di Andrea Tarallo
Cariche della polizia a cavallo, rombo assordante delle motociclette della PFA (Policía Federal Argentina) che fanno carosello per sciogliere gli assembramenti di dimostranti, agenti della D.O.U.C.A.D. (División Operaciones Urbanas de Contención y Actividades Deportivas) in tenuta antisommossa i cui fucili sparano candelotti lacrimogeni che tracciano scie di fumo biancastro, mezzi blindati che a mo’ di ariete provano ad aprire un varco nelle barricate improvvisate erette dai manifestanti, pezzi di legno, copertoni ed immondizia dati alle fiamme con conseguenti dense colonne di fumo nero che si levano al cielo in più punti della città, ed ancora ambulanze del SAME (Sistema de Atención Médica de Emergencia) che sfrecciano a sirene spiegate, violenti getti d’acqua sparati dagli idranti per arrestare i lanci di pietre; il tutto accompagnato dai ritmati cacerolazos per le strade.
Non sono scene di un film hollywoodiano come potrebbero essere quelle di una pellicola appartenente alla saga di Robocop in cui si assiste alla lotta senza quartiere tra l’OCP e le piccole e grandi bandi criminali di Detroit, ma sono le immagini della rivolta argentina del dicembre 2001 passata alla storia con il nome di ‘argentinazo’. In tutta Buenos Aires non vi è quasi barrio che venga risparmiato dalla montante protesta; così come non vi è quasi barrio che venga risparmiato in nessuna altra piccola, media o grande città del resto del Paese. Grazie alle riprese fatte per strada dal regista ed attivista argentino Fernando “Pino” Solanas – confluite poi in un documentario intitolato “Memoria del saccheggio” – tutto il mondo ha potuto vedere quanto successo in Argentina nelle calde giornate del 19 e 20 dicembre di 14 anni fa.
Duro l’atto di accusa di Solanas affidato alle parole scritte sul retro del dvd del suo documentario: «L’Argentina è stata devastata da una nuova forma di aggressione, silenziosa e sistematica, che ha lasciato sul campo più vittime di quelle provocate dalla dittatura militare e dalla guerra delle Falkland. Nel nome della globalizzazione e del più selvaggio liberismo, le ricette economiche degli organismi finanziari internazionali hanno portato al genocidio sociale e al depauperamento della nazione».
Il saldo di quelle 48 ore che sconvolsero il mondo è stato di 38 morti e centinaia di feriti. A innescare la rivolta fu l’introduzione del cosiddetto corralito bancario; ovvero sia la confisca dei depositi dei piccoli risparmiatori ideata dall’allora ministro delle finanze Domingo Cavallo per evitare il fallimento di numerosissime banche e con esse quello dell’intero sistema finanziario. Da mesi ormai il differenziale di rendimento tra i titoli di debito argentini e quelli statunitensi non faceva altro che aumentare a dismisura; tanto che a fine novembre del 2001 lo spread aveva raggiunto i 2.500 punti base. In un Paese di per sé ricco, a dicembre migliaia di argentini si dettero ad assaltare i supermercati per poter mangiare. Quello stesso Stato che con la propria opera Perón aveva reso paternalista, adesso non si curava manco più che i propri cittadini avessero i mezzi per provvedere alla propria salute o per essere seppelliti in maniera decorosa.
Il senso di disorientamento e l’idea di essere abbandonati a sé stessi che improvvisamente colpì gli argentini emerse chiaramente su un cartello brandito da alcuni manifestanti: “Nosotros tenemos tres problemas: no tenemos trabajos, no tenemos jubilación y no hemos muerto todavía” (“Noi abbiamo tre problemi: non abbiamo lavoro, non abbiamo pensione e non siamo ancora morti”). Oggi però dopo 14 anni di lenta e faticosa ripresa, avutasi sotto le Presidenze di Néstor Kirchner (2003-2007) e Cristina Fernández de Kirchner (2007-2011 e 2011-2015), l’Argentina complici le scellerate politiche neoliberiste annunciate da Macri pare nuovamente incamminarsi sulla via tracciata per lei dagli Stati Uniti e dal Fondo Monetario Internazionale. Ma si sa, un popolo senza memoria è condannato a ripetere la sua storia.