Il Venezuela stabilisce una nuova alleanza economica con l’Iran

da Rt

Venezuela e Iran hanno deciso di approfondire la loro cooperazione economica con la firma di una serie di accordi per finanziare investimenti congiunti e rafforzare il commercio. Lo ha dichiarato il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, dopo la visita di una delegazione iraniana.

Secondo Maduro, si tratta di «sei accordi di grande importanza per l’economia dei nostri paesi». «Oggi abbiamo relazioni con l’Iran basate sulla fiducia reciproca, sul lavoro e sui risultati concreti,  e mutuo vantaggio», ha dichiarato il presidente venezuelano.

In particolare, il Venezuela ha raggiunto un accordo con l’Iran su una linea di credito di 500 milioni di dollari per finanziare lo sviluppo di progetti comuni e promuovere l’offerta dei «beni necessari per il popolo venezuelano», compresi i medicinali e il materiale chirurgico.

Maduro ha aggiunto che questi fondi andranno a «sviluppare il commercio e gli investimenti congiunti. Stabiliremo una nuova rete del settore della new economy, in collaborazione con i venezuelani che vogliono produrre».

Da parte sua, Mohammad Reza Nematzadeh, ministro iraniano dell’Industria, delle Miniere e del commercio, che ha guidato la delegazione della Repubblica islamica durante la visita, ha affermato che l’accordo sarà inviato al Ministero delle Finanze dell’Iran per la revisione.

Inoltre, i media locali riferiscono che gli accordi includono la promozione della cooperazione tra i due paesi, non solo in campo economico e finanziario, ma anche nella tecnologia e della scienza. Le due nazioni hanno inoltre deciso di finanziare un programma di ricerca comune nel campo delle nanotecnologie.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Manuela Sáenz e la sua lotta per la libertà dell’America

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Il 27 dicembre 1797 nasceva a Quito (Ecuador) Manuela Sáenz, eroina che ha combattuto per la libertà dell’America. Nella lotta contro l’impero spagnolo la sua partecipazione fu attiva, da protagonista.

Manuela Sáenz ha combattuto nella battaglia di Pichincha che sancì la libertà dell’Ecuador (1822), così come nella battaglia di Ayacucho, dove fu raggiunta la completa sovranità del Perù e dell’America del Sud. Antonio José de Sucre, in una lettera del 10 dicembre 1824, ha riconosciuto l’importanza di Manuela Sáenz nelle gesta indipendentiste:

«Si è distinta particolarmente per il suo coraggio doña Manuela Sáenz; incorporata sin dall’inizio nella divisione Húzares e successivamente nella Vencedores; ha organizzato e ottimizzato i rifornimenti alle truppe, assistito i soldati feriti, battuta sotto il fuoco nemico, salvato numerosi feriti (…) Doña Manuela merita un tributo speciale per il suo compartamento».

Manuela Sáenz è stata definita da Simón Bolívar come la Libertadora del Libertador perché nel 1828, lo salvò da un attentato a Santa Fe Bogotà. Sáenz ha descritto nel suo ‘Diario de Paita’ l’amore e l’impegno per la libertà dell’America, una lotta che unì la sua vità a quella di Bolívar.

Esiliata dalla Colombia dopo la morte di Simón Bolívar si stabilì a Paita (Perù), dove morì il 23 novembre 1856 per un’epidemia di difterite. Il suo corpo fu cremato e le ceneri depositate in una fossa comune.

Nel luglio 2010, i resti simbolici di Manuela Sáenz furono traslati al Pantheon Nazionale del Venezuela (Caracas), luogo dove riposa il Libertador Simón Bolívar.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Napoli 9lug2015: la Colonella d’America Latina

Bolívar nell’Arauca

di Rosa M. Elizalde e Luis Báez*

Camminando a lungo per la macchia il battaglione pattugliava con la luce del giorno. Le notti diventavano lunghe in quelle lande dimenticate da Dio. Ciò che riusciva ad affrancare al sottotenente Chávez dalla routine castrense era la sua “immensa voglia di conoscenza”, il virus che gli avrebbe diagnosticato, nell’Accademia Militare, il maestro Jacinto Pérez Arcay. “Semplicemente leggevo senza metodo tutto quello che mi capitava tra le mani”- egli riconoscerà più tardi.

Tuttavia in quei giorni c’era solo un libro che assorbiva tutta la passione di Hugo Chávez. Discorreva sul romanzo del dottor José León Tapia, Maisanta, l’ultimo uomo a cavallo, pubblicato nel mese di agosto del 1974, e lui rimase affascinato dalla sua scoperta. Quell’approssimazione storica, scritta con passione dal medico barinés, riscattò il bisnonno dalla calunnia oligarchica e dimostrò che, invece di essere un assassino, la sua famiglia discendeva da una casta di eroi.

Non appena finì di leggere il libro, fu conquistato dalla smania di sapere e tormentò Elena di domande, allo stesso José León Tapia, ai vecchietti di Sabaneta e di Barinas. In quel periodo imparò a memoria il corrido di cavalleria più lungo che abbia scritto il poeta Andrés Eloy Blanco, dedicato a Maisanta. Versi che circolarono di caserma in caserma, stimolando le cospirazioni preliminari all’insurrezione militare del 4 febbraio 1992.

Scapolare cucito, / con dipinta una vergine”, recitava con voce minerale, ricordando con nostalgia il medaglione che scoprì in possesso della famiglia di Ana Domínguez, unica figlia femmina di Maisanta. La prima conversazione con José Esteban Ruiz Guevara durò parecchie ore. Vecchio comunista barinés, che gli parlò di Pedro Pérez Pérez, il padre del suo bisnonno, un abitante del Guarico che divenne capo delle guerriglie della zona, verso la metà del XIX secolo.

Scrutò archivi e biblioteche militari e percorse la regione dell’Apure, di paese in paese, portando con sé uno zaino da storico per ricostruire gli itinerari del bisnonno Pedro, grazie alle testimonianze rilasciate dai suoi discendenti. Studiò le tecniche della guerriglia antigomecista [i] e, in particolare, lo scenario della battaglia di Periquera. Voleva vedere con i propri occhi il terreno dove si svolse quel famoso combattimento nel 1921, nel quale partecipò Maisanta e dove, secondo quanto c’è scritto nel corrido di Andrés Eloy:

Quando lo scontro è al suo apice

e la battaglia è alla pari

e alcuni avanzano per vedere se ti ammazzo,

e altri invece vediamo se riesci ad ammazzarmi,

all’improvviso c’è un momento

in cui le anime si raggrinzano;

latte di angoscia stilla

i petti della savana;

dai torbidi orizzonti

spunta l’eterno trapasso sellato.

Arrivano quaranta cavallerizzi

con le morti sguainate.

Con un mormorio di joropo [ii]

giungono le truppe d’assalto

disteso sul paraulato [iii]

un cavallerizzo le comanda

e quando giunge il nemico

sulle staffe si alza;

di capigliatura bionda,

tra il baio e il sauro,

e un urlo simile al machete

con filo, punta e tarama [iv]

è Pedro Pérez Delgado

che tuona: – Maisanta!…”

“Era come arrivare al punto di congiungimento di molte cose” – affermerà Chávez alcuni anni dopo a un giornalista -, e fece giuramento di aiutare a “eliminare la ragnatela che ricopre la storia, la quale è sepolta, ma palpita nei ricordi della gente”.

Un giorno, con il libro nello zaino, Chávez attraversò la frontiera colombiana passando per il ponte che varca l’Arauca e il capitano colombiano che gli esaminò lo zaino, trovò ragioni sufficienti per accusarlo di spionaggio: aveva con sé una macchina fotografica, un registratore, due granate a mano, fogli segreti, fotografie della regione, una cartina militare con grafici e due pistole di ordinanza. Il milite colombiano non aveva creduto alla versione dei documenti in regola: “I documenti d’identità, come corrisponde a una spia, possono essere falsi” –disse.

La discussione si protrasse per svariate ore nel suo ufficio, dove l’unico oggetto d’arredamento era un quadro di Bolívar a cavallo.

“Mi ero quasi arreso – raccontò Chávez a García Márquez in un articolo che pubblicò nel 1998 -, perché più cercavo di spiegargli come stavano le cose, meno mi capiva”. Fino a quando non gli venne in mente la frase liberatrice: “Senta, capitano, le sorprese che serba la vita: appena un secolo fa eravamo uno stesso esercito e quello lì, che ci sta osservando dal quadro era il capo di noi due. Come può pensare che sono una spia?”

Il capitano, commosso, iniziò a parlare della gran Colombia e quella notte entrambi si ritrovarono intorno a un tavolo a bere birra dei due paesi in una cantina dell’Arauca, e ricordando Bolívar:

Colombiani, non vi parlerò di libertà, perché se porterò a termine le mie promesse, sarete più che liberi, sarete rispettati. Inoltre, in un regime dittatoriale chi può parlare di libertà? Commiseriamoci reciprocamente dell’uomo che obbedisce e dell’uomo che comanda da solo!

Il mattino successivo il capitano ridiede indietro a Chávez i suoi attrezzi di storico e si accomiatò con un abbraccio sulla metà del ponte internazionale. Il giovane venezuelano attraversò la frontiera, tornandogli in mente una frase del Libertador che anche l’ufficiale colombiano conosceva a memoria: “Io continuo per la strada gloriosa delle armi solo per conseguire l’onore che offrono: per liberare la mia patria e per meritare le benedizioni dei popoli”.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]

NOTE:

[i] Antigomecista, oppositore del “Benemérito” dittatore e militare venezuelano Juan Vicente Gómez (1859-1935).

[ii] Joropo, ballo tipico dei llaneros venezuelani.

[iii] Paraulato, cavallo bianco con sfumature di grigio.

[iv] Tarama, impugnatura del machete provvista di custodia.

* Il presente capitolo è stato tratto dal libro di Rosa M. Elizalde e Luis Báez, Chávez Nuestro, La Habana, Casa Editora Abril, s.d.

Emilio Lambiase: «Studiare è la maniera migliore per ribellarsi»

Imagen: La Jiribilladi Fernando Luis Rojas • La Jiribilla – La Habana, Cuba

Emilio è un attivista italiano per la solidarietà con Cuba e dirigente del capitolo italiano della Asociación Nacional de Redes y Organizaciones Sociales (ANROS). Ha stabilito diversi records ciclistici mondiali di resistenza su pista omologati dalla Unione Ciclistica Internazionale (UCI). Al contempo ha utilizzato la sua bicicletta come arma per denunciare le ingiustizie e per la difesa dei popoli oppressi, spesso senza voce.

Alcuni anni fa, durante un atto di riconoscimento tenutosi nella città di Santiago di Cuba, hai definito “aspirazione immediata” diventare cittadino cubano. Cosa è poi successo?

Ho ottenuto il riconoscimento con il documento di residenza. È un primo passo ma il mio sogno è la cittadinanza cubana, un paese unico per il quale vale la pena ancora lottare e morire.

Perché questa relazione e questo amore per Cuba? Credi che abbia inciso la “casualità” di nascere il primo di gennaio?

Direi soprattutto perché sono nato in una famiglia povera e numerosa. Sono infatti il ventiduesimo figlio, l’unico che ha studiato, e ho avuto una grande eredità dai miei genitori, la povertà, una condizione questa che ti sviscera i sentimenti dal di dentro. Quando si nasce poveri, studiare è il migliore atto di ribellione contro il sistema. Saper rompere la catena della schiavitù. Sulla bandiera della liberà nacque l’amore più grande della mia vita! Per casualità, nel mio primo viaggio a Cuba, sulla Sierra mi sono affacciato in un bohío e tutto ad un tratto, sono stato catapultato nella mia infanzia. Gli oggetti, la sistemazione delle poche cose del bohío erano maledettamente uguali a quelli della mia casa dove sono cresciuto nella povera campagna meridionale dell’Italia. Anche la mia casa non aveva la serratura e dietro la porta d’ingresso erano fissati grossi chiodi che fungevano da attaccapanni.

Ti citerò i nomi di una città e di una persona con la quale hai intrecciato relazioni particolari: Santiago de Cuba e Armando Hart. Come descriveresti queste relazioni?

L’amore con Santiago è materno! Il concepimento è iniziato il 26 luglio 2000 nel piazzale del Moncada alle cinque della mattino, quando fu pronunciato il mio nome come “ultimo” nell’elenco dei guerriglieri morti nel suo attacco nell’anno 1956. Subito dopo l’appello, mentre risposi “presente” alla moltitudine delle persone presenti all’atto di rievocazione, partirono le mie prime pedalate in bici per ripetere il percorso della Rivoluzione cubana dal Moncada alla Cabaña in 36 ore senza sosta. Fu quello l’atto che mi unì simbolicamente ai Barbudos, ripassando tutta la sofferenza a cui una guerra di guerriglia sottopone i combattenti. Nulla in confronto, per carità, ma nei momenti difficili di sofferenza in bicicletta, mi sono ricordato l’enorme sacrificio fatto dai compatrioti, e questa è stata la mia medicina per portare a termine il mio impegno assunto col popolo di Cuba a seguito della mia lettera inviata a Fidel.

Emilio, di cosa si occupa la Associazione Nazionale di Reti ed Organizzazioni Sociali (ANROS), organizzazione che presiedi dal 2013? Le immagini che richiamano la sua identità sono di impatto: Marx, Engels, Lenin, Ernesto Guevara, Fidel Castro e Hugo Chávez. Parliamo un po’ di ANROS e del perché costoro sono i suoi referenti.

Per me sono gli apostoli per un mondo più giusto. Per analizzare il grado di civiltà e di giustizia sociale di un popolo, basta dare uno sguardo alla parte della popolazione più debole: ossia i bambini e i vecchi, e vedere come sono trattati. A Cuba, solo per citare un esempio, non ho visto mai un bambino abbandonato a sé stesso! ANROS recupera questi valori, la Asociación Nacional de Redes y Organizaciones Sociales è una  Rete Internazionale, ha la sua sede nella Repubblica Bolivariana del Venezuela, fraterna nazione di Cuba e che oggi porta avanti insieme ai paesi latinoamericani un importante progetto di integrazione e di costruzione del Socialismo del secolo XXI. Il coordinatore di ANROS è il  Deputato Germán Ferrér, ex-combattente guerrigliero. È una rete che si dedica a sostenere la Rivoluzione e la formazione culturale, sociale e politica del popolo e al coordinamento a livello nazionale ed internazionale delle Reti e delle Organizzazioni Sociali e dei movimenti di solidarietà. In Italia abbiamo costituito il capitolo ANROS, e stiamo portando avanti un importante lavoro.

Quindi, l’appoggio che hai mantenuto per Cuba oltrepassa quello che potrebbe considerarsi l’aspetto “umanitario” ed ha un substrato ideologico.

Senza dubbio il mio appoggio alla Rivoluzione cubana è di carattere ideologico. Per mobilitare il partito comunista in Italia, ho chiesto che si facesse portavoce della proposta presso l’UNESCO per dichiarare il “sistema” cubano come patrimonio dell’umanità vista la sua unicità.

Tutto ciò ha quindi una relazione con le altre azioni realizzate in Iraq, Palestina… Cosa ci dici di questo?

La questione è molto semplice: chi alimenta il fuoco della guerra è il mondo occidentale che si regge sui grandi profitti che l’instabilità produce. Non dimentichiamo che ad eleggere le sorti di un governo negli Usa sono i grandi capitali impegnati negli armamenti e nella gestione delle risorse energetiche. Fatta la premessa, con il sionismo in Palestina non sarà mai raggiunta la pace (i tavoli indetti per la pace sono solo farse), perché il suolo e il territorio del futuro Stato della Palestina è stato letteralmente usurpato da parte dello stato di Israele. Difatti ancora oggi mentre stiamo parlando, è in atto un piano di occupazione dei terreni del West Bank palestinese ad opera dei coloni israeliani. Questa tecnica ha portati difatti all’occupazione e alla continua sottrazione di terra e risorse anche vitali (mi riferisco all’acqua), una volta dei Palestinesi. Venuto meno il territorio come si fa a creare il futuro Stato? Ricordo che con la mia bici ho percorso idealmente i confini del futuro Stato di Palestina secondo il dettato della risoluzione dell’ONU del 1967, ebbene, mi sono imbattuto ogni 20 chilometri in un posto di blocco israeliano a guardia dei coloni, in pieno territorio Palestinese. Perché gli Usa hanno taciuto tutto questo? La mia proposta per la creazione dello Stato della Palestina è molto semplice: espropriare ed acquisire al patrimonio dei palestinesi tutti gli insediamenti abusivi dei coloni, come risarcimento dei danni subiti dalla guerra a partire dal 1948. In Iraq ho fatto l’incursione in bici per rispondere all’appello dell’arcivescovo caldeo Delly, che ha gridato al mondo che l’embargo anglo-statunitense provocava oltre 4500 bambini morti ogni mese a causa di mancanza di medicinali. Ho risposto a questo appello e in un intervista televisiva del canale nazionale italiano ho illustrato il percorso da fare in bici e il trasporto simbolico di medicinali da donare all’ospedale pediatrico di Baghdad. Strano che dopo la diretta televisiva sono stato raggiunto dalla telefonata da parte delle Farnesina (Ministero degli esteri italiano) che mi vietava di fatto il progetto perché si condivideva l’embargo. Solo grazie alla mia amicizia personale con l’Ambasciatrice della Siria, Nabila Al Schalan, abbiamo aggirato questa stortura. Nabila mi ha proposto di effettuare un’incursione con la mia bici nella Valle del Golan fino a raggiungere Quneitra, cittadina siriana rasa al suolo dagli israeliani durante la loro ritirata e mai ricostruita come simbolo dell’atrocità israeliana (pensate che durante la ritirata hanno persino profanato le tombe per estrarre dai teschi i denti d’oro), in cambio avrei ottenuto il visto d’ingresso in Iraq dalla Siria. Così ho potuto percorrere gli oltre mille chilometri che separano Damasco da Baghdad attraverso il deserto. Tutti conoscono le menzogne di Bush sull’antrace in possesso di Saddam, pretesto per occupare uno Stato sovrano! Uno che, se sapesse quello che dice, avrebbe orrore di sé stesso. Come diceva Petrolini, che però era un genio. Questo è il link del documentario “Una bici contro l’odio: da Damasco a Baghdad”: http://t.co/ae0jZjhk2b.

Sembra evidente che per te lo sport è un’arma di lotta. Come mai?

È più semplice utilizzare una bici che un kalashnikov! È solo apparente, perché a volte si fanno più danni all’avversario con una bici o con una penna per un poeta, che con un colpo sparato. Ognuno deve adoperare lo strumento che si ritiene più opportuno e congeniale, purché concentri ogni sforzo nella direzione della denuncia o contrapposizione alle ingiustizie subite da popoli spesso privati della voce.

Vorrei tornare sull’aspetto ideologico, la politica e la storia. Hai organizzato e partecipato a diversi eventi relativi all’apporto di figure come Antonio Gramsci e José Martí. Come si articolano, si “connettono”, queste due figure distanti nello spazio e nel tempo?

Per continuare il nostro cammino futuro non possiamo prescindere dai nostri apostoli della libertà che spesso hanno sacrificato la loro vita. Così come José Martí riscatta ogni popolo dall’influenza imperialista, del pari lo è il nostro Antonio Gramsci nell’emisfero occidentale. Anzi, sono per l’eliminazione della barriera occidentale e dico che questi personaggi sono i padri di ogni Patria da riscattare al dominio del capitale e dell’imperialismo. Il capitalismo non va riformato ma va abbattuto.

Infine, nella identità di ANROS si può leggere “Il Socialismo porterà al fiorire della moralità, della civilizzazione e della scienza, superiori a quanto si è finora visto nella storia del mondo”. Emilio Lambiase continua ad avere fiducia in un futuro socialista?

Il mondo vive una crisi profonda e lo spazio lasciato dalla politica è stato occupato dalla finanza criminale. Non è accettabile che una decina di famiglie governi le sorti del nostro pianeta. C’è qualcosa che non funziona! Dopo l’11 settembre, gli Usa si sono presi la licenza di intervenire anche in maniera preventiva contro chiunque essi ritengano avversari, solo perché non sono allineati coi loro progetti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Hanno lasciato che si abbattessero le due torri perché a conti fatti, con “solo” 2500 morti hanno ottenuto un vantaggio sull’intero pianeta che solo una lunga guerra vinta avrebbe fatto loro ottenere. Perciò sono dell’avviso che le stesse istituzioni Usa sono complici dell’abbattimento delle torri. Lo scopo è quello di giungere a un loro governo unico mondiale per il dominio delle riserve energetiche che ci restano, e ci obbligano a ridurre la popolazione mondiale di circa 2 miliardi, oggi “di troppo”. Però non è pensabile che mentre un palestinese dispone di un bicchiere d’acqua al giorno, un cittadino Usa ne consuma 450 litri pro capite. Obama, premiato, preventivamente, con il Nobel per la pace, durante il suo mandato ha avviato sei guerre non dichiarate a popoli sovrani. Ora che è alla fine del suo secondo mandato, tende a “pulire” la sua figura con proposte che mai e poi mai avrebbe fatto al momento della sua elezione. Tanto per cominciare ha graziato due tacchini nel giorno del ringraziamento (è una sua facoltà). E’ l’unico atto di clemenza fatto dalla sua elezione. Poi ha proposto per ultimo l’eliminazione del bloqueo con Cuba. Su questo punto sono duro e irremovibile: per me è solo il cambio di strategia per mettere le mani su Cuba; fare una nuova guerra con il volto “mascherato” della pace. Aspettiamo che ci detterà condizioni su presunte questioni di “libertà” e “diritti civili” che in via di principio non possiamo accettare da un governo che esporta “democrazia” a colpi di cannoni e uranio impoverito o bombe a grappolo o al fosforo bianco! Saremo ancora una volta di fronte a ingerenze insopportabili verso un popolo sovrano. Ritengo che la questione della rimozione del blocco fa da contorno allo scambio dei prigionieri (Alan Gross con i tre dei cinque eroi cubani). Tanto per cominciare va rimosso il carcere di Guantanamo e soprattutto riconsegnato all’autorità cubana il territorio della base che è occupato illegalmente dagli Usa. Ricordiamoci che il “contratto” di fitto unilaterale è scaduto nell’anno 2002. Staremo a vedere gli sviluppi ma penso che avremo intoppi che faranno collassare la proposta strada facendo. Un’ultima considerazione: Obama ha ammesso che il blocco non ha ottenuto i risultati previsti; gli Usa hanno impiegato oltre 50 anni per capirlo. Mi preoccupa la scarsa intelligenza del governo Usa nel non comprendere che Cuba sarà sempre la culla della Rivoluzione, mai interrotta e mai si interromperà!

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Ciro Brescia]

Análisis de Entorno Situacional Político (25jun2015)

por Néstor Francia

Jueves 25 de junio de 2015

– Nada peor que una guerra, salvo la esclavitud

– Una época de guerras atroces

– Amenazados por el gran agresor

– Negro Primero, conflictos con los vecinos y advertencias de Maduro

– Caos si gana la MUD

– Seguir remando en un mar picado

– Si se perdiera el Gobierno, la Revolución no acabaría

– Posibilidades reales de la derecha

– Nada está escrito y todo puede ocurrir

– Conspiración a niveles de vértigo

– Redimensionamiento de la violencia

– PDVSA, Fuerza Armada, misiones sociales

– Confrontación y violencia generalizada

– Intervención extranjera e imperialista

– Si vienen por nosotros, nos encontrarán peleando

– La guerra de los cien años

Nada hay peor para un pueblo que una guerra, salvo la esclavitud. La guerra es profundo dolor, destrucción, ruina, muerte, separación, desarraigo. No queremos jamás una guerra pero hay que repetirlo una vez más: el mundo no responde a nuestros deseos y solo relativamente a nuestra voluntad. Mientras vivamos en una sociedad mundial dividida, escindida, habrá guerras. Ahora mismo vivimos una época de guerras atroces como consecuencia de la división de clases mundial y planetaria. Todos los países se preparan para la guerra, unos para agredir, otros para defenderse de las agresiones. En nuestro caso, estamos amenazados por el gran agresor, el imperialismo norteamericano, en compañía de sus aliados, sobre todo los europeos. Esta reflexión viene a cuento por varias razones. Una es que ayer, en un digno acto patriótico, sembramos en el Panteón Nacional a un guerrero venezolano, Pedro Camejo, el Negro Primero, héroe de una guerra justa, inevitable, gloriosa, pero que significó ingentes sacrificios para el pueblo venezolano.

Otra, que en el complicado escenario internacional se mueven poderosas fuerzas que intentan dividirnos a los países de América Latina y del Caribe para sacar provecho, y en medio de ello se asoma el conflicto con Guyana y algún desacuerdo territorial con Colombia. Ojalá que podamos solventar esas situaciones privilegiando la paz y el acuerdo entre nosotros. Y aun hay otra razón, que luce como más temporalmente cercana y acuciosa: las elecciones parlamentarias, a las cuales se refirió el lunes el presidente Maduro haciendo certeras e igualmente preocupantes advertencias. Maduro, en un acto del PSUV realizado en el teatro Teresa Carreño, preguntó a la audiencia qué pasaría si la MUD controlara la Asamblea Nacional a raíz de las elecciones de diciembre, para responderse a sí mismo: “Un caos, porque nuestro pueblo no se va a entregar, nuestro pueblo va luchar en las calles, independientemente de las circunstancias que nos toque enfrentar, yo soy el primero en lanzarme a las calles con el pueblo de Venezuela a defender sus derechos sociales”.

Nosotros hemos venido opinando desde hace mucho tiempo que la Revolución Bolivariana no es un movimiento electoral sino un poderoso y profundo movimiento popular nacido bajo la égida de Hugo Chávez para cambiar la historia del país y abrir una etapa de establecimiento pleno de nuestra soberanía y de transformaciones radicales que ya se han iniciado pero que son aun embrionarias. Se ha abierto un camino que apenas hemos emprendido, pero que no podemos dar por aprendido. Falta que corra mucha agua bajo los puentes, que acontezca mucha historia. Navegamos con un rumbo, pero aun está lejano el anhelado puerto, más allá del horizonte.

No tenemos otra que seguir remando, sabiendo que surcamos un mar picado, encrespado, y que encontraremos, en este derrotero, muchas y poderosas tormentas. Es claro para nosotros que si llegásemos algún día a perder el Gobierno, la Revolución no acabaría, ya no puede acabar. Seguramente entraríamos en una fase mucho más difícil y complicada, pero la Revolución Bolivariana, el proyecto de Chávez, seguiría viva alimentada y garantizada por el pueblo revolucionario, que ha dado extraordinarias demostraciones de conciencia, de coraje y de decisión inquebrantable de no permitir que se nos arrebate la esperanza. Y he ahí el meollo de la advertencia del presidente Maduro.

Ahora bien, estemos claros en algo: la derecha tiene posibilidades de hacerse la mayoría de la Asamblea Nacional. No es lo deseable, haremos todo lo que esté en nuestras manos para impedirlo, pero la propia advertencia del Presidente es señal de que podría pasar. La profundidad de la conspiración en marcha, con la guerra económica, la conflictividad política y la brutal campaña internacional aconseja prudencia en las proyecciones. Es decir, aunque la dirigencia revolucionaria está en el deber de anticipar y proyectar la victoria popular, y mantener viva la confianza y el espíritu de lucha de las fuerzas revolucionarias, la verdad es que nada está escrito y todo puede ocurrir.

No hay duda de que en un escenario de mayoría opositora en la Asamblea Nacional, la conspiración se dispararía a niveles de vértigo. Es posible que se diera una convocatoria a revocatorio presidencial (donde de nuevo las proyecciones no serían tan fáciles de proponer, pues entonces el resultado de un revocatorio en 2016, más allá de lo que hubiera sucedido en las parlamentarias, dependería de factores que desconocemos en este momento). Pero esta conspiración igualmente podría significar el redimensionamiento de la violencia, con participación más decidida de factores externos como mercenarios y paramilitares. En todo caso, si perdemos la mayoría parlamentaria, se abre el camino a la probabilidad de que perdamos también el Poder Ejecutivo ¿Qué pasaría entonces? Ahí está el detalle, parafraseando al gran Mario Moreno, Cantinflas.

¿Permitiría la inmensa mayoría de trabajadores chavistas de PDVSA, la parte más consciente del proletariado venezolano, que la empresa caiga en las manos de quienes la sabotearon y planeaban privatizarla, y que cobrarían lo suyo a la derecha criolla después de respaldarla y contribuir a financiarla? ¡Jamás ni nunca! ¿Obedecería la inmensa mayoría de los oficiales y soldados de nuestra Fuerza Armada, chavistas hasta la médula, las órdenes de masacrar al pueblo cuando este se alce? ¡En jamás de los jamases! ¿Se dejaría el pueblo antes desposeído quitar las misiones y los logros sociales? ¡Por supuesto que no!

Si la Revolución llegara a perder el Gobierno, se iniciaría inevitablemente en Venezuela una etapa de extendida confrontación social y política que derivaría necesariamente en violencia generalizada. En esa circunstancia, las fuerzas de la Revolución estarían mucho mejor preparadas que las fuerzas contrarrevolucionarias internas y podrían resultar rápidamente victoriosas. Pero uno de los principales designios estratégicos de los contrarrevolucionarios es provocar, en un escenario tal, la intervención de fuerzas extranjeras. En un principio contarían, como ha sucedido en otros países, con el concurso de paramilitares y mercenarios extranjeros, como se ha dicho, pero luego convocarían la intervención directa del imperialismo para tratar de cumplir el sueño fascista de acabar a sangre y fuego con el chavismo. No, no queremos guerra. Pero al principio dijimos que lo único peor que una guerra es la esclavitud.

Venezuela no volverá a ser de nuevo un país de esclavos. Si vienen por nosotros, nos encontrarán peleando, la Revolución no se va a rendir. Entonces sí es verdad que empezaría en América Latina la guerra de los 100 años de la que alguna vez habló Chávez. Hizo bien el presidente Maduro al dejarlo en claro ante nuestros enemigos.

Análisis de Entorno Situacional Político (23jun2015)

por Néstor Francia

Martes 23 de junio de 2015

– ¡Esto es el acabose! – 6D: un hecho tan natural como la lluvia – El mecanismo enloquecedor
– Preparando a su montón de orates
– Un calculado “petitorio” dentro del show de “huelga de hambre”
– Cerrar la “huelga” con “honor”
– Salida por la puerta de atrás con fuegos fatuos por delante
– La performance del papi de Leopoldo
– Papi anuncia el fin de la “huelga”
– Con el CNE en la mira
– Si ganan, ganan, y si pierden… ¡también!
– Los técnicos electorales y las 12 condiciones
– Complicándole la vida al CNE
– 6D: 17 años de la primera victoria electoral de Chávez
– Un gran homenaje al líder histórico de la Revolución

¡Esto es el acabose! La primera reacción de la oposición en las redes sociales es de euforia, tras el anuncio hecho por Tibisay Lucena de que las elecciones parlamentarias serán el 6 de diciembre próximo. Atribuirse una victoria por un hecho tan natural como la lluvia (la convocatoria a unas elecciones constitucionalmente previstas para este año), no hace sino revelar el nivel de de la patética base social del fascismo, tan ignorante, tan inclinada a la maldad. El símil no es aventurado: es como si a estas alturas una persona ensayara una danza para provocar un aguacero en un día nublado, y después de llover atribuyera el hecho a su conjuro.

El mecanismo utilizado para enloquecer de esa manera a un sector de la sociedad es singular. Primero han pasado años tratando de demostrar que el chavismo no es democrático y que por lo tanto en todo lo que tiene que ver con cualquier elección, es inevitable que haga trampas. Para ello han inventado todo tipo de argumentos, que después desechan, en la seguridad de que los que ha formado la canalla mediática se creerán cualquier cuento, por descabellado que sea, mientras implique, de alguna manera, un ataque contra el chavismo.

Alguna vez criticaron de las máquinas de Smartmatic, supuestamente susceptibles de ser manipuladas por el chavismo para aumentar su cantidad de votos. Una vez caída esa patraña, la agarraron con el registro electoral “abultado” con chavistas, incluso con los muertos. Después les tocaría a las captahuellas, satanizadas igualmente. En algún momento el tema fue la tinta indeleble, que según ellos podía ser borrada, ignoramos con qué sustancia. Que todo esto fuera científicamente refutado no tiene para ellos importancia, nunca han sido dados a reconocer sus barrabasadas o a dar ningún tipo de explicación por sus desaguisados. Pero con estas falacias han ido preparando para todo a su montón de fascistas.

En esta oportunidad se dedicaron a establecer que el chavismo (Maduro, señaladamente) pensaba suspender las elecciones parlamentarias, y sus huestes fanatizadas se lo creyeron, por supuesto. Dentro del plan del show de la “huelga de hambre” introdujeron el petitorio de que se fijara la fecha de las elecciones, con toda la intención de que ese anuncio eminente les fuera útil para cantar victoria, que es lo que ahora hacen, aunque como dijo Tibisay Lucena ayer, “Nunca se dio señales de que no hubiese un proceso electoral este año”.

La “huelga de hambre”, ya derrotada, puede ahora cerrarse con “honor”. Es este el efecto deseado que encierra la frase de Tomás Guanipa: “¡Venezuela lo logramos! Después de más de un año de presión y de sostener la ruta electoral como vía para el cambio tenemos fecha ya”. Es decir, este infeliz usurpa un nuevo éxito de la democracia bolivariana y revolucionaria, que le cumple al pueblo una vez más a pesar de los malos augurios interesados de la derecha, y trata de engañar a la gente como si fuera un triunfo de esa caterva de incapaces que conforman la dirigencia opositora. Por supuesto que lo logra, si se trata del conjunto de tontos útiles especialmente formados para estas circunstancias.

Otro ejemplo de la insania lo da el secretario general de la MUD, Chuo Torrealba, cuando asegura que “La mejor prueba de que no estamos en una democracia es lo que acaba de ocurrir con el tema de la fecha de las elecciones. En un país como éste, que está en un proceso totalitario, el pueblo tuvo que arrancarle la fecha de las elecciones al Gobierno a través de múltiples presiones” (¡!).

Esta otra “Salida”, la salida de la “huelga de hambre” por la puerta de atrás, mientras se encienden fuegos fatuos por la puerta delantera, se viene preparando desde hace días, con “peticiones” de voceros políticos, religiosos y mediáticos a Leopoldo López y compañía para que suspendan la huelga. Hace un par de días se sumo a la performance el propio padre de Leopoldo López en persona, pidiendo a su “sufrido” hijito que deje ya la “huelga”. En ensayado tono melodramático espetó que “Tu sacrificio dio suficientes frutos, otro centenar de jóvenes se manifestaron en similar sacrificio. El mundo volteó la mirada a Venezuela y se conmovió con nuestra realidad”. Ayer Leopoldo López Gil, el padre anuncia el fin de la “huelga” de su hijo en un plazo de 24 a 48 horas ¿será que preparan el escenario para que este burgués acabe su comedia de mal gusto el 24 de junio, como para competir con el Negro Primero, que ese día llega al Panteón Nacional de la mano de la Revolución? ¡Misterios de la ciencia!

De todas maneras, la derecha no se va a quitar al CNE de la mira, y preparan ya nuevas artimañas para desacreditar al árbitro y proyectarse para una derrota que no pueden descartar a pesar del triunfalismo que le inspiran algunas encuestas. Como siempre, si ganan, ganan, y si pierden… ¡también, solo que el Gobierno y el CNE siempre hacen trampas, como quedó dicho!

No otra cosa puede inferirse de unas declaraciones de unos supuestos “técnicos electorales” de la oposición donde señalan hasta 12 asuntos concernientes a las actividades del CNE, que la oposición debe plantear al organismo, a saber: la observación internacional debe ser “calificada”; prohibición de uso de recursos del estado para la campaña; que se suba el “umbral de exigencia” de las captahuellas; definir el papel del testigo opositor ante el voto asistido; solicitar las incidencias del sistema de captahuellas; que se discutan los protocolos de actuación en cada auditoría; definir los parámetros para la contratación de las firmas externas que participan en las auditorías al sistema electoral; que el CNE defina si regulará el porcentaje de postulación de candidaturas por género; que haya celeridad a la hora de anunciar los resultados electorales; perfeccionar la elaboración, el uso y la auditoría de la tinta indeleble; que luego de auditar las aplicaciones de las máquinas de votación se informe a cada estado del país qué máquinas le corresponden; que se realice una auditoría al archivo de venezolanos cedulados. En fin, se trata de complicarle la vida al CNE al máximo e incrementar las razones útiles para cuestionar el evento electoral y el sistema electoral todo. Todo esto es parte del plan conspirador que tiene múltiples tentáculos.

El 6 de diciembre de 2015 se cumplen 17 años de la primera gran victoria electoral de Hugo Chávez, que transformó a Venezuela ¡Qué gran homenaje para nuestro líder histórico sería asestarle una nueva derrota a las fuerzas de la oscuridad!

Pedro Camejo: la ribellione dell’uomo del popolo in difesa della patria

negroprimero1433333095da Agencia Venezolana de Noticias

Il seme dell’indipendenza è cresciuto in Pedro Camejo sin dalla sua nascita, che avvenne, in un’umile casa a San Juan de Payara, in Apure. Il bambino con la pelle scura e i capelli arricciati crebbe tra l’immensità della savana e le canzoni che i llaneros intonavano per ravvivare le loro giornate, in epoca di schiavitù.

Da piccolo, Camejo già si faceva notare per il suo carattere forte, dominante, mai domo davanti a una vita di schiavitù che, tuttavia, non gli ha mai fatto perdere il suo atteggiamento gioviale, semplice, di un bambino che raccontava storie piene di magia che incantavano tutti.

Così era Pedro Camejo, secondo il racconto dello storico Félix Ojeda, intervistato dall’Agenzia Venezolana de Noticias in occasione del 194° anniversario della morte dell’eroe dell’indipendenza, llanero di nascita, caduto sul campo nella Battaglia di Carabobo.

Lo pseudonimo di Negro Primero arrivò dopo, quando era già un uomo, quando il suo padrone proprietario terriero Vicente Alonzo gli concesse la libertà dopo anni di sfruttamento per mandarlo ad arruolarsi nelle truppe realiste che difendevano la corona spagnola, e il soprannome gli fu dato per il suo coraggio in battaglia, per essere il primo a lanciarsi contro il nemico.

«Alonzo essendo il padrone di Pedro Camejo, temeva per il suo carattere ribelle, per questo lo inviò a servire nelle truppe realiste», spiega Ojeda, che ha inoltre condiviso aneddoti sul combattente per la libertà i cui resti saranno traslati il giorno 24 presso il Pantheon Nazionale.

Negro Primero ha combattuto a fianco dei realisti fin quando non ha incontrato il generale José Antonio Páez – siamo nel 1816 – quando l’ufficiale, conosciuto tra i llaneros come ‘El taita’, gli parlò della patria. «Da quel momento scoprì l’amore per la patria e si unì alle fila patriottiche», ha raccontato lo storico.

Documentazione storica indica che il Negro Primero ha avuto un incontro con il Libertador Simón Bolívar a Cañafístola in Apure, e che abbia dolorosamente ammesso di aver servito nelle truppe spagnole, una decisione che suscitò la curiosità del Libertador, a cui Pedro Camejo confessò di aver scelto di aderire alle truppe realiste solo per indossare una divisa e ottenere poche monete d’oro.camejo-620x400

«La sua risposta fu brusca, gli disse di aver fatto quella scelta per avidità», ha commentato Ojeda, segnalando al contempo che il pentimento del Negro Primero fu segnato da un impegno assoluto nella difesa della patria e della sua indipendenza, un sentimento tanto forte da farlo uscire vittorioso dalla Battaglia delle Queseras, aprile del 1819, dove con 150 lancieri sotto il comando del generale Páez, riuscì a sconfiggere un grande esercito.

Fu in quella battaglia, spiega lo storico, che i lancieri adottarono una strategia eroica, accompagnata da una visione tattica straordinaria che chiamarono ‘vuelvan caras’. «Quella battaglia gli diede molta popolarità e riconoscimento al Negro Primero, tanto da renderlo meritevole dell’Orden Libertadores de Venezuela», ha sottolineato Ojeda.

Camejo continua a essere presente nelle battaglie per l’indipendenza, fissando nel popolo la memoria dei lancieri, della sua destrezza in battaglia. Verrà ricordato per sempre il suo sogno d’indipendenza, stroncato da una pallottola alla testa nella Battaglia di Carabobo. Un colpo che ha spento la sua vita ma non i suoi ideali.

Quando la pallottola penetra nel suo corpo «il Negro lascia i ranghi di combattimento, Páez lo vede ed esclama ‘Negro perché scappi, torna alla battaglia’ e allora Camejo, avvicinatosi gli dice ‘io non scappo mio generale. Vengo a dirle addio perché sono morto’».

In riconoscimento a un nobile combattente, il Governo Venezuelano, attraverso l’Assemblea Nazionale ha decretato il trasferimento dei resti di Pedro Camejo presso il Pantheon Nazionale, che fino a questo momento erano nel cimitero di Tocuyito, nel Carabobo, uno dei luoghi più vicini all’ultima battaglia del llanero.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

(FOTO) L’incontro dei Popoli a Bruxelles

di Gianmarco Pisa – esseblog.it

La “Cumbre de los Pueblos”, l’incontro dei popoli dell’America Latina e del Continente Europeo, si è svolta a cavallo degli scorsi 10 e 11 giugno, affiancando, con un programma e una proposta alternative, lo svolgimento del vertice UE-CELAC, tra i capi di stato e di governo della Comunità degli Stati dell’America Latina e del Caribe e quelli dell’Unione Europea, ed animando, con una presenza di massa, colorata ed entusiasta, le strade e le piazze della “capitale d’Europa”, il centro delle funzioni politiche e amministrative dell’Unione Europea, la centrale dell’austerity e del neo-liberalismo in versione comunitaria, Bruxelles.

11390291_996918943675246_4179778460202940014_nL’incontro dei popoli ha rappresentato una novità inedita, che ha fatto irruzione in maniera originale e sorprendente, tra i palazzi e i grattacieli della metropoli europea, chiamando a raccolta delegazioni provenienti in pratica da tutto il mondo, non solo ad esibire voci e colori di una presenza di massa e di una partecipazione diffusa intorno alle prospettive democratiche, di pace e cooperazione, di giustizia e solidarietà, che devono (dovrebbero) animare i rapporti tra i due “blocchi” continentali, ma soprattutto a riflettere e condividere pratiche ed esperienze della mobilitazione rivoluzionaria all’interno delle rispettive realtà nazionali, come ha dimostrato l’articolazione dei tavoli di lavoro che hanno attraversato i lavori della “Cumbre”.

Molti e impegnativi: l’integrazione dei popoli dell’America Latina (CELAC, UNASUR, ALBA); i trattati di libero scambio e i movimenti sociali; pace e sovranità: ingerenze e sanzioni; la protezione sociale; il cambiamento climatico: costruire un movimento mondiale per una trasformazione di sistema; diritti umani e potere dei media. Accompagnati, peraltro, da alcuni relatori e facilitatori d’eccezione, come Fernando Buen Abad ed Abel Prieto, già ministro della cultura e presidente dell’unione degli scrittori di Cuba, Aleyda Guevara e Martin Almada, vittima e strenuo oppositore, al tempo stesso, della dittatura in Paraguay, Premio Nobel Alternativo per la Pace, nel 2002; Pedro Calzadilla e Carmen Bohorquez, deputata e docente universitaria, già viceministro della cultura in Venezuela.

Non è stato, tuttavia, solo un momento di coinvolgimento e di scambio, reciproco e solidario, tra i movimenti progressisti e rivoluzionari al di qua e al di là dell’Atlantico – ma verso la Sponda Sud, non verso il Nord, quello degli Stati Uniti e del Canada, esclusi dalla CELAC, che, come giustamente è stato ricordato, rappresenta il primo consesso panamericano da cui gli USA sono, significativamente, esclusi – che, per la prima volta in forma istituzionale, grazie all’intuizione di Hugo Chavez, realizza il “sogno di Bolivar”, dell’unione dei popoli, dell’integrazione latino-americana e della “Patria Grande”; è stata anche un’occasione di battaglia nel “contingente”, per ribadire, alla opinione pubblica, alla grancassa mediatica mainstreaming e ai capi di stato europei, che l’America Latina è oggi all’avanguardia tra le esperienze mondiali di sperimentazione di un “altro” mondo possibile e di un “altro” modello di sviluppo; che Cuba continua a rappresentare una fonte di ispirazione inesauribile per il socialismo e la democrazia nella giustizia; che il Venezuela “non è una minaccia, ma una speranza”; che gli Stati Uniti devono ritirare il decreto con cui dichiarano, incredibilmente, il Venezuela una “minaccia alla sicurezza nazionale USA”, decreto foriero di nuove ingerenze e di ulteriori destabilizzazioni; e che sia arrestata la guerriglia criminale e il sabotaggio economico che le destre eversive venezuelane hanno messo in campo, sin dallo scorso anno, per provocare un golpe reazionario sul modello cileno.

Quando, nell’incontro conclusivo, tra i movimenti sociali (oltre quaranta delegazioni internazionali, ottanta Paesi rappresentati, duemila partecipanti alla Cumbre) e le delegazioni istituzionali dei Paesi CELAC, il presidente ecuadoriano, promotore della Rivoluzione “Ciudadana”, Rafael Correa, ha ricordato l’esempio storico e attuale di Cuba, l’ispirazione creatrice e rivoluzionaria di Hugo Chavez, l’ALBA dei popoli dell’America Latina come esperienza di pace e di autodeterminazione, denunciando le ingerenze degli Stati Uniti e la politica del doppio standard che ancora domina le relazioni tra il Nord e il Sud, uno degli applausi più fragorosi è risuonato nella prestigiosa Basilica di Koekelberg, la celebre, magnifica, Basilica del Sacro Cuore, la sesta, per estensione, al mondo.

Un tributo confermato dal calore e dall’entusiasmo che hanno scandito i passaggi delle conclusioni, da parte del vicepresidente del Venezuela Bolivariano, Jorge Arreaza, 42 anni appena compiuti, una laurea in studi internazionali alla UCV, un master in studi politici europei a Cambridge e una esperienza di Ministro della Scienza nel governo bolivariano tra il 2011 e il 2013, che, nella sua oratoria, così simile talvolta a quella di Chavez, ha ribadito le peculiarità della transizione bolivariana al socialismo, l’originalità di quella esperienza dinamica, avanzata, inclusiva, che va sotto il nome di “socialismo del XXI secolo”, cui lo stesso Chavez ha saputo fornire grande impulso, l’impegno per la “pace con giustizia” e la cooperazione tra i popoli, di cui l’ALBA e la CELAC sono espressione.

IMG-20150612-WA0015Che dire, dunque, di ritorno da questo evento, che non è forse azzardato definire “storico”? Che è stato un esercizio di ascolto e di condivisione, delle “nostre” (europee) pratiche con le “loro” (latino-americane) innovazioni e conquiste, sul terreno politico e sociale, testimoniate dai progressi compiuti dai paesi progressisti latino-americani nel conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite e nel recente premio che la FAO ha riconosciuto al Venezuela, per avere sostanzialmente azzerato la fame nel Paese, persino in anticipo rispetto alla tabella di marcia decisa dall’organizzazione internazionale.

Che è stata, di conseguenza, una lezione al nostro, presunto e tradizionale, “eurocentrismo”, collocando l’Europa dell’austerity e del neoliberalismo alla retroguardia del processo mondiale di emancipazione e di inclusione sociale, come dimostra, peraltro, anche la battaglia diplomatica in corso tra le istituzioni comunitarie e la Grecia di Syriza in merito al superamento dell’austerity e alla ristrutturazione del debito. Che è stata, soprattutto, una espressione, colorata e moltitudinaria, non solo dall’Italia (presente all’evento con la delegazione più numerosa tra quelle europee, oltre cento presenze), di entusiasmo e condivisione, prima ancora che di appoggio e solidarietà, espressione, in altri termini, di un desiderio di giustizia e di una attualità del socialismo che molti, troppi, si erano affrettati a dichiarare finito una volta per tutte.

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Il Venezuela sostiene il diritto all’autodeterminazione di Porto Rico

ramirez-venezuela_xoptimizadax--644x362da Correo del Orinoco

«Porto Rico è stata sottomessa a un quadro spregevole di dominazione coloniale che dura da più di un secolo, negando a questo popolo fratello di poter sfruttare i propri diritti umani» ha denunciato il rappresentante permanente del Venezuela alle Nazioni Unite

In occasione della sessione del Comitato per la Decolonizzazione delle Nazioni Unite su Porto Rico, il rappresentante permanente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Rafael Ramirez, ha condannato la condizione coloniale in cui si trova la nazione latinoamericana e caraibica che viola il diritto all’autodeterminazione, definendola come un «affronto e vergogna per l’umanità».

Su proposta della delegazione di Cuba è stata approvata una risoluzione dove viene riaffermato il diritto inalienabile di Porto Rico alla sua indipendenza e autodeterminazione.

«Porto Rico è stata sottomessa a un quadro spregevole di dominazione coloniale che dura da più di un secolo, negando a questo popolo fratello di poter sfruttare i propri diritti umani, compreso il diritto all’autodeterminazione», ha affermato Ramirez.

Il rappresentante della Repubblica Bolivariana presso le Nazioni Unite ha poi sottolineato che la lotta per l’indipendeza di Porto Rico è una causa storica difesa già dal Libertador, Simón Bolívar, oltre duecento anni fa. «Dobbiamo ricordare che il Libertador, Simón Bolívar, dichiarò nel Congresso di Panama del 1826 l’indipendenza di Porto Rico come uno dei punti fondamentali del programma di emancipazione. La questione è ancora oggi in sospeso».

Ha inoltre spiegato che la situazione in cui si trova Porto Rico ha influenzato negativamente sull’economia della nazione, che si trova in recessione dal 2006.

Durante il suo discorso, Ramírez, ha chiesto la liberazione di Óscar López Rivera, che a livello internazionale è il prigioniero politico con più anni di detenzione; attualmente si trova in stato di detenzione negli Stati Uniti a causa della sua lotta per l’indipendenza dell’isola natale.

«Il colonialismo ha anche avuto un impatto negativo sui diritti umani del popolo portoricano. I leader indipendendisti sono stati repressi e privati della libertà, il caso di Óscar López Rivera è solo il più emblematico. Questo nazionalista portoricano è ingiustamente imprigionato da 34 anni per l’instancabile lotta condotta per l’indipendenza della sua patria; essendo attualmente il prigioniero politico detenuto dal maggior numero di anni a livello internazionale, esigiamo la sua pronta liberazione».

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Cabello ha incontrato Fidel Castro a Cuba

diosdado-540x408da psuv.org.ve

Il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Diosdado Cabello, ha incontrato a Cuba il Comandante Fidel Castro.

Attraverso il suo account ufficiale sul social network Twitter @DCabellor ha scritto: «Cari compatrioti, ieri sono stato a Cuba, ho avuto l’onore di incontrare Fidel e Raúl, rivoluzionari che con il loro esempio ci ispirano».

Egli ha inoltre evidenziato gli anni di lotta e dignità di un popolo con i loro capi schierati in prima linea, e portato il saluto del leader rivoluzionario a tutti i venezuelani e le venezuelane.

In un altro tweet, il Presidente dell’Assemblea Nazionale ha dichiarato di aver anche incontrato il presidente dell’isola, Raúl Castro: «Con il Generale d’Esercito Raúl, siamo riuniti per discutere di alcune attività in sospeso, ascoltando un valoroso guerriero».

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Il primo vicepresidente del Partito Unito Socialista del Venezuela ha infine spiegato di essersi recato a Cuba con degli obiettivi specifici concordati insieme al Presidente Maduro.

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[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

(VIDEO) L’Iran condanna le trame imperialiste contro il Venezuela

da hispantv

Una delegazione del Parlamento iraniano è giunta, ieri, in Venezuela, ricevuta al Palazzo federale legislativo, dove ha condannato l’ostilità dell’Occidente contro il popolo venezuelano.

«Condanniamo tutte le cospirazioni dell’impero, del colonialismo e dell’arroganza globale contro la Rivoluzione venezuelana», ha dichiarato Abdolreza Mesri, deputato iraniano che presiede anche il il gruppo parlamentare di amicizia Iran-Venezuela.

Nelle sue dichiarazioni rilasciate nel quadro di una riunione del gruppo, Mesri ha aggiunto che il Venezuela e l’Iran sono entrambi paesi indipendenti e sovrani e, pertanto, sono gli obiettivi della politica ostile degli Stati Uniti.

«Siamo lieti che i nostri governi e i nostri popoli sono uno accanto all’altro per unire gli sforzi per neutralizzare le cospirazioni contro le nostre rivoluzioni», ha sottolineato.

Il politico iraniano ha concluso che se il governo, l’Assemblea Nazionale (AN) e la nazione venezuelana mantengono la loro unità possono respingere qualsiasi trama del nemico.

D’altra parte, Diogene Andrade, un deputato dell’Assemblea Nazionale, ha sottolineato le buone relazioni nei settori politici e sociali, tra Teheran e Caracas, con 365 accordi di cooperazione che le due parti hanno firmato, nonché, diversi nuovi che si punta a realizzare nel prossimo futuro.

«Viva la Repubblica Islamica dell’Iran, il popolo iraniano. Viva tutti coloro che oggi più che mai serrano le fila intorno al nostro paese e alla nostra rivoluzione bolivariana», ha detto Andrade.

Il Gruppo di amicizia parlamentare Iran-Venezuela, proveniente da Teheran è giunto a Caracas per rafforzare le relazioni bilaterali.

I legami politici ed economici tra l’Iran e il Venezuela sono stati ulteriormente sviluppati, nel momento in cui, il presidente Hugo Chávez ha guidato la rivoluzione bolivariana nel 1998.

Da parte sua, il presidente Maduro si è recato in Iran lo scorso gennaio, dove ha espresso la disponibilità del suo governo a rafforzare i legami bilaterali.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

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