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“Una mezza verità non è una verità ma è una bugia”. Queste le parole d’accusa dell’arcivescovo cristiano-maronita di Aleppo Monsignor Joseph Tobji che rimbombano nella sala stampa della Camera dei Deputati durante la conferenza sulla Siria organizzata dalla Commissione Esteri del Movimento 5 Stelle con la partecipazione del deputato Manlio Di Stefano e del giornalista Alberto Negri.
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Una nuova puntata di ciò che Di Stefano chiama “un punto di vista alternativo a ciò che il mainstream ci dice” e che stavolta ha fatto scalo ad Aleppo, città martoriata da una guerra che in pochi vedono, che in pochi raccontano, ma della quale tutti parlano. Aleppo era la seconda città della Siria, la città degli scambi commerciali, dove vivevano quattro milioni di persone di diverse etnie e diverse confessioni. Oggi ad Aleppo vive poco meno della metà degli abitanti di un tempo, da quattro anni a questa parte la città è una nuova Berlino, divisa in 2 blocchi: quello est sotto il controllo dei “ribelli” e dei terroristi e quello ovest sotto il controllo dei lealisti al governo siriano. “Purtroppo i media Occidentali parlano solo della sofferenza di una parte della città, quella est sotto il controllo dei “ribelli” -asserisce Monsignor Tobji- “dimenticando che la guerra causa morte e distruzione anche nella parte Ovest. I terroristi si divertono a sparare sui civili, viviamo con la morte negli occhi, solo in questa settimana sono morte 85 persone, è stata bombardata l’Università Statale di Aleppo. Sono ormai anni che non abbiamo la corrente elettrica, la rete è stata danneggiata dai terroristi. E quando ad ucciderci non sono le bombe ci pensano le sanzioni economiche che i governi Occidentali, tra cui quello Italiano, infliggono alla Siria. Con le sanzioni economiche quasi tutta la popolazione vive sotto o poco sopra la soglia di povertà, è come una condanna a morte. Inoltre c’è il fenomeno dell’immigrazione che per noi è un grave problema. Le persone, soprattutto i giovani, scappano dagli orrori della guerra e questo fenomeno lascerà la Siria senza una generazione di giovani, senza futuro”.
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Le parole del vescovo Maronita, sebbene molto dure, hanno lasciato anche un briciolo di speranza attraverso la proposta ripetuta in sala stampa dopo averla riferita al Senato. “L’unico modo per porre fine a questa guerra è smettere di vendere armi ai ‘ribelli’ e fermare i flussi di terroristi che attraverso la Turchia giungono in Siria. I governi stranieri dovrebbero favorire accordi politici, conciliazioni tra le religioni ed incoraggiare il commercio e la ricostruzione per far sì che il popolo siriano possa tornare a vivere una vita normale”.
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A fare eco alle parole del vescovo è stato il giornalista Alberto Negri che ha raccontato in maniera molto chiara la sua lunga esperienza in Medio-Oriente. Il giornalista ha raccontato di come la città di Aleppo fosse il “crocevia dell’umanità” dove si incrociavano migliaia di iracheni, palestinesi, libanesi che vivevano in pace in Siria; di come la Siria fosse l’unico Paese che consentiva ai Palestinesi di vivere in pace e studiare senza alcun documento particolare. Secondo il reporter italiano infatti la Siria potrebbe esser paragonata alla Yugoslavia, un Paese multiculturale e multiconfessionale distrutto dalle ingerenze straniere che hanno fatto leva su alcune contraddizioni interne. Solo che oggi la Russia di Putin sembra esser più decisa a difendere l’alleato Siriano di quanto il governo russo dell’epoca lo fosse nei confronti della Yugoslavia.
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“Ci sono tanti pezzi di questa storia, ognuno di essi è importante. Tutti gli Stati della regione sono stati disgregati e ridotti in polvere. Io sono stato ad Hama quando c’era una legittima protesta popolare contro il governo. Questa protesta che era senza dubbio pacifica si è trasformata in poco tempo in un conflitto. Il 6 Luglio 2011 l’ambasciatore Usa in Siria passeggiava in mezzo ai ribelli, per giunta in un Paese Arabo ostile, il giorno dopo si vide l’ambasciatore francese. Avete mai visto un Ambasciatore Usa passeggiare sul lungotevere?” -ha dichiarato poi Negri- “Da quel momento in poi sono cominciati ad arrivare mercenari dalla Tunisia, Libia, e molti atri paesi, passavano attraverso la Turchia. I feriti erano curati in una struttura privata, pagata dal Qatar, li abbiamo anche intervistati. Al ritorno dalla Siria era chiaro l’obiettivo: quello di trasformare il Paese in un nuovo Afganistan degli anni 80, quello che osteggiò l’Urss. Questa è una guerra caldissima, che ogni giorno lascia sul campo tantissimi morti, nonostante i media parlino di una guerra fredda. Da un lato c’è l’asse della Resistenza, formato da Russia, Iran, Libano ed esercito Siriano, e dall’altro c’è l’asse formato dai “ribelli”, dagli islamisti e dagli Usa che si appoggiano sia ai Curdi, acerrimi nemici dell’Isis e con un progetto politico ben definito, sia ai ‘ribelli’ che combattono direttamente con i terroristi”.
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Parole forti quelle di Alberto Negro che hanno riscosso abbastanza consensi tra gli addetti ai lavori. Al termine delle testimonianze dirette è toccato al deputato Manlio Di Stefano concludere dicendo che è necessario che le forze politiche Italiane ed Europee che hanno a cuore la pace si facciano sentire nelle istituzioni nazionali ed Europee con iniziative pratiche atte a chiedere l’immediata cessazione dei commerci di armi con i terroristi e la cancellazione delle sanzioni economiche che affamano la popolazione.
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Di Stefano, senza peli sulla lingua, ha accusato il governo Renzi di piangere per i morti della guerra in Siria ma allo stesso tempo di continuare a vendere armi ad una delle parti in causa in questa guerra che uccide ogni giorno centinaia di persone. Inoltre il deputato del M5S ha ribadito che in Occidente dovremmo smettere di fare delle ingerenze atte a sovvertire i governi di altri Paesi per scopi economici, come accade oggi in Siria e come accade in vari Paesi del Continente Latinoamericano.
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Non sono mancate neanche le stoccate ad una certa stampa rea di raccontare solo “mezze verità” e di demonizzare una delle parti in causa di questa guerra e tacendo su ciò che realmente accade lontano dall’Italia.
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