di Danilo Della Valle
Un nuovo scenario si apre ad est, in due Paesi strategicamente molto importanti, ed ancora una volta sembra essere arrivata una nuova sconfitta per la UE per la Nato.
Questo è quanto sembra esser emerso dalle elezioni presidenziali in Bulgaria e Moldavia, che hanno sancito le vittorie delle rispettive sinistre socialiste filorusse.
Ciò non ci deve scandalizzare perché in realtà le affermazioni di Igor Dodon e dell’ex generale Rumen Radev erano più prevedibili di quanto si potesse pensare, date le condizioni in cui versano i due Paesi che detengono il record di essere tra gli Stati più poveri del continente europeo. Sebbene le due cariche siano soltanto di mera rappresentanza, i risultati elettorali hanno provocato un terremoto politico nei rispettivi Paesi che vedrà l’aprirsi di contraddizioni interne.
In Bulgaria, Paese più povero della Unione Europea e Paese membro della Nato, l’ex generale Rumen Radev, candidato per il Partito Socialista, ha vinto il ballottaggio con il 58% dei voti ai danni della candidata del centro destra (Gerb), l’avvocato Tsetska Tsacheva già presidente del parlamento.
L’esito delle elezioni ha già avuto i suoi effetti: il primo ministro, il conservatore Bojko Borisov, ha annunciato che rassegnerà a giorni le proprio dimissioni, il che significa che la Bulgaria andrà incontro ad una crisi di governo risolvibile o con un governo ad interim frutto di accordi o con nuove elezioni.
Il neo eletto presidente bulgaro Radev ha invece riferito che farà di tutto per risanare i rapporti con la Russia e lavorare per una Bulgaria prospera. Sofia dopo molti anni passati come “Stato fedele” a Mosca, aveva visto il proprio indice di gradimento crollare dopo l’entrata nell’Alleanza Atlantica nel 2004.
La campagna elettorale del neo eletto presidente ha fatto leva oltre che sulla lotta alla corruzione ed alla miseria anche sulla critica alla Unione Europea, che non avrebbe portato alcun beneficio alla popolazione, ed alla NATO. Ora la Bulgaria si troverà ad un bivio, avendo una posizione strategica molto importante: districarsi tra UE, Nato e Russia, dove pesano enormemente le sanzioni economiche i cui effetti si abbattono inevitabilmente sulla popolazione balcanica.
Più o meno lo stesso vale per la Moldavia, il Paese più povero del continente europeo che però non fa parte della UE. Per la prima volta il Paese ha votato direttamente il presidente che finora è sempre stato eletto dal Parlamento. I risultati del ballottaggio hanno sancito la vittoria di Igor Dondon del Partito Socialista, appoggiato anche dal suo ex partito, il Partito Comunista, che in Moldavia ha percentuali molto importanti.
L’ex ministro dell’Economia e del Commercio durante i governi comunisti del 2006 e del 2009 ha battuto con il 57.4% la candidata del centro destra Maia Sandu, ex funzionaria della Banca Mondiale e sostenitrice di una Moldavia legata a doppia mandata alla UE. Appartenente alla schiera della cospicua minoranza russa residente in Moldavia (si stimano sia intorno al 10% della popolazione che è di circa 3,5 milioni di abitanti), il neo eletto presidente ha già dichiarato la meta del suo primo viaggio ufficiale: Mosca.
Obiettivo del viaggio è quello di tranquillizzare il Cremlino sulla volontà di non voler andare oltre l’accordo di associazione con l’Unione Europea firmato nel 2014 ma chiedere l’adesione all’Unione Eurasiatica. Inoltre Dondon ha già dichiarato che la “Crimea è di fatto Russia” e che la questione della Transnistra può e deve esser risolta in maniera federativa, con l’ausilio anche delle forze speciali russe presenti sul territorio.
Ovviamente tutto questo dipende soprattutto da come si evolverà la questione interna al governo moldavo in carica ed alla crisi che si aprirà nel cartello di governo “alleanza per l’integrazione europea”, formazione di centro destra con all’interno il Partito Democratico moldavo che aderisce al PSE. Sicuramente i prossimi mesi saranno importantissimi non solo per Moldavia e Bulgaria ma anche per la UE e Nato, per capire fin dove questa situazione può arrivare e se altri Paesi ex sovietici possano approfittare del “disorientamento” generale per tornare “all’ovile della Madre Russia”.