mientras el cuerpo político aliente y manifieste su voluntad de continuar existiendo: perpetuamente.

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