di Giuliano Granato
Le rivolte a Haiti, in Ecuador, Cile, il golpe in Bolivia, la lotta che continua da anni in Honduras, la novità delle minacce alla piccola Dominica. E la liberazione di Lula in Brasile. Le elezioni in Argentina e Uruguay. E il conflitto tra esecutivo e legislativo in Perù.
L’America Latina è un territorio in disputa. Mettere i fatti l’uno dietro l’altro può aiutare a fare una cronologia degli eventi, ma non permette la comprensione dei fatti né consente l’analisi degli scenari. La storia e la politica non sono aritmetica. Non basta sommare per avere la chiave di volta che ci permette di capire.
Eppure comprendere è così importante, non solo per studiosi e accademici, non tanto per avere consapevolezza, ma perché quanto sta avvenendo sull’altra sponda dell’Atlantico tocca anche noi.
L’esito degli scontri e dei conflitti in corso, dei quali occorre riuscire a riconoscere il movimento comune, ma anche le enormi differenze, per evitare equiparazioni che distorcono e offuscano anziché schiarire, darà impronta anche allo scontro qui, ne risentiremo le conseguenze, in termini di confezione dello Stato, del ruolo dei movimenti sociali, della possibilità di redistribuire la ricchezza, di rapporto pubblico/privato, del futuro dell’austerity, del ruolo della comunicazione e dei sicial.
La disputa ha mille terreni di scontro. Anche quello internazionale. Ne siamo chiamati in causa. Guardare oggi all’America Latina significa guardare a un pezzo del nostro futuro. E lo possiamo disegnare anche noi. Perché la distanza geografica non ci rende meri spettatori. Volenti o nolenti siamo pezzo in disputa anche noi.