Roma 4mar2016: Ecuador 9 anni di Rivoluzione ciudadana

La Bielorussia guarda verso l’America Latina

di Danilo Della Valle

La Repubblica di Bielorussia continua a guardare verso gli orizzonti latinoamericani, sviluppando sempre di più sinergie ed alleanze strategiche con le democrazie popolari della Patria Grande; dopo i numerosi accordi che la “Russia bianca” ha raggiunto negli anni passati con il Venezuela migliorando bilateralmente l’economia dei due Paesi ma anche sviluppando progetti culturali e di amicizia tra i popoli, ora è il turno dell’Ecuador.

Già da tempo i due Paesi hanno avviato delle relazioni molto strette, il Presidente Rafael Correa Delgado, nella sua ultima visita a Minsk, si è detto molto interessato alla tecnologia Bielorussa nell’ambito dell’agricoltura e dell’informatica dichiarando che ben presto la Bielorussia potrebbe diventare uno dei maggiori partner commerciali dell’Ecuador.

Ora si aggiunge un nuovo settore strategico, quello della sanità pubblica; la Bielorussia e l’Ecuador consolideranno infatti la cooperazione nel settore della sanità pubblica. Ciò è previsto nel protocollo d’intesa firmato tra i Ministeri della Salute dei due paesi.

Il documento è stato firmato dal vice direttore del dipartimento farmaceutico del Ministero della Salute della Bielorussia Valery Shevchuk, e dall’ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell’Ecuador in Bielorussia, Carlos Larrea Dávila.

Le direzioni principali della cooperazione sono la ricerca congiunta nel campo della salute, il trattamento delle malattie rare, visite bilaterali, scambio di esperienze tra esperti e scienziati, la partecipazione a simposi e conferenze, la realizzazione di progetti congiunti, il coordinamento di programmi e progetti scientifici. Particolare attenzione è rivolta alle forniture bielorusse di farmaci sul mercato ecuadoriano.

“In Ecuador c’è la necessita di alcuni nostri farmaci. I nostri colleghi stranieri hanno ispezionato le nostre aziende farmaceutiche, ora vanno avanti i negoziati per la promozione dei farmaci bielorussi sul mercato ecuadoriano”, ha affermato Anatoli Grushkovski.

Giù le mani dall’Ecuador!

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di Tania Barahona Tererán*

Appello URGENTE dall’Ecuador

Quito, 14giu2015.- Care compagne e cari compagni del Venezuela, Bolivia, Argentina, Cuba, Honduras, Italia e di tutto il mondo: è necessario informavi che qui la destra sta orchestrando un tentativo di colpo di Stato. In questa ultima settimana è scattata la difesa popolare della principale sede nazionale di “Alleanza Paese” a Quito (il nostro movimento), la destra fascista aveva un piano per occupare la sede, vi sono stati feriti tra i quali un ex deputato dell’assemblea nazionale. Il pretesto di tali piani è stata una legge di tassazione progressiva sulle ricchezze in possesso degli strati più ricchi della popolazione, siffatta legge non colpisce il 98% degli ecuatoriani, giacché il nostro paese non è un paese di ricchi capitalisti. Questa tassazione si impone nei confronti di quei gruppi economici che sono una minoranza. Il tema è stato manipolato dalle principali corporazioni mediatiche che hanno cercato di avvelenare il nostro popolo, fa schifo vedere che la gente della classe media che non verrà per nulla toccata da questa legge sia scesa nelle strade a protestare e a difendere gli interessi dell’oligarchia di questo Paese. La situazione è sotto controllo, sebbene siffatta opposizione ha lanciato l’appello alle forze armate affinché buttino giù con la forza il nostro caro Presidente, Rafael Correa. I gruppi dell’opposizione hanno fatto ricorso sistematicamente alla violenza, utilizzando i simboli e le bandiere del fascismo.

Ciò detto, quello che costoro non hanno compreso è che il popolo è pronto a difendere questa Rivoluzione e la gioia che ho provato in questi giorni nel vedere con i miei occhi come tutte le strutture giovanili siano scese immediatamente nelle strade a difendere la Rivoluzione è nientemeno che la prova concreta che i fascisti in Ecuador:

NO PASARAN!

Insomma, qui in Ecuador nessuno vuole tornare al passato, là dove un oligarchia asservita agli interessi dell’imperialismo yankee svendeva il nostro Paese.

OGGI SIAMO SOVRANI! VIVA LA RIVOLUZIONE CITTADINA!

* compagna della Patria Grande latinoamericana

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessandro Pagani]

L’Ecuador ha abbattuto la povertà sotto la presidenza di Correa

da Telesur English

Un’indagine ha rivelato che negli ultimi otto anni 1,3 milioni di ecuadoriani sono usciti dalla condizione di povertà

I risultati della prima ‘Indagine sulle condizioni di vita in Ecuador’ hanno mostrato che la povertà è diminuita di un terzo nel paese andino. Hanno inoltre rivelato che 900.000 persone sono uscite dalla povertà estrema, mentre il coefficiente di Gini, che misura i divari di ricchezza, è sceso di 4,8 punti dal 2006.

Il direttore dell’Istituto Nazionale di Statistica Jose Rosero, ha spiegato che «la povertà estrema è stata ridotta di 7,1 punti percentuali, il che significa che è stata portata alla metà rispetto al dato registrato nell’anno 2006 a livello nazionale».

Con il più alto investimento pubblico in America Latina, pari al 15 per cento del PIL, i risultati dell’Indagine sulle Condizioni di Vita dimostrano il successo delle politiche adottate dallo Stato ecuadoriano, volte alla riduzione della povertà e ad un maggiore accesso ai servizi pubblici.

«Direi che in Ecuador l’accesso ai servizi di base è migliorato negli ultimi 10 anni, a partire dal 2004/2005. Ma ci sono ancora aree che necessitano di copertura, principalmente nelle zone rurali», ha dichiarato Rene Patricio Larenas, un avvocato di Quito in un’intervista rilasciata a Telesur English.

Michelle Cardenas, una studentessa della provincia meridionale di Loja, ha evidenziato il netto miglioramento della qualità della vita nella sua regione.

Queste le sue parole: «L’educazione è migliorata notevolmente, e godiamo di tutti i servizi di base. La qualità della vita è buona, le cose non sono come come erano prima».

Oltre ai livelli di povertà, l’indagine durata un anno, il primo sondaggio nazionale pubblicato in Ecuador sulla povertà, l’accesso ai servizi pubblici e sulla qualità della vita a partire dal 2006, ha mostrato notevoli miglioramenti in tutte le aree analizzate, come l’accesso alla salute e all’istruzione.

Pabel Muñoz, Segretario Nazionale per la Pianificazione e lo Sviluppo, ha spiegato alla stampa che «le efficaci politiche» adottate nell’ambito del processo di trasformazione sociale noto in Ecuador come Revolucion Ciudadana hanno avuto un «peso maggiore rispetto al favorevole prezzo del petrolio di cui l’Ecuador ha potuto beneficiare negli ultimi anni.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

C’è vita oltre la Troika ed è una bella vita

foto 1di Fabrizio Verde

L’Indro.- C’è vita oltre la Trojka ed è una bella vita. Parafrasando una celebre espressione dell’ex presidente argentino Nestor Kirchner, questo sembra voler lasciare intendere il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista, che in una recente intervista rilasciata all’agenzia di stampa spagnola Efe, ha lanciato una proposta rivolta al sud Europa: Italia, Portogallo, Grecia e Spagna, i Paesi maggiormente colpiti dalla devastante crisi economica che si è abbattuta sulla gran parte del mondo occidentale, dovrebbero staccarsi dall’Unione Europea e creare un blocco organizzato sul modello dei Paesi latinoamericani riuniti nell’Alba (Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America).

Alba è l’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America, è un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra le Nazioni dell’America Latina e quelle caraibiche, reso concreto nel 2004 sulla scorta dell’iniziativa presa dal Venezuela e da Cuba. Significativamente il primo e l’ultimo Paese latinoamericano a conquistare l’indipendenza. Progetto che affonda le sue radici negli intenti chiave del ‘Libertador’ Simon Bolivar: il Congresso Anfictiónico di Panama e il Piano di liberazione delle Grandi Antille dei Caraibi. La prima proposta di creazione del blocco regionale, che attualmente copre oltre 2,5 milioni di Km quadrati con una popolazione di oltre 73 milioni di abitanti, fu avanzata dal Presidente venezuelano Hugo Chávez che raccolse l’invito del leader cubano Fidel Castro. Durante il III Vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Associazione degli Stati dei Caraibi, Chávez dichiarò: «E’ tempo di ripensare e reinventare i debilitati e agonizzanti progetti d’integrazione subregionale e regionale (Alca su tutti ndr) la cui crisi è la più chiara manifestazione della mancanza di un progetto politico condiviso. Fortunatamente, in America Latina e nei Caraibi spira il vento giusto per lanciare l’Alba come un nuovo schema d’integrazione regionale che non si limita al mero scambio commerciale, ma guarda al nostro contesto storico e culturale comune, punta lo sguardo verso l’integrazione politica, sociale, culturale, scientifica, tecnologica e fisica». Per raggiungere i suoi obiettivi, il blocco dei Paesi riuniti nell’Alba basa la sua attività su alcuni princìpi basilari:  

  • Gli scambi e gli investimenti non devono essere fini a se stessi, ma strumenti per raggiungere un grado di sviluppo giusto e sostenibile. Una vera integrazione latinoamericana non può essere figlia del mercato, né una semplice strategia per estendere i mercati esteri o stimolare il commercio. Per raggiungere questo obiettivo, è necessaria l’effettiva partecipazione dello Stato come regolatore e coordinatore delle attività economiche.
  • La complementarità economica e la cooperazione tra i paesi partecipanti e non la concorrenza tra i paesi e le produzioni, in modo tale che si promuova una specializzazione produttiva, efficiente e competitiva che sia compatibile con lo sviluppo economico equilibrato di ogni Paese, e con la strategia di lotta alla povertà e preservazione dell’identità culturale dei popoli.
  • Sviluppo integrato delle comunicazioni e dei trasporti tra i paesi dell’America Latina e dei Caraibi, che includa piani congiunti per i collegamenti stradali, ferroviari, per le linee marittime ed aeree, oltre alle telecomunicazioni.
  • Azioni volte a garantire la sostenibilità dello sviluppo mediante regole che tutelino l’ambiente, favoriscano l’uso razionale delle risorse e impediscano la proliferazione di modelli basati sullo spreco, alieni alla realtà dei nostri popoli.
  • Integrazione energetica tra i paesi della regione, al fine di garantire la fornitura stabile di prodotti energetici a beneficio delle società latinoamericane e dei Caraibi, come promuove la Repubblica Bolivariana del Venezuela, con la creazione di Petroamerica.
  • Incoraggiare gli investimenti di capitali latinoamericani in America Latina e nei Caraibi, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dei paesi della regione dagli investitori stranieri. A questo scopo verranno creati un Fondo Latinoamericano d’Investimenti e una Banca di Sviluppo del Sud.

  La proposta di Di Battista

Il progetto Alba risulta essere agli antipodi se confrontato all’attuale Unione Europea di cui l’Italia è parte integrante e membro fondatore. Tornando quindi alla proposta lanciata da Alessandro Di Battista, essa è certamente ambiziosa e di non facile attuazione.

Ad ogni modo, la stessa America Latina prima dell’Alba usciva da un duro e devastante periodo dal punto di vista economico, la “larga noche neoliberal” secondo la definizione del presidente ecuadoriano Rafael Correa, un ex economista formatosi in Belgio e negli Stati Uniti.

Pertanto il deputato italiano ha reso noto che si recherà, presumibilimente entro la fine dell’anno, in Ecuador e Bolivia per «raccogliere informazioni e vedere le conquiste che i Paesi dell’Alba hanno raggiunto» grazie alla loro alleanza. Un’alleanza formata «sotto un comune denominatore – ha spiegato Di Battista – che è la solidarietà. E’ la stessa idea che noi del Movimento 5 Stelle proponiamo a Grecia, Portogallo e Spagna per unirci». Aggiungendo che «se si parla di solidarietà tra paesi in difficoltà, per me le conquiste dei Paesi dell’Alba in materia socio-economica sono un esempio». In questo «l’Europa ha molto da imparare dall’America Latina», anche se «ovviamente l’America Latina e l’Europa hanno problematiche diverse, i loro Paesi sono diversi».

Intenzione che raccoglie il plauso della professoressa Alessandra Riccio dell’Università degli Studi di Napoli l’Orientale, esperta di questioni afferenti l’America Latina nonché condirettrice con Gianni Minà della rivista Latinoamerica, che a L’indro dichiara: «Sono assolutamente d’accordo sull’opportunità di conoscere quel che sta accadendo tra i Paesi dell’Alba e non solo per la loro alleanza basata sulla solidarietà, ma perché ciascuno di questi Paesi ha intrapreso un processo di trasformazione sociale molto interessante». L’obiettivo che ha infine indicato Alessandro Di Battista, è quello di iniziare una lotta «contro il potere concentrato in poche mani. In Europa, in quelle della Trojka, dove il potere centrale composto dalla Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, sta causando gravi danni a milioni di persone». Pertanto il deputato italiano ha auspicato «un’alleanza tra cittadini che, attraverso i movimenti e le forze politiche, condividano una visione comune per uscire dalla crisi», che può essere superata «abbandonando l’Euro e tornando alle monete nazionali, stabilendo inoltre relazioni commerciali di solidarietà tra i paesi che sono stati più colpiti dal potere centrale».

A questo punto la professoressa Riccio mette sul tavolo un problema oggettivo, che va a cozzare con la volontà espressa dal parlamentare italiano: «I Paesi dell’Alba hanno governi contrari al neoliberismo, mentre quelli di Spagna, Italia, Portogallo e Grecia – fino a questo momento – sono orientati alla strenua difesa del neoliberismo». Aggiungendo che «la rinascita dell’America Latina viene prima dell’Alba, si è trattato di un processo lento e faticoso che ha capito la necessità di unirsi in presenza di un nemico troppo potente: non solo il Fondo Monetario Internazionale, ma le classi potenti, le caste, il malaffare, la corruzione, la pesante presenza degli Stati Uniti».

Analizzando, in conclusione, le possibili ripercussioni verso questo ipotetico nuovo blocco di paesi, che senza ombra di dubbio farebbe saltare il banco nel Vecchio Continente con la rottura dell’unione politica e monetaria, la condirettrice di Latinoamerica ritorna al punto di partenza, ossia ai Paesi dell’Alba: «La reazione sarebbe la stessa che abbiamo visto verso i Paesi dell’Alba. Un’alleanza che va contro il manovratore e va contro l’ordine stabilito». A testimoniarlo vi sono il tentativo fallito di golpe contro Hugo Chávez e la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela del 2002, la deposizione in Honduras avvenuta per mano dell’esercito del legittimo presidente Manual Zelaya, il tentato golpe ai danni di Rafael Correa, le campagne di destabilizzazione contro il presidente boliviano Evo Morales, così come quelle poste in essere con particolare violenza nel Venezuela orfano di Chávez.

L’Espresso: concentrato di disinformazione sull’Ecuador

efe70927di Fabrizio Verde

Tra un’informazione corretta, precisa e puntuale sul progetto di sfruttamento delle risorse petrolifere presenti nell’Ishpingo-Tambococha-Tiputini (ITT), nel parco nazionale dello Yasuni, in Ecuador, dove andrà ad essere intaccato meno dell’1 per mille del territorio, e un’informazione parziale, strumentale, lacunosa e mistificatoria, ‘l’Espresso’ ha scelto la seconda opzione. Come sempre accade, d’altronde, quando i media italiani afferenti al circuito mainstream si occupano di America Latina.

In particolare di quei paesi, come l’Ecuador, dove pur tra tante contraddizioni e problematiche sono in atto dei poderosi programmi di trasformazione sociale che rigettano i dettami del neoliberismo, la «larga noche neoliberal» per dirla con le parole del presidente ecuadoriano Rafael Correa, che a quelle latitudini ha prodotto esclusivamente devastazione. Economica e sociale. Delle vere e proprie rivoluzioni, come in Venezuela e Bolivia per citare due paesi a caso, che ovviamente non sono ben “viste” – usando un eufemismo – nella parte settentrionale dell’emisfero americano dove credono ancora che l’America del sud sia il proprio cortile di casa, «el patio trasero».

L’obiettivo dell’articolo di “approfondimento” de ‘l’Espresso’ – corredato da una suggestiva quanto subdola galleria fotografica – è chiaro: screditare il presidente Correa e il progetto di Revolucion Ciudadana portato avanti nel paese andino. Il capo dello stato è infatti dipinto come una sorta di nuovo caudillo populista, il cui alto consenso poggia, essenzialmente, sui proventi derivanti dal petrolio, oltre che sul ferreo controllo esercitato nei confronti dei mezzi d’informazione.

Niente di più falso: basti pensare che la «Ley Organica de Comunicacion» in vigore in Ecuador considera l’informazione un bene pubblico, al pari dell’acqua per fare un esempio banale, ed è volta a favorire la nascita di nuove forme di democrazia nell’ambito della comunicazione. Come stabilisce la Costituzione ecuadoriana, una delle più avanzate al mondo. In un paese dove i media privati ebbero un ruolo determinante nel tentativo di golpe ai danni di un presidente evidentemente “scomodo”.

Tornando alla questione Yasuni, dove Correa viene descritto alla stregua di un trivellatore incallito oltre che smanioso di distruggere la più importante riserva di biodiversità a livello mondiale tra le proteste dei cittadini e delle comunità indigene, bisognerebbe forse ricordare ai giornalisti de ‘l’Espresso’ che – secondo un sondaggio condotto dalla Cedatos Gallup – il 56% circa degli ecuadoriani approva il progetto di sfruttamento delle riserve petrolifere. In primis perché ciò permetterà di «migliorare le condizioni di vita della popolazione», poi perché la «comunità internazionale non ha mantenuto le proprie promesse».

Nell’articolo viene inoltre espressa preoccupazione per le comunità indigene waorani, le cui tribù vivono nei luoghi interessati dall’estrazione del petrolio. Bene, i giornalisti della rivista forse non sanno che nel settembre del 2013 i waorani stessi, tramite il loro dirigente Gabamo Enquemo, hanno dichiarato al governo il loro appoggio al progetto estrattivo, a patto però, che anche le loro popolazioni possano trarre beneficio dalle risorse derivanti dalla vendita del petrolio.

Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo sintonizzati anche i vari sindaci dei municipi amazzonici: le comunità locali hanno bisogno di risorse per migliorare le proprie condizioni di vita, per questo appoggiano l’intento del governo.

immagine: El Telegrafo

immagine: El Telegrafo

Insomma, da una lettura più attenta dei fatti, non sembra affatto che l’Ecuador stia sacrificando l’Amazzonia al dio profitto, come titola in maniera roboante la rivista. Innanzitutto perché l’Ecuador, che è un paese in via di sviluppo, aveva lanciato una chiara proposta all’intera comunità internazionale, con in testa i paesi ricchi: l’estrazione di petrolio non sarebbe stata avviata se fosse stato garantito al paese andino una cifra pari a circa la metà degli introiti che sarebbero stati ottenuti dallo sfruttamento della materia prima. 2,5 miliardi di euro in dodici anni, necessari per migliorare le condizioni di vita della popolazione e sradicare la povertà. I fondi messi a disposizione dopo ben 6 anni saranno di soli 10 milioni di euro, una cifra assolutamente irrisoria e insufficiente. Dunque, al presidente Correa non restò che prendere atto dell’ipocrisia dei paesi ricchi, e procedere con il progetto di sfruttamento di una minuscola, ma importante quota delle riserve petrolifere, spiegando: «Non faremo morire di fame la nostra gente per supplire all’irresponsabilità dei contaminatori globali. Andiamo a sfruttare il blocco ITT con la massima responsabilità ambientale e sociale, per superare rapidamente la povertà».

Bisogna tener conto, a tal proposito, che le trivellazioni saranno effettuate utilizzando le più recenti tecnologie disponibili, per minimizzare l’impatto ambientale. Un tipo di estrazione, che potremmo definire ‘pulita’, già messa in atto da Petroamazonas per lo sfruttamento del giacimento petrolifero Pañacocha. «Oggi esistono le tecnologie per effettuare perforazioni in maniera direzionale» spiega il Presidente del ‘Foro Energético y Minero del Ecuador’ Leonardo Carpio, «vale a dire fare un primo pozzo verticale e successivamente, nel sottosuolo, realizzare perforazioni orizzontali profonde per estrarre il petrolio senza danneggiare la parte superiore dove s’incontra la biodiversità».

Inoltre lo stesso Correa, recatosi in Amazzonia all’inizio di novembre per controllare lo stato di avanzamento dei lavori, ha confermato l’intenzione di utilizzare le più avanzate tecnologie in materia d’estrazione: «Voglio verificare che si stiano utilizzando tecnologie di punta – ha spiegato il presidente ecuadoriano – verremo a controllare con giornalisti nazionali e internazionali in modo che possano informare obiettivamente». L’obiettivo è quello di sfruttare la risorsa petrolifera per sconfiggere definitivamente la povertà, senza però la devastazione ambientale provocata da Chevron. Un vero e proprio crimine, ben documentato dal reportage fotografico realizzato da l’Espresso.

L’articolo, infine, poggia sul presupposto che l’Ecuador non sia mai stato interessato a preservare lo Yasuni, ma in realtà intenzionato a trivellare ed estrarre il petrolio. A tal fine, viene citato un documento pubblicato dal prestigioso quotidiano britannico ‘The Guardian’ dove viene mostrato come l’Ecuador più che interessato alla raccolta fondi, fosse impegnato a negoziare in gran segreto con la Cina lo sfruttamento delle risorse petrolifere presenti nell’area.

Ci troviamo di fronte, quindi, a un paese in via di sviluppo e di orientamento eco-socialista colto mentre tratta segretamente con l’energivoro gigante socialista asiatico – accusato dal mainstream di ogni nefandezza – lo sfruttamento di risorse petrolifere giacenti in un’area protetta. Un fatto tanto clamoroso quanto appetibile per certa informazione. Peccato però si tratti in realtà di un documento chiaramente contraffatto, tanto da costringere il quotidiano britannico a ritirare dal suo sito il documento manipolato.

L’autore della manipolazione risulta essere tale Fernando Villavicencio, ex sindacalista del settore petrolifero rifugiato negli Stati Uniti. 

In ultima analisi, possiamo affermare senza tema di smentita che il reportage de ‘l’Espresso’, più che informare, porta uno scomposto attacco frontale all’Ecuador e al suo presidente Rafael Correa. Utilizzando tesi e tecniche di un certo «ambientalismo» molto in voga in America Latina, in quei paesi dove sono in corso rivolgimenti sociali che vanno a cozzare con gli interessi dell’impero nordamericano. Entusiasmanti rivoluzioni che hanno l’ardire di mostrare che c’è vita oltre il neoliberismo. E che vita!

Ecuador: tablets per gli studenti come libri di testo

da elciudadano.gob.ec

Quito (Pichincha).-Il presidente Rafael Correa ha annunciato questo lunedì che nel 2015 il Governo consegnerà un milione di tablets agli studenti dell’Educazione Generale di Base, in modo che fin dalla tenera età i bambini acquisiscano familiarità con la tecnologia e, soprattutto, evitando lo spreco di carta.

Il Mandatario ha dato a conoscere questo progetto durante l’inaugurazione dell’anno scolastico del periodo 2014 nella la Sierra della Amazonía durante l’apertura ufficiale di un Colegio nel nordovest di Quito, che con un investimento di circa 5 milioni di dollari beneficerà 1140 studenti al giorno.

Il governante ha informato che la consegna dei tablets, che saranno prodotti nel paese, sarà finanziata con il 12% degli utili che ricevono i lavoratori delle imprese telefoniche mobili che usano un bene naturale appartenente a tutti gli Ecuatoriani.

Il Capo di Stato ha reiterato che non considera giusto che 4 500 famiglie facciano profitti con un bene pubblico: lo spettro radioelettrico che utilizzano le società telefoniche.

Correa ha ratificato la decisione che, se sarà approvata nella Assemblea il progetto di riforma di legge delle telecomunicazioni, gli operatori telefonici mobili dovranno redistribuire il 15% degli utili, 3% a favore dei lavoratori e il 12% per lo Stato, per un totale di 100 milioni di dollari che possono essere investiti in progetti sociali.

«Il mio dovere è quello di prendermi cura del bene di tutti gli Ecuatoriani», ha affermato il Mandatario sostenendo che lo spettro radioelettrico è una risorsa naturale sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità.

Inoltre ha ribadito che quest’anno circa 10 000 docenti riceveranno l’abilitazione affinché possano optare per la riclassificazione e in base ai corsi di aggiornamento delle conoscenze e venga loro riconosciuto l’incremento salariale, che potrà essere finanziato con il 12% degli utili che ricevono i lavoratori delle società di telefonia mobile.

Ha precisato che il processo della Rivoluzione Ciudadana pensa alla educazione di qualità e all’accesso massivo, «nell’uguaglianza delle condizioni, credo nella solidarietà». Ha riferito che non c’è migliore investimento di quello che si realizza nell’educazione poiché la base della democrazia sta nella qualità dell’educazione. MNC/El Ciudadano

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Ciro Brescia]

Correa: «Il socialismo è la scelta giusta per l’America Latina»

guatemalacorreada Telesur

Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha dichiarato che il socialismo è l’unica opzione per una regione così diseguale come l’America Latina. Le sue osservazioni hanno avuto luogo in occasione del Forum Esquipulas celebrato in Guatemala, dove il presidente ha avuto modo di spiegare i fattori chiave del modello ecuadoriano.

Nella cerimonia di apertura, Correa ha tenuto una lectio magistralis intitolata «L’essere umano prima del profitto: una differente visione economica per lo sviluppo economico».

Tra i successi ottenuti dal suo governo, il presidente ecuadoriano ha sottolineato l’acquisto di gran parte del debito estero per una cifra pari a un terzo del suo valore, la rinegoziazione dei contratti petroliferi a favore dello Stato che così ottiene profitti più elevati e le entrate fiscali triplicate che hanno permesso investimenti in opere pubbliche di cui possono beneficiare la maggioranza degli ecuadoriani.

Ha inoltre menzionato anche alcune cifre che dimostrano il successo del modello ecuadoriano. Sottolineando che l’Ecuador ha ridotto di otto punti la concentrazione del reddito (diseguaglianza), un risultato quattro volte superiore alla media in America Latina.

Egli ha sottolineato l’importanza dell’educazione «come diritto, oltre che generatrice di talento umano».

«Superare la povertà è il più grande imperativo morale che ha il pianeta. Per la prima volta nella storia dell’umanità la povertà è frutto di sistemi ingiusti ed escludenti. Questo sarà risolto per mezzo di processi politici. Per questo siamo qui – ha concluso il presidente – noi vogliamo ritornare ad avere sistemi includenti».

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

L’informazione un bene pubblico come l’acqua per legge? Ecco come si può fare

Rafael-Lollantidiplomatico.it – Tra democratizzazione e sovranità, la rivoluzione della Ley Orgánica de Comunicación ecuadoriana

di Fabrizio Verde

«I risultati della Ley de Comunicación sono molto positivi, sono davvero contento di questa legge», con queste parole il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha promosso a un anno dall’entrata in vigore la «Ley Orgánica de Comunicación». Una legge con cui l’Ecuador ha rivoluzionato il campo della comunicazione,stabilendo che l’informazione è un bene pubblico, al pari dell’acqua.  

Riforma fortemente voluta dal presidente per scardinare un sistema imperniato su quello che Chavez definiva in maniera molto efficace il «latifondo informativo commerciale» – basti pensare che al 2006 anno della prima elezione di Correa i privati detenevano il 97% delle frequenze radiotelevisive – e volta a favorire la nascita di nuove forme di democrazia nell’ambito della comunicazione.

Così come stabilisce la Legge Fondamentale ecuadoriana – una delle più avanzate al mondo – che prevede il diritto di partecipazione ai processi di comunicazione e il diritto per i cittadini a ricevere una buona informazione. La costituzione del paese andino prescrive inoltre che accanto ai settori pubblico e privato, cresca un terzo polo no profit, definito «comunitario», il quale deve svilupparsi su di un piano di assoluta parità rispetto al pubblico e al privato. Con lo Stato che opera per concretizzare la crescita e il rafforzamento del polo comunitario, sostenendolo attraverso crediti agevolati per l’acquisto di attrezzature ed esenzioni dalle imposte. 

Ragion per cui la Ley Orgánica de Comunicación ecuadoriana ha lo scopo di «sviluppare, proteggere e regolare, l’esercizio dei diritti alla comunicazione stabiliti costituzionalmente». Come recita il primo articolo. In base a questo assunto la nuova disposizione di legge prevede (art. 106) la revisione delle frequenze concesse – in primis le numerose illegalmente assegnate – che attualmente vengono così ripartite: 34% ai media comunitari, 33% media pubblici, 33% media privati. 

Al contempo l’articolo 113 impedisce che una persona fisica o giuridica possa accumulare o concentrare concessioni di frequenze. Insomma, una concezione realmente democratica del sistema informativo: non più basato sul profitto, che scongiura la concentrazione della proprietà dei media nella mani di pochi, un sistema finalmente non più asservito agli interessi privati e dell’imperialismo. Di norma avvezzo alla calunnia più che all’informazione, come avveniva allorquando imperversava il cupo dominio neoliberale. Come sperimentato dallo stesso Correa sulla sua pelle nel 2010 in occasione del fallito golpe ordito dall’opposizione. 

Per questo motivo il presidente ecuadoriano, riflettendo sulla nuova legge ha commentato: «Così come abbiamo il diritto di controllare il potere politico e quello economico, abbiamo altresì il diritto di controllare il potere mediatico».

Risulta lampante a prima vista come la Ley Orgánica de Comunicación rifletta nel mondo della comunicazione il bisogno impellente di democratizzazione già in atto nella società ecuadoriana profondamente trasformata negli ultimi sette anni, segnati da quel processo di radicale trasformazione politica e sociale denominato Revolucion Ciudadana.
A tal fine la legge prevede che le autorità pubbliche lavorino per «creare le condizioni materiali, giuridiche e politiche, per raggiungere e approfondire la democratizzazione della proprietà e l’accesso ai mezzi di comunicazione, a creare mezzi di comunicazione, produrre spazi di partecipazione, all’accesso alle frequenze dello spettro radioelettrico assegnate per i servizi radiofonici e televisivi».
La legislazione voluta da Correa, oltre che sul concetto di democrazia insiste molto anche su quello di sovranità. Un binomio inscindibile a queste latitudini dove vi sono popoli che hanno sofferto il dramma del colonialismo dapprima, e la tracotanza dell’imperialismo in seguito. 
 
Risulta quindi naturale oltre che lungimirante la rivendicazione di sovranità (art. 6) dei mezzi di comunicazione ecuadoriani: «…i mezzi di comunicazione di carattere nazionale non potranno appartenere interamente o parzialmente, in forma diretta o indiretta, a organizzazioni o società straniere domiciliate fuori dallo Stato Ecuadoriano né a cittadini stranieri, eccetto quelli che risiedono in maniera regolare nel territorio nazionale».
 
Un concetto che si riverbera nell’art. 97 dove il legislatore stabilisce per i media audiovisivi a copertura nazionale l’obbligo di destinare almeno il 60% della programmazione giornaliera a contenuti di produzione nazionale. Analogamente (art.98) anche la pubblicità diffusa in territorio ecuadoriano dev’essere di produzione nazionale. Fatta eccezione per quelle campagne internazionali «destinate a promuovere il rispetto e l’esercizio dei diritti umani, la pace, la solidarietà e lo sviluppo umano». 

Una differenza a dir poco abissale con l’Italia – per citare un esempio afferente la vecchia Europa in deciso declino – letteralmente invasa da produzioni nordamericane e anglosassoni. Dove il settore si trova in piena crisi, segnato da delocalizzazioni e disoccupazione crescente. Si calcola che negli ultimi due anni sono stati persi oltre 2500 posti di lavoro, nella sostanziale ignavia dei governi succedutisi.

Infine l’Ecuador risulta essere il primo stato al mondo ad aver introdotto il divieto per i gruppi bancari e finanziari – dopo un referendum popolare tenutosi nel maggio 2011 – a detenere partecipazioni azionarie o essere proprietari di mezzi di comunicazione. Al contempo, invece, si allargano i diritti per la cittadinanza che può organizzare (art. 38) «udienze pubbliche, veedurias, assemblee, consigli comunali popolari, osservatori, o altre forme organizzative, per influenzare la gestione dei mezzi di comunicazione e sorvegliare sul pieno compimento dei diritti alla comunicazione da parte di qualunque mezzo di comunicazione». 

Dunque, al netto delle sciatte critiche alla legge rilanciate in maniera acritica dal circuito mainstream, l’Ecuador introduce nel campo dell’informazione e della comunicazione elementi di controllo popolare e democrazia diretta. Per evitare che, come troppo spesso è accaduto in passato, il circuito mediatico invece di adempiere al proprio lavoro d’informazione, si faccia strumento di poteri oscuri. 

 

 

La Strategia del golpe blando

di Enrique Orellana (Somos iglesia de Chile)

Il cosiddetto “golpe blando” o “golpe morbido” è una strategia di “azione non violenta” ideata dal politologo e scrittore americano Gene Sharp, verso la fine dello scorso secolo e si è estesa durante l’ultimo decennio dell’attuale.

In una opportunità Sharp indicò che «la natura della guerra del XXI secolo è cambiata (…) Noi combattiamo con armi psicologiche, sociali, economiche e politiche».

Sotto questo aspetto Sharp segnala che «nei Governi, se i soggetti non obbediscono, i leader non hanno potere. Queste sono le armi che attualmente si usano per abbattere i Governi senza ricorrere alle armi convenzionali».

Per lo scrittore americano, in questo momento le guerre che si combattono “corpo a corpo” non sono efficaci e, inoltre, implicano enormi costi economici e di spostamento. Un esempio di ciò sono le costosissime operazioni militari degli Stati Uniti in paesi quali l’Iraq e l’Afganistan che si sono protratte per più di un decennio.

Per tale motivo Sharp scommette su una serie di misure che mirano all’indebolimento del governo con l’obiettivi di realizzare la frattura istituzionale, «come stanno cercando di fare in Venezuela», secondo il presidente ecuadoriano Rafael Correa, tra altri esperti.

L’autore del polemico saggio dal titolo Dalla dittatura alla democrazia, nel quale si descrivono 198 metodi per abbattere i Governi mediante “golpe morbidi”, considera che la strategia si possa eseguire in cinque passi che l’agenzia di stampa Russia Today (RT) ha compilato:

  1. La prima tappa consiste nel promuovere azioni non violente per generare e promuovere un clima di malessere nella società. Tra queste azioni si possono annoverare le accuse di corruzione, potenziamento degli intrighi o divulgazione di rumors.
  2. La seconda tappa consiste nello sviluppare campagne per la «difesa della libertà di stampa e dei diritti umani», accompagnate da accuse di totalitarismo contro il Governo in carica.
  3. La terza tappa si fonda nella lotta attiva per le rivendicazioni politiche e sociali e nella manipolazione delle masse affinché intraprendano manifestazioni e proteste violente, minacciando le istituzioni.
  4. La quarta tappa si basa sull’esecuzione di operazioni di guerra psicologica e di destabilizzazione del Governo, creando un clima di “ingovernabilità”.
  5. La quinta e ultima tappa ha come scopo costringere alla rinuncia il Presidente di turno, mediante sommosse stradali per il controllo delle istituzioni, mantenendo nel frattempo alta la pressione nella strada. Parallelamente si prepara il terreno per un intervento militare, mentre si sviluppa una guerra civile prolungata con isolamento internazionale del paese.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione – Si ringrazia Rosa Schiano per la indicazione della vignetta.]

 

Debito ecologico: l’Ecuador mette i paesi ricchi di fronte alle proprie responsabilità

Immagine

di Fabrizio Verde

21nov2013.- Con ancora negli occhi le tremende immagini di morte e distruzione provenienti dalle Filippine, hanno raggiunto Varsavia per la 19° Conferenza degli Stati Membri della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) e del Protocollo di Kyoto, le delegazioni di 195 paesi, riunitesi al fine di delineare una strategia comune di salvaguardia dell’ambiente e per giungere a una significativa riduzione dell’emissione dei gas serra entro l’anno 2020.

Un incontro non decisivo, ma propedeutico, al Summit dei Capi di Stato in programma a Lima nel settembre del 2014 e alla successiva Conferenza di Parigi (2015) dove presumibilmente verrà stretto un accordo giuridicamente vincolante sull’emissione dei gas serra. Tra le delegazioni presenti si è distinta quella ecuadoriana – guidata dal Ministro dell’Ambiente Lorena Tapia – per la nettezza delle posizioni espresse e la «sfida» lanciata alle nazioni industrializzate attraverso la proposta delle Emissioni nette Evitate (ENE).

L’Ecuador mette i paesi ricchi di fronte alle proprie responsabilità. La proposta dello stato andino prevede che vi siano compensazioni economiche e benefici oltre al trasferimento di tecnologie – per scongiurare l’aumento delle emissioni in atmosfera dei gas serra – a quei paesi in via di sviluppo che s’impegnano a ridurre le quantità di sostanze inquinanti prodotte. Insomma, l’Ecuador ripropone lo stesso meccanismo ideato per il progetto Yasuni-ITT dove si è ancora una volta evidenziata la grande ipocrisia dei paesi ricchi. Quegli stessi paesi che hanno un immenso debito ecologico da saldare con le popolazioni mondiali, ma nessuna intenzione di far seguire agli impegni e alle belle parole spese in difesa dell’ambiente i conseguenti atti necessari. A partire dallo stanziamento risorse economiche.

«L’impostazione della nostra proposta prevede, per quei paesi in via di sviluppo come il nostro – spiega il Ministro dell’Ambiente Lorena Tapia secondo quanto riportato dal quotidiano ‘El Telegrafo’ – la possibilità di ricevere benefici economici e trasferimenti di tecnologia e capacità per evitare l’emissione di gas serra».

Secondo i rappresentanti dello stato guidato da Rafael Correa le risorse economiche necessarie a concretizzare la proposta dovrebbero essere attinte dal Fondo Verde per il Clima dell’Onu (Green Climate Found) istituito in seguito al Vertice di Copenhagen del 2009, dove i paesi industrializzati si erano i impegnati al suo finanziamento. Il fondo dovrebbe essere finanziato con 6 miliardi di dollari all’anno, ma a tutt’oggi le risorse disponibili sono pari a zero.

«Il cambiamento climatico – spiega il funzionario ecuadoriano Daniel Ortega – comporta una responsabilità storica, il debito ecologico è il risultato di un modello di sviluppo e accumulazione della ricchezza insostenibile, dove l’ambiente è stato percepito come un inghiottitoio».

Posizione peraltro appoggiata dalla delegazione venezuelana guidata da Claudia Salerno – facente parte insieme all’Ecuador e altri paesi in via di sviluppo del G77+China – «famosa» per aver battuto così vigorosamente la mano sul tavolo nel tentativo di farsi ascoltare, durante il vertice del 2009 a Copenhagen, fino a farla sanguinare. «Quando vedete paesi sviluppati così avventuristi – ha dichiarato la funzionaria venezuelana – da affermare di non prendere nemmeno in considerazione la possibilità di una diminuzione delle emissioni, e di non voler pagare i costi che le loro omissioni in materia ambientale hanno sulle vite degli altri, questo è davvero un comportamento rozzo e molto complicato da maneggiare politicamente».

Sin pobreza ma con naturaleza. Ancora una volta l’Ecuador si conferma come un paese all’avanguardia per quanto riguarda l’ambiente e diritti della natura, che giova sempre ricordarlo lo stato andino ha inserito nella propria costituzione. Caso unico, in un mondo dominato dalla ricerca spasmodica del massimo profitto.

Ad ogni modo, come ha più volte ricordato il presidente Rafael Correa, l’Ecuador continua a lavorare alacremente per sradicare in maniera definitiva la povertà: così i proventi dallo sfruttamento dell’uno per mille del parco Yasuni, nonostante le critiche strumentali di certi settori minoritari dell’ambientalismo estremo, saranno destinati a questo scopo. «Non faremo morire di fame la nostra gente – affermò Correa – per supplire all’irresponsabilità dei contaminatori globali. Andiamo a sfruttare il blocco ITT con la massima responsabilità sociale e ambientale, per superare più rapidamente la povertà».

Inoltre bisogna ricordare che in Ecuador è in atto il cambiamento della matrice produttiva e la nazione si avvia sempre più verso un utilizzo maggiore delle fonti di energia pulita, in luogo dei combustibili di origine fossile. Nell’Ecuador della Revolucion Ciudadana i diritti sociali avanzano rapidamente, così come si fanno passi da gigante nella salvaguardia dell’ambiente, come dimostra in maniera lampante la forte campagna legale e di denuncia intrapresa contro la multinazionale Chevron che in Amazzonia ha prodotto una vera e propria devastazione ambientale.

 

Le mani sporche della multinazionale petrolifera statunitense Chevron

di Geraldina Colotti

18Set2013.- ECUADOR: Il presidente Rafael Correa ha dato inizio alla campagna contro la Chevron per danni ambientali. «La mano negra de Chevron», la mano sporca della Chevron. Si chiama così la campagna lanciata da Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, contro la multinazionale statunitense che ha acquisito la precedente Texaco.

Correa ne ha illustrato i termini durante un viaggio in Amazzonia in cui si è soffermato soprattutto nei pressi del pozzo petrolifero Aguarico 4, nella regione di Sucumbios, dove ha operato la compagnia Usa. La multinazionale, che ha spadroneggiato in quella zona tra il 1972 e il 1990 sotto il marchio Texaco, prima di essere acquisita dalla Chevron nel 2001, ha contaminato l’area e per questo è stata condannata a pagare una multa di 19 miliardi di dollari per gravi danni ambientali, nel febbraio 2011. E si rifiuta di pagare, minacciando anzi pesanti ritorsioni.

Tutto si era messo in moto quando un tribunale di Sucumbios aveva riconosciuto legittime le denunce presentate dagli avvocati di 30.000 abitanti della regione, e aveva fissato a 9,5 miliardi di dollari l’ammenda. La sentenza prevedeva anche che la compagnia porgesse «pubbliche scuse alle vittime», pena l’aumento della sanzione. Chevron ha però cercato di scaricare tutte le responsabilità sull’azienda statale ecuadoriana Petroecuador e ha presentato ricorsi su ricorsi.

Ha anche sostenuto che la controparte ha corrotto i giudici per addomesticare la sentenza e si è nuovamente appellata al Ciadi, un organismo di arbitraggio internazionale che i paesi progressisti dell’America latina disconoscono per la sua permeabilità agli interessi delle grandi corporations. Il Ciadi ha già ritenuto illegali le espropriazioni delle grandi compagnie petrolifere messe in atto nel Venezuela bolivariano di Hugo Chávez e il 5 ottobre tornerà a decidere sull’Ecuador, altro paese dell’America latina che ha deciso di impiegare le risorse petrolifere per il benessere degli strati popolari. La Chevron accusa l’Ecuador di aver disatteso il Trattato bilaterale di protesione degli investimenti (Tbi) con gli Stati uniti. L’Ecuador ribatte che il Tbi è entrato in vigore nel 1997, cinque anni dopo che Texaco aveva abbandonato il paese.

L’applicazione retroattiva del trattato sarebbe «un’autentica aberrazione giuridica», ha affermato il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño, e ha messo in guardia la multinazionale Usa «dallo screditare un paese come il nostro» e ad adempiere invece a «quanto prescritto dalle leggi ecuadoriane». D’altro canto – ha detto Correa – è chiaro che solo Texaco ha sfruttato Aguarico 4, «abbandonandolo definitivamente nel 1992». Una zona che non è mai stata bonificata e per questo la campagna contro la Chevron mostra una mano che si immerge nella terra e che diventa nera per il petrolio. Correa lo aveva denunciato già nel 2007 e ieri è tornato sul posto per far vedere al mondo «le menzogne di Chevron».

Per questo, Rafael Correa ha chiesto aiuto agli altri governi socialisti della regione, e alla solidarietà internazionale.

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