FPLP: le elezioni riflettono razzismo e fascismo del sionismo

da http://pflp.ps/

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha dichiarato che i risultati delle elezioni israeliane riflettono semplicemente la natura e la struttura razzista e fascista della società sionista che ha prodotto questi risultati e ha eletto il partito Likud e i suoi alleati di destra, che si sono impegnati in tutta la campagna elettorale in più attacchi estremi contro i palestinesi alle nostre persone ed ai nostri diritti.

La palese crescita dell’estremismo e dell razzismo nella società sionista e il clima di fascismo è alimentato solo dal fallimento della burocrazia palestinese e araba per affrontare lo stato di occupazione, così come le potenze imperialiste internazionali che forniscono copertura ai suoi crimini e alle sue violazioni lampanti del diritto internazionale, preservandfo la sua immunità e impunità dalle responsabilità o dalle azioni penali.

Il Fronte sottolinea che affrontare l’estremismo sionista e rispondere a queste elezioni richiede una politica palestinese chiara e decisa che metta da parte le illusioni e l’affidamento a trattative inutili, costruendo, invece, una strategia nazionale unitaria per affrontare il nemico e lottare per i pieni diritti delle persone, sulla base della nostra percorso strategico di resistenza per costruire i nostri successi.

Il Fronte chiede l’immediata attuazione delle risoluzioni del Consiglio centrale palestinese passate nella sua ultima sessione, per disattivare  lo stato di occupazione e i suoi funzionari, prima di tutto, mettendo fine al coordinamento della sicurezza e rifiutando la strada degli accordi di Oslo, che sono stati distruttivi per il popolo palestinese, ponendo fine alla divisione interna palestinese attraverso un serio progetto di unità nazionale sulla base di un programma unitario e di ricostruzione dell’OLP attraverso elezioni, istituzioni democratiche che abbraccino tutte le forze palestinesi, e così facendo fino a cercare il perseguimento dei capi dell’entità sionista alla Corte penale internazionale.

[Trad. dall’inglese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Una proposta democratica e antifascista per l’Ucraina

Conferenza internazionale, il 12 Marzo, a Napoli

di Gianmarco Pisa

La recente, e tuttora in corso, crisi ucraina può costituire un “caso di studio” singolare, sul modo come, nell’epoca della comunicazione in 140 caratteri e del dominio informatico dei media, odierna intersezione di guerra di “quarta” e “quinta” generazione, vengono letti le guerre e i conflitti e ricostruiti i fatti e le tendenze.

La guerra ucraina, molto più di altre vicende recenti e con qualche analogia, per alcuni aspetti, solo con la guerra del Kosovo del 1998-1999, rappresenta un formidabile esempio, da questa parte di quella che fu la “cortina di ferro”, di narrazione ideologica, in cui i fatti vengono accuratamente selezionati, le motivazioni proditoriamente nascoste, persino lo scenario dei fatti e dei protagonisti ampiamente mistificato. Torneremo dopo sulle analogie con l’aggressione imperialistica alla Serbia e la guerra del Kosovo. Conviene, sin dall’inizio, focalizzare gli elementi-chiave della tragedia ucraina, in modo da consentire un ordine alla lettura degli eventi, una precisazione dello scenario ed anche una qualche accuratezza nella ricostruzione dei fatti.

L’Ucraina non è nuova a sollevazioni di piazza come quelle che l’hanno accompagnata nel corso dell’inverno 2013-2014 e che sono poi culminate nel febbraio 2014: la più recente, tra quelle la cui eco perdura nella attualità, ha finito persino per assurgere a “paradigma” dell’insurrezione per la “libertà” e la “democrazia”, quando la cosiddetta “rivoluzione arancione” (2004) di Jushenko e Tymoshenko portò alla ribalta un nuovo potere (neo-liberale e filo-atlantico) e si concluse con una disfatta, dal momento che la sostituzione delle oligarchie al potere del Paese non soddisfece le aspirazioni che pure aveva suscitato e non concorse ad alcun miglioramento del regime di democrazia e di libertà di cui pure si erano riempiti gli slogan e le bandiere.

Il successivo ritorno al potere (2010) della frazione antagonista della borghesia dominante e delle oligarchie locali, insieme con i propri interessi materiali e le proprie ricadute territoriali, avrebbe dovuto di per sé mettere, una volta per tutte, in chiaro la fragilità e la delicatezza degli equilibri di potere in Ucraina: che è, al tempo stesso, uno “stato-limes”, a crocevia tra Oriente ed Occidente; uno “stato diviso”, tra una parte occidentale – a maggioranza ucrainofona e storicamente vicina all’Europa Centrale – ed una parte orientale russofona, storicamente legata alla Russia e ai suoi interessi; e uno “stato cuscinetto”, neutrale, non aderente alla NATO e “di fatto” non allineato, non avendo completato il proprio percorso di adesione all’Unione Euro-asiatica che invece vede già ad uno stadio avanzato altri Paesi ex sovietici, come la Russia, la Bielorussia e il Kazakistan, pur ospitando l’Ucraina, nella penisola di Crimea, una significativa presenza militare russa (Sebastopoli in Crimea, dove, dopo il golpe di Euro-Majdan, la maggioranza della popolazione ha votato largamente, in un referendum popolare tenuto il 16 marzo del 2014, per la confederazione alla Russia).

La stessa ricostruzione della insurrezione di “Euro-Majdan” svela la “falsa coscienza” dei circuiti occidentali legati all’Unione Europea e alla Alleanza Atlantica: è difficile leggere questa insurrezione, se non in alcune sue parti iniziali, come una sollevazione per la “libertà” e la “democrazia” nel Paese, essendo stata scatenata dalla mancata conclusione di un accordo negoziale che avrebbe dovuto portare l’Ucraina ad aderire non ad un semplice “Accordo di Associazione” con l’Unione Europea, bensì ad un “Accordo Globale Strutturato di Libero Scambio”, per la stipula del quale le cancellerie europee avevano tuttavia imposto alle autorità ucraine la liberazione immediata di Yulija Tymoshenko, colei che era stata una delle protagoniste della sollevazione arancione, poi salita al potere ed incriminata per corruzione, malversazione e abuso d’ufficio.

Si intravedono dunque, sin dall’inizio, tutti gli elementi che avrebbero determinato la precipitazione della crisi ucraina: le tensioni legate al suo avvicinamento verso l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica, lo scontro di potere interno con la questione etno-linguistica sullo sfondo e pronta ad esplodere (anche perché “economicamente strutturata”, dal momento che circa il 20% della produzione industriale del Paese è basata nell’Est russofono), le intromissioni interessate e le ingerenze esterne che avrebbero non solo configurato una grave violazione della sovranità ucraina ma anche un potente detonatore all’esplosione della crisi successiva.

In questa cornice, la “sollevazione di Majdan” diventa ben presto il “golpe di Euro-Majdan”: continui finanziamenti europei ed occidentali per sostenere la lunga durata della sollevazione; continui interventi in piazza di autorità e funzionari europei e nord-americani per sobillare la sollevazione e, finanche, incalzare la caduta del governo legittimo, e, infine, la vera e propria organizzazione militare della protesta con battaglioni dell’ultra-destra nazionalista e “banderista” (con aperte simpatie naziste, a partire da “Svoboda”, la cui denominazione originaria era quella di “Partito Nazionalsocialista di Ucraina”) a organizzare l’assalto ai palazzi del potere. Il resto è cronaca recente: il parlamento sotto schiaffo della sollevazione, la messa in stato di accusa ed il rovesciamento del governo legittimo allora in carica, l’avvento al potere di una nuova oligarchia, inquietante, un misto di neoliberismo e neofascismo in veste ucraina, nel cuore dell’Europa.

L’assalto, il 2 Maggio, alla Casa del Sindacato ad Odessa, ad opera di “Settore Destro”, altro gruppo neo-nazista nell’Ucraina attuale, è la pagina più tragica di questo scenario. Non solo per il suo portato simbolico, nel pieno della crisi ucraina e dello svolgimento militare che ha interessato le regioni centro-orientali del Paese, a cavallo tra due “luoghi” particolarmente simbolici della storia di questo Paese e di tutte le realtà democratiche, quali il Primo Maggio della Festa dei Lavoratori e delle Lavoratrici e il 9 Maggio della Festa della Vittoria, nella quale tutte le popolazioni ex-sovietiche celebrano la vittoria contro la barbarie nazista. Ma anche per il suo portato materiale, quello di una vera caccia all’uomo, culminata in una aggressione spietata che ha messo a ferro e fuoco l’intero Palazzo dei Sindacati e colpiti a decine i democratici e gli antifascisti che vi si erano rifugiati, dando corso ad una vera mattanza, segno plastico della barbarie che ha profondamente allignato fin dentro le stanze del potere a Kiev, sin dalla destituzione di Janukovich e subito prima delle presidenziali del 25 maggio che avrebbero sancito la presa del potere di Poroshenko e Jatseniuk.

Non che la violenza, nell’Ucraina del dopo-Majdan, si esprima solo in termini politici e militari, piuttosto essa si sviluppa in maniera altrettanto catastrofica sul terreno strutturale e culturale, come dimostrano l’apertura del nuovo governo, alle prese con il precipizio economico, l’inflazione galoppante e il crollo della valuta locale, ai piani di “aggiustamento strutturale” del Fondo Monetario Internazionale che minacciano di ripetere, in terra ucraina, gli esperimenti già compiuti in altri Paesi, portati al collasso materiale ed al depauperamento sociale; e come attestano le prime “iniziative” promosse dal governo golpista, dalla messa al bando del Partito Comunista di Ucraina, per ora sospesa in attesa di pronunciamento da parte delle autorità giudiziarie locali, peraltro, a loro volta, costantemente in tensione e sotto minaccia, fino alla proposta di mettere al bando, con una più recente proposta di legge “liberticida” e “maccartista”, la stessa “ideologia” comunista, nella propaganda e nei simboli, nella stampa e nelle effigi, nella sua divulgazione e diffusione.

Si tratta di colpi destinati ad incidere profondamente nel tessuto sociale e culturale di un Paese complesso, che, come si è detto, si regge su equilibri che sarebbe sbagliato ritenere “assicurati” una volta per tutte e su un retaggio della storia lungo e incisivo, portato dalla sua collocazione geografica e strategica, che porta tutte le popolazioni russofone a guardare, oggi molto più di ieri, all’indomani delle ingerenze euro-atlantiche e della aggressione militare sulle province orientali, molto più a Mosca che a Kiev. Quando, tra le iniziative liberticide ed ultra-nazionaliste, promosse dal governo golpista, vi è stata quella di minacciare direttamente ogni istanza di autonomia proveniente dalle regioni orientali e, perfino, di mettere al bando l’insegnamento e l’uso della lingua russa come lingua co-ufficiale sull’intero territorio nazionale, la reazione non poteva che essere decisa e la risposta non poteva mancare di manifestarsi prontamente, come poi è accaduto appieno.

Prima ancora delle ragioni geo-politiche, che determinano gli interessi russi e sono alla base dell’orientamento ufficiale russo nella vicenda ucraina, sono state infatti queste minacce alle libertà e ai diritti, in particolare nei confronti delle popolazioni del Donbass, ad avere fatto, letteralmente, precipitare la situazione. La guerra, lunga e sanguinosa, che ha opposto per quasi un anno l’esercito lealista, espressione del governo golpista con le sue milizie ultra-nazionaliste, tra i cui i famigerati battaglioni Azov e altri gruppi paramilitari di feroce ispirazione neo-nazista e “banderista”, contro le milizie autonomiste, variamente denominate “separatiste” (nei media occidentali) o “terroriste” (nella propaganda di regime), è stata una guerra perdurante e complessa proprio per questo sovrapporsi ed affastellarsi, sovente magmatico e complesso, di ragioni e di interessi.

Una guerra singolare, “vecchia” e “nuova” nello stesso tempo: non un classico esempio di guerra “per procura”, essendo profondamente locali le ragioni della contrapposizione (al netto dell’intervento statunitense e russo, in termini di equipaggiamenti e forniture alle contrapposte fazioni, e, nel caso occidentale, anche di consiglieri e di istruttori militari direttamente impegnati sul campo); ma anche, allo stesso tempo, una guerra, come non si vedeva da tempo, pienamente dispiegata su un nitido “campo di battaglia” e terminata con una netta vittoria sul campo, la campagna di Debaltsevo e la rovinosa sconfitta delle forse lealiste e golpiste.

Solo per alcuni aspetti, si diceva all’inizio, la campagna del Donbass mostra analogie con la guerra del Kosovo: da una parte, un’istanza di auto-determinazione che, a differenza del caso kosovaro, non si è concretizzata sulle armi dell’imperialismo (nessuna KFOR-NATO da queste parti) e che pure, di conseguenza, sembra possibile comporre sul terreno negoziale, alla luce degli Accordi di Misk-2; dall’altra, un nuovo tentativo per la NATO, dopo gli eventi balcanici, di ridefinire la sua capacità di proiezione e condizionamento e di aggiornare la nota teoria del “containment” e del “roll-back”, in chiave anti-russa, di antica memoria.

Oggi, a un anno di distanza dagli eventi di Majdan e alla vigilia degli svolgimenti attesi degli Accordi di Minsk-2, una prestigiosa conferenza internazionale, ospitata a Napoli, offre l’occasione per una riflessione puntuale ed un approfondimento di merito. Il convegno, dal titolo «Ucraina: ieri, oggi e …domani? Per una proposta democratica e antifascista», promosso dalla Associazione “Russkoe Pole” con il supporto del CSV Napoli e del Comune di Napoli, è in programma giovedì 12 marzo, alle ore 16.00, presso la Sala “Giorgio Nugnes” nel Palazzo di Via Verdi del Comune di Napoli, alla presenza di Irina Marchenko, Ekaterina Kornilkova, Svetlana Mazur, Gianmarco Pisa (IPRI-Rete CCP), Francesco Santoianni (Rete Nowar Napoli), Carmine Zaccaria (WARP) ed Arnaldo Maurino, presidente della Commissione Educazione del Comune.

Napoli: continuano le mobilitazioni di solidarietà con l’Ucraina Antifascista

di Francesco Guadagni

Questa mattina, a Napoli, in Piazza del Gesù, nuovo presidio informativo delle compagne ucraine contro i crimini compiuti dal regime fascista di Kiev. Da mesi le lavoratrici ucraine e provenienti da altre repubbliche dell’Ex Urss, organizzano presidi, partecipano alle manifestazioni per controbattere l’offensiva mediatica che tace sui crimini commessi dal regime fascista e golpista di Kiev, finanziato e armato dagli Usa, dalla Nato e dalla UE.

Non solo, è stato evidenziato il ruolo del Governo italiano, con l’invio di armi e addestratori militari, nella guerra del regime golpista alle popolazioni del Donbass.

Al presidio abbiamo portato la nostra solidarietà all’Ucraina Antifascista esponendo la bandiera della Repubblica Araba Siriana. Fascisti in Ucraina e i terroristi del Fronte Al Nosra e dell’Isis in Siria, sono solo gli esecutori dei piani di dominio e di rapina degli Usa, della Nato, della UE, delle monarchie del Golfo, di israele e Turchia.

Da questo presidio nasce la volontà di costruire a Napoli un comitato di Solidarietà Antimperialista e Antifascista con i popoli colpiti dagli attacchi imperialisti, a partire dall’Ucraina, fino alla Siria, il Venezuela Bolivariano e alla Palestina.
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Esercito ucraino combatte con tank radioattivi provenienti da Chernobyl

di Maurizio Vezzosi – popoffquotidiano.it

La testimonianza di un soldato ucraino e la verifica fatta con strumenti appositi su di un carro armato abbandonato dalla Guardia nazionale

L’esercito ucraino utilizza carri armati radioattivi provenienti dalla zona di Chernobyl. L’accusa è stata mossa dall’agenzia d’informazione ucraina “Kharkov”, solitamente molto filo governativa. Anche per questo ancora più credibile. Accusa poi confermata da un giornalista televisivo russo, che ha verificato con il contatore geiger il livello elevatissimo di radioattività intorno ai mezzi militari in questione.

Il 28 aprile 1986 (era un lunedì) il reattore numero quattro della centrale nucleare Vladimir Ilic Lenin esplose, provocando la morte di oltre quattromila persone e la contaminazione di un territorio vasto quanto tutta l’Europa. Il disastro di Chernobyl fu l’unico della storia del nucleare insieme a quello di Fukushima classificato di livello sette.

In una testimonianza anonima riportata dall’agenzia “Kharkov”, un soldato ucraino afferma che Kiev avrebbe consegnato al proprio esercito mezzi militari provenienti da alcuni depositi nelle vicinanze di Chernobyl, abbandonati in seguito all’esplosione del reattore quattro e la conseguente contaminazione dell’area circostante.

Tra questi depositi il più noto è quello di Rossokha, che si estende su di una superficie di ben venti ettari. Laggiù nel 1986 il valore complessivo dei mezzi presenti (veicoli da trasporto, carri armati, elicotteri Mi-8 e Mi-26, pezzi d’artiglieria ecetera) veniva stimato in circa quaranta milioni di dollari.

Oltre alla testimonianza anonima riportata dall’agenzia ucraina, la televisione russa “ZarGrad” ha documentato il rilievo dei tassi di radioattività predisposti dalle milizie popolari della Repubblica di Donetsk su un T-64 di fabbricazione sovietica abbandonato sul campo dalla Guardia nazionale. I rilievi eseguiti con un dosimetro Psv (documentati nel video che riportiamo) hanno evidenziato un altissimo tasso di radioattività, pari a 150 mR/h. Al momento mancano dichiarazioni ufficiali sulla vicenda.

Il giornalista della tv russa “ZarGrad” spiega che si trova nella zona di Donetsk e mostra come funziona il contatore geiger che misura la radioattività del carro armato.

L’impressionante rumore generato dalla presenza di radioattività intorno al carro armato.

Benvenuti nel Donbass: il reportage

 di Dante Comani 

controlacrisi.org

Tutti gli anni nel giorno della Vittoria, a Donesk, viene organizzata una parata militare. Nessuna prova di muscoli ma solo una sfilata, molto partecipata, di reduci ma anche semplici cittadini, studenti, lavoratori che ogni 9 maggio si danno l’appuntamento per una commemorazione ancora molto sentita. In quell’occasione dal museo della memoria della città, un luogo che ricorda il prezzo che i sovietici pagarono per liberare se stessi e l’Europa dal nazismo, viene rispolverato un carro armato T34 parcheggiato per il resto dell’anno all’ingresso del museo. Questo cimelio, ancora funzionante, percorre poche centinaia di metri lungo le vie principali della città subito seguito dai reduci, sempre meno, e da figuranti con le divise storiche dell’armata rossa.

Questo gigante d’acciaio tra sbuffi, rumori assordanti e una coltre nera di fumo riesce sempre a garantirsi il suo quarto d’ora di celebrità, ma quello che fu un mezzo temibile che mise in crisi gli invincibili panzer con la croce di ferro di Guderian ormai riesce tutt’al più a impressionare i tanti bambini presenti alla parata. Se oggi vi capita di passare per Donesk, una città di un milione e mezzo di abitanti, quotidianamente bombardata dall’esercito ucraino e con interi quartieri ormai ridotti ad un cumulo di macerie, vi potrà capitare di incontrare lungo una delle principali arterie che collegano la città assediata, proprio quel T34 che, a 70 anni dalla sua ultima missione, é stato costretto, suo malgrado, a tornare in servizio. Perché a Donesk, come a Lugansk, come a Sloviansk, e nelle altre città dell’Ucraina orientale sembra di essere tornati alla Grande Guerra Patriottica. Non solo per i forti sentimenti antifascisti della totalità della popolazione del Donbass, che hanno trasformato questa guerra in un conflitto contro il male assoluto, ma soprattutto perché i mezzi e le armi in mano ai ribelli sembrano usciti da un set cinematografico sulla seconda guerra mondiale.

Non passa giorno, è vero, senza che i media occidentali non tirino fuori scoop, foto satellitari, dossier dei servizi di mezzo mondo, che provano il passaggio di corazzati, mezzi ad alta tecnologia e forze speciali dalla Russia. Di tutto questo naturalmente non viene fornita nessuna prova documentata eccezion fatta per qualche foto satellitare che ci mostra, rigorosamente dall’alto, dei rettangolini scuri che, solerti analisti dell’alleanza atlantica, ci dicono essere i micidiali aiuti militari inviati da Putin. Eppure, un osservatore imparziale o semplicemente più attento, basandosi unicamente sulle numerose immagini provenienti dalle tv di mezzo mondo, non faticherebbe ad accorgersi che le milizie popolari sembrano più la classica armata di straccioni che quella temibile macchina da guerra che si vuole far credere.

Un’armata efficiente, sia chiaro, ma con uomini in mimetica e scarpe da ginnastica, adolescenti imberbi con moschetti del 1940, mezzi improbabili adibiti a trasporto truppe, pezzi d’artiglieria antidiluviani. Insomma non bisogna essere usciti dall’accademia di West Point per capire che le tante elucubrazioni su un intervento mascherato di Mosca sono solo fantasie utili a chi fa il gioco della Nato. Facciamo a capirci. I militari russi presenti nel Donbass sono migliaia. Ma chi pensa che questi uomini siano li su incarico di Putin fa nella migliore delle ipotesi un torto alla realtà. Lo zar Putin sta trasformando la Russia e la sta preparando alle sfide geopolitiche che la attendono nei prossimi anni. Ma su questo, per ora, non vogliamo entrare. Quello che ci interessa è che l’esercito è una di quelle istituzione che è stata maggiormente interessata da questa riorganizzazione.

Decina di migliaia di militari dell’armata rossa tra i quaranta e i 60 anni sono stati negli ultimi anni messi in congedo forzato per fare spazio alle nuove leve uscite dalle accademie miliari. In gran parte veterani dell’Afghanistan, della Cecenia, dell’Ossezia, una intera generazione di combattenti si è ritrovata relegata ad un angolo con i saluti di Putin. Il conflitto in Ucraina ha rappresentato per questi uomini una nuova ragione di vita su di un livello però totalmente nuovo e cioè sulla difesa di una identità non banalmente etnica ma di valori. Migliaia di loro, infatti, hanno fatto propria la nuova bandiera della Novorossiya che qualche sciocco ritiene scandalosamente simile a quella confederata della guerra civile americana. In realtà questa bandiera è la fusione di due antiche bandiere rivoluzionarie, quella completamente rossa dei bolscevichi del 1917 e quella con la croce di s. Andrea blu su sfondo bianco issata sull’incrociatore Aurora che con i suoi colpi diede il via alla presa del Palazzo d’Inverno.

Una simbologia forte, chiara ed estremamente partigiana che non lascia spazio a dubbi di sorta. Sotto quella bandiera sono accorsi Russi, Uzbeki, Mongoli, kazaki tutti a combattere il nemico giurato di sempre. Per molti osservatori sono mercenari, ma si fa veramente fatica ad immaginare un mercenario senza stipendio, perché di questo si tratta. Il Donbass militarmente é diviso in 6 zone autonome l’una dall’altra. Ogni zona comprende diverse città e ha un suo comando della milizia. A questa spetta la difesa e la gestione delle migliaia di profughi che cercano riparo oltre confine.

A spiegarci questo è Andrey C., del comando del distaccamento di Lugansk, che ci accoglie con indosso una inequivocabile t-shirt con l’immagine del “Che”, in una stanza con le finestre in frantumi situata in quella che una volta era la sede del Comune. Da lui, scopriamo che le Repubbliche popolari che si sono costituite negli ultimi mesi nelle tre principali città del Donbass sono amministrate da “consigli” di cittadini, che, quello che rimane del comparto minerario, colpito chirurgicamente dall’esercito di Kiev, è autogestito anch’esso da consigli dei lavoratori che versano parte delle rimesse ottenute alla milizia e che a questa, oltre ai compiti di difesa viene demandata la questione degli approvvigionamenti e la non facile gestione dei flussi delle centinaia di migliaia di profughi che cercano rifugio in Russia. In realtà non c’è una grossa differenza tra questi organismi visto che tutti possono partecipare all’una come all’altra. Uomini e donne, di ogni età, li vedi effettivamente correre per le vie semi deserte abbigliati con uniformi variopinte, le caratteristiche magliette a righe orizzontali bianconere della marina, le mimetiche dell’esercito ucraino e russo saccheggiate nelle caserme occupate, le divise blu della polizia della città passata coi ribelli.

Un popolo in armi

Andrey ci dice che l’esercito ucraino continua a bombardare le città perché non ha il coraggio e la forza per entrare. «Questo non significa che siamo al riparo, anzi, forse in termini di vite sarebbe meglio uno scontro diretto fuori dai centri abitati ma purtroppo non siamo noi a deciderlo. Ci accusano di farci scudo con i civili ma qui ognuno ha fatto la sua scelta».

Quasi duecentomila profughi hanno potuto attraversare il confine russo grazie ad un corridoio che è stato reso sicuro, armi alla mano, proprio dalla milizia con costi umani elevatissimi.


«Abbiamo chiesto aiuto alla Comunità internazionale, alle Nazioni unite, alla Croce Rossa Internazionale, affinché garantissero loro un corridoio umanitario ma l’esodo dei civili verso il confine russo è stato oggetto di sistematici attacchi dell’aviazione e dell’artiglieria di Kiev. Un esercito che si accanisce in questa maniera contro i propri connazionali credo che non si sia mai visto in queste proporzioni».


Chi è rimasto, è rimasto per combattere. Come Vassiliy, un professore di letteratura delle scuole superiori, comanda una batteria composta da quattro ml 20, cannoni che sparano proiettili da 122mm. Armi temibili nel 1943, un pò meno oggi. La sua compagnia è composta da circa 40 persone e tra queste ci sono 8 suoi alunni. Questi, tutti 16enni, ci dicono che il fascismo è l’ebola del mondo ma nella Novorossiya hanno trovato la cura e ridono mostrandoci orgogliosi i loro moschetti Moisin Nagant del 1941.


Uno di loro ci dice che vinceranno la guerra, perché i Russi non cominciano mai le guerre, le vincono e basta. 
«Putin sta giocando una partita a scacchi con l’occidente». Si fa serio un altro. «Per un po’ di tempo noi siamo stati addirittura i pedoni ma si sa che il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Alla fine a forza di giocare tra diplomazie qui abbiamo fatto i soviet e questo di certo non è andato giù a nessuno».

«Dobbiamo molto alla Russia sia chiaro, anzi dobbiamo molto ai Russi. Sono i nostri fratelli. Ma noi non vogliamo annetterci alla Russia. Noi siamo la Novorossiya che vi piaccia o no».


Pavel C., maggiore siberiano dell’Armata Rossa è probabilmente l’unico militare vero del gruppo. «Qui ho ritrovato un motivo per combattere, nuovi compagni, non puoi non sentirti parte di qualcosa più grande di te. Io sono cresciuto e sono stato formato nel mito della lotta vittoriosa al fascismo e oggi può apparire incredibile ma sembra di essere ritornati indietro di 70 anni».


Il professor Vassily riprende la parola e ci dice che non è d’accordo con quanti paragonano il Donbass alla Spagna repubblicana.

«Innanzitutto non abbiamo le brigate internazionali e neanche un minimo di solidarietà. Tutto il mondo è contro di noi. Siamo noi i cattivi. Così cattivi che ci siamo portati la guerra in casa nostra, così dispotici che prendiamo le decisioni votando, così nostalgici che innalziamo al cielo con orgoglio bandiere ritenute bandite. Ma voi che fareste? Un giorno ci siamo svegliati e ci hanno detto che non potevamo più parlare russo, che gli amministratori che avevamo eletto dovevano essere sostituiti, che i contratti di lavoro andavano rivisti, le nostre miniere vendute all’estero, la nostra storia e i nostri simboli cancellati e abbattuti. Addirittura ai reduci di guerra sono state tolte le pensioni perché colpevoli di aver lottato dalla parte sbagliata. Vi sembrerà incredibile ma anche in quel frangente non abbiamo detto niente. Ma poi  c’è stata Odessa. Un massacro. E da quel momento abbiamo finito di essere Ucraini, per sempre».

La realtà è molto complessa. Per qualcuno non è così. Analisti d’accatto, giornalisti prezzolati, freelance (più lance che free), blogger tuttologi, sono categorie antropologiche che hanno sempre la soluzione sotto controllo, una capacità assoluta di interpretare e decodificare la storia e a volte anche la geografia. Per noi non è così, rimaniamo pieni di dubbi, di incertezze, soprattutto quando ci si trova di fronte a fatti epocali, che si percepisce influenzeranno quello che sarà il mondo nel prossimo futuro. Negli ultimi anni ne abbiamo lette e sentite di cotte e di crude ma, per nostra natura, abbiamo sempre preferito discutere e studiare senza contribuire a quella immane produzione di carta, non sempre elettronica, documenti, dossier, memorandum, che avevano la pretesa di spiegarci dove stava andando a finire questo mondo. Dalle primavere arabe all’Iraq, dalla Siria alla Palestina passando per i perenni conflitti centrafricani è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto, un relativismo esasperato che ha giustificato e resa legittima qualunque posizione anche la più falsa e ignobile. Proprio come sta accadendo per il conflitto in Ucraina.

Noi ci siamo stati

Abbiamo visto e vissuto, seppur per poco tempo, la realtà drammatica di una guerra uguale a tante altre e abbiamo potuto misurare una partecipazione popolare senza precedenti nell’Europa del secondo dopoguerra. Ma il Donbass non è la Siria, né Gaza e non è neanche la Repubblica spagnola del ’36. Il Donbass è il Donbass. Anzi, per meglio dire, il Donbass è Novorossiya. Questo è uno punti fermi insieme a pochi altri: la natura profondamente antifascista del movimento nel Donbass, la novità dell’autogoverno di città con milioni di abitanti ed il tiepido e sempre più imbarazzato appoggio della Russia a queste esperienze.

Nell’Ucraina orientale si sta sperimentando qualcosa di nuovo, sotto le ceneri di una storia che sembrava definitivamente consumata riemergono le fiamme di simboli e pratiche dimenticati. Un popolo che si fa protagonista, circondato da forze preponderanti, schiacciato dalla forza della propaganda, oltraggiato e vilipeso anche e soprattutto da chi, in ogni parte del mondo, è sempre pronto a misurare il livello di radicalismo e a giudicare la bontà delle parole d’ordine altrui. Questo scarno resoconto è per quei compagni, per fortuna non pochi, che fin dall’inizio hanno saputo leggere la reale portata della crisi ucraina, le sue possibili ripercussioni e soprattutto la vera natura dei movimenti del Donbass.

Non basteranno centomila cornacchie urlanti dai loro siti a scalfire il nostro giudizio su quanto visto e su quanto ci aspettavamo di vedere. Lasciamo a loro il dibattito su mercenari e contractors russi, rossobrunismo, imperialismo russo, oligarchi, gas, zarismo. Per fortuna sono inutili come le loro tesi.

A Stakanov una città a pochi chilometri dal confine russo, una statua di Lenin, come di consueto, si erge nella piazza centrale. Sul basamento grigio di cemento armato, moltissimi studenti delle elementari, nelle settimane iniziali della crisi, avevano attaccato i loro disegni colorati. Alcuni di essi sono sopravvissuti alle intemperie e agli sconvolgimenti delle settimane successive. Su uno di questi, un Lenin sorridente e gigantesco, schiaccia un carro armato, su un altro afferra un missile con le mani salvando le case sottostanti ed i loro occupanti, su un altro ancora dei miliziani fanno la guardia alla sua statua circondata di bambini. E sono poco più che bambini anche i tre miliziani che fanno realmente la guardia alla statua del padre della Patria. Nel 2014 c’è ancora gente disposta a questo. Ma chi glielo fa fare? La risposta è su uno striscione bianco di una decina di metri proprio alla sinistra di Lenin: “ESLI PADAT’, TO VMESTE”, recita.

Se cadrai, cadremo insieme.


Benvenuti nel Donbass.

Chi sono i mercenari nell’Est dell’ Ucraina?

da al manar

La presenza di combattenti provenienti da società private militari, americane, inglesi, polacche e italiane in Ucraina non è più un segreto da lungo tempo, scrive, oggi, il quotidiano Rossiyskaya Gazeta.

Tra 200 e 300 mercenari professionisti lottano oggi contro la popolazione della Nuova Russia. Sono pagati ma hanno tardato a raggiungere il fronte. Ci sono anche volontari “ideologici” provenienti dall’estero, che vengono accolti a braccia aperte dai “battaglioni di difesa territoriale” come “Azov” e “Aidar.” Essi vengono reclutati dai nazisti e criminali.

Combattono molto meno anche se si vantano sui social network, e talvolta diventano prigionieri inaspettati.

La più significativa “acquisizione” delle forze di autodifesa è stata la cattura di un cittadino svedese,  Michael Skilt, battaglione d’élite “Azov”, istruttore-tiratore. Secondo l’ “histographie” ufficiale del battaglione “Azov”,  Skilt neo-nazista e razzista, sostenitore della democrazia è giunto in Ucraina come un turista, si è innamorato dell’idea di Euromaïdan, “piena di sentimenti”, infine, ha aderito al Settore destro. É arrivato nel Donbass direttamente dal Maidan.

Egli è stato catturato dalle forze di autodifesa quando i suoi “fratelli” del battaglione hanno semplicemente abbandonato questo “Viking invincibile” in una lotta di retrovia, condotta in un modo disorganizzato e senza precauzioni.

Il capo di una concessionaria di auto in Italia, Francesco Falcone, 54 anni, fa anche lui parte del battaglione “Azov”. Si è scoperto che suo nonno era uno dei 130.000 italiani fascisti inviato da Mussolini a Stalingrado e ucciso durante l’offensiva “Tempesta Invernale”. Questo è il motivo per cui il “discendente del legionario” Francesco odia i”Russofili”, sostiene gli islamisti ed era anche disposto a convertirsi all’Islam nella sua giovinezza. “Ho sognato tutta la mia vita di un’esperienza  come questa. Non c’è spazio per i sentimenti. Questa è la guerra. Sono qui per uccidere”, ha testimoniato davanti ai giornalisti occidentali.

È molto più interessante sapere chi ha reclutato questo disoccupato italiano nel battaglione punitivo “Azov”. Secondo le informazioni della SDF, è il francese Gaston Besson, 47anni, capo della cosiddetta “legione straniera”, nell’ambito del battaglione.

Non è certo per romanticismo militare che un istruttore della vera Legione straniera francese, ferito tre volte, dopo averne  viste di tutti i colori durante la guerra in Jugoslavia, sia venuto in Ucraina. Le forze di autodifesa credono che questo “specialista”, sposato con una croata e residente finora in Croazia, sia il responsabile per il reclutamento di combattenti stranieri per partecipare alla guerra nel Donbass. Comunque, Besson è il primo ad aver diffuso sui social network l’ appello a mobilitarsi per la “guerra contro la Russia”, rivolgendosi ai suoi ex camerati. Inoltre, si lamentava su Facebook per essere oggi l’unico combattente francese accanto a tre svedesi, tre finlandesi, un canadese e un italiano.

[Trad. dal francese per ALBAinformazione di Francesco Guadagni]

Torna il fascismo e la minaccia della guerra nel cuore dell’Europa


di Gianmarco Pisa

In Ucraina è in atto un colpo di Stato ad opera di gruppi estremisti, dichiaratamente fascisti e neonazisti.

All’indomani della Giornata dei Lavoratori, lo scorso 2 Maggio, a Odessa, 112 vittime innocenti, in gran parte lavoratori, sindacalisti, comunisti, sono morti per mano di gruppi di estrema destra, che hanno messo a ferro e fuoco il Palazzo dei Sindacati.

Da una settimana, la giunta golpista amica degli Stati Uniti e dell’Unione Europea ha messo sotto assedio Slaviansk, nel Donetsk, inviando i carri armati contro il proprio popolo, che da settimane reclama diritti e autodeterminazione in un Paese sconvolto dalle violenze fasciste delle organizzazioni Pravj Sektor e Svoboda.

Come era già avvenuto nei casi della Libia e della Siria, anche nel caso della crisi ucraina, USA, UE e NATO usano il pretesto delle proteste popolari per rovesciare governi legittimi ed esercitare una diretta ingerenza negli affari di un Paese sovrano.

Violando palesemente il diritto e la giustizia internazionale, le cancellerie europee si sono affrettate a riconoscere e finanziare un governo imposto da rivoltosi, paramilitari di piazza Maidan, e composto da ministri che si richiamano apertamente all’ideologia nazista, sostenuti da settori reazionari ed oligarchi corrotti.

In nome della “sovranità ed integrità territoriale dell’Ucraina”, l’UE, in primis la Germania, gli USA e la NATO mirano a inglobare il Paese nella propria sfera di affari e stringere d’assedio la Russia, minacciata nel suo confine occidentale dall’espansionismo della NATO e provocata con i pogrom contro la popolazione russofona.

Il voto in Crimea e le manifestazioni nella regione orientale del Paese a maggioranza russofona hanno dimostrato che la popolazione ha paura di un ritorno alla passata occupazione nazista, la cui memoria è ben viva nel ricordo di tanti cittadini democratici.

Esprimiamo la nostra solidarietà ai popoli della Crimea, del Donetsk, di Slaviansk, di Lugansk, di Odessa e a tutti gli antifascisti ucraini, alle donne e ai giovani che resistono alle violenze dei golpisti e alle minacce dell’imperialismo!

Condanniamo le violenze in atto in Ucraina, denunciamo i crimini contro l’umanità della giunta di Kiev e invitiamo tutti i cittadini democratici e le istituzioni a non prestare il fianco alla campagna di sostegno a questo golpe, che rischia di far divampare ancora il fascismo e la guerra nel cuore dell’Europa!

Chiediamo al Parlamento Italiano di sottrarsi alla campagna in atto a sostegno della giunta di Kiev e contro la Russia e di lavorare ad un progetto politico di pace e cooperazione con i popoli dell’Est europeo!

Napoli 9 maggio 2014

ore 12,00 – 14,30 Centro Direzionale Napoli 

Via G. Porzio Isola B3

Presidio antifascista sotto il Consolato Ucraino

Nicolás Maduro: «La classe operaia è il grande intellettuale collettivo per la costruzione del socialismo»

Fonti: Aporrea, Circolo Bolivariano Antonio Gramsci – Caracas

15Giu2013.- Il presidente Nicolás Maduro ha iniziato questo venerdì le sue giornate di Governo di Strada nello Stato Falcón, dove ha fatto visita alle imprese socialiste della zona franca del Paraguaná, che ha dichiarato area di sviluppo economico speciale, ha spronato i lavoratori a portare alla sua massima espressione l’organizzazione e l’ottimizzazione delle risorse per la produzione per conquistare l’efficienza socialista.

«Il grande intellettuale collettivo per la costruzione del socialismo è la classe operaia», ha puntualizzato il presidente durante l’atto centrale trasmesso da Venezolana de Televisión (VTV).

Maduro ha evidenziato che l’obiettivo di una fabbrica socialista è quello di produrre con relazioni sociali di uguaglianza e di giustizia.

Il Presidente venezuelano ha dichiarato che «le nostre fabbriche devono essere correttamente dirette, gestite, amministrate con efficienza socialista; devono disporre della migliore tecnologia, la migliore organizzazione interna per la produzione, rispettando le condizioni di vita, di lavoro e di salute dei lavoratori, con condizioni socioeconomiche lavorative giuste e con il numero di lavoratori necessari per i processi produttivi in ogni unità».

Durante la sua visita alla fabbrica di lampadine a risparmio energetico Vietven Iluminaciones, ha sottolineato che la classe operaia venezuelana «è la colonna vertebrale per la nuova patria che stiamo costruendo».

Successivamente si è diretto verso la Unidad de Energía Renovable Venezuela, fabbrica di elettrogeneratori eolici e fotovoltaici realizzati in collaborazione con Cuba.

Successivamente ha sottolineato la necessità di evidenziare il carattere antifascista della Rivoluzione Bolivariana che è inoltre, socialista, democratica, antimperialista e chavista, definendo il Governo di strada come la maniera migliore per «gettare solide basi di contatto con il popolo». Tale strategia è una componente di un sistema di governo popolare in costruzione, verso il socialismo, che rompa con le strutture dello Stato borghese e generi un metodo di interazione e direzione collettiva.

Il presidente venezuelano ha infine reiterato l’importanza strategica della strutturazione delle milizie operaie bolivariane dichiarando che «la clase obrera unida jamás será vencida, la clase obrera armada jamás será aplastada!».

I giovani di Quarto (Napoli) omaggiano il ‘Comandante eterno’… e vincono il campionato!

 I giovani del comune di Quarto (Na) supporters della locale squadra di calcio giovanile, popolare e antifascista, Quartograd, recentemente promossa in Seconda categoria, hanno realizzato un murale in omaggio a Hugo Chávez, il ‘Comandante Eterno’ della Repubblica Bolivariana del Venezuela, proprio accanto al murale dedicato al loro compianto compagno Sergio. 

“Un altro mondo è possibile, se è socialista”, questo il titolo dell’opera che è visibile nei pressi del cavalcavia ferroviario che collega il Comune campano che, secondo recenti statistiche, è uno dei Comuni più giovani d’Europa, afferma Giorgio Rollin, Presidente della locale Consulta Giovani (nonché portiere del dinamico equipe calcistico), in lotta per evitare la minaccia di sgombero ventilata dalle politiche antipopolari della commissariata amministrazione

LA CONSULTA DEI GIOVANI DI QUARTO NON SI TOCCA!

RISPONDIAMO CON LA MOBILITAZIONE POPOLARE ALL’ENNESIMO ATTACCO DA PARTE DI FUNZIONARI E POLITICI CHE NON ASCOLTANO LE ESIGENZE DEI CITTADINI!

DIFENDIAMO E MOLTIPLICHIAMO GLI SPAZI DI AGGREGAZIONE E SOCIALITA’ PRESENTI SUL NOSTRO TERRITORIO!

L’assemblea chiamata dalla Consulta dei Giovani, tenutasi a Piazzale Europa il 22/05/2013, ha visto la partecipazione in massa di centinaia di singoli cittadini (giovani e non) oltre a partiti, associazioni e collettivi che con la propria presenza hanno dimostrato di tenere a cuore la vita sociale di Quarto oltre che riconoscere agli spazi di Piazzale Europa e agli organismi che vi risiedono un fondamentale ruolo sociale e aggregativo nel nostro Paese.

 Tutto ciò ci lascia solo più allibiti e ci fa chiedere come mai la sana aggregazione giovanile, volta al miglioramento dello status sociale della nostra cittadina è mal vista sul nostro territorio. Come mai le stesse istituzioni che si “dicono essere” contro la Camorra e per la Legalità, quelle stesse che “dicono”, attraverso i propri funzionari, di rappresentare lo Stato Italiano, mostrano impassibilità e “tolleranza zero” verso la parte sana di questo paese che con generosità e abnegazione ha dimostrato negli anni di essere sempre in prima linea nella lotta per un futuro migliore? Da Pianura al Castagnaro, passando per il Quartograd, piuttosto che per il Comitato per il Trasporto Pubblico, dal Presidio Permanete di Quarto contro Discariche ed Inceneritori al collettivo studenti medi, dai Cineforum di Piazza e al doposcuola per i bambini disagiati del Paese alle campagne informative sui metodi contraccettivi del Progetto Eva, questa scelta scellerata presa dai tre sceriffi di turno che nulla sanno di cosa vuol dire vivere in questa periferia degradata, dalla sera alla mattina e senza alternative, mette a repentaglio quanto fatto di buono finora in questo paese.

I Commissari Prefettizi rappresentano lo Stato Italiano, è vero, ma quale Stato? 

Di certo non quello che dovrebbe difendere i diritti dei cittadini e stare dalla parte dei più deboli. Piuttosto quello che licenzia e privatizza, quello che lascia fare a Marchionne l’aguzzino di turno e non interviene quando c’è da difendere i diritti di migliaia di operai, quello che invece interviene con il manganello e l’esercito quando una comunità in Val Susa insorge perché non vuole distruggere le proprie montagne, quello che senza scrupoli si ricorda della popolazione solo quando deve far pervenire le cartelle esattoriali di Equitalia. Ecco che Stato rappresentano i nostri Commissari Prefettizi, uno Stato ingiusto che vede una banda di criminali continuare a Governare un Paese allo sfacelo (quando non ci riescono con l’elezioni, ricorrono ad un vero e proprio Colpo di Stato, vedi cosa accaduto con la rinomina di Napolitano), nel bel mezzo di una crisi che non ha precedenti per drammaticità e conseguenze concrete sulla popolazione, nella storia.Non stiamo ancora qui a dirvi il perché difenderemo la nostra agibilità politica conquistata in anni e anni di sacrifici, ma invitiamo quanti ci hanno conosciuto e apprezzato per il lavoro portato avanti negli anni, a solidarizzare e a partecipare al presidio che terremo Martedì mattina in occasione del previsto sgombero.

Martedì mattina difendiamo la Consulta: giovani, anziani, famiglie, collettivi, raggiungete il presidio nei locali della consulta, presso piazzale Europa, a partire dalle ore 7.00.

DIFENDIAMO I LUOGHI DI AGGREGAZIONE SANA DEL NOSTRO TERRITORIO COME ABBIAMO DIFESO INSIEME IL CASTAGNARO O LE CAVE DI VIA SPINELLI!!

ADERISCONO:

Consulta dei giovani di Quarto, Progetto EVA, P.CARC sezione di Quarto,Comitato Disoccupati Quartesi, Comitato No alla discarica delCastagnaro, Collettivo ISIS di Quarto, A.S.D Quartograd, NostalgiaCanaglia, Torneo Antifascista e Antirazzista di calcio a 8.

Quartograd promosso in seconda
categoria: vince il «calcio popolare»

La «squadra antifascista» conclude una stagione straordinaria con centinaia di tifosi sugli spalti

di Alfonso Bianchi (dal Corriere del Mezzogiorno)

NAPOLI – Lo spettacolo che si è svolto sabato al comunale di Quarto è stato qualcosa di incredibile. Sulle gradinate centinaia di persone per un match di Terza Categoria, roba che nemmeno nelle serie superiori. Quando all’ingresso dei giocatori in campo sulla gradinate è stata srotolata un’enorme maglietta coi colori e il simbolo della squadra, sono state accese le torce e il pubblico ha cominciato a cantare “Devi vincere!”, sembrava di stare in una piccola “Bombonera” di periferia.

Quartograd, vince la squadra antifascista

Per uno strano scherzo del destino la capolista Quartograd, la squadra ‘antifascista’ di calcio popolare, si giocava, all’ultima partita di campionato, la promozione nello scontro diretto con la seconda in classifica, il Fulgor Marano. Tra le due un solo punto di differenza. Imbattuta la prima, una sola sconfitta per la seconda. Miglior attacco la prima, con 65 gol, miglior difesa la seconda, soltanto 10 reti subite in tutta la stagione. Sulle gradinate giovani, anziani e intere famiglie erano venute a sostenere questi ragazzi, i loro ragazzi, i loro compagni, amici e fratelli. Ma per 90 minuti per tutti loro, dentro e fuori dal campo, c’è stato da soffrire. Soffrire e stringere i denti, anche se bastava un solo punto per ottenere la tanto agognata promozione.

A neanche un minuto dal fischio d’inizio, infatti, il Marano è andato subito in vantaggio, il pareggio a opera di Daniele Gelotto è arrivato solo nel secondo tempo, ma i padroni di casa sono andati di nuovo sotto dopo pochi minuti. Il pubblico continuava a incitare, ma con l’avvicinarsi del 90esimo minuti a molti ormai si strozzava la voce in gola. «Ogni partita che abbiamo giocato in questo campionato ci ho sempre creduto fino all’ultimo secondo – spiega il mister Fabio Amazzini – Ma questa volta confesso che non ce l’ho fatta, all’ultimo minuto ho ceduto e mi ero rassegnato alla sconfitta. Ma i miei ragazzi no, non hanno mollato fino all’ultimo respiro e ci hanno regalato questa gioia immensa. Sono stati straordinari». La rabbia e la sete di vittoria non sono venute meno in campo neanche quando tutto sembrava perduto e così sugli sviluppi di un calcio d’angolo al 94esimo, il difensore Gennaro De Vivo, novello Renato Cesarini, l’ha insaccata facendo esplodere lo stadio. Le gradinate sono ‘franate’ e la festa è iniziata con l’invasione di campo per concludersi solo a tarda notte, con una serata di musica organizzata da società e tifosi all’esterno della consulta giovanile. Per capire come sia possibile un tale entusiasmo e una tale partecipazione per una squadra di Terza categoria, l’ultima dei campionati ufficiali della Fgci, bisogna ripercorrere le tappe che hanno portato alla nascita di questa esperienza.

Il club è stato fondato lo scorso ottobre con i migliori giocatori del “Torneo antifascista”, una competizione inaugurata tre anni prima su iniziativa della sezione locale dei Carc e che era arrivata ad avere 40 squadre partecipanti, con molti calciatori di buon livello. Da lì l’idea di creare una sorta di azionariato popolare per mettere in piedi una società in cui giocatori, dirigenti e tifosi lavorassero insieme per gli stessi ideali: la riscoperta del calcio come forma di aggregazione pulita e lontana dalle logiche del mercato, e l’antifascismo, come principio fondante di ogni convivenza. «Vedere quelle centinaia di tifosi sugli spalti per la finale, vedere i ragazzi sostenerci anche in trasferte ‘scomode’ come quella a Procida, ci ha dato per tutto l’anno una marcia in più – afferma Amazzini – Ma sapete qual è la soddisfazione più bella? Vedere i tifosi agli allenamenti, una cosa che non succede neanche in serie C. E poi finta la preparazione andare a bere una birra tutti insieme».

È questa la vera vittoria del progetto Quartograd, aver creato una aggregazione vera e basata su principi nobili. «Nella squadra ci sono ragazzi dalle più diverse estrazioni sociali, dal giovane che proviene da una famiglia più fortunata, al disoccupato, dal lavoratore del mercato ortofrutticolo fino all’operaio». Tutti giovani spinti solo dalla passione e disposti al sacrificio per il proprio sogno. Come Paolo Rinforzi, detto ‘o gemell’, centrocampista da 5 gol a stagione, che ogni mattina si alza alle 6 per andare in cantiere «e non manca mai agli allenamenti, a costo di addormentarsi alla fine negli spogliatoi distrutto da una giornata di fatica. Non è da tutti» racconta con orgoglio il mister. E così lontano dai riflettori della serie A, dai blasoni della Champions league, dai milioni del calcio moderno, in un piccolo campo di periferia è possibile riscoprire la passione autentica per questo sport meraviglioso. Una passione che si è rivelata vincente, fuori e dentro dal campo. E ora conquistata la prima vittoria non resta che guardare al futuro. E ancora un volta che dire: Avanti Quartograd!

(VIDEO) ALBAinFormazione intervista Alexander Höbel (Ass. MarxXXI)

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