(VIDEO) Castro su Chávez: «Vero rivoluzionario Latinoamericano»

1363014821_0di Fabrizio Verde

Nel dicembre del 1994, il tenete colonnello e leader della ribellione militare del febbraio 1992 contro il governo neoliberista guidato da Carlos Andrés Pérez, Hugo Chávez, si recò in visita a L’Avana dove incontrò Fidel Castro. Fu allora che ebbe iniziò una nuova storia per l’intera America Latina. 

Nel 61° anniversario della nascita del Comandante Chávez, vogliamo ricordarlo con le parole di ammirazione ed elogio che il capo della Rivoluzione Cubana utilizzò per descrivere il futuro leader della Rivoluzione Bolivariana al quotidiano cubano Juventus Rebelde: «Chávez è un soldato pronto a dare la sua vita, in ogni momento, per la causa dei popoli dell’America Latina. Un vero rivoluzionario. Bolivariano. Latinoamericano».  

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L’Assalto alla Caserma Moncada

f0008671da it.granma.cu

Il 26 di Luglio del 1953 fu la risposta del popolo cubano alla situazione creata da Fulgencio Batista con il colpo di Stato, il 10 marzo del 1952, e la ricerca di un cammino con una Rivoluzione che permettesse di sradicare i gravi danni economici e sociali provocati dal controllo nordamericano.

Il 26 di Luglio del 1953 fu la risposta del popolo cubano alla situazione creata da Fulgencio Batista con il colpo di Stato, il 10 marzo del 1952, e la ricerca di un cammino con una Rivoluzione che permettesse di sradicare i gravi danni economici e sociali provocati dal controllo nordamericano.

In quei giorni a Santiago di Cuba si realizzava il carnevale, una diversione, quando un gruppo di uomini guidati dal giovane rivoluzionario Fidel Castro attaccò la Caserma Moncada, la seconda fortezza dell’esercito batistiano.

Fu evidente che il fatto marcò un avvenimento storico, generazionale e rivoluzionario e la sua vigenza, dopo lo sbarco dello yacht Granma, è sempre assoluta tra gli eventi storici cubani e nello sviluppo politico successivo dell’America Latina.

Nessuno può negare che quando avvenne, l’Assalto alla Caserma Moncada fu un fatto slegato dalle politiche tradizionali esistenti in quell’epoca e con una visione distinta, che fece entrare in scena per lungo tempo la generazione del 1953, chiamata del Centenario per l’anniversario dell’Eroe Nazionale José Martí.

Dal principio proclamò la necessità d’effettuare cambi sociali nel paese, senza vincoli con nessuno dei partiti tradizionali, cercando l’autenticità di una Rivoluzione con tutti e per il bene di tutti, come proclamò José Martí, l’ispiratore intellettuale dell’azione.

Fidel Castro, in una conversazione sostenuta nel 1978 con dei giornalisti svedesi che lo accompagnarono e percorsero con lui gli scenari dei fatti del 26 di luglio, ricorda come pensava d’impadronirsi delle armi della caserma, chiamare ad uno sciopero generale e utilizzare le stazioni radio per convocare alla mobilitazione, partendo dalla situazione di scontento e odio verso Batista.

La piccola fattoria Siboney servì  per concentrare le armi e i partecipanti.

Tatticamente era il luogo migliore per quell’operazione, perchè lì passava una strada che giungeva vicino alla Moncada.

Il luogo aveva il pretesto d’essere un allevamento di pollame alla periferia di Santiago di Cuba.

I giovani in quella fattoria non si esercitarono assolutamente, perchè sarebbe stato molto rischioso, ma lo avevano a L’Avana, dove si erano addestrati a sparare più di mille uomini, in diversi luoghi.

Centotrentacinque giovani si riunirono all’alba del 26 di luglio, mentre un altro gruppo si trovava nella zona di Bayamo, per prendere la Caserma Carlos Manuel de Céspedes, con l’obiettivo d’avere un’avanguardia organizzata nella direzione principale di un possibile contrattacco di Batista.

L’elemento sorpresa era il fattore decisivo dell’operazione nella quale era in gioco l’occupazione della seconda fortezza militare del paese, con più di mille uomini, e si poteva realizzare.

«Ancora oggi penso che il piano non era un cattivo piano: era un buon piano», precisò Fidel Castro.

«L’azione fu pianificata durante il Carnevale di Santiago per poter mobilitare le forze precisamente in quei gironi in cui i militari raddoppiavano la guardia attorno al reggimento», osservò.

«Questo complicò la situazione decisamente. Fu lo scontro attorno alla caserma e per la strada principale che originò il combattimento al di fuori. Al contrario avremmo sicuramente occupato la caserma», spiegò ancora.

Alla domanda di quante macchine erano in tutto, rispose che: “Prima partirono le tre macchine che andavano a occupare l’ospedale civile, poi le due verso l’udienza con trentacinque uomini. Con me c’erano quattordici macchine e novanta uomini”.

Fidel e i giornalisti arrivarono alla Caserma Moncada, dove continuò la testimonianza.

«La crisi si produsse perché le guardie venivano in questa direzione, verso di noi. Una macchina era passata prima di noi – quella che doveva disarmare le guardie – e si trovava cento metri davanti a noi.

Le disarmò ma le altre guardie che avevano visto passare la prima macchina restarono a guardare e quando videro che l’automobile disarmava quella pattuglia, si posero in guardia e all’erta.

Come risultato, il combattimento cominciò fuori dalla Moncada mentre lo si doveva realizzare dentro la caserma.

Si mobilitò il Reggimento e si mobilitò la difesa.

Realmente la sorveglianza esterna con le guardie era una novità, organizzata per via del carnevale.

Il piano doveva cominciare quando la guardia terminava perché allora avrebbero camminato senza fare caso alla truppa disarmata, alle altre macchine e noi avremmo occupato il luogo», indicò.

«Se non fosse avvenuto quell’incidente noi prendevamo la caserma, perché la sorpresa era totale. Era un buon piano. E se fosse necessario pianificare oggi un altro assalto con l’esperienza che abbiamo, disegneremmo un piano più o meno uguale. Il piano era buono!», affermò ancora Fidel Castro.

Lettera di Fidel Castro a Telesur per il decimo anniversario

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«La sua creazione fu un’iniziativa dell’indimeticabile Hugo Chávez, cosciente dell’importanza di promuovere l’integrazione latinoamericana»

«…Non vi è stato alcun importante accadimento politico, economico e sociale nel quale teleSur non sia stata presente con immediatezza, obiettività e veridicità…», ha scritto il leader della Rivoluzione Cubana, Fidel Castro, in una lettera inviata a teleSur in occasione del suo decimo anniversario.

TeleSur iniziò le sue trasmissioni il 24 luglio del 2005, grazie a un’iniziativa congiunta di Fidel stesso e del leader della Rivoluzione Bolivariana, Hugo Chávez, che furono i principali promotori del processo di integrazione tra le nazioni latinoamericane e caraibiche.

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Sin dalla sua nascita, l’emittente televisiva ha trasmesso i principali eventi politici e sociali della regione così come del resto del mondo, offrendo sempre un punto di vista alternativo, diverso dai mezzi d’informazione egemonici.

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[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Misión Milagro ha restituito la vista a 4 milioni di pazienti

010615_Antigua_y_Barbuda_Jornadas_Mision_Milagro_WEB03da Prensa AVN/MPPRE

In Venezuela, in America Latina e nei Caraibi, quasi 4 milioni di pazienti hanno recuperato la vista attraverso la Misión Milagro, un programma creato nel 2005 dai leader della rivoluzione cubana e bolivariana, Fidel Castro e Hugo Chávez, con l’obiettivo di curare quei cittadini sprovvisti delle risorse necessarie per affrontare un intervento oftalmologico.

Durante il suo programma settimanale ‘Con Cilia en Familia’, la prima combattente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Cilia Flores, ha parlato del supporto fornito dalla Misión Milagro, che costituisce un programma sociale consono alla costruzione di un mondo possibile, basato sulla solidarietà e l’assistenza completa ai popoli.

Flores ha spiegato che in ogni paese dove arriva la Misión Milagro vi è un processo di formazione di professionisti con attrezzature all’avanguardia per garantire interventi di qualità per tutti i beneficiari.

Inoltre ha evidenziato la volontà del governo bolivariano di estendere questo programma sociale alla comunità del Bronx negli Stati Uniti: «La nostra Misión Milagro cura quest’anno i pazienti dei Caraibi Orientali. Potremmo prestare assistenza anche ai nostri cari fratelli del Bronx».

Il Presidente Nicolás Maduro, attraverso il proprio account Twitter ha dichiarato che la Misión Milagro, è una meravigliosa creazione dell’Alleanza Bolivariana per i popoli della Nuestra América (ALBA). «La rivoluzione delle missioni socialista è che donano la vista a chi non la possiede e soprattutto amore per la vita a tutti. Viva la Rivoluzione!».

L’8 luglio del 2004, un gruppo di venezuelani fece un primo viaggio a Cuba per essere operati da specialisti in oftalmologia dell’isola. Da quel momento iniziò a prendere forma la Misión Milagro. Quasi un anno dopo, il 25 di agosto del 2005, Chávez e Castro firmarono il ‘Compromiso de Sandino’, che prevede l’assistenza solidale ai popoli d’America per promuovere lo sviluppo della regione.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

Fidel nel ’73: «USA dialogheranno con presidente afro e papa latino»

di Pedro Jorge Solans* – cubasindical.cu

Camminare per la calle Obispo nel cuore de La Habana Vecchia spinge a domandarsi: A chi sarebbe mai venuto in mente di affermare che un Papa latinoamericano avrebbe rotto il criminale accerchiamento economico più crudele della storia?

Fermarsi di fronte alla Bodeguita del Medio e guardare tutte le Cuba che si sono avute in un solo secolo, induce al raccoglimento. Alzai le spalle, e raccolsi con lo sguardo i vecchi edifici che un tempo furono le case di quelli che furono, di quelli che se ne andarono, ed oggi sono edifici erosi e occupati dalla migrazione interna. Gli orientali lasciarono i loro paesi per dirigersi alla città nei primi anni della rivoluzione. Li chiamano ‘palestinesi’, mi disse Cecilia Rodríguez, una habanera che fu testimone della mia sensazione.

Una conversazione telefonica di 45 minuti tra Barack Obama e Raúl Castro produsse il disgelo della lastra di ghiaccio più dannosa che ha sofferto un paese dell’America Latina. La riunione nel Vaticano fu decisiva, anche se i dialoghi si svilupparono in una prima tappa in Canada.

«Il ristabilimento delle relazioni tra gli USA e Cuba cambieranno sostanzialmente il commercio e la geopolitica delle Americhe e metteranno Francesco nelle condizioni di ricevere il Premio Nobel della Pace del 2015; è il fatto storico meno pensato del XXI secolo», osservò sorridente la mia anfitriona.

Prima di salutarci abbiamo preso un gelato da Coppelia nella piazza de “Las Palomas” e le lasciai come simbolo del nostro incontro uno scritto: Cuba, tan pacientemente sabia, tan dulcemente digna, tan armoniosamente viva.

Senza aspettare risposta me ne andai verso un altro appuntamento a pochi minuti da lì. Mi aspettava un taxi della flotta Cubataxi con Eduardo de la Torre al volante. Viaggiamo abbastanza fino a raggiungere Marta Rojas Rodríguez, la emblematica scrittrice e giornalista della rivoluzione, riconosciuta per le sue novelle ma più per il suo esempio rivoluzionario dai tempi della sua storica copertura giornalistica dell’assalto al Cuartel Moncada a Santiago de Cuba del 26 luglio del 1953.

Nel 1973, poco dopo essere ritornato da una visita in Vietnam, il comandante Fidel Castro non si sottrasse a una delle tante conferenze stampa internazionali che concedeva durante il suo mandato. La Guerra Fredda era davvero fredda, ed il giornalista Brian Davis di una agenzia stampa inglese gli chiese:

«Quando pensa che si potranno ristabilire le relazioni tra Cuba e gli USA, due paesi tanto lontani nonostante la vicinanza geografica?».

Fidel Castro lo guardò e gli rispose, per tutti quelli che erano lì nella sala:

«Gli USA verranno a dialogare con noi quando avranno un presidente afro e ci sarà nel mondo un Papa latinoamericano».

Alcuni giornalisti si nascosero dietro un ghigno ironico e altri, fra i quali Davis, si limitarono a moderati gesti di incredulità. La conferenza continuò come se la domanda di Davis fosse stata una stupidaggine. Interessava di più il Vietnam.

Eduardo de la Torre era uno studente a quell’epoca, e nel ristorante Sofia della avenida 23, nel mezzo de El Vedado de La Habana, ricordò quell’episodio come se stesse tenendo una lezione di eternità.

Sorprendentemente sull’Isola faceva freddo. Le basse temperature provenivano da una copiosa nevicata che soffrivano i vicini del nord. Eduardo non poteva credere che io andassi in giro senza el equipo de mate come ci immaginano in diversi luoghi del pianeta.

«Pensa! Nessuno credeva a ciò che disse il Comandante; ma puoi non credere al Comandante se è resuscitato più volte di Gesù Cristo?».

«Perché dici questo Eduardo?», lo rimbrottai, mostrando un mio ipotetico comportamento “cattolico” di chi manifesta eccessivi scrupoli morali.

«Sì, certo! Con tutto il rispetto per Gesù Cristo, guarda… Quante volte hanno ammazzato Fidel? Conta quante volte la stampa internazionale l’ha ucciso e ti renderai conto di tutte le volte che è resuscitato».

* giornalista, saggista e scrittore argentino.

Selezionato in Internet da Marta O. Carreras Rivery

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Ciro Brescia]

Fidel en 1973: “EEUU dialogará con un Presidente negro y un Papa latino”

obama-papa-franciscopor Pedro Jorge Solans – cubasindical.cu

Caminar por la calle Obispo en el corazón de La Habana Vieja incita a preguntarse: ¿A quién se le hubiera ocurrido pensar en los años 70 que un Papa latinoamericano abriría el cerco económico genocida más cruel de la historia? Detenerse frente a la Bodeguita del Medio y mirar todas las Cuba que hubo en tan sólo un siglo produce recogimiento. Moví los hombros, y recorrí con la vista los viejos edificios que alguna vez fueron mansiones de los que se fueron, y hoy son edificios roídos ocupados por la migración interna. Los orientales dejaron sus pueblos para volcarse a la ciudad en los primeros años de la revolución. Les dicen ‘palestinos’, me dijo Cecilia Rodríguez, una habanera que fue testigo de mi sensación.

Una conversación telefónica de 45 minutos entre Barack Obama y Raúl Castro produjo el deshielo del témpano más dañino que sufrió un país de América Latina. La reunión en el Vaticano fue decisiva, aunque las conversaciones se desarrollaron en su primera etapa en Canadá.

“El restablecimiento de las relaciones entre Estados Unidos y Cuba cambiará sustancialmente el comercio y la geopolítica de las Américas y pondrá a Francisco en condiciones para recibir el Premio Nobel de la Paz 2015. Es el hecho histórico menos pensado del Siglo XXI”, señaló sonriente mi anfitriona.

Antes de despedirnos tomamos un helado Coppelia en la plaza de “Las Palomas” y le di como símbolo de nuestro encuentro un escrito: “Cuba, tan pacientemente sabia, tan dulcemente digna, tan armoniosamente viva”.

Sin esperar respuesta salí hacia otro encuentro a pocos minutos de allí. Me esperaba un taxi de la flota Cubataxi con Eduardo de la Torre en el volante. Anduvimos bastante hasta dar con Marta Rojas Rodríguez, la escritora y periodista emblemática de la revolución, reconocida por sus novelas pero más por ser ejemplo revolucionario desde su histórica cobertura periodística del asalto al Cuartel Moncada en Santiago de Cuba realizada el 26 de julio de 1953.

En 1973, apenas regresó de una visita por Vietnam, el comandante Fidel Castro se sometía a una de las tantas rondas de prensa internacional que diera durante su mandato. La Guerra Fría estaba bien fría, y el periodista Brian Davis de una agencia inglesa le preguntó:

-¿Cuándo cree usted que se podrá restablecer las relaciones entre Cuba y Estados Unidos, dos países tan lejanos a pesar de la cercanía geográfica?

Fidel Castro lo miró fijo y respondió para todos los que estaban en la sala:

-Estados Unidos vendrá a dialogar con nosotros cuando tenga un presidente negro y haya en el mundo un Papa latinoamericano.

Algunos periodistas se escondieron detrás de una mueca irónica y otros, entre quienes estaba Davis, hicieron moderados gestos incrédulos. La conferencia siguió como si la pregunta de Davis hubiera sido una estupidez. Interesaba más Vietnam.

Eduardo de la Torre era estudiante en aquella época, y en el restaurante Sofía ubicado en la avenida 23, en pleno barrio El Vedado de La Habana, recordó aquel episodio como si estuviera dando una cátedra de eternidad.

Asombrosamente estaba frío en toda la Isla. Las bajas temperaturas venían de las copiosas nevadas que sufrían los vecinos del norte. Eduardo no podía creer que yo anduviera sin equipo de mate como nos caracterizan en varios sitios del planeta.

-Fíjate tú chico, nadie le creía al Comandante; pero cómo no creerle al Comandante que resucitó más veces que Jesucristo.

-¿Cómo decís eso Eduardo?, le reproché, haciendo alarde de mi supuesta pacatería “católica”.

-Sí, pues sí, con todo respeto por Jesucristo, porque oye chico, ¿cuántas veces mataron a Fidel? Cuente en la prensa internacional cuántas veces lo mataron y te darás cuenta tú de cuántas veces resucitó.

(Título original: “Cuba atraviesa tiempos de cambio”.)

*Periodista, narrador y ensayista argentino.

Selección en Internet: Marta O. Carreras Rivery

Fidel nell’85: «Il debito estero è un meccanismo di estorsione»

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Nel 1985 il Comandante della Rivoluzione Cubana, Fidel Castro, affermava che se i governi non avessero agito in maniera congiunta, attaccando il problema alla radice, il debito estero che le nazioni latinoamericane avevano contratto con gli istituti finanziari nordamericani, si sarebbe convertito in un’ipoteca eterna, insostenibile e impagabile.

«Noi diciamo: è impagabile. Non può essere pagato per ragioni matematiche, economiche. Noi diciamo anche: è impossibile politicamente. I governi non sono nelle condizioni, in nessun paese dell’America Latina, di applicare queste misure (dall’alto costo sociale) del Fondo Monetario Internazionale», queste le parole pronunciate da Fidel Castro in occasione dell’incontro sul debito estero dell’America Latina e dei Caraibi, che ebbe luogo il 5 agosto del 1985 a L’Avana.

Il Comandante cubano definì il debito estero un cancro «che si moltiplica, invade l’organismo e lo uccide; che richiede un’operazione chirurgica».

«L’imperialismo ha creato questa malattia, l’imperialismo ha creato questo cancro che dev’essere estirpato chirurgicamente, totalmente. Non vedo altra soluzione», spiegò nel suo discorso.

Per Castro la soluzione a questo male non risiede solo nell’abolizione o nella cancellazione del debito, ma necessita dell’unione dei popoli in via di sviluppo, per poter far fronte all’imperialismo e ai suoi intenti di dominio e sfruttamento.

«Noi proponiamo due cose correlate: l’abolizione del debito e la creazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale».

«È importante essere consapevoli – ha poi spiegato Fidel – che questa non è una lotta solo dell’America Latina, ma di tutto il Terzo Mondo. Abbiamo gli stessi problemi, ma l’America Latina può guidare questa lotta. Perché ha sviluppo sociale, più sviluppo politico; una migliore struttura sociale, milioni di intellettuali, professionisti, decine di milioni di operai, contadini, un alto livello di preparazione politica».

Trent’anni dopo questo discorso, l’America Latina e i Caraibi hanno unito i loro sforzi per promuovere l’unione tra i popoli, e possono fare affidamento su meccanismi d’integrazione e cooperazione, come l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nuestra America (ALBA), l’alleanza energetica Petrocaribe, che permettono di accrescere lo sviluppo sociale, politico, economico e culturale della regione.

Cooperazione che contrasta con la situazione in cui versa il continente europeo, dove le nazioni che compogono la Zona Euro, hanno imposto alla Grecia una serie di riforme del lavoro e delle pensioni, così come privatizzazioni per oltre 50 miliardi di euro, come condizione per un nuovo salvataggio della sua economia.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

La guerra del rum

resizedi Fabrizio Verde – lantidiplomatico.it

Cuba ha ancora una volta denunciato, a livello internazionale, le illegalità negli Stati Uniti sulla vendita del rum Havana Club, visto che con questa marca viene commercializzato – da Bacardi – in maniera illegale un rum di origine non cubana.

La protesta cubana, presentata dall’ambasciatrice presso le Nazioni Unite Anayansi Rodriguez, ha ricevuto l’appoggio di numerosi paesi tra cui Angola, Argentina, Bolivia, Brasile, Cina, Ecuador, El Salvador, India, Giamaica, Messico, Nicaragua, Perù, Repubblica Dominicana, Russia, Venezuela, Vietnam e Zimbabwe.

Probabilmente in pochi sono a conoscenza che dietro a una bevanda apprezzata e molto consumata anche in Italia come il rum, sia in corso una vera e propria ‘guerra’, condotta senza esclusione di colpi. Una battaglia che è parte integrante dell’incessante attività anti-cubana condotta globalmente dagli Stati Uniti d’America.

Sin dalla sua nascita, quando i ‘barbudos’ guidati da Fidel Castro ed Ernesto ‘Che’ Guevara rovesciarono il regime di Batista instaurando il nuovo governo rivoluzionario che nazionalizzò banche, ferrovie e imprese in mano agli Usa. Cuba, ha rappresentato, ed è tuttora una spina nel fianco per l’impero yankee. Un lembo della resistenza alla tracotanza imperialista, la prova vivida e pulsante che un altro mondo è possibile. Un’esortazione per il resto del mondo a valicare il limite dell’esistente.

Bene, adesso qualcuno si chiederà: ma cosa c’entra il rum in questa storia? C’entra eccome, visto che già all’indomani della rivoluzione l’azienda Bacardi – fondata a Santiago de Cuba nel 1862 e in seguito alla vittoria della Rivoluzione trasferita in Portorico – si è schierata al fianco dei vari governi statunitensi contro Cuba e il suo concorrente diretto Havana Club: celebre rum prodotto dalla Havana Club International SA, joint venture tra l’azienda di stato CubanaExport e la francese Pernod Ricard.

I metodi utilizzati sono stati tutt’altro che incruenti: Bacardi ha infatti finanziato gran parte del terrorismo che ha insanguinato Cuba, come è ben documentato nel libro «Cuba: la guerra occulta del ron Bacardi» di Hernando Calvo Ospina edito dalle Edizioni Achab. Il fondatore di Bacardi Pepin Bosch ha promosso e foraggiato sin dai primi anni 60′ la Rece (Rappresentanza Cubana dell’esilio) il cui comandante militare era un ex ufficiale dell’esercito di Batista ingaggiato dalla Cia, vice comandante nella famosa spedizione, fallita, della Baia dei Porci.

La Rece, che fu finanziata dal patron di Bacardi con ben 10000 dollari al mese, aveva l’obiettivo di spargere il terrore sull’isola: anche e soprattutto attraverso lo spargimento di sangue. Secondo un documento desecretato nel 1998 negli Stati Uniti, vi era un progetto per assassinare Fidel Castro e Che Guevara nel 1964, attraverso l’utilizzo di elementi della mafia statunitense. Finanziato sempre da Pepin Bosch.

Tra gli uomini di punta dell’organizzazione vi era il noto terrorista Luis Posada Carriles, arrestato nel 2000 a Panama mentre preparava un attentato a Fidel Castro. Lo stesso coinvolto nello scandalo Iran-Contras, coinvolto negli anni 90′ in una serie di attentati contro ristoranti ed hotel cubani al fine di stroncarne l’industria turistica. In uno di questi, siamo nel settembre del 1997, perse la vita il turista italiano Fabio Di Celmo.

Azione impunemente rivendicata dal terrorista Carriles – agente della Cia – che in un’intervista ebbe a dichiarare che l’italiano «si trovava nel posto sbagliato, al momento sbagliato». Attualmente Luis Posada Carriles passa una vecchiaia dorata, protetto negli Stati Uniti, e nessun governo italiano ha mai richiesto la sua’estradizione. La campagna bombarola fu apertamente rivendicata e appoggiata dalla FNCA (Fondazione Nazionale Cubano-Americana) nata su impulso dell’amministrazione Reagan nei primi anni 80′ e che vedeva ai suoi vertici azionisti di Bacardi, con lo scopo principale di ripulire la compromessa immagine dei controrivoluzionari invischiati negli attentati terroristici e nel traffico di droga.

Come abbiamo visto, questa storia, raccontata solo in minima parte, partita dal rum è terminata nel sangue. Epilogo tristemente comune quando in ballo vi sono gli interessi dell’impero.

Cabello ha incontrato Fidel Castro a Cuba

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Il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Diosdado Cabello, ha incontrato a Cuba il Comandante Fidel Castro.

Attraverso il suo account ufficiale sul social network Twitter @DCabellor ha scritto: «Cari compatrioti, ieri sono stato a Cuba, ho avuto l’onore di incontrare Fidel e Raúl, rivoluzionari che con il loro esempio ci ispirano».

Egli ha inoltre evidenziato gli anni di lotta e dignità di un popolo con i loro capi schierati in prima linea, e portato il saluto del leader rivoluzionario a tutti i venezuelani e le venezuelane.

In un altro tweet, il Presidente dell’Assemblea Nazionale ha dichiarato di aver anche incontrato il presidente dell’isola, Raúl Castro: «Con il Generale d’Esercito Raúl, siamo riuniti per discutere di alcune attività in sospeso, ascoltando un valoroso guerriero».

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Il primo vicepresidente del Partito Unito Socialista del Venezuela ha infine spiegato di essersi recato a Cuba con degli obiettivi specifici concordati insieme al Presidente Maduro.

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[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Fabrizio Verde]

(VIDEO) Morales: «Non accetteremo di essere i guardiani del Nord»

da lantidiplomatico.it

In un’intervista esclusiva a RT, Morales attacca i tentativi Usa di dividere l’unità latina e accusa alcuni politici europei di incitare colpi di stato dell’estrema destra

Evo Morales, presidente della Bolivia, ha rilasciato un’intervista esclusiva a RT da Bruxelles dove è in corso il vertice tra l’Ue e la Celac.

Nel corso dell’intervista, Evo Morales ha criticato i tentativi degli Stati Uniti di dividere l’unità dell’America Latina e ha raccomandato i paesi europei di restare politicamente liberi degli Stati Uniti ed economicamente dalle catene del FMI. E poi una frecciatina sull’immigrazione: «Ci sono molti più europei in America Latina che latinoamericani in Europa, eppure non abbiamo mai pensato di espellerli».

Il presidente boliviano ha precisato che negli Stati Uniti è ampiamente usata la tattica di lanciare accuse infondate per cercare di dividere e dominare i governi dell’America Latina, oltre ad utilizzare alcuni politici europei per incitare colpi di stato da parte di politici dell’estrema destra nel continente. E’ notizia di ieri, non a caso, che il presidente del Venezuela Maduro ha chiesto spiegazioni formali alla Colombia dopo che l’ex premier spagnolo Gonzales ha lasciato senza avviso il paese con un aereo di stato colombiano, dopo aver incitato molto probabilmente l’estrema destra del paese ad un nuovo tentativo di colpo di stato. 

Nel proseguo della sua intervista, Morales ha sostenuto che gli Stati Uniti sono impegnati a “fermare la grande rivoluzione latino-americana”, con la costruzione di nuove basi militari. «Noi che viviamo al sud non accetteremo mai di essere i guardaparchi del Nord», ha dichiarato.

«I tentativi degli Stati Uniti sono ora volti a dividere i paesi UNASUR dell’Alleanza del Pacifico. L’Alleanza del Pacifico vuole privatizzare di nuovo i servizi di base e parla di nuovo di libero mercato. Dopo aver fallito nell’imporre questi principi al processo di integrazione dell’America Latina, ora prova a dividerci», prosegue il presidente della Bolivia, sottolineando che la cosa più importante è che «il sogno di Fidel Castro, Hugo Chavez e Nestor Kirchner, la CELAC, si consolida. É una nuova organizzazione degli stati americani senza gli Stati Uniti ed è la testimonianza più importante che la l’America Latina è oggi una regione di pace, ma con la giustizia sociale», ha sottolineato il presidente. 

Per quanto riguarda l’attuale posizione dell’Occidente nei confronti della Russia nella crisi ucraina, il presidente Morales ha affermato che «la nuova politica anti-russa degli Stati Uniti” viene effettuata “con espansione militare» e «l’ingerenza da parte di alcuni paesi europei».

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Gesta emancipatrici per l’integrazione latinoamericana/1

di fidelchavezSalim Lamrani* – CubaInformazione

Uno sguardo alla “Nostra America”, la “Seconda Dichiarazione dell’Avana” e la “Dichiarazione dell’ALBA” (1/2)

In occasione del Decimo anniversario della fondazione dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America avvenuta nel 2004 e a 120 anni dalla caduta in combattimento di José Martí, è necessario analizzare attentamente tre testi fondamentali per l’integrazione latinoamericana.

 

Introduzione

 

I tre documenti, “Nostra America”, la “Seconda Dichiarazione dell’Avana” e la “Dichiarazione dell’ALBA”, rappresentano, invero, una sfida per realizzare l’integrazione latinoamericana in un contesto geopolitico dominato dall’oscura ombra egemonica degli Stati Uniti e che riflettono un prospettiva storica di quella che è stata l’epopea emancipatrice dei paesi del Nuovo Mondo dal XIX secolo fino al XXI. “Nostra America”, testo redatto nel 1891 da José Martí, Apostolo ed Eroe nazionale di Cuba, creatore del progetto di integrazione, costituisce quella preziosa cristalleria storica e ideologica atta per ottenere l’unità delle nazioni latinoamericane.  “La Seconda Dichiarazione dell’Avana”, proclamazione pubblicata nel 1962 dopo il trionfo della Rivoluzione Cubana e come risposta sovrana dinanzi alla decisione delle Organizzazioni degli Stati Americani – sottomessi al potere statunitense – di rompere le relazioni diplomatiche con l’Avana, rivendica il progetto martiano e segnala come principale nemico dell’indipendenza e della sovranità del continente: il potere imperialista di Washington. Attraverso l’Alternativa Bolivariana per le Americhe del 2004, si pone in essere il sogno bolivariano e martiano verso l’integrazione continentale, con l’accordo tra Cuba e Venezuela, per una cooperazione strategica che – poi – si estenderà, di fatto, ad altre nazioni della Patria Grande; seppellendo, così, il progetto dell’ALCA portato avanti da quel “Nord farraginoso e brutale”.

“Nostra America”, testo primordiale che occupa uno spazio privilegiato nella storia del pensiero latinoamericano, riflette un sentimento di emancipazione. In siffatta esortazione all’unione necessaria, José Martí, precursore della lotta antimperialista, afferma che la federazione dei popoli latinoamericani – che gira intorno ai valori e agli interessi comuni –  è l’unica strada verso la redenzione contro il “gigante dalle sette leghe”, che aspira a dominare il continente. Questo frammento – che riflette al meglio il pensiero martiano – rappresenta un’esortazione a serrare le file per impedire che gli Stati Uniti si impossessino delle ricchezze dell’America Latina, con lo scopo di ampliare la propria politica espansionista, così devastante per i popoli ispano-americani. In questo appello alla presa di coscienza e ad abbracciare la lotta, il Maestro privilegia la forza delle idee giuste e generose, le cosiddette “armi del giudizio”, giacché come egli ebbe a dire: “Trincee di idee valgono di più che le trincee di pietra”.

 

L’estratto della “Seconda Dichiarazione dell’Avana” è senza dubbio il testo più trascendentale della storia politica del continente, a partire dalla pubblicazione di “Nostra America”. Ispirato direttamente nell’idearlo martiano, di forti tendenze socialiste, siffatto documento esorta a tessere lacci indissolubili tra gli eterogenei membri della famiglia latinoamericana che ha come denominatore comune – beninteso – l’aspirazione ad ottenere la Seconda e (definitiva, NDT) indipendenza, passo verso quella che deve essere – finanche – l’emancipazione dal tallone imperialista statunitense. La marcia unita, di tutti i segmenti sociali, è una necessità storica e vitale per poter innalzare questa seconda battaglia comune contro l’oppressore del Nord, che rappresenta il principale ostacolo all’edificazione della Patria di Bolivar. Sicché, questo scritto costituisce un’appello a non lasciarsi sottomettere e a rafforzare la ribellione di tutte le nazioni contro un potere egemonico che ha come extrema ratio di annichilire le aspirazioni di libertà, eguaglianza e giustizia sociale degli umili e dei “poveri della terra” americana. 

 

La “Dichiarazione Congiunta”, testo politico firmato dai presidenti Hugo Chavez (Repubblica Bolivariana del Venezuela) e da Fidel Castro (Repubblica socialista di Cuba) nel 2004, traccia la base indissolubile dell’attuale Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America. Questa coalizione integratrice nasce come opposizione alle ambizioni di Washington (e nella fattispecie dall’allora presidente USA, George W. Bush) che vorrebbe trasformare l’Emisfero Occidentale in una zona di libero commercio neo-liberale, e che – a sua volta – aprirebbe la strada alla sottomissione e dipendenza delle nazioni latinoamericane alla Casa Bianca. Il capitale trasnazionale domina le economie regionali e le relazioni tra il Nord e il Sud; là dove a imperare è la legge del più forte. Elaborata inizialmente come alternativa, l’ALBA è la risposta di quei due paesi che oggi rappresentano il più alto livello di potere popolare all’interno dello scacchiere politico e ideologico latinoamericano dinnanzi ai tentativi egemonici da parte del Nord. Essi, infatti, prediligono basare le relazioni nella reciprocità, nella solidarietà, nella non ingerenza nelle questioni interne e nel rispetto mutuo. Anche l’essere umano ha un ruolo importante, essendo al centro del progetto di società che si vuole costruire, dando così forza al sogno bolivariano e martiano di emancipazione sociale.

 

In che senso questi tre testi fondamentali, scritti – oltretutto – in tre secoli differenti, rivendicano la salvaguardia dell’indipendenza e dell’identità latinoamericane? perché vengono considerati come la base della Resistenza storica al potere egemonico degli Stati Uniti nel continente?

 

Sono tre gli aspetti fondamentali che rappresentano i testi quivi menzionati, e che rappresentano – finanche – l’argilla fondamentale dei differenti processi di integrazione e Resistenza agli interessi imperialisti degli Stati Uniti del Nord America. Primo, sebbene siano stati scritti in tre distinti periodi storici, tutti e tre segnalano uno stesso nemico comune, vale a dire quel “vicino formidabile” che disprezza e ignora ai popoli del Sud, o come direbbe José Martí, prendendo spunto dal testo della Seconda Dichiarazione dell’Avana –  “al capitale monopolista yankee”, o a quel Nord che non nasconde i “suoi appetiti di dominio sulla regione”, che si evince nella Dichiarazione dell’ALBA. Orbene, l’unione di tutte le forze patriottiche del continente è la premessa per l’edificazione di una politica di Resistenza alla struttura egemonica che vuole seppellire i popoli latini attraverso la sottomissione e la schiavitù. 

Pertanto, è necessario creare la federazione continentale, “La solidarietà più amplia possibile tra i popoli dell’America Latina e dei Caraibi”, dal momento che “è l’ora di serrare le file e di marciare uniti”, in quella che è questa “famiglia di 200 milioni di fratelli”. Insomma, l’obiettivo comune è di edificare la Patria Grande di tutti, dove “il meglio dell’uomo” prevalga nel cammino verso “un destino migliore comune” basato nella “cooperazione, la solidarietà e la volontà comune di avanzare tutti assieme verso i livelli più alti di sviluppo”. 

 

  • Un nemico comune: il potere imperialista ed egemonico yankee

 

Fin dalla fondazione delle Tredici colonie e l’inizio del processo espansionista, gli Stati Uniti si sono contraddistinti come la principale minaccia per quelle giovani nazioni latinoamericane di allora. La dottrina del “Destino Manifesto”, che istituzionalizzava la conquista di tutto il continente era presentata come la missione divina del “popolo imprenditore e rampante”, ebbe conseguenze devastanti per il Messico, che perse più della metà del suo territorio durante la guerra del 1846-48. Martí, visionario e uomo dei suoi tempi, interpretò con immensa lucidità il pericolo rappresentato da “i giganti che portano con se le sette leghe negli stivali” e che dedicò tutta la sua vita ad allertare i suoi compatrioti latinoamericani sulle mire egemoniche del potere imperialista del Nord. Ardente difensore della sovranità e dell’identità latinoamericana, il cubano, dotato di una forza spirituale impressionante, fu capace, inoltre, di moltiplicare i propri sforzi per ottenere l’indipendenza totale della sua terra natale, ostacolata da Washington fin dai principi del XIX secolo, per via della sua posizione geo-strategica e per le sue risorse naturali. In “Nostra America”, testo che ispira le gesta epiche del combattimento è anche uno stimolo alla Resistenza. L’Apostolo ricorda, infatti, che la lotta per l’indipendenza e la sovranità è un combattimento che si riflette in ogni istante della vita, con il fine di evitare di essere colonizzati dal potere che vuole opprimerci. “La piovra” solo attende il momento giusto per scagliarsi “con la sua forza che la contraddistingue” su quelle giovani repubbliche ispano-americane. Martí denunciava, altresì, coloro che aprivano “le porte allo straniero”, alludendo alle élite corrotte e putrefatte che pullulano nel continente e che non ci pensano un istante a firmare un patto con il diavolo del Nord, a consegnare l’economia nazionale e le risorse naturali, anteponendo, così, il proprio egoismo all’interesse della propria Patria. L’indipendenza dell’America Latina è pertanto minacciata dal disprezzo del vicino del Nord che – per via della sua avidità e della sua “tradizione di conquista”, si ostina a non volerla riconoscere.

 

La Seconda Dichiarazione dell’Avana si inserisce nella continuità di “Nostra America” e denuncia “lo stesso nemico” che segnalava lo stesso Martí. Dopo aver ottenuto l’indipendenza, all’indomani di una lunga lotta contro l’impero spagnolo che durò quasi un secolo e che costò non pochi sacrifici, l’America Latina si trova costretta a intraprendere una battaglia senza quartiere contro il potere statunitense, che non ha rinunziato a dominare il continente. Il luogo eletto per rendere pubblico siffatta proclamazione è nientemeno che la capitale di Cuba e questo rappresenta senza dubbio un gesto simbolico, dato che l’Isola di Cuba rappresenta senz’altro la lotta dei popoli del Sud contro tutti i demoni. In effetti, trent’anni di lotta tra 1868 e il 1898, durante la guerra di indipendenza che fu, inoltre, la più lunga e cruenta di tutto il continente, Cuba ha visto i suoi sogni di emancipazione frustrati per via dell’intervento imperialista degli Stati Uniti, che trasformarono la Patria di Martí in un volgare protettorato e in una repubblica neocoloniale. 

Dopo sessant’anni di dominio statunitense, del 1898 al 1958, il popolo cubano realizzava – finalmente – il suo sogno di una Patria libera e sovrana grazie al trionfo della Rivoluzione capeggiata da Fidel Castro il Primo gennaio 1959. Fin da subito, però, l’isola dovette fronteggiare l’ostilità del vicino imperialista che non accettava la realtà di una Cuba sovrana, nonché la perdita di ciò che costoro definivano come la propria “frutta matura”. La Seconda Dichiarazione dell’Avana afferma solennemente che la lotta contro l’imperialismo yankee è un combattimento di tutta l’umanità e di tutti i popolo, in particolare dei più umili, “dei popoli ancestrali”, “dei contadini senza terra”, degli “operai espropriati”, ma anche delle “masse progressiste”, degli “intellettuali onesti e brillanti”. In altri termini, l’America Latina deve diventare l’esempio della Resistenza contro quel “Nord farraginoso e brutale” che tutt’oggi la disprezza. 

 

La fondazione dell’ALBA è, quindi, una risposta all’ALCA, progetto di dominio economico elaborato da Washington per infiltrarsi nelle economie latinoamericane e dirigerle a favore degli interessi delle transnazionali statunitensi. L’ALCA è la continuazione dell’ALENA, zona di libero scambio che include i territori del Canada, Stati Uniti e Messico, creata nel 1994, e che ha devastato l’industria e l’agricoltura messicana, impossibilitate – quest’ultime – nel competere con i prodotti che giungono dal vicino Nord. Onde evitare un’approfondimento del neoliberalismo promosso dal presidente Bush, e che avrebbe gettato l’intera America Latina in una “dipendenza e subordinazione senza precedenti”, nacque un’alternativa elaborata da Fidel Castro e Hugo Chavez. Entrambi questi grandi statisti, che rivendicavano il progetto politico di Bolivar e Martí e che avevano beninteso gli interessi inconciliabili delle due Americhe e che “chi dice unione economica dice unione politica”, interpretarono l’ALCA come una delle differenti manovre di Washington per impossessarsi delle ricchezze del continente. L’ALCA ha come obiettivo di impedire l’indipendenza economica dei paesi del Sud e di rafforzare la dipendenza dei prodotti e finanziamenti del Nord, come si evince nel caso del debito estero. 

Prima di proporre un modelle differente per la Patria Grande, l’ALBA si presenta – innanzitutto – come un bastione della Resistenza agli appetiti del gigante del Nord, che vorrebbe proseguire il saccheggio del continente e mantenerlo sotto controllo, ragione per cui rifiuta “con fermezza il contenuto e i propositi dell’ALCA”. Per porre fine con la “povertà”, con la “disperazione dei settori maggioritari” delle popolazioni latinoamericane, con la “snazionalizzazione delle economie regionali” e con la “sottomissione assoluta ai dettami stranieri” nacque – infine – l’ALBA.

 

Ciò detto, per poter resistere al “Nord farraginoso e brutale” e al suo potere egemonico, atto ad impossessarsi dell’intero continente, è importante rafforzare l’unione della famiglia americana che è accomunata dalle stesse aspirazioni, verso un destino migliore e che suddetti documenti riflettono. 

 

Continua: “Le gesta emancipatrici verso l’integrazione dell’America Latina” (2/2)

 * Dottore in Studi iberici e latinoamericani dell’Università di Parigi La Sorbona – Parigi IV, Salim Lamrari è professore titolare dell’Università de la Reuniòn e giornalista, specialista delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Il suo ultimo libro si intitola The Economic War Against Cuba. A Historical and Legal Perspective on the U.S. Blockade, New York, Monthly Review Press, 2013, con un prologo di Wayne S. Smith e una prefazione di Paul Estrade. 

[Trad. dal castigliano per CubaInformazione di Alessandro Pagani]

Guerrero: «Dobbiamo appoggiare la rivoluzione in Venezuela»

resize-1di Marinella Correggia – lantidiplomatico.it

Uno dei cinque eroi cubani sui rapporti con gli Usa: «Non siamo ciechi. I giovani cubani conoscono il mostro e non c’è pericolo di invasione. Siamo preparati»

«Come diceva il nostro eroe rivoluzionario José Martí: “Un principio giusto, in fondo a una grotta, è più forte di un esercito”; e per un periodo le nostre celle, negli Stati Uniti, erano in pratica dei buchi. Ma noi siamo sempre stati determinati, mai deboli. Anche quando abbiamo pensato che forse saremmo morti in prigione. Non potevamo tradire un popolo che ha resistito a tutte le aggressioni.». Antonio Guerrero, uno dei cinque eroi cubani («los 5»), ingegnere, poeta e pittore, ha raccontato a Roma fra gli applausi la sua lunga prigionia, sulla base di una sentenza di condanna per spionaggio oltremodo ingiusta: i cinque agenti cercavano solo di proteggere Cuba dalle attività terroristiche statunitensi che hanno costellato la storia dei due paesi.

Già, la storia: Antonio, che ha ripetuto di rappresentare i cinque ma di voler essere considerato uno degli undici milioni di cubani, ha spiegato: «la storia del mio paese è piena di eventi importanti, forse quella di noi cinque non è così grande come quella dei nostri medici che in Sierra Leone hanno lottato contro l’Ebola», precisando: «uno di loro mi ha raccontato che i dottori degli altri paesi lasciavano ai cubani le situazioni e i casi più difficili». Del resto «anni fa il presidente nordamericano Barack Obama disse che le decine di migliaia di medici cubani che salvavano vite nelle situazioni più disperate erano fra le carte vincenti di Cuba e perdenti per gli Usa». Tanto che «a soli 90 chilometri dall’impero che minaccia di portare il mondo alla catastrofe, la rivoluzione continua, Cuba resiste e continua a scrivere pagine importanti. E questo dimostra che un mondo migliore è possibile».

La vicenda de «los 5» è servita a sensibilizzare molto le persone. Ma ad esempio gli statunitensi hanno potuto sapere qualcosa dei cinque solo quando loro sostenitori di diversi paesi hanno comprato una pagina a pagamento sul New York Times. Ma questo non basta: «Il popolo statunitense – e non solo – vive disinformato, vive in un altro mondo. E’ che i grandi media, e le teste “pensanti” in molti posti del mondo cercano, nel loro interesse, di far sì che l’essere umano sia egoista. Ma ancora una volta, ricordiamo José Martí: “La vera persona non guarda a dove si vive meglio ma a dove si trova il proprio dovere”; ecco una delle grandi battaglie dell’umanità. Il nostro eroe diceva anche: “La morte non è vera, quando abbiamo compiuto bene l’opera della vita».

Antonio Guerrero, ringraziando chi ha agito per la liberazione dei cinque agenti antiterroristi («la prima manifestazione di solidarietà pubblica la avemmo al ritorno in cella, dopo la terribile sentenza; tutti i detenuti applaudivano e ci incoraggiavano»), ha esortato i sostenitori di Cuba ad agire per il cambiamento anche a casa propria: «Se vedete Cuba come un piccolo faro che fa la differenza nel mondo, ognuno di voi dovrebbe avere il desiderio che il paese nel quale vive sia diverso. La lotta non può essere in una sola direzione. Noi abbiamo poche risorse, voi ne avete molte di più. Ma la porta della speranza è aperta».

Antonio Guerrero ha parlato del presente e del futuro dei cinque nel contesto della Cuba di adesso. «Non so che cosa faremo, l’importante è fare le cose con amore e per il bene di tutti. C’è tanto da fare, non riesco a immaginare come ci siano persone che la mattina si svegliano e non pensano a questo! E sempre per citare Martí: “Dimentica quel che hai fatto, concentrati su quello che devi ancora fare”. E anche “il miglior modo per dire è fare”…ma certo per adesso noi parliamo tanto, dappertutto, fino a quando daremo conferenze?…»

L’attualità è certo piena di dubbi, apparentemente confusa. «Adesso i media occidentali parlano – male – più del Venezuela che di Cuba. Dobbiamo appoggiare la rivoluzione in Venezuela, e studiare il pensiero di Hugo Chávez». Sull’avvicinamento agli Stati uniti, e sugli eventuali pericoli, rispondendo a una domanda dal pubblico Guerrero è stato chiaro: «Il capitalismo non è la soluzione per i problemi di questo mondo. Noi diciamo che così come finirono gli altri imperi, forse un giorno finirà questo incubo, ma fino a quel momento non sarà possibile una politica totalmente onesta e giusta con Cuba e con gli altri paesi. Per sostenere lo stile di vita degli Stati uniti, questi hanno bisogno per forza di dominare altri paesi. In precedenza, abbiamo visto quello che facevano a Cuba, adesso i meccanismi sono altri. Gli Usa avevano visto che stavano perdendo opportunità. Adesso cercano di inserirsi nella nuova apertura. E secondo me lo stanno facendo con un calcolo ben preciso». Del resto, lo hanno anche dichiarato, sia Obama sia la Clinton per la quale «nonostante le buone intenzioni, la nostra politica di decenni di isolamento ha solo rafforzato la presa del regime di Castro sul potere».

Ma, ha continuato Antonio Guerrero, «noi cubani non siamo ciechi. Magari qualcuno pensa che i giovani cubani abbiano meno coscienza, meno senso storico. Ma questo vale anche per la gioventù italiana» (avremmo voluto dire ad Antonio: “mille volte di più”), «i tempi sono cambiati, ma io ho incontrato varie volte i giovani cubani e posso dirlo: le giovani generazioni hanno passato a Cuba momenti economici molto difficili – durante il periodo especial – ma continuano a difendere la rivoluzione. Hanno la responsabilità di succedere alla generazione storica della rivoluzione, e saranno loro a difendere il futuro di Cuba. Sono sicuro che loro conoscono il mostro. Siamo preparati. E adesso i nostri giovani sono anche in Nepal ad aiutare le vittime del terremoto. Questa è la gioventù cubana».

Tuttavia, gli abbiamo chiesto per L’AntiDiplomatico e per Radio Habana Cuba, malgrado la tenuta politica e morale dei cubani, non si profila il pericolo di una invasione del consumismo, la seguito di milioni di turisti statunitensi e degli altri aspetti dell’acercamento (avvicinamento) che sta sostituendo il bloqueo? Non sarà il consumismo a sconfiggere gli ideali della rivoluzione martiana, che in questo mondo è anche abbastanza marziana? Antonio, dopo tanti anni di assenza, come ha trovato Cuba? La sua risposta: «in 24 anni il mondo è cambiato. Cuba anche. Il consumismo non c’è a Cuba. Noi abbiamo la sfida di soddisfare i bisogni delle persone, non ha niente a che vedere con il consumismo. Basta stare a Cuba e confrontarla con altri paesi. Dobbiamo dare di più al popolo. Produrre di più. Eliminare la doppia moneta. Nel mondo di oggi nessuno sfugge alla povertà. E chi ha consumismo ha più problemi, ci sono più differenze. Hanno di tutto, incentivano la gente a comprare e la gente si sente sempre più frustrata. Noi cerchiamo di lavorare per migliorare il livello di vita delle persone, dopo il periodo especial. A Cuba non c’è consumismo. Ci sono più possibilità, di mangiare e di altro. E vogliamo che arrivi a tutti. Questo è quel che percepisco, dopo 24 anni di assenza». Quindi nessun pericolo di invasione? «Nessun pericolo, nessun pericolo. No hay peligro. No hay peligro. No hay peligro».

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