50 anni di guerre imperiali: risultati e prospettive

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di James Petras – La Haine

22gen2016.- Le guerre perdute in Medio Oriente, nel nord dell’Africa e nel Caucaso hanno mutilato la capacità dello stato imperiale di portare avanti la costruzione dell’impero

 

Introduzione

Negli ultimi 50 anni, gli Stati Uniti e le potenze europee hanno scatenato innumerevoli guerre imperiali in tutto il mondo. L’offensiva verso la supremazia mondiale è stato avvolta nella retorica della “leadership mondiale” e le conseguenze sono state devastanti per i popoli contro cui sono state rivolte quelle guerre. Le più grandi, lunghe e numerose le hanno portate avanti gli Stati Uniti. Presidenti di entrambi i partiti sono stati in prima linea in questa crociata per il potere mondiale. L’ideologia che incoraggia l’imperialismo è andata cambiando dall’”anti-comunismo” del passato all’”anti-terrorismo” presente.

Come parte del suo progetto di dominio del mondo, Washington ha usato e combinato molte forme di guerra, comprese le invasioni militari e le occupazioni; gli eserciti mercenari e i colpi di stato militari; così come il finanziamento dei partiti politici e delle ONG e la folla nelle strade per rovesciare governi debitamente costituiti. I motori di questa crociata per il potere mondiale variano secondo la posizione geografica e la composizione economica dei paesi destinatari.

Ciò che risulta chiaro quando si analizza la costruzione dell’impero USA nel corso dell’ultimo mezzo secolo è il relativo declino degli interessi economici e l’emergere di considerazioni di tipo politico e militare. Ciò è dovuto in parte alla scomparsa dei regimi collettivisti (l’URSS e l’Europa orientale) e alla conversione capitalista della Cina e dei regimi di sinistra in Asia, Africa e America Latina. Il declino delle forze economiche come motore dell’imperialismo è il risultato dell’avvento del neo-liberismo globale. La maggior parte delle multinazionali statunitensi e dell’Unione Europea non sono minacciate da nazionalizzazioni o espropri, fenomeni che potrebbero innescare un intervento politico imperiale. In effetti, anche i regimi post-neo-liberisti invitano le multinazionali a investire, commerciare e sfruttare le risorse naturali. Gli interessi economici entrano in gioco nella politica imperiale solo se (e quando) i regimi nazionalisti sfidano le multinazionali statunitensi, come nel caso del Venezuela sotto il presidente Chávez.

La chiave della costruzione dell’impero degli Stati Uniti nell’ultimo mezzo secolo è nelle configurazioni del potere politico, militare e ideologico, che hanno preso il controllo delle leve dello stato imperiale. La storia recente delle guerre imperiali degli Stati Uniti ha dimostrato che le priorità militari strategiche – basi militari, bilanci e burocrazia – sono state ben al di sopra di qualsiasi interesse economico individuato dalle multinazionali. Inoltre, la maggior parte delle spese dei lunghi e costosi interventi militari dello stato imperiale USA in Medio Oriente sono stati affrontati su richiesta di Israele. L’accaparramento di posizioni politiche strategiche nell’Esecutivo e nel Congresso da parte del blocco di potere sionista degli Stati Uniti ha rafforzato la centralità degli interessi militari a scapito di quelli economici.

La “privatizzazione” delle guerre imperiali – il ​​grande aumento e l’uso di mercenari assoldati dal Pentagono – ha portato al saccheggio di decine di miliardi di dollari del Tesoro degli Stati Uniti. L’industria militare privato, che fornisce i combattenti mercenari, è diventata una forza molto “influente”, che sta plasmando la natura e le conseguenze del processo di costruzione dell’impero statunitense.

Gli strateghi militari, i sostenitori degli interessi coloniali israeliani in Medio Oriente e le società militari e di intelligence sono attori chiave dello stato imperiale ed è la loro influenza sul processo decisionale che spiega perché l’esito delle guerre imperiali degli Stati Uniti non è stato un impero economico prospero e politicamente stabile. Invece, le loro politiche hanno portato a economie instabili e devastate, continuamente in ribellione.

Cominciamo identificando le aree di evoluzione e le regioni coinvolte nella costruzione dell’impero degli Stati Uniti dalla metà degli anni Settanta ad oggi. Poi esamineremo i metodi, le forze motrici e gli esiti dell’espansione imperiale. In seguito, descriveremo l’attuale mappa geo-politica di costruzione imperiale e il carattere vario della resistenza anti-imperialista. Concluderemo esaminando il come e il perché della costruzione dell’impero e, più in particolare, le conseguenze e i risultati di mezzo secolo di espansione imperiale degli Stati Uniti.

 

L’imperialismo nel periodo post-Vietnam: le guerre per procura in America Centrale, Afghanistan e nell’Africa australe

La sconfitta dell’imperialismo statunitense in Indocina segna la fine di una fase di costruzione dell’ impero e l’inizio di un altro: il passaggio dalle invasioni territoriali alle guerre per procura. Dalle presidenze di Gerald Ford e Jimmy Carter in poi, lo stato imperialista statunitense ha cominciato a fare sempre più affidamento sugli alleati. Ha reclutato, finanziato e armato per procura eserciti per distruggere una varietà di regimi e nazionalisti e movimenti socio-rivoluzionari su tre continenti. Con il supporto logistico da parte dell’esercito e dei servizi segreti pakistani e con il supporto finanziario dell’Arabia Saudita, Washington ha finanziato e armato forze estremiste islamiche in tutto il mondo, per invadere e distruggere il regime afghano, laico, progressista e sostenuto dall’Unione Sovietica.

Il secondo intervento per procura ha avuto luogo nell’Africa australe, dove lo stato imperiale statunitense, alleata al Sud-Africa, ha finanziato e armato per procura eserciti contro i regimi antimperialisti in Angola e Mozambico.

Il terzo si è verificato in America centrale, dove gli Stati Uniti hanno finanziato gli squadroni della morte, armati e addestrati in Nicaragua, El Salvador, Guatemala e Honduras, per porre fine ai movimenti popolari e alle insurrezioni armate, provocando più di 300.000 morti tra i civili.
La “strategia di guerra per procura” dello stato imperiale USA si è estesa al Sud America, dove la CIA e il Pentagono hanno sostenuto colpi di stato in Uruguay (generale Alvárez), in Cile (Pinochet), in Argentina (generale Videla), in Bolivia (il generale Banzer) e in Perù (generale Morales). La costruzione dell’impero per procura è avvenuta in gran parte per volere delle multinazionali statunitensi, che in quel periodo hanno avuto un ruolo di primo piano nella definizione delle priorità dello stato imperiale.

Le guerre per procura sono state accompagnate da invasioni militari dirette: la piccola isola di Granada (1983) e Panama (1989), sotto i presidenti Reagan e Bush. Bersagli facili, con poche vittime e poca spesa militare: prove generali per rilanciare le principali operazioni militari in un prossimo futuro.

Ciò che colpisce delle “guerre per procura” sono i loro risultati contrastanti. In America
Centrale, in Afghanistan e in Africa, queste guerre non hanno portato a prospere neo-colonie, né sono state redditizie per le grandi imprese americane. Invece, i colpi di stato per procura in Sudamerica hanno portato a ampie privatizzazioni ed enormi profitti per le multinazionali americane.

La guerra per procura in Afghanistan ha portato alla nascita e al consolidamento del “regime islamico” dei Talebani, che si opponevano sia all’influenza sovietica, sia all’espansione imperiale degli USA. Alla fine, la nascita e il consolidamento del nazionalismo islamico avrebbero sfidato gli alleati degli Stati Uniti in Asia meridionale e nella regione del Golfo, e avrebbero portato all’invasione militare degli Stati Uniti nel 2001 e a una lunga guerra (15 anni) che ancora non è finita e che probabilmente vedrà la sconfitta e il ritiro delle forze armate statunitensi. I principali beneficiari, dal punto di vista economico, sono stati i clienti politici afghani di Washington, i “contractors” mercenari americani, gli addetti agli appalti militari e gli amministratori coloniali, che hanno saccheggiato centinaia di miliardi di dollari dal Tesoro degli Stati Uniti attraverso operazioni illegali o fraudolente.

Le multinazionali non-militari non hanno beneficiato affatto del saccheggio del Tesoro degli Stati Uniti. In effetti, la guerra e il movimento di resistenza hanno ostacolato sul lungo termine l’ingresso dei capitali privati degli Stati Uniti in Afghanistan e nelle limitrofe regioni di confine col Pakistan.

La guerra per procura nell’Africa del sud ha devastato le economie locali, specialmente le economie agricole nazionali, ha sradicato milioni di lavoratori e contadini e ha impedito l’ingresso delle compagnie petrolifere statunitensi per oltre due decenni. Il risultato “positivo” è stato lo sradicamento delle élites nazionaliste rivoluzionarie. Tuttavia, la conversione politica dei “rivoluzionari” del sud dell’Africa al neo-liberismo non ha beneficiato troppo le multinazionali americane, siccome i nuovi governanti sono diventati oligarchi e cleptocrati, che hanno messo su regimi patrimoniali, associandosi con diverse multinazionali, soprattutto asiatiche ed europee.

Le guerre per procura in America Centrale anche hanno avuto risultati contrastanti. In Nicaragua, la rivoluzione sandinista ha sconfitto il regime di Somoza, sostenuto congiuntamente dagli Stati Uniti e da Israele, ma subito dopo ha dovuto confrontarsi con un esercito mercenario contro-rivoluzionario, finanziato, armato e addestrato dagli Stati Uniti (i “contras”), con sede in Honduras. La guerra degli Stati Uniti ha distrutto molti progetti economici progressisti, ha minato l’economia e alla fine ha portato alla vittoria elettorale di Violeta Chamorro, che è stata sponsorizzata e sostenuta dagli Stati Uniti. Due decenni più tardi, gli agenti statunitensi sono stati sconfitti da una coalizione politica guidata da Sandinisti de-radicalizzati.

Nel Salvador, in Guatemala e in Honduras, le guerre statunitensi hanno finito per consolidare i regimi clientelari, che si sono fatti carico di distruggere l’economia produttiva e hanno causato la fuga di milioni di profughi di guerra verso gli Stati Uniti. Il dominio imperiale statunitense ha eroso le fondamenta del mercato del lavoro produttivo e ha dato origine a bande di narcotrafficanti assassini.

In sintesi, nella maggior parte dei casi, le guerre per procura degli Stati Uniti sono riuscite a evitare il sorgere di regimi di sinistra nazionalista, ma hanno anche portato alla distruzione delle basi economiche e politiche di un impero neo-coloniale prospero e stabile.

 

L’imperialismo degli Stati Uniti in America Latina: struttura variabile, contingenze interne ed esterne, priorità che cambiano e vincoli globali

Per comprendere le operazioni, la struttura e le operazioni dell’imperialismo USA in America Latina è necessario riconoscere la costellazione di forze rivali, che ha modellato le politiche dello stato imperiale. A differenza di quanto accaduto in Medio Oriente, dove la fazione militarista-sionista ha stabilito la sua egemonia, nell’America Latina le multinazionali hanno giocato un ruolo fondamentale nel definire la politica dello stato imperiale. In America Latina, i militaristi hanno svolto un ruolo molto meno prominente, limitato: (1) dal potere delle multinazionali; (2) dall’alternanza del potere politico tra destra e centro-sinistra e (3) dall’impatto della crisi economica e del ciclo delle materie prime.

A differenza che nel Medio Oriente, la configurazione di potere sionista ha avuto scarsa influenza sulla politica dello stato imperiale in questa regione, dal momento che gli interessi israeliani sono concentrati in Medio Oriente e, con la possibile eccezione dell’Argentina, l’America Latina non è una priorità.

Per più di un secolo e mezzo, le multinazionali e le banche degli Stati Uniti hanno dominato e dettato la politica imperiale degli Stati Uniti verso l’America Latina. L’esercito degli Stati Uniti e la CIA sono stati gli strumenti dell’imperialismo economico attraverso l’intervento diretto (invasioni), i “colpi di stato militare” per procura, o una combinazione di entrambi.

Il potere economico imperiale degli Stati Uniti in America Latina ha raggiunto il suo picco tra il 1975 e il 1999. Attraverso colpi di stato per procura, invasioni militari dirette (Repubblica Dominicana, Panama, Granada), elezioni controllate civilmente e militarmente sono stati creati stati vassalli e sono stati istituiti nuovi governi clientelari.

I risultati sono stati lo smantellamento dello stato sociale e l’imposizione di politiche neo-liberiste. Lo stato imperiale, diretto dalle multinazionali, e le sue appendici finanziarie internazionali (l’FMI, la BM, la BID) si sono incaricati della privatizzazione di settori economici strategici molto lucrativi, hanno preso il controllo del commercio e hanno proiettato un piano di integrazione regionale rafforzando il dominio imperiale degli Stati Uniti.

L’espansione economica imperiale in America Latina non è stata semplicemente il risultato della struttura e delle dinamiche interne delle multinazionali, ma dipendeva: (1) dalla ricettività del paese “ospite”, o più precisamente, dalla correlazione interna delle forze di classe in America Latina, che a loro volta giravano intorno (2) all’andamento dell’economia: crescita o vulnerabilità alla crisi.

L’America Latina dimostra che gli imprevisti, come la scomparsa dei regimi clientelari e delle classi collaborazioniste, possono avere un enorme impatto negativo sulle dinamiche dell’imperialismo, minando il potere dello Stato imperiale e invertendo il progresso economico delle multinazionali.

L’avanzamento dell’imperialismo economico degli Stati Uniti durante il periodo 1975-2000 è risultato evidente nell’adozione di politiche neo-liberiste, nel saccheggio delle risorse nazionali, nell’ aumento dei debiti illegittimi e nel trasferimento di miliardi di dollari al di fuori. Tuttavia, la concentrazione della ricchezza e della proprietà ha innescato una profonda crisi socio-economica in tutta la regione, che alla fine ha portato al rovesciamento o alla rimozione dei collaboratori imperiali in Ecuador, Bolivia, Venezuela, Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Nicaragua. In Brasile e nei paesi andini, sono emersi potenti movimenti sociali anti-imperialisti, in particolare nel campo. Nelle città, i movimenti dei lavoratori disoccupati e i sindacati dei dipendenti pubblici in Argentina e in Uruguay hanno portato a cambiamenti elettorali, con l’installazione al potere di governi di centro-sinistra, che hanno “ri-negoziato” le relazioni con lo stato imperiale USA.

L’influenza delle multinazionali statunitensi in America Latina si è andata debilitando. Esse non potevano più contare sulla batteria completa delle risorse militari dello stato imperiale, per intervenire e imporre nuovi presidenti clientelari neo-liberisti, perché le sue priorità militari erano altrove: in Medio Oriente, nell’Asia del Sud e nel nord dell’Africa.

A differenza del passato, le multinazionali statunitensi in America Latina non hanno potuto contare su due pilastri essenziali del potere: il pieno appoggio delle forze armate statunitensi e i potenti regimi clientelari civili-militari degli Stati Uniti in America Latina.

Il piano delle multinazionali di un’integrazione incentrata sugli Stati Uniti è stato respinto dai governi di centro-sinistra. Lo stato imperiale ha allora fatto ricorso agli accordi di libero scambio con il Messico, il Cile, la Colombia, Panama e il Perù. Come conseguenza della crisi economica e del crollo della maggior parte delle economie dell’America Latina, il “neo-liberismo”, l’ideologia della penetrazione economica imperiale è stato screditato e i suoi sostenitori sono stati emarginati.

I cambiamenti nell’economia globale hanno avuto un profondo impatto sulle relazioni commerciali e sugli investimenti tra Stati Uniti e America Latina. La crescita dinamica della Cina, il conseguente aumento della domanda e l’aumento dei prezzi delle materie prime hanno portato a un notevole indebolimento del dominio degli Stati Uniti nei mercati dell’America Latina.

I paesi dell’America Latina hanno diversificato il commercio, hanno cercato e trovato nuovi mercati esteri, in particolare la Cina. L’aumento dei proventi da esportazione ha comportato una maggiore capacità di auto-finanziamento. E sia il FMI che la BM e la BID, strumenti economici che servivano ad aumentare le imposizioni economiche degli Stati Uniti (“condizionalità”) sono stati limitati.

Lo stato imperiale degli Stati Uniti si è confrontato a regimi latino-americani, che hanno adottato opzioni economiche, mercati e misure di finanziamento molto diversificate. Con un notevole sostegno
popolare e con i comandi civili e militari unificati, l’America Latina è uscita timidamente dalla sfera di dominio imperialista degli Stati Uniti.

Lo Stato imperiale e le sue multinazionali, fortemente ispirati ai “successi” raccolti negli anni novanta, hanno risposto all’indebolimento della loro influenza con il metodo della “prova e sbaglio” per affrontare i nuovi ostacoli del secolo XXI. I responsabili della politica degli Stati Uniti, con il sostegno delle multinazionali, hanno continuato a sostenere i regimi neo-liberisti falliti, perdendo ogni credibilità in America Latina. Lo stato imperiale non è riuscito ad adattarsi ai cambiamenti, che hanno portato a un aumento dell’opposizione popolare e dei governi di centro-sinistra al “libero mercato” e alla de-regolamentazione bancaria. A differenza delle riforme sociali promosse dal presidente Kennedy tramite l’”Alleanza per il Progresso”, per contrastare l’impatto generato dalla rivoluzione cubana, questa volta non si sono fatti programmi di aiuto economico su larga scala da imporsi al centro-sinistra, forse a causa dei vincoli di bilancio, derivanti dalle guerre costose altrove.

Il crollo dei regimi neo-liberisti, il collante che teneva insieme le diverse fazioni dello stato imperiale, ha portato a proposte rivali su come riprendere il controllo. La “fazione militarista” ha fatto ricorso a (e ha riesumato) la formula del colpo di stato militare, per effettuare la restaurazione: sono stati organizzati colpi di stato in Venezuela, in Ecuador, in Bolivia, in Honduras e in Paraguay; tranne gli ultimi due, tutti falliti. La sconfitta dei rappresentanti degli stati ha consolidato i regimi di centro-sinistra, indipendenti e anti-imperialisti. Anche il “successo” del colpo di stato degli Stati Uniti in Honduras ha avuto come conseguenza un’importante sconfitta diplomatica: i governi latino-americani hanno condannato il colpo di stato e il ruolo degli Stati Uniti, il che ha finito per isolare ancora di più Washington.

La sconfitta della strategia militarista ha rafforzato la fazione politica e diplomatica dello stato imperiale. Con proposte positive verso i cosiddetti “regimi di centro-sinistra”, questa fazione ha vinto influenza diplomatica, ha mantenuto i legami militari e ha contribuito all’espansione delle multinazionali in Uruguay, Brasile, Cile e Perù. Con questi ultimi due paesi, la fazione economica dello Stato imperiale ha consolidato accordi bilaterali di libero scambio.

Una terza fazione corporativo-militare, che si sovrappone alle altre due, ha unito cambiamenti diplomatico-politici a Cuba con una strategia aggressiva di destabilizzazione politica volta al “cambio di regime” (colpo di stato) in Venezuela.

L’eterogeneità delle fazioni dello stato imperiale e le sue tendenze in conflitto riflettono la complessità degli interessi coinvolti nella costruzione dell’impero in America Latina e hanno come conseguenze politiche apparentemente contraddittorie, un fenomeno che è meno evidente in Medio Oriente, dove la configurazione di potere militarista-sionista domina la formulazione delle politiche imperiali.

Ad esempio, l’aumento delle basi militari e delle operazioni di contro-insurrezione in Colombia (una delle priorità della fazione militarista) è accompagnato da accordi bilaterali di libero commercio e colloqui di pace tra il governo di Santos e l’insurrezione armata delle FARC (una priorità della fazione delle multinazionali).

Recuperare il dominio imperiale in Argentina presuppone: (1) massimizzare le possibilità elettorali del capo del governo della Città di Buenos Aires, il neo-liberista Mauricio Macri; (2) sostenere il conglomerato mediatico imperiale, Clarín, contro una legislazione messa a punto per distruggere il monopolio dei media; (3) strumentalizzare la morte del procuratore Alberto Nisman, che ha lavorato per la CIA e il Mossad per screditare il governo di Kirchner-Fernández; e (4) sostenere i fondi di investimento speculativi (avvoltoi) a New York, che chiedono il pagamento di interessi esorbitanti e, con l’aiuto di sentenze giudiziarie discutibili, bloccare l’accesso dell’Argentina ai mercati internazionali.

Sia la fazione militarista dello Stato imperiale come quella delle multinazionali sono d’accordo nel sostenere una strategia elettorale e golpista su più fronti, che cerca di ristabilire il potere di un regime neo-liberista controllato dagli Stati Uniti.

Le contingenze che hanno impedito il recupero del potere imperiale negli ultimi dieci anni ora agiscono in senso inverso. Il calo del prezzo delle materie prime ha indebolito i governi post-neo-liberisti in Venezuela, Argentina ed Ecuador. Il declino dei movimenti anti-imperialisti, a causa delle tattiche di cooptazione del centro-sinistra, ha rafforzato le proteste e movimenti di destra sostenuti dallo Stato imperiale. Il rallentamento della crescita in Cina ha colpito le strategie di diversificazione del mercato latino-americano. L’equilibrio interno delle forze di classe si è spostato a destra, verso i clienti politici degli Stati Uniti in Brasile, Argentina, Peru e Paraguay.

 

 

Riflessioni teoriche sulla costruzione dell’impero in America Latina

La costruzione dell’impero degli Stati Uniti in America Latina è un processo ciclico, che riflette i cambiamenti strutturali del potere politico e la ristrutturazione dell’economia globale:
forze e fattori che “ignorano” lo stato imperiale e la tendenza del capitale ad accumularsi. L’accumulazione e l’espansione del capitale non dipendono semplicemente dalle forze impersonali del “mercato”, dal momento che le relazioni sociali in cui funziona il “mercato” operano entro i limiti della lotta di classe.

Il fulcro delle azioni dello stato imperiale, vale a dire le lunghe guerre territoriali in Medio Oriente, sono assenti in America Latina. Ciò che muove le politiche dello stato imperiale degli Stati Uniti è la ricerca di risorse (agro-minerarie), la forza-lavoro (i lavoratori sub-appaltati a basso reddito) e i mercati (le dimensioni e il potere d’acquisto di 600 milioni di consumatori). Dietro l’espansione imperiale, vi sono gli interessi economici delle multinazionali.

Anche se in questo caso si potrebbe trarre beneficio da una posizione geo-strategica vantaggiosa- i Caraibi, l’America Centrale e il Sud America si trovano più vicino agli Stati Uniti – predominano gli obiettivi economici, non militari.

Tuttavia, la fazione militarista-sionista dello stato imperiale ignora queste ragioni economiche tradizionali e deliberatamente decide di agire tenendo conto di altre priorità: il controllo delle aree di produzione di petrolio, la distruzione di nazioni o movimenti islamici, o semplicemente l’eliminazione di avversari anti-imperialisti. La fazione militarista-sionista ha ritenuto che i “benefici” per Israele e per la sua supremazia militare in Medio Oriente erano più importanti dell’assicurare la supremazia economica degli Stati Uniti in America Latina. Questo si vede chiaramente, se analizziamo le priorità imperiali sulla base delle risorse statali utilizzate per scopi politici.

Anche se si tiene conto dell’obiettivo della “sicurezza nazionale” e lo si interpreta nel suo senso più ampio di garantire la sicurezza dei territori nazionali dell’impero, l’attacco militare degli Stati Uniti in paesi islamici condotto in base alla concomitante ideologia islamofobica, le uccisioni di massa e lo sradicamento di milioni di musulmani hanno prodotto l’effetto opposto: il terrorismo incrociato. Le “guerre totali” degli Stati Uniti contro i civili hanno provocato attacchi islamisti contro i cittadini occidentali.

I paesi latino-americani che sono nel mirino dell’imperialismo economico sono paesi meno belligeranti di quelli del Medio Oriente, che sono nel mirino dei militaristi americani. L’analisi costi / benefici dimostrerebbe la natura assolutamente “irrazionale” della strategia militarista. Tuttavia, se consideriamo la composizione e gli interessi concreti che muovono individualmente i responsabili delle politiche dello stato imperiale, vediamo che c’è qualcosa come una perversa “razionalità”. I militaristi difendono la “razionalità” di guerre costose e interminabili, prospettando i vantaggi dell’impossessarsi delle “porte del petrolio”, mentre i sionisti prospettano il maggior potere regionale ottenuto da Israele.

Mentre, per più di un secolo, l’America Latina è stata un obiettivo prioritario della conquista economica imperiale, nel XXI secolo essa ha perso il suo primato a favore del Medio Oriente.

 


La scomparsa dell’URSS e la conversione della Cina al capitalismo

Il più grande impulso verso la riuscita espansione imperiale degli Stati Uniti non l’hanno ottenuto le guerre per procura e nemmeno le invasioni militari. Piuttosto, l’impero degli Stati Uniti ha raggiunto la sua massima crescita e conquista con l’aiuto di leaders politici clientelari, organizzazioni e stati vassalli in URSS, Europa orientale, nei paesi baltici, nei Balcani e nel Caucaso. La strategia di penetrazione politica e finanziaria su larga scala e a lungo termine, intrapresa dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea ha contribuito con successo al crollo dei regimi collettivisti della Russia e dell’Unione Sovietica e all’emergere di stati vassalli. Questi si sarebbero presto resi disponibili per la NATO e sarebbero stati incorporati nell’Unione Europea. Bonn si è annessa la Germania dell’Est e ha dominato i mercati della Polonia, della Repubblica Ceca e di altri paesi dell’Europa centrale. I banchieri degli Stati Uniti e di Londra hanno collaborato con i mafiosi oligarchi russo-israeliani in attività congiunte, finalizzate al saccheggio delle risorse, delle industrie, dei beni immobili e dei fondi pensione. L’Unione Europea ha sfruttato decine di milioni di scienziati, ingegneri e lavoratori altamente qualificati, importandoli o, meglio, privandoli dei diritti dei lavoratori e dei benefici dello stato sociale e utilizzandoli come manodopera a basso costo nei loro paesi.

L’”imperialismo su invito”, promosso dal regime vassallo di Eltsin, si è appropriato molto facilmente della ricchezza russa. Le forze militari del Patto di Varsavia sono entrate a far parte di una legione straniera nelle guerre imperiali USA in Afghanistan, Iraq e Siria. Le loro strutture militari sono state trasformate in basi militari e siti missilistici per accerchiare la Russia.

La conquista imperiale statunitense dell’Oriente ha creato un “mondo unipolare”, in cui i responsabili del processo decisionale e gli strateghi di Washington hanno creduto che, come potenza mondiale suprema, sarebbero potuti intervenire con impunità.

La portata e la profondità dell’impero mondiale americano si sono ampliate con l’incorporazione della Cina al capitalismo e l’invito del suo governo alle multinazionali degli Stati Uniti e dell’Unione Europea a entrare e sfruttare la manodopera a basso costo del paese. L’espansione globale dell’impero statunitense ha rafforzato la sensazione di potere illimitato, incoraggiando i suoi leaders a esercitare tale potere contro ogni avversario o rivale.

Tra il 1990 e il 2000, gli Stati Uniti hanno portato le loro basi militari fino al confine con la Russia. Le multinazionali statunitensi hanno rafforzato la loro posizione in Cina e in Indocina. I regimi clientelari degli Stati Uniti in America Latina hanno smantellato le loro economie nazionali, hanno privatizzato e de-nazionalizzato più di cinquemila imprese pubbliche in redditizi settori strategici. Tutti i settori sono stati colpiti: risorse naturali, trasporti, telecomunicazioni e finanza.

Nel corso degli anni Novanta, gli Stati Uniti hanno continuato a espandersi attraverso la strategia di penetrazione politica e della forza militare. Il Presidente George W. Bush ha lanciato una guerra contro l’Iraq. Clinton ha bombardato la Jugoslavia, la Germania e l’Unione Europea si sono unite agli Stati Uniti nel dividere la Jugoslavia in “mini-stati”.

 

 

Il cruciale anno 2000: l’apogeo e il declino dell’impero

La rapida e vasta espansione imperiale tra il 1989 e il 1999, le conquiste facile e saccheggio concomitante hanno creato le condizioni per il declino dell’impero statunitense. Il saccheggio e l’impoverimento della Russia hanno portato alla nascita di una nuova leadership sotto il presidente Putin, che era determinato a ricostruire lo Stato e l’economia e porre fine al vassallaggio.

La leadership cinese ha approfittato della sua dipendenza dal capitale e dalla tecnologia occidentale per creare una potente economia di esportazione e per promuovere la crescita di un dinamico complesso industriale nazionale, tra pubblico e privato. I centri finanziari imperiali che erano fioriti nel vivo di una regolamentazione eccessivamente lassista sono falliti. Le fondazioni nazionali dell’impero hanno tremato. La macchina da guerra imperiale ha dovuto competere con il settore finanziario per gli stanziamenti di bilancio e i sussidi federali.

La facile la crescita ha portato a un’eccessiva espansione dell’impero. Le zone di conflitto si sono moltiplicate in tutto il mondo, riflettendo il risentimento e l’ostilità per la distruzione causata dai bombardamenti e dalle invasioni. I governanti clientelari, stretti collaboratori
dell’impero, hanno visto il proprio potere indebolito. L’impero mondiale ha superato la capacità degli
Stati Uniti di controllare con successo i nuovi stati vassalli. Gliavamposti coloniali hanno richiesto nuove spedizioni di truppe e armi e nuove iniezioni di denaro, in un momento in cui il controllo delle tensioni interne richiedeva il taglio e il ripiego.

Tutti le recenti conquiste – al di fuori dell’Europa – sono state molto costose. La sensazione di invincibilità e di impunità ha portato i progettisti dell’impero a sovrastimare la loro capacità di espandersi, di mantenere il controllo e di contenere l’inevitabile resistenza anti-imperialista.

La crisi e il crollo degli stati vassalli neo-liberisti in America Latina si sono accelerate. Le rivolte anti-imperialiste si sono diffuse dal Venezuela (1999) all’Argentina (2001), dall’Ecuador (2000-2005) alla Bolivia (2003-2005). Sono sorti regimi di centro-sinistra in Brasile, Uruguay e Honduras. I movimenti di massa composti da comunità indigene e di minatori hanno preso un nuovo slancio nelle zone rurali. I piani imperiali che erano stati sviluppati per garantire l’integrazione incentrata sugli Stati Uniti sono stati respinti. Invece hanno proliferato molti accordi regionali che hanno escluso gli Stati Uniti: ALBA, UNASUR, CELAC. La ribellione interna in America Latina ha coinciso con l’ascesa economica della Cina. Un lungo boom delle materie prime ha gravemente indebolito la supremazia imperiale. Gli USA avevano pochi alleati locali in America Latina e impegni eccessivamente ambiziosi di controllare il Medio Oriente, l’Asia del Sud e il Nord dell’Africa.

Washington ha perso la sua maggioranza automatica in America Latina: il suo sostegno ai colpi di stato in Honduras e in Paraguay, il suo intervento in Venezuela (2001) e l’embargo contro Cuba sono stati respinti da tutti i governi, anche dagli alleati conservatori.

Washington si è resa conto che era molto meno facile difendere un impero globale che metterlo in piedi. Gli strateghi imperiali di Washington hanno visto la guerra in Medio Oriente attraverso il prisma delle priorità militari israeliane, ignorando gli interessi economici globali delle multinazionali.
Gli strateghi militari imperiali hanno sovrastimato la capacità militare di vassalli e clienti, che gli Stati Uniti hanno preparato molto male a governare in paesi con movimenti di resistenza nazionale armata. Sono aumentate le guerre, le invasioni e le occupazioni militari. All’Iraq e all’Afghanistan, si sono aggiunti lo Yemen, la Somalia, la Libia, la Siria e il Pakistan. La spesa dello stato imperiale USA ha superato di gran lunga qualsiasi trasferimento di ricchezza dai paesi occupati.
Centinaia di miliardi di dollari del Tesoro degli Stati Uniti sono stati saccheggiati da un’enorme burocrazia mercenaria civile e militare.

Il ruolo centrale delle guerre di conquista ha mandato in frantumi l’infrastruttura istituzionale e le necessarie basi economiche, perché le multinazionali potessero installarsi e fare soldi.
Aggrappata alle idee strategiche militari dell’impero, la leadership politico-militare dello stato imperiale ha progettato un’ideologia globale, per giustificare e sostenere una politica di guerra permanente e multipla. La dottrina della “guerra al terrore” ha giustificato la guerra ovunque e in nessun luogo. La dottrina era “elastica”, poteva essere adattata a ogni zona del conflitto e invitava a nuovi impegni militari: Afghanistan, Libia, Iran e Libano sono state designate come zone di guerra. La “dottrina del terrore”, di portata globale, ha offerto una giustificazione per guerre multiple e per la distruzione (non lo sfruttamento) di massa delle società e delle risorse economiche. Soprattutto, la “guerra al terrore” ha giustificato la tortura (Abu Ghraib), i campi di concentramento (Guantanamo) e gli obiettivi civili (attraverso i droni) dovunque. Le truppe sono state ritirate e rimandate di nuovo in Afghanistan e in Iraq con l’aumento della resistenza. Migliaia di affettivi delle truppe speciali sono stati attivi in ​​decine di paesi, scatenando il caos e la morte.

Inoltre, il violento sradicamento, il degrado e la stigmatizzazione di interi popoli islamici ha propagato la violenza nei centri imperiali di Parigi, New York, Londra, Madrid e Copenaghen. La globalizzazione del terrore di stato imperiale ha portato al terrore individuale.

Il terrore imperiale ha portato al terrore all’interno degli stati: il primo, in maniera sostenuta, ha colpito intere civiltà, guidato e giustificato da rappresentanti politici eletti e da autorità militari. Il secondo, da un gruppo trasversale di “internazionalisti”, che immediatamente si sono identificati con le vittime del terrorismo di stato imperiale.

 

 

L’imperialismo contemporaneo: prospettive presenti e future

Per capire il futuro dell’imperialismo statunitense è importante riassumere e valutare l’esperienza e le politiche del passato quarto di secolo.

Tra il 1990 e il 2015 vediamo un declino economico, politico e perfino militare nella costruzione dell’impero degli Stati Uniti nella maggior parte delle regioni, anche se il processo non è lineare e probabilmente non irreversibile.

Anche se a Washington si è parlato molto della necessità di riconfigurare le priorità imperiali, per prendere in considerazione gli interessi economici delle multinazionali, si è realizzato ben poco … La strategia di Obama di “proiezione verso l’Asia” si è materializzata in nuovi accordi militari con il Giappone, l’Australia e le Filippine intorno alla Cina, e riflette l’incapacità di progettare accordi di libero scambio che escludano questo paese. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno ripreso la guerra e sono rientrati in Iraq e in Afghanistan, come anche hanno avviato nuove guerre in Siria e in Ucraina. È chiaro che il primato della fazione militarista rimane il fattore determinante nella progettazione delle politiche dello stato imperiale.

Il motore militare imperiale è ancora più evidente nell’intervento degli Stati Uniti a sostegno del colpo di stato in Ucraina e nella successiva decisione di finanziare e armare la giunta di Kiev. L’offensiva imperiale in Ucraina e i piani per incorporarla nell’Unione Europea e nella NATO costituisce una palese aggressione militare: l’estensione delle basi, le strutture e le manovre militari statunitensi al confine con la Russia, insieme con l’imposizione di sanzioni economiche, tutto ciò ha gravemente danneggiato il commercio e gli investimenti degli Stati Uniti in Russia. La costruzione dell’impero degli Stati Uniti continua a dare priorità all’espansione militare, anche a scapito degli interessi economici imperiali occidentali in Europa.

Il bombardamento della Libia da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea ha rovinato il fiorente commercio e gli accordi di investimento tra le multinazionale imperiali del petrolio e del gas e il governo Gheddafi… Gli attacchi aerei della NATO hanno distrutto l’economia, la società e l’ordine politico, trasformando la Libia in un territorio invaso da clan rivali, bande, terroristi e violenza armata.

Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, la leadership politica e le strategie dello stato imperiale sono cambiate drasticamente. Nel periodo dal 1975-1990, le multinazionali hanno giocato un ruolo centrale nell’impostazione della direzione politica dello Stato imperiale: sfruttare i mercati asiatici, negoziando l’apertura del mercato in Cina, promuovere e sostenere i governi militari e civili neo-liberisti in America Latina, e installando e finanziando governi filo-capitalisti in Russia, nell’Europa orientale, nei Balcani e negli stati baltici. Anche nei casi in cui lo stato imperiale ha fatto ricorso all’intervento militare, in Jugoslavia e in Iraq, i bombardamenti hanno creato opportunità economiche favorevoli per le multinazionali statunitensi. Il governo di Bush padre ha favorito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti attraverso l’accordo “oil for food” con Saddam Hussein in Iraq.
Da parte sua, Clinton ha promosso governi di libero scambio nei mini-stati derivanti dalla divisione della Jugoslavia socialista.

Tuttavia, la leadership e le politiche dello stato imperiale sono cambiate radicalmente a partire dagli anni novanta in poi. Lo stato imperiale del presidente Clinton era formato da ex-rappresentanti delle multinazionali, banchieri di Wall Street, militaristi noti e sionisti in rapida ascesa.
Il risultato è stato una politica ibrida, con la quale lo Stato imperiale, ha promosso attivamente le opportunità per le multinazionali sotto i regimi neo-liberisti dei paesi ex-comunisti in Europa e in America Latina e ha ampliato i legami con la Cina e il Vietnam, mentre portava avanti devastanti interventi militari in Somalia, Jugoslavia e Iraq.

L’”equilibrio di forze” all’interno dello Stato imperialista è cambiato radicalmente, inclinandosi dal lato della fazione militarista-sionista, dall’11 settembre 2001: l’attacco terroristico di dubbia provenienza e le demolizioni false flag a New York e a Washington sono servite a rafforzare i militaristi, che erano erano al comando dell’enorme apparato dello stato imperiale. A seguito dell’11 settembre, la fazione militarista-sionista dello stato imperiale ha subordinato gli interessi delle multinazionali alla sua strategia di guerra totale.

Questo, a sua volta, ha portato all’invasione, all’occupazione e alla distruzione delle infrastrutture civili in Iraq e in Afghanistan (invece di utilizzarle per l’espansione delle multinazionali). Il regime coloniale degli Stati Uniti ha smantellato lo stato iracheno (invece di riorganizzarlo secondo le esigenze delle multinazionali). L’omicidio e la migrazione forzata di milioni di professionisti, amministratori e membri dell’esercito e della polizia ha paralizzato qualsiasi ripresa economica (invece di usarli per servire lo Stato coloniale e le multinazionali).

L’enorme influenza militarista-sionista nello stato imperiale ha introdotto importanti cambiamenti nella politica, nell’orientamento, nelle priorità e nel modus operandi dell’imperialismo statunitense.

L’ideologia della “guerra globale al terrore” ha sostituito la dottrina delle multinazionali, favorevoli alla “globalizzazione economica”.

Le guerre eterne (dove i “terroristi” non erano circoscritti a determinati luoghi o circostanze) hanno sostituito le guerre limitate e gli interventi per aprire i mercati o installare regimi favorevoli alle politiche neo-liberiste che avvantaggissero le multinazionali USA.

Le guerre in Medio Oriente, nell’Asia del Sud e nel Nord dell’Africa – contro i paesi islamici che si opponevano all’espansione coloniale di Israele in Palestina, in Siria, nel Libano e il resto – sono passate a occupare il centro dell’attività dello stato imperiale, soppiantando la strategia di sfruttare le opportunità economiche in Asia, America Latina e nei paesi ex-comunisti dell’Europa orientale.
La nuova concezione militarista della costruzione dell’impero ha imposto costi miliardari e non si è preoccupata o ha ignorato i profitti del capitale privato. Invece, sotto l’egemonia delle multinazionali, lo stato imperiale era intervenuto per garantire concessioni per il petrolio, il gas e i minerali in America Latina e in Medio Oriente, e i profitti delle multinazionali avevano compensato i costi della conquista militare.

La configurazione militarista dello stato imperiale ha permesso il saccheggio del Tesoro degli Stati Uniti per finanziare le proprie attività, spendendo ingenti somme per un
esercito di dipendenti coloniali corrotti, di “appaltatori militari” privati ​ e di funzionari militari statunitensi responsabili delle acquisizioni (sic).

In precedenza, l’espansione delle multinazionali all’estero aveva avuto benefici per il Tesoro
degli Stati Uniti attraverso il pagamento di imposte dirette e i proventi derivanti dal commercio e dalla lavorazione delle materie prime.

Negli ultimi quindici anni, i maggiori e più stabili profitti per le multinazionali si sono verificati in aree e paesi, in cui la partecipazione dello stato imperiale militarizzato è stata minima: Cina, America Latina ed Europa. Meno benefici e più perdite per le multinazionali ci sono state nelle regioni in cui il coinvolgimento dello stato imperiale è stato maggiore.

Le “zone di guerra”, che si estendono dalla Libia alla Somalia, il Libano, la Siria, l’Iraq, l’Ucraina, l’Iran, l’Afghanistan e il Pakistan sono le regioni in cui le multinazionali imperiali hanno subito un maggiore deterioramento e abbandono.

I principali “beneficiari” delle attuali politiche dello stato imperiale sono i contrattisti militari privati e il complesso militare-industriale-securitario statunitense. All’esterno, i beneficiari dello stato includono Israele e Arabia Saudita. D’altro canto, i governanti clientelari giordani, egiziani, iracheni, afghani e pachistani hanno accumulato decine di migliaia di milioni in conti off-shore.

Tra i beneficiari “non statali” si trovano gli eserciti mercenari per procura. In Siria, Iraq, Libia, Somalia e Ucraina si sono pure viste favorite decine di migliaia di collaboratori nelle auto-definite organizzazioni “non-governative”.

 

L’analisi costi-benefici o la costruzione dell’impero sotto l’egida dello stato imperial-militarista-sionista

Un decennio e mezzo è un tempo sufficiente per valutare i risultati del dominio militarista-sionista sotto lo stato imperiale.

Gli Stati Uniti e i loro alleati dell’Europa Occidentale, soprattutto la Germania, sono riusciti a espandere il loro impero in Europa Orientale, nei Balcani e nelle regioni del Baltico senza sparare un solo colpo. Questi paesi sono stati convertiti in stati vassalli dell’Unione Europea, i loro mercati conquistati e le loro industrie de-nazionalizzate. Le loro forze armate sono state contrattate come mercenari della NATO. La Germania Occidental si è annessa la Germania Orientale. La mano d’opera qualificata economica, gli immigranti e i disoccupati, hanno aumentato i profitti delle multinazionali dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. La Russia è stata temporaneamente ridotta a stato vassallo tra il 1991 e il 2001. Il livello di vita è crollato vertiginosamente e si sono ridotti i programmi dello stato sociale. È aumentato il tasso di mortalità. Le diseguaglianze di classe si sono ampliate. I milionari e i miliardari si sono appropiati delle risorse pubbliche e hanno partecipato con le multinazionali imperiali al saccheggio dell’economia. I leaders e tutti i partiti socialisti e comunisti sono stati repressi o cooptati. In cambio, l’espansione militare imperiale in questo scorcio del secolo XXI si sta trasformando in un fallimento molto costoso. La “guerra in Afghanistan” è risultata un dissanguamento di vite e di soldi e ha provocato un’ignominiosa ritirata. Quello che ha lasciato è un debole governo fantoccio e un esercito mercenario poco affidabile. È stata la guerra più lunga della storia degli Stati Uniti e uno dei suoi maggiori fallimenti. Alla fine, i movimenti di resistenza nazionalista-islamista – i cosiddettti “talibani” e i gruppi di resistenza anti-imperialista etnico-religiosa e i loro alleati nazionalisti – dominano le zone rurali, attaccano continuamente le città e si preparano a prendere il potere.

La guerra dell’Iraq, l’invasione e i dieci anni di occupazione da parte dello stato imperiale hanno decimato l’economia del paese. L’occupazione ha fomentato la guerra etnico-religiosa. I funzionari baathisti e militari professionisti si sono uniti agli islamisti-nazionalisti e hanno formato un potente movimento di resistenza (l’ISIS), che ha sconfitto l’esercito mercenario sciita sostenuto dall’impero durante il secondo decennio di guerra. Lo stato imperiale si è visto forzato a tornare e a partecipare direttamente a una lunga guerra. Il costo della guerra si è allargato a più di un miliardo di dollari. Si è reso difficile lo sfruttamento del petrolio e il Tesoro degli Stati Uniti ha versato decine di migliaia di milioni di dollari per sostenere una “guerra senza fine”.

Lo stato imperiale statunitense e l’Unione Europea, insieme all’Arabia Saudita e alla Turchia, hanno finanziato milizie mercenarie islamiche per invadere la Siria e buttare giù il regime secolare, nazionalista e anti-sionista di Bashar al Assad. La guerra imperiale ha aperto la porta alle forze islamico-baathiste – l’ISIS– permettendo loro di estendersi fino alla Siria. I Curdi e altri gruppi armati gli hanno strappato territorio e hanno frammentato il paese. Dopo quasi cinque anni di guerra e crescenti costi militari, le multinazionali degli Stati Uniti e dell’Unione Europea sono rimaste fuori del mercato siriano.

Il sostegno statunitense all’aggressione israeliana contro il Libano ha fatto sì che aumentasse il potere della resistenza armata anti-imperialista degli Hezbollà. Il Libano, la Siria e l’Iran costituiscono in questo momento un’alternativa seria all’asse degli Stati Uniti, dell’Unione Europea, dell’Arabia Saudita e di Israele.

La politica statunitense di sanzioni all’Iran non è ha riuscita a debilitare il regime nazionalista e, in cambio, ha diminuito le opportunità economiche di tutte le grandi multinazionali del petrolio e del gas degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, come anche delle imprese esportatrici di articoli di fabbricazione statunitense. La Cina ha preso il loro posto.

L’invasione della Libia da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea ha distrutto l’economia e ha significato la perdita di migliaia di milioni di dollari in investimenti delle multinazionali e l’ interruzione delle esportazioni.

La presa del potere da parte dello stato imperiale statunitense mediante un colpo di Stato per procura a Kiev, ha provocato una potente ribellione anti-imperialista diretta dalle milizie armate dell’est (Donetsk e Lugansk) e l’annientamento dell’economia ucraina.

In sintesi, il controllo militare-sionista dello stato imperiale ha portato a lunghe e costose guerre impossibili da vincere, che hanno indebolito i mercati e i progetti di investimento delle multinazionali statunitensi. Il militarismo ha ridotto la presenza economica imperiale e ha provocato movimenti di resistenza anti-imperialista sempre più vasti, mentre ha aumentato la lista dei paesi ingestibili, instabili e caotici che sfuggono al controllo imperiale.

L’imperialismo economico ha continuato a ottenere benefici in varie parti dell’Europa, dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa, nonostante le guerre imperiali e le sanzioni economiche che l’ enormemente militarizzato stato imperiale ha portato avanti in altri luoghi.

Tuttavia, la presa del potere in Ucraina da parte dei militaristi statunitensi e le sanzioni alla Russia hanno eroso il lucrativo commercio e gli investimenti dell’Unione Europea in Russia. Sotto la tutela dell’FMI, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, l’Ucraina si è convertita in un’economia fortemente indebitata, al bordo del collasso, diretta da cleptocrati totalmente dipendenti dai prestiti esteri e dall’intervento militare.

Nel dare priorità alle sanzioni e al conflitto con la Russia, l’Iran e la Siria, lo stato imperiale militarizzato non è riuscito ad approfondire e ampliare i suoi legami economici con l’Asia, l’America Latina e l’Africa. La conquista politica ed economica dell’Europa dell’est e di parti dell’URSS ha perso importanza. Le guerre eterne perse in Medio Oriente, nel nord dell’Africa e nel Caucaso hanno mutilato la capacità dello stato imperiale di portare avanti la costruzione dell’impero in Asia e in America Latina.

La perdita di ricchezza, i costi interni delle guerre eterne, hanno eroso le basi elettorali della costruzione dell’impero. Solamente un cambiamento radicale nella composizione dello stato imperiale e un riorientamento delle sue priorità, per collocare l’espansione economica al centro delle stesse potrebbero impedire l’attuale declino dell’impero. Il pericolo è che, se lo stato imperialista sionista militarista continua a intervenire in guerre perse, può alzare la posta e scivolare verso un confronto nucleare: un impero tra ceneri nucleari!

 

 

 

Articolo originale: http://petras.lahaine.org/?p=2022 – Tradotto dall’inglese per Rebelión da Sara

Plaza – Rivisto da La Haine

http://www.lahaine.org/mundo.php/50-anos-de-guerras-imperiales

 

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Marco Nieli]

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