di Marco Nieli
Con l’ordinanza sindacale dello scorso 29 gennaio, il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris stabilisce, rifacendosi a una precedente delibera comunale (la 174 del 21.03.2013), il principio dell’accoglienza delle comunità rom sui nostri territori metropolitani, all’interno del più generale discorso dell’accoglienza delle comunità migranti, all’interno di una visione di “città accogliente e capitale dei diritti”. Non a caso, nella Premessa di tale Ordinanza vengono ricordati i gravi ritardi del nostro paese nel recepire le direttive europee in merito agli standards minimi di vivibilità e di diritti umani e sociali da garantire a questa significativa minoranza presente in tutti i paesi dell’Unione (si parla di 12 milioni di presenze in tutt’Europa; in Italia di circa 200.000 persone).
La stessa Ordinanza, emessa sulla base di una sentenza della Magistratura, prevede nell’ambito del piano complessivo di intervento comunale, lo sgombero coatto e la bonifica di un’area di proprietà dello stesso Comune, in cui da circa 8 anni si è creata un’enorme baraccopoli di Rom rumeni, la maggior parte di Călărăşi. Il campo spontaneo è conosciuto come via del Riposo e insiste sulla Municipalità di Poggioreale. Al nucleo originale di Spoitorii (il sottogruppo di Rom Vlax cui appartengono gli abitanti di Călărăşi: paradossalmente il nome indica nella loro lingua “quelli che si lavano”) di circa 400 persone, si sono aggiunte negli ultimi anni diverse famiglie di Moldoveni (Rom della zona agricola di Iasi e Suceava, Moldavia), di Madjarskaja (Rom di origine ungherese, della zona di Cluj Napoca) e qualche famiglia di Constanţa. Non esiste allo stato attuale un censimento aggiornato delle presenze di questo “campo”, ma si può presumere tranquillamente che si arrivi alle 7-800 presenze.
L’esistenza umana in un ghetto “spontaneo” di questo tipo è quanto mai precaria: la convivenza con la discarica di rifiuti adiacente, la presenza di topi e altri parassiti, l’aria irrespirabile a causa dei roghi tossici e delle stufe usate dai Rom nelle baracche, la presenza di amianto e altri materiali pericolosi nei tetti e tra i rifiuti non costituiscono certamente un ambiente ideale per la crescita dei numerosi minori presenti nell’insediamento e nemmeno una garanzia per il loro futuro. Tra l’altro, la scolarizzazione dei minori è andata avanti a singhiozzo per ritardi vari e per oggettive difficoltà logistiche. I padri e le madri rom, non riuscendo a trovare un lavoro regolare in città, si arrangiano con il mangel (l’elemosina da strada), il lavaggio dei vetri ai semafori, la compravendita in vari mercatini improvvisati di cianfrusaglie riciclate dai cassonetti, la raccolta dei metalli e, qualcuno, con il busking (musica in strada o sulla metro). C’è anche da dire che queste comunità di Rom rumeni, pur non costituendo affatto un pericolo per la pubblica sicurezza (come invece sbandierato demagogicamente dalla destra locale e nazionale, ma abbondantemente smentito dalle Forze dell’Ordine locali) hanno subito negli ultimi anni sui nostri territori una repressione durissima quanto silente, sotto le forme più svariate: dal sequestro dei mezzi per la raccolta del metallo e di altri materiali, alla sottrazione di minori da parte della Polizia Municipale e relativi decreti del Tribunale Minori, con applicazione sulla scala di un intero popolo del principio razzista che la cultura rom sia di per sé una cultura non accudente nei confronti dei minori.
Verso questa comunità già notevolmente provata dagli sgomberi degli ultimi anni (ricordiamo Casoria, la Sanità, il Frullone, la Marinella), per non parlare dell’ignominioso pogrom organizzato dalla camorra a Ponticelli nel 2008 – nei confronti del quale le istituzioni napoletane hanno dimostrato una passività a dir poco oscena – si paventa oggi un’ulteriore sgombero coatto, presentato però come un intervento a favore della comunità.
Ovviamente, non siamo tra quelli che intendono fasciarsi la testa prima di averla rotta. Un’équipe tecnica è, attualmente, al lavoro a Palazzo S. Giacomo per trovare delle possibili soluzioni alternative allo sbattere vecchi, donne incinte e bambini in pieno inverno in mezzo alla strada. Si parla di edifici dismessi da riattare con l’aiuto dei Rom stessi – sull’esempio dell’ex-scuola G. Deledda di Soccavo, oggi diventata l’unico Centro di Prima Accoglienza per Rom rumeni a Napoli, tra l’altro nato proprio come risultato della “chiusura” civile di una baraccopoli a viale Cinzia nel 2004 – di prima accoglienza in hotel sequestrati alla camorra, di percorsi di inserimento mirato di famiglie in piccoli comuni della Provincia e della Regione, il tutto in vista di un “accompagnamento” graduale e mirato in casa. Tutti ottimi propositi, che vanno sicuramente nella direzione giusta e per i quali oggi il Comune di Napoli ha anche ingenti finanziamenti a disposizione – in particolare, i fondi stanziati dal Ministero degli Interni all’epoca del Commissariamento (2008-2009) per interventi strutturali a favore degli insediamenti “nomadi” (???) a Napoli.
Se non fosse che la volontà politica di affrontare con serietà e senza demagogia questo problema non si vede ancora all’orizzonte. Tutte queste soluzioni alternative andavano programmate in tempo e non, ancora una volta, sull’onda dell’emergenza. Il fatto che questa volta si tratti di emergenza ambientale – e non securitaria, come portato impunemente avanti dalle destre nella fumosa e deleteria politica dei commissariamenti – non necessariamente deve portarci a essere tranquilli. Di fronte alla facilità di uno sgombero coatto, che oltretutto potrebbe servire a risollevare l’immagine in crisi di un’Amministrazione sotto assedio, la tentazione potrebbe essere più forte dei buoni propositi.
In termini puramente elettoralistici, infatti, l’esperienza italiana e napoletana dimostra che, se è vero che segregare costa, sgombrare rende molto di più e costa molto di meno. Salvo poi ritrovarsi sullo stesso territorio metropolitano o della Provincia altre dieci baraccopoli tra una settimana, con l’aggravante della dispersione della comunità e della perdita di quei pur minimi legami di solidarietà e cooperazione stretti con quartiere attraverso l’associazionismo. Basti pensare, a titolo di esempio, alla scolarizzazione dei minori e al monitoraggio sanitario.
Avrà la Giunta de Megistris il coraggio e la forza di perseguire la strada della civiltà e della dignità, raccomandata anche ripetutamente dall’UE riguardo ai Rom, Sinti e Camminanti e quasi del tutto inattuata nel nostro paese a causa dell’imperante demagogia destrorsa del Berlusconismo e dei ricatti leghisti? Si riuscirà una buona volta a riallacciare i fili di una linea di intervento sulla questione rom a Napoli che, passando per i Patti di Cittadinanza e il superamento della politica dei campi, porti a significativi passi in avanti nella linea indicataci dall’Europa dei diritti e dell’inclusione delle minoranze? O si indulgerà, ancora una volta, al metodo sbrigativo e facilone dello sgombero coatto, magari in chiave ipocrita e “buonista”, usato qualche anno fa a Casoria e a Ercolano?
Solo le prossime settimane ci daranno una risposta. Comunque vadano le cose, sappia il Sindaco e tutta la sua Giunta che una parte della società civile e dell’associazionismo napoletano – penso in particolare al Comitato Cittadino per i Diritti dei Rom, di cui uno dei pilastri è costituito dal padre missionario Alex Zanotelli – sta vigilando attentamente sulle sue mosse e che non tollererà altri dannosi giochi di demagogia portati avanti, ancora una volta, sulla pelle dei più deboli.