
Frank Luntz, stratega repubblicano della comunicazione
di Paul Walder
Pubblicato in “Punto Final” (Chile), edición Nº 810, 8 de agosto, 2014
Nell’era dell’immagine rinasce l’uso della parola come un’arma di cui si avvalgono i mezzi di comunicazione. Quella forma naturale dell’espressione, elaborata e decorata dai pensatori, poeti, politici e mercanti, è ancora in grado di offrire il massimo di sé. Le immagini che nell’attualità ci invadono, nonostante la loro forza rappresentativa, richiedono la parola per la loro interpretazione.
Lo scienziato politico russo Alexei Mujin in una intervista rilasciata a Russia Today, afferma che la terza guerra mondiale è attiva ed è informativa. Le classiche tecniche sull’uso del linguaggio che sono state introdotte dai tempi dell’antica retorica fino a Goebbels si conservano come strumento per stimolare divisioni, odi e violenza. L’informazione, la disinformazione, il rumore o la confusione, secondo il caso, è un meccanismo che prepara le soggettività e il terreno per futuri interventi. Gli USA hanno impiegato lo stesso attrezzo in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria o Venezuela con esiti diversi ma sempre modellati con lo stesso stampo. Nemmeno il colpo di Stato cileno avvenuto più di quaranta anni fa è sfuggito da questa strategia.
Nonostante l’evidenza brutale delle immagini sul massacro della popolazione di Gaza, Israele giustifica i suoi attacchi incentrandoli nelle classiche tecniche del linguaggio, mediante la trasformazione dei discorsi in un racconto rivolto ai leader politici e all’opinione pubblica americana ed europea. In un articolo pubblicato su The Independent si mettono in relazione le voci del governo di Netanyahu con i meccanismi di comunicazione di Frank Luntz, accademico americano esperto d’inchieste e stratega politico dei repubblicani. Il suo libro La parola è potere, ha influenzato non solo pubblicisti e politici, ma è anche entrato a formar parte della strategia della comunicazione israeliana.
A un primo sguardo questo libro non aggiunge nulla nuovo sull’argomento. In apparenza si presenta come un ibrido sulle numerose tecniche della comunicazione e della pubblicità. In esso si possono trovare frasi e idee così semplici come “quello che è realmente importante non è ciò che dici, ma quello che la gente capisce” o “usa parole che funzionino”, cioè quelle che “devono introdursi mediante le emozioni”. Semplicemente si tratta di ripensare la comunicazione dal punto di vista del ricettore, dello spettatore, perché “le parole non dicono solo quello che noi crediamo che raccontino; dicono anche, soprattutto, quello che i nostri ascoltatori credono che riportino”.
Una immagine, nonostante sembri così evidente, necessita il linguaggio per completare il suo senso, per completare la sua interpretazione. Il rafforzamento di questa narrazione, reiterato e incorporato dai mezzi di comunicazione come riferimento informativo quotidiano, si trasforma in realtà. Mediatizzata, indotta, ma che tuttavia compie il suo ruolo come verità.
I mass media, i pubblicisti –e anche i governi-, affidano questa chiave per risolvere l’enigma delle immagini che ci accecano mediante la parola, che è desiderio, forza, azione o reazione. Se per vendere i veicoli 4×4 ci vogliono svariati milioni di dollari in pubblicità, occorrono altrettanti per destabilizzare un paese. In entrambi i casi è solo semplice linguaggio e immagine sui desideri e le nostre paure più recondite.
Nulla di originale si può ricavare da queste tecniche che in conformità a variabili molto elementari sono generatrici di scenari. Elementi messi a confronto, timori e nemici, da quelli che possiamo trovare nei racconti mitici, al cinema e nei videogiochi, ora li troviamo nelle reti sociali stimolate dai governi, dalle agenzie specializzate e dai mezzi di comunicazione. Dualità elaborate durante la guerra fredda, come quella del polo libertà-comunismo, attualmente integrano la coppia terrorismo-antiterrorismo. L’idea di una guerra mondiale non si riduce solo a quella di tipo informativo, ma integra la guerra tradizionale, come attualmente sta accadendo in Ucraina e in gran parte del Medio Oriente. La disinformazione, accompagnata dall’odio e dalla paura, come elementi atavici, profondi, costituisce il preambolo della violenza.
In una guerra la prima vittima è la verità. E oggi, mediante l’ubiquità delle tecnologie dell’informazione che sono nelle mani dei grandi mezzi fusi con gli interessi economici, una strategia simile si riproduce in diverse latitudini.
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]